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Discussione: Silvano Lorenzoni

  1. #11
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    Predefinito Riferimento: Silvano Lorenzoni

    Alcune parti tratte dal fondamentale libro :

    Silvio Waldner , La deformazione della natura , edizioni AR , 1997

    http://www.stormfront.org/forum/show...ic-428489.html
    "Lo studio della storia come funzione delle variazioni razziali intervenute nelle popolazioni che abitano un determinato ambiente geografico (`storia genetica') è diventato, dopo il 1945, impercorribile o quasi.
    Il primo tentativo di tracciare un compendio di storia universale su basi razziali fu fatto dal Gobineau, nei voll. II-VI dei suo Essai sur l'inégalité des races humaines. Questa parte della sua opera, anche se certamente sorpassata alla luce delle scoperte archeologiche ed etnologiche compiute dalla metà del XIX secolo a oggi, mantiene un'indubbia efficacia suggestiva per chi sia interessato alla rappresentazione di una 'storia genetica'. Negli anni Trenta, Hans F. K. Gunther produsse due eccellenti opere riferentisi alla Grecia e a Roma , poi ristampate negli anni Sessanta. Sull'argomento, il Mythus des XX. Jahrhunderts di Alfred Rosenberg contiene alcuni spunti felici e qualche riferimento tuttora valido - spunti e riferimenti tuttavia insufficienti a costituirne uno studio sistematico. Dopo la guerra, l'importanza di questa dimensione della storia è sottolineata da un autore americano, Revilo Olivier , il quale tuttavia non perviene ad alcuna conclusione chiara.
    A titolo illustrativo, si danno qui tre esempi poco conosciuti di 'storia genetica'.

    AFRICA NORD OCCIDENTALE
    a. Africa nord-occidentale. Il `Maghreb' - grosso modo la parte settentrionale della Tunisia, dell'Algeria, del Marocco - in tempi preromani, romani e bizantini, sino alla fine del secolo VII, poté a buon diritto essere visto come una specie di "Spagna oltre Gibilterra". Le popolazioni della Penisola Iberica e del Maghreb erano affini, sia culturalmente che razzialmente (sottorazza occidentale, o mediterranea, della razza europea), e i contatti dall'una parte all'altra dello stretto di Gibilterra rimanevano frequenti. Dopo l'occupazione romana e fino ai tempi del Basso Impero, l'Africa nordoccidentale espresse uomini sia di pensiero che d'arme di primissima qualità e costituì una parte importante del mondo romana A cambiare radicalmente il 'paesaggio' ìntervenne nel VII secolo l'islamizzazione. Se è vero che l'Islàm rese un servìgio prezioso all'Europa dissolvendo il cristianesimo levantino, così creando una barriera che si rivelò anche genetica fra i Balcaní e il Medio Oriente, è pure vero che esso privò irreversibilmente il Continente di quello che era stato il suo genuino prolungamento africano. L'effetto immediato dell'islamizzazione fu, soprattutto a Tunisi ma anche nel resto della regione, l'arrivo in massa di Levantinì (a dìfferenza dell'Andalucía, dove l'immigrazione di Levantini non risultò mai massiccia), con conseguente sfiguramento della cultura locale e un principio di degradazione razziale. Questa fu una situazione che si mantenne, di massima, fino alla metà del XIV secolo. Fino allora, per gli emiri del Maghreb il centro di attenzione era stato la Spagna, ove la costante pressione di Castìglianì, Aragonesi e Portoghesi costringeva i musulmani sulla difensiva, ponendoli sotto costante minaccia di espulsione; v'era quìndì necessità di un costante appoggio a quella testa di ponte dell'Islàm in Europa costituita dall'Andalucía. La fine di questa situazione sopraggiunse verso la metà del secolo XIV, allorché l'islam nordafricano compì un ultimo sforzo per riacquistare l'iniziativa nella Penisola Iberica. Sconfitti in modo risolutivo nella sanguinosissima battaglia di Las Navas de Tolosa, sulla Sierra Morena, i Maghrebini si ritirarono definitivamente in Africa. Dopo di che, abbandonato l'Islàm andaluso al suo destino, gli sforzi 'missionari' deglì emìri del Maghreb si diressero esclusivamente verso il `Sudan', l'Africa nera, provocando la conseguente immissione dì turbe dì Negri nel Nord Africa, soprattutto in Marocco, come schiavi e come conversi. Si completò e perfezionò dunque il processo di snaturamento razziale dell'Africa nord-occidentale, prima levantinizzata, poi negrizzata. Al giorno d'oggi quelle terre sono irreversíbilmente - irreversibilmente perché geneticamente - parte del `Terzo Mondo'.
    Si calcola che in Algeria e in Marocco probabilmente meno del 15% degli abitanti siano discendenti (più o meno `puri') della popolazione aborigena europide. (Costoro sono gli unici a rivelare capacità di `fare' e qualità organizzative: troppo pochi, però, per riuscire a operare una decantazione morfologica del `paesaggio' di quella regione).

    b. L'India. Non si intende, ìn questa sede, tratteggiare il fenomeno della decadenza dell'India vedica, fatto molto bene documentato e, secondo il Gúnther, dovuto non tanto al meticciato (che pure, entro certi limiti, vi si verificò) quanto alla quasi totale scomparsa dell'aristocrazia indoeuropea, in conseguenza del differenziale di natalità fra gli Indoeuropei e gli aborigeni sottomessi. Piuttosto, si vuole ricordare il fatto che, parallelamente alla Sumeria, nella valle dell'Indo si formò nel III millennio a. C. una Kultur di altissimo livello (i cui centri principali furono Mohenjo-Daro e Harappa), che impiegò fra l'altro anche una scrittura propria non ancora decifrata. Coloro che la svilupparono appartenevano alla razza europea, nella sua variante occidentale o mediterranea. Questa luminosa civiltà scomparve in modo totale, così da perdersene perfino il ricordo, per effetto del meticciato con le razze scure dell'Indostan; salvo poi essere scoperta per vie esclusivamente archeologiche nel XIX secolo. Secondo una ipotesi genealogica, i moderni Sikh dell'India nord-occidentale sarebbero lontani discendenti, metìcciati con gli aborigeni indostani, dei fondatori della civiltà dell'Indo. I Sikh, anche fisicamente ben più vigorosi e meglio dotati degli australoidi scuri dell'India, compongono circa il 5% della popolazione indiana e sono gli autori quasi esclusivi (circa il 90%) di quella che può definirsi la Leistungffilzigkeit in India; donde, naturalmente, le loro tendenze separatistiche e la poca simpatia che portano per i loro 'compatrioti' dalla pelle più scura. Se effettivamente i Sikh traessero origine dai civilissimi abitanti di Mohenjo-Daro e Harappa ciò dimostrerebbe fino a quale punto (ossia al punto di farle dimenticare completamente la sua passata grandezza) un pur limitato incrocio con razze di natura possa degradare una stirpe originalmente di elevatissima qualità - e al contempo confermerebbe quanto si è sostenuto più sopra riguardo al meticcio, diventato membro di un' `aristocrazia' rispetto alla massa di natura pura.

    c. Il Mediterraneo orientale.
    Già fra i secoli XII e XIII venne operato un genuino 'esperimento coloniale' europeo nel Libano e in Palestina, come conseguenza della prima Crociata.
    Se gli eventi politìco-mìlìtari delle Crociate sono fra i meglio documentati di tutto il Medioevo, relativamente poco si può reperire sulla dimensione razziale ('storia genetica') di questi stessi eventi: scarne informazioni, lasciate di massima dal cronista Jacob de Vitry, sono riportate da Rudolf Portner. Dal meticciato fra Europei e Siri, Arabi, Armeni, discendono in gran parte gli attuali Libanesi e Palestinesi, che hanno la reputazione di costituire i gruppi etnici più dotati fra gli Arabi. Ma sta di fatto che per moltissimo tempo quei cosiddetti poidains furono visti sia da Europei che da Levantini puri come elementi particolarmente infidi, ladreschi, spregevoli.

    EUROPEI E PALEOEUROPEI
    Una parola va detta a proposito delle commistioni intervenute attraverso i millenni in tutta Europa fra le diverse sottorazze europee. Non è certo che i risultati di quelle mescolanze siano stati necessariamente positivi: è del tutto possibile che se ogni sottorazza europea fosse rimasta a sé, intatta, sarebbe stato meglio - ma si tratta di una eventualità che, astratta dall'articolazione ed esclusa dal ritmo degli eventi storici, rimane quindi di impossibile determinazione e valutazione. In compenso si può affermare con certezza e fondamento che, essendosi gli incroci operati fra esemplari umani tra loro molto affini, i risultati (debbano questi essere riguardati come positivi o negativi) non possono essere stati particolarmente decisivi per la `fisionomia' europea dell'Europa.
    I Paleoeuropei sono quei gruppi che, con termine piuttosto vago e generico, vengono anche spesso designati come discendenti dell' `uomo di Cro-Magnon', dal luogo nella Francia sud-occidentale in cui furono scoperti i primi resti scheletrici a loro attribuibili. Si tratta, all'ingrosso, degli Europei dai capelli e occhi scuri, che costituiscono il substrato generalizzato di tutta la popolazione e rappresentano i discendenti del più antico Homo sapiens in Europa, qui presente da decine di migliaia di anni.
    Al 'Cro-Magnon' si deve l'eliminazione dallo spazio geografico europeo dello scimmiesco Homo neanderthalensis (una specie di Australiano) e di altri tipi boscimanoidi che allignavano un po' dappertutto in Europa all'alba dei tempi (non c'è traccia conosciuta di meticciato). Quando si tenga in mente che il Paleoeuropeo era di massima un elemento pacifico, poco guerriero, dedito all'agricoltura e retto da istituzioni matriarcali, non si può fare a meno di concludere che egli agì guidato da un infallibile istinto della sua anima, da una sicurissima consapevolezza biologica.
    Gli Indoeuropei - da identificarsi all'ingrosso con l'Europeo biondo con gli occhi azzurri - hanno avuto un centro di diffusione identificabile nell'attuale Russia meridionale da dove, fra la metà del V e la metà del III millennio a. C., in ondate successive si spinsero nel resto dell'Europa, sottomettendo i Paleoeuropei e fondando principati in tutto il Continente. Gente guerriera e patriarcale, essi hanno impresso all'Europa le sue stigmate culturali definitive, non escluse le lingue parlate che, con poche eccezioni, sono lingue indoeuropee.
    Non a torto alcuni circoli culturali e politici d'Europa scorgono nel `mito indoeuropeo' - ossia nel riconoscersi nella comune matrice culturale indoeuropea - il più valido punto di partenza per la riscossa dell'Europa (e, più in generale, della razza bianca) dalla sua attuale umiliazione."


    Silvio Waldner usaiberosudafr.rtf
    http://www.archiviostorico.info/Sezi...berosudafr.pdf
    Usa Iberoamerica Sud Africa: tre messe a punto
    http://www.archiviostorico.info/inde...o_pdf=1&id=277
    Atlantide, Mu, Lemuria, Gondwana, Iperborea | Silvano Lorenzoni
    http://www.centrostudilaruna.it/atla...iperborea.html
    http://www.centrostudilaruna.it/venetipreromani.html



    Adesso alcune parti tratte dall'altrettanto essenziale libro (nel suo genere assolutamente unico!):

    Silvano Lorenzoni , Il Selvaggio. Saggio sulla degenerazione umana , Ghénos , 2005


    http://www.centrostudilaruna.it/invo...eterogena.html
    " (...) 2. Mediterranei e ainu
    Avendo indicato come i mediterranei e gli ainu potrebbero essere stati le componenti ’superiori’ che, per meticciato con quelle ‘inferiori’ pigmoidi hanno dato origine al mondo selvaggio quale noi lo conosciamo; vale la pena di soffermarsi sull’argomento della natura di questi due tipi umani, dal punto di vista culturale e storico. Non si scorge in essi alcun tratto di inabilità intellettuale: dotati di acuta intelligenza, gli uni sono venuti a formare parte della popolazione europea - in certe zone essi sono preponderanti - e gli altri fanno parte importante della sostanza razziale dei giapponesi, senza che alcuno ne abbia risentito minimamente dal punto di vista intellettuale. In compenso in ambedue si possono forse scorgere dei caratteri di ’stanchezza’, di lunarità, che da alle loro manifestazioni culturali un’aura di crepuscolarità. Inoltre, non sembra che questi tipi umani abbiano mai visto nel meticciato un fatto particolarmente esiziale, a differenza di quanto poté essere il caso, fino a tempi recenti, di altri tipi europidi e mongoloidi. - Questa loro ‘fragilità’ sembra essere confermata dal fatto che le loro lingue e le loro specificità culturali, salvo sopravvivenze sotterranee e sincretistiche, nonché le loro strutture politiche, ebbero la tendenza a sfasciarsi irreversibilmente sotto spinte esterne anche apparentemente lievi. Gli ultimi ainu ancora riconoscibili come tali - Giappone settentrionale e isola di Sachalin -, già prima del loro assorbimento da parte della popolazione giapponese, erano stati acquisiti, culturalmente e linguisticamente, dall’ecumene nord-est-siberiano: non c’è traccia di quella che pure dovette essere una loro propria forma culturale e linguistica. Qualcosa di analogo toccò ai mediterranei, sui quali ci si dilungherà subito.
    Il tipo mediterraneo fu la sostanza genetica portante di quell’affascinante e crepuscolare ‘mondo indo-mediterraneo’ che si estendeva dalle Colonne d’Ercole all’Indo, identificato da Vittore Pisani (10) ancora nell’anteguerra e poi studiato in dettaglio, nella sua parte europea centrata nei Balcani, da quella brillante archeologa che fu Marija Gimbutas (11). Esso era caratterizzato da tratti culturali specifici (12) e in esso venivano parlate lingue appartenenti a una superfamiglia parimenti specifica alla quale appartennero le lingue iberiche e liguri, l’etrusco, il pelasgo della Grecia pre-ellenica, svariate lingue dell’Asia Minore, il sumero, l’elamita dell’Iran e il harappiano dell’Indo (del quale le moderne parlate dravidiche sono un residuo) (13). E civiltà mediterranee, tutte lunari e crepuscolari, furono quelle dei megaliti, quella arcaica dei Balcani, quelle egizia, sumera, elamita, harappiana, spesso rivelatesi come centri statici di civiltà in un contesto di popolazioni selvagge (principalmente quella harappiana) (14). Esse furono tutte travolte facilmente dagli indoeuropei.
    Qualcosa di analogo si può osservare per le civiltà americane e per quella polinesiana, anch’esse civiltà di alto livello ma di estrema fragilità (si è già menzionato che questo era stato osservato da Julius Evola [15]) e che furono travolte con estrema facilità e in modo irreversibile dalla colonizzazione europea. Si può ipotizzare che esse avessero l’ainu come ’sostanza genetica portante’, almeno per quel che riguarda le loro classi dirigenti.
    Ma fra ainu e mediterranei si possono forse rintracciare delle continuità culturali, soprattutto dallo studio di alfabeti arcaici e misteriosi. Una difficoltà, viceversa, potrebbe essere posta dalla spiccata solarità delle religioni americane, di contro alla lunarità mediterranea. (Se invece nei facitori di megaliti in Melanesia [16] si vogliono vedere degli ainu o degli ainu-mongoloidi, il loro culto del serpente avvicinerebbe queste genti ai mediterranei).
    Nell’Europa del VII - VI millennio a.C. erano generalizzati una notevole quantità di alfabeti, imparentati fra di loro e non ancora decifrati, usati dai costruttori di megaliti e dalla civiltà dei Balcani, con propaggini in Asia minore e nel Medio Oriente (è probabile che la scrittura cuneiforme sumera derivasse da questo tipo di grafie; e quindi anche le lettere fenicie) (17); e al medesimo filone appartenne la scrittura dell’Indo (18). (Si tratta di un tipo di scrittura cosiddetto ‘nucleare’, completamente diversa da ogni altra già interpretata, sia essa fonetica o geroglifica.) - Dei parallelismi perfetti sono stati trovati fra la scrittura dell’Indo e quella polinesiana, parimenti non ancora decifrata (19). In Polinesia, fino al secolo XIX, c’era una scrittura generalizzata, appannaggio di una classe sacerdotale che la utilizzava per testi liturgici, e che andò perduta con la scomparsa di quella classe come conseguenza della colonizzazione e del missionarismo monoteista, confessionale e laico (20). La sua varietà più conosciuta è il rongo-rongo dell’Isola di Pasqua (21), della quale rimangono le tracce più abbondanti, su legno, in quanto là essa fu usata fino a più tardi. Nel resto degli arcipelaghi, le iscrizioni su foglie di palma sono andate quasi interamente perdute.
    È quindi tutt’altro che fuori luogo ipotizzare una continuità culturale e quindi anche razziale fra il Mditerraneo arcaico e l’Oceano Pacifico, attraverso il tramite dell’Asia meridionale. - Difficile invece fare ipotesi per quel che riguarda le Americhe. In Perù (ma anche nella Colombia meridionale), fino al secolo XVI fu usata la scrittura a corde annodate, i cosiddetti quipu (22); ma secondo una tradizione orale peruviana essi avrebbero sostituito, in un imprecisato ma remoto passato, un’altra scrittura, ancora più arcaica, sul conto della quale la tradizione ha poco da dire, salvo che era scritta su un qualche tipo di pergamena. Anche gli irochesi dell’America settentrionale usavano una ’scrittura’ tipo quipu, a base di rosari di conchiglie multicolori. E ci sarebbe dell’evidenza che delle scritture del genere erano in uso in Messico (prima dell’adozione della scrittura geroglifica) e, nel IV - III millennio a.C., anche in Polinesia, in Bengala, in Cina, in Mongolia e perfino in Tibet (dove, nel VII secolo d.C. esse furono abbandonate in favore dell’alfabeto sanscrito).
    Come si vede, un’interpretazione non stereotipa - da establishment - dei fatti empirici non solo rivela un panorama del tutto nuovo sull’andamento cronologico della preistoria e della protostoria; ma potrebbe anche aprire degli affascinanti nuovi campi di ricerca che a tutt’oggi sono praticamente vergini.

    3. Gli indoeuropei e la ‘razza nordica’
    Si è già parlato degli indoeuropei (o indogermani) come dell’ultima manifestazione della ‘luce del Nord’ (23). La loro provenienza artica (dedotta, già agli inizi del Novecento, dal tedesco Krause e dall’indiano Tilak sulla base delle indicazioni astronomiche date dalle loro tradizioni religiose) è perfettamente assodata. La Russia meridionale fu un loro centro secondario di irraggiamento, come lo fu più tardi l’Europa nord-occidentale (né si può escludere che, in parte, l’Europa settentrionale sia stata da loro raggiunta direttamente dall’Artide [24]).
    Una determinata corrente di pensiero, che fu predominante nell’anteguerra, della quale il principale esponente fu Hans F. K. Günther, identificava senz’altro la popolazione indoeuropea con la ‘razza’ nordica (ma sarebbe stato e sarebbe più esatto dire: il tipo nordico della razza europide), passando poi alla conclusione che ancora adesso il tipo nordico sarebbe ‘l’umano per eccellenza’. Questo, non nel senso di una superiore intelligenza (differenze di ‘quoziente intellettivo’ non ne sono state riscontrate, né allora né adesso, fra i principali tipi genetici europidi o nord-est asiatici, né il Günther suggerì mai niente del genere), ma in ragione di certe proprietà caratteriali che renderebbero il tipo nordico (identificato con quello indoeuropeo), nel modo più naturale, un signore e un dominatore. - L’identificazione in questione era (ed è) per lo meno esagerata; ma è assodato che il tipo nordico doveva essere molto frequente, se non proprio predominante, fra gli indoeuropei arcaici e predominante, se non proprio esclusivo, nelle loro classi dirigenti. Ne segue che la percentuale di sangue indoeuropeo in una determinata popolazione doveva (e deve) essere strettamente correlazionata alla proporzione di elementi nordici in essa riscontrabile, concentrati prevalentemente nelle sue classi dirigenti. Quando lo studioso-principe della fenomenologia storica della deindoeuropeizzazione - in Europa meridionale e in Asia, accompagnata dal riemergere del substrato pre-indoeuropeo inizialmente sottomesso -, Hans F. K. Günther (25), prende come indicatore di questa tendenza la diminuzione della percentuale di individui di tipo nordico, egli adotta un’ipotesi di lavoro sicuramente valida.
    Le cose, però, si potrebbero essere messe altrimenti nei tempi contemporanei/moderni. Già negli anni Trenta Julius Evola (26) osservava che i popoli nordici contemporanei “presentavano qualità fisiche, di carattere, di coraggio, di resistenza (…) ma atrofia dal lato spirituale” (27), per poi soggiungere che la facilità con cui quelle popolazioni avevano accettato il cristianesimo prima e il protestantesimo dopo non deponeva certo a loro favore - e difatti, fatta la splendida eccezione dei sassoni, le genti germaniche (le più nordiche esistenti) resistettero alla cristianizzazione molto meno che certe popolazioni delle Alpi o del Baltico, che sangue nordico ne avevano meno. (Quanto al protestantesimo, per dovere di esattezza, va fatta la puntualizzazione che il mondo nordico per eccellenza - la Germania settentrionale e la Scandinavia meridionale - si fermò al luteranesimo. Portatore del calvinismo - la forma finale del protestantesimo - fu piuttosto quel tipo misto mediterraneo-nordico, con netta predominanza del tipo mediterraneo, che faceva e fa la base della popolazione dell’isola inglese.)
    Già ai tempi suoi, Hans F. K. Günther era stato contestato, in certe sue conclusioni, da altri studiosi tedeschi che avevano indicato come, in Germania, le caratteristiche ‘asiatiche’ della componente alpina della popolazione avessero dato alla nazione tedesca delle qualità di stabilità psicologica che non le furono se non utili (28). E a una conclusione analoga arrivò, forse suo malgrado, lo stesso Günther (29) riguardo ai romani prischi (un misto 2/3 nordico, 1/3 alpino), ai quali la componente alpina avrebbe dato una tempra di stabilità e un’inclinazione all’operosità e alla sistematicità, abbinata a un forte senso pratico, che se appiattì la loro mitologia, li rese idonei a successi militari e politici che mai più ebbero l’uguale.
    È probabile che adesso anche le residue genti nordiche, trascinate dal gorgo della decadenza che è caratteristico dei nostri tempi, abbiano preso la via del tramonto e che poco possano servire come riferimento per rovesciare il vedico Kali Yuga (fine del ciclo storico-cosmologico). I nordici, o parzialmente tali, sono addirittura divenuti, forse, un pericolo, in quanto qualche volta (vedi il mondo americanofono) hanno messo e mettono le loro residuali qualità animiche (fino a tanto che ancora le avranno) al servizio dell’accelerazione della decadenza (30).

    (9) Cfr. Vittorio Marcozzi, Uomo, cit. (10) Vittore Pisani, L’unità culturale indo-mediterranea anteriore all’avvento di semiti e indoeuropei, Scritti in onore di Alfredo Trombetti, Torino, 1938.
    (11) Marija Gimbutas, Old Europe in “Journal of indo-european studies” I, 1973 e Il linguaggio della dea, Neri Pozza, Vicenza, 1997 (originale 1989).
    (12) Per quel che riguarda il lato religioso, di ottima consulta è Alain Daniélou, Siva et Dionysos, tr. it. Ubaldini, Roma, 1980.
    (13) Cfr., per esempio, Carleton Coon, Razas, cit. Secondo questo autore ci sarebbero delle convergenze fra le lingue ‘mediterranee’ (per quel che se ne può ancora sapere) e quelle caucasiane/alarodiche (georgiano ecc., ma anche basco). Se questo fosse vero, si potrebbero ipotizzare anche analogie razziali a livello arcaico; ma le convergenze suggerite dal Coon sono ben lontane dall’essere dimostrate.
    (14) Come un gruppo razziale intellettualmente superiore ma non eccessivamente aggressivo possa perpetuarsi in ambiente degradato può forse essere esemplificato da due casi tratti da quello che adesso è il mondo islamico. Nei paesi del Medio Oriente, un tempo mediterranei e poi semitizzati, rimangono delle minoranze cristiane che hanno caparbiamente rifiutato l’islamizzazione (l’islam è una forma particolarmente involuta di monoteismo) e che sono l’unica parte di quelle popolazioni che ’serva a qualcosa’ (circa 10% in Siria, quasi 20% in Mesopotamia, 50% nel Libano, 5 - 10% in Egitto). C’è da credere che si tratti della parte razzialmente meno semitizzata della popolazione. - In Algeria e in Marocco forse il 10 - 12% della popolazione, arroccata nella parte più alta dell’Atlante, pure ormai islamizzata, ha rifiutato l’arabizzazione. Questi discendenti, ancora più o meno puri, di quella che un tempo doveva essere la popolazione maggioritaria dell’Africa del Nord, sono, anche lì, gli unici che ’servano a qualcosa’.
    (15) Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Mediterranee, Roma, 1969 (originale 1934).
    (16) Cfr. Alphonse Riesenfeld, The megalythic civilizations of Melanesia, Bril, Leiden, 1950.
    (17) Cfr. Patrick Ferryn et Ivan Verheyden, Chroniques des civilisations disparues, Laffont, Paris, 1976 e anche Harald Haarmann, On the nature of european civilization and its script, “Studia indogermanica lodziensia” (Lodz), vol. II, 1998.
    (18) Harald Haarmann, cit.
    (19) Cfr. Thomas Barthel, Pre-contact writing in Oceania, in Thomas Sebeok (a cura di) Current trends in linguistics, vol 8 (Oceania), Den Haag-Paris, 1971; Robert von Heine-Geldern, Die Osterinselschrift, in “Orientalischer Literaturzeitung”, N. 37, 1938 e id., The Easter Island and the Indus Valley scripts, in “Anthropos”, N.33, 1938.
    (20) Cfr. Robert Suggs, Island …, cit.
    (21) L’ipotesi fatta da un autore americanofono, Steven Fischer (Rongorongo, Clarendon Press, Oxford [Inghilterra], 1997) a proposito della scrittura pascuana è sufficientemente ridicola per potere essere riportata: i pascuani, fino ad allora analfabeti, venuti in contatto per la prima volta con degli europei - spagnoli - nel 1770 e avendoli visti scrivere, avrebbero intuito al volo che la scrittura aveva delle interessanti possibilità ‘magiche’ e, sui due piedi, avrebbero proceduto a svilupparne una di propria.
    (22) Cfr. Clara Miccinelli e Carlo Animato, Quipu, ECIG, Genova, 1989.
    (23) Sull’argomento, indispensabile è la sintesi di Jean Haudry, Gli indoeuropei, Edizioni di Ar, Padova, 2001 (originale 1982).
    (24) Cfr. Jean Haudry, Indoeuropei, cit. e anche Lothar Kilian, Zum Ursprung der Indogermanen, Habelt, Bonn, 1983.
    (25) Hans F. K. Günther, Rassenkunde Europas, cit.; Lebensgeschichte des hellenischen Volkes, Franz von Bebenburg, Pähl, 1965; Lebensgeschichte des römischen Volkes, Franz von Bebenburg, Pähl, 1966.
    (26) Julius Evola, Sintesi di dottrina della razza, Ar, Padova, 1994 (originale 1941).
    (27) Julius Evola, Rivolta, cit.
    (28) Cfr. l’introduzione all’edizione italiana di Rassenkunde Europas, cit.
    (29) Hans F. K. Günther, Lebensgeschichte des römischen Volkes, Franz von Bebenburg, Pähl, 1966.
    (30) In riguardo, di utile consulta è Silvio Waldner, La deformazione della natura, Ar, Padova, 1997. "


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  2. #12
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    Predefinito Riferimento: Silvano Lorenzoni

    Altre citazioni in ordine sparso da me copiate e trascritte personalmente anni fa :


    “Razzista è colui che con disincantata onestà assume i fatti razziali e giudica e agisce di conseguenza. (…) viceversa , coloro che si definiscono antirazzisti non sono , ordinariamente , se non ‘razzisti a rovescio’ , affetti da mostruosi complessi di autoflagellazione e di autodenigrazione , di disprezzo per sé e per i propri antenati.” P.16
    “Genti originariamente di ‘buona razza’ , nello spirito e nell’anima delle quali il principio uranico si sia spento , possono divenire sinistri fantocci (…) dotati ancora di elevate qualità psicologiche (razza dell’anima) , che essi manifesteranno al fine di esasperare la propria ed altrui decadenza e degradazione , impiegando perfino procedimenti contrassegnati da una efficienza perfetta. Un caso del genere potrebbe essere quello dei calvinisti e in particolare degli anglosassoni negli ultimi tre - quattrocento anni della loro vicenda storica : mettendo a profitto qualità superiori di intelligenza e di capacità organizzativa che sono patrimonio generale degli Europei , essi hanno rovinato il mondo e pervertito l’uomo. (…) L’ambiente democratico sviluppa di continuo una pervasiva controselezione spirituale , facendo affiorare le peggiori qualità insite , sul piano sia individuale che collettivo , nelle popolazioni. Se ciò , indipendentemente da qualsiasi meticciato , a lunghissima scadenza possa ‘generare’ anche abbruttimenti somatici , è un punto del massimo interesse…” p.19
    “Quelle popolazioni dalla pelle scura e dall’intelligenza larvale , inette e incapaci a tutto salvo che a riprodursi vermicolarmente , non aspirano a conservare la loro identità o a custodire la propria ‘cultura’ : esse bramano semplicemente di essere mantenute.”
    “Caratteristiche come il senso della responsabilità , l’onestà , la sincerità , il garbo (che non va confuso con il servilismo) scarseggiano parimenti fra le razze di colore. (…) La storia insegna che gli uomini di natura non hanno saputo sussistere se non come schiavi o parassiti degli uomini di cultura (…) Il Negro , dotato di un’intelligenza larvale , di un temperamento servile e di una notevole forza fisica , è sempre stato lo schiavo per eccellenza.” P.21-22 , ecc.
    “Ci sono razze destinate , sempre e comunque , a subire l’ambiente (o a distruggerlo , mai ad ordinarlo) – sono le razze di natura - ; ci sono invece altre razze , dotate di quella capacità di fare che le ha portate , in bene o in male , alle vette della creazione politica , artistica , tecnica che contrassegnano ciò che è umano per eccellenza – sono le razze di cultura.” P.24
    “Il problema razziale non viene eliminato neppure dal meticciato , contrariamente alle fantasie morbose di tanti utopisti egualitari (…) si incomincia a formare una stratificazione sociale nel cui ambito l’‘aristocrazia’ è formata da coloro che hanno un massimo di sangue degli antichi padroni – e che spesso trattano la restante popolazione come schiava.” P.28
    “Antichissimo e micidiale fenomeno del meticciato , da Arthur de Gobineau ritenuto la matrice unica della decadenza delle civiltà (…) Se il meticciato con razze di natura abbia da essere visto come causa unica di ogni possibile decadenza , è certo discutibile. Ma rimane incontestabile che se esso non è forse causa necessaria di ogni decadenza , ne è invariabilmente causa sufficiente.
    Gobineau rimarrà per sempre , insieme a Nietzsche , uno dei due più grandi pensatori dell’Europa del XIX secolo.” P.29
    “A mano a mano che la qualità genetica della popolazione diminuisce – e nella pratica non esiste modo più rapido e catastrofico di peggiorare la qualità genetica di una popolazione che quello di praticare l’incrocio fra i suoi membri ed elementi di minore qualità razziale - , diminuisce anche la capacità di miglioramento e di creazione.
    Ma finché la diminuzione qualitativa non scende al di sotto di un certo minimo , permane tuttavia la capacità di utilizzare e mantenere il già acquisito (e la stragrande maggioranza della popolazione neppure si accorge di essere entrata in una fase di decadenza. Quando però la qualità genetica media (…) scende al di sotto di quel minimo (…) la civiltà entra in declino. (…) Una volta iniziata , la fase di declino assume generalmente un andamento catastrofico : entro poche generazioni , quella
    che era stata una brillante e plurisecolare civiltà può scomparire senza
    lasciare traccia. (…) Di notevole rilievo sarebbe la valutazione della misura di incrocio , fra razze di cultura e razze di natura , sufficiente a rovinare geneticamente
    le prime (…) Tutto sembrerebbe indicare , in ogni caso , che quella misura è molto ridotta : probabilmente inferiore al 5%.” P. 31
    “Hans F. K. Gunther ha documentato , per esempio , come nell’Ellade antica
    lo spegnersi di quella luminosa civiltà sia riconducibile allo spostamento
    del baricentro razziale della Grecia dal gruppo indoeuropeo (sottorazza
    nordica della razza europea) a quello medio-orientale (nella sua varietà
    levantina o armenoide)” P.31-32
    “Al giorno d’oggi la popolazione dell’Inghilterra – per lo meno il suo spesso fondo ‘proletario’ – si rivela , assieme forse a quella del Portogallo , fra le più scadenti d’Europa.” P.38
    “L’Europa ospita un quantitativo di elementi di natura più che sufficiente , sotto condizioni di meticciato integrale , a suscitare in modo definitivo e irreversibile , l’implosione della civiltà europea.” P.38
    Silvio Waldner , La deformazione della natura , Edizioni di Ar , 1997



    Sui Paleoeuropei e sui Cromagnoidi...Il testo é di Grisolia , tratto dal libro :


    Federico Prati-Silvano Lorenzoni-Flavio Grisolia, I Fondamenti dell'Etnonazionalismo Völkisch, Effepi Edizioni, 2006.

    "Una comune identità
    Per comprendere appieno i profondi legami che uniscono le popolazioni originarie europee, è necessario risalire molto indietro nel tempo, addirittura di circa 35-40.000 anni, alla comparsa cioè dell'uomo di Cro-Magnon. È praticamente impossibile parlare di civiltà umana prima di questo avvenimento, che rappresenta inoltre anche da un punto di vista antropologico, l'espressione più alta di ogni forma di vita sulla terra, oggetto di profonda inquietudine per tutti i fautori della visione evoluzionista. D'altra parte anche i più recenti studi sembrano confermare l'unicità di quello che senza tema di smentita andrebbe correttamente definito come Homo Europaeus. Alto (la statura media superava il metro e ottanta), dolicocefalo (cioè col cranio allungato), col mento sporgente, la fronte spaziosa e una capacità cranica di circa 1.500 centimetri cubici, il CroMagnon in accurate ricostruzioni fatte al computer come quella del Museo Americano di Storia naturale, appare in tutto e per tutto come il vero prototipo dell'uomo bianco e perciò nostro indiscusso capostipite. La specificità dell'uomo di Cro-Magnon e delle sue varianti prossime di Combe-Capelle e Chancelade (tutte località della Francia centrale) sta nel non aver alcun progenitore scientificamente dimostrato e nell'abisso culturale e spirituale che lo separa da tutte le altre specie del genere homo. Ancora in tempi recenti si è assistito al patetico tentativo da parte di alcuni scienziati di collegare al Sapiens sapiens, alcuni resti fossili dell'Africa meridionale; illuminante al proposito quanto scrive Richard Leaky, il più celebre antropologo in attività, figlio d'arte di una copia passata alla leggenda grazie ad una serie di eccezionali scoperte: "Probabilmente, i più antichi resti fossili conosciuti di uomo moderno provengono dall'Africa meridionale. Dico probabilmente non solo perché essi consistono solo in pochi frammenti di mascellari, ma anche perché la loro datazione è incerta." Questa sarebbe la "base scientifica" su cui si vorrebbe costruire la teoria evoluzionista dell'origine africana dell'uomo... Per collegare l'Europa al Continente nero si è pensato bene indicare come "moderni" altri resti fossili rinvenuti in Israele a Qafzeh e a Skhul sul Monte Carmelo. Va precisato che la datazione iniziale di questi reperti era di gran lunga più recente (45-50.000 anni fa) dell'attuale, che indica in 80-100.000 anni la loro età. Non solo ma per avere l'anello mancante, è stata creata ad hoc una nuova sottospecie umana, quella dell'Homo sapiens sapiens "arcaico" o proto-cro-magnoide e che non si tratti di una barzelletta dello scrivente, ce lo conferma il divulgatore televisivo ufficiale dell'evoluzionismo Piero Angela, che insieme al figlio Alberto scrive:
    "Alcuni caratteri arcaici erano ancora presenti in questi teschi (quelli di Qafzeh), ma la fisionomia generale era già la nostra. Con ogni probabilità anche tra i sapiens sapiens esisteva arborescenza di forme e di varietà.
    I crani trovati nei vari siti citati (in Africa Orientale, Sudafrica e Medio Oriente) mostrano, infatti, ancora diversi tipi di «mosaici» tra forme arcaiche e forme moderne". E ancora: "A Mugharet el Zuttiyeh è stato rinvenuto, l'Uomo di Galilea, con caratteri ancora più arcaici. La datazione qui sembra essere addirittura più recente (70-40.000 anni fa), e questo non aiuta a chiarire le cose".
    Tutto questo ci porta ad alcune banali osservazioni che gli scienziati "ufficiali", si sono ben guardati dall'evidenziare.
    La prima è che non vi è nulla che dimostri anche temporalmente un collegamento tra gli "arcaici" abitanti d'Israele e l'Uomo di Cro¬Magnon; la seconda nasce dal fatto che 40.000 anni fa esistevano specie diverse del genere Homo, che non si capisce bene che fine abbiano fatto; la terza infine è che stando a certe logiche, una sola di queste specie migrando e contemporaneamente evolvendosi, avrebbe dato nell'arco di circa 40.000 anni, origine al sapiens sapiens europeo.
    Quest'ultima ipotesi appare francamente assurda proprio alla luce degli stessi concetti evoluzionistici. Un simile lasso di tempo è, infatti, troppo limitato per un cambiamento così radicale ed è sicuramente privo di un qualsiasi riscontro. Mi spiego meglio: accettando l'ipotesi non troppo scientifica, dell'esistenza attuale di un'unica specie e del fatto che da 40.000 anni quest'ultima non ha subito alcun mutamento positivo, mi risulta estremamente ostico pensare che differenze infinitamente superiori a quelle attualmente esistenti tra un bianco e un negro, possano essersi cancellate in un tale arco di tempo: soprattutto alla luce dei lenti miglioramenti protrattisi in precedenza per qualche
    milione di anni, 1'accelerazione evolutiva di poche decine di migliaia di anni fa, ha dell'incredibile, così come il subitaneo arresto che la segue.
    Come se non bastasse c'è ancora chi è convinto che l'uomo di Neanderthal (Homo neanderthalensis), che visse in Europa e nel Medio Oriente tra 100 e 30.000 anni fa, sia stato l'antenato del CroMagnon, mentre la datazione dei ritrovamenti c'indica che per qualche migliaio d'anni essi convissero forse non troppo pacificamente.
    È molto probabile, infatti, che la fine del Neanderthal, sia da collegarsi all'azione del moderno sapiens sapiens, che gli
    era nettamente superiore in termini intellettuali. La dimostrazione di ciò sta nelle differenti capacità tecniche e nelle manifestazioni cultuali, che nel Cro-Magnon assumono aspetti prettamente a sfondo religioso e nelle espressioni artistiche di grandissi mo rilievo.
    Inoltre, il più famoso linguista vivente Noam Chomsky, docente al Massachusetts Institute of Technology, è giunto alla conclusione che il linguaggio è una caratteristica peculiare dell'uomo, una capacità sorta come corollario di un sorprendente accrescimento encefalico. In sostanza senza la capacità del linguaggio, noi non ci troveremmo di fronte ad un uomo, ma ad un animale dalle sembianze vagamente umane. Questa era in tutto e per tutto la situazione dell'uomo di Neanderthal, che in base a studi fatti sul suo basicranio, non aveva la possibilità di sviluppare alcun linguaggio e le cui sembianze scimmiesche lo differenziavano nettamente dal Cro-Magnon.
    Un'ulteriore conferma di quanto finora scritto, ci giunge dalle tecniche litiche utilizzate dal Neanderthal e dagli altri predecessori dell'Homo europaeus: la cultura olduviana che data da 2,5 a circa 1,4 milioni d'anni or sono, è nei suoi tratti generali a parere di Thomas Wynn dell'University of Colorado, più scimmiesca che umana e quella che la segue 1'achculeana, che giunge sino a 250.000 anni fa, denuncia appena una vaga intenzione di imporre forme negli strumenti utilizzati, che comunque non sono più di una dozzina. Neanche la successiva cultura musteriana, che precede quella aurigniaziana del Cro-Magnon, fa grossi progressi, come ci conferma Richard Leaky: "A partire da 250.000 anni or sono, individui ascrivibili a Homo sapiens arcaico - neanderthaliani compresi - impararono a costruirsi strumenti su scheggia preparata, e i complessi di industrie corrispondenti, fra cui il Musteriano, contavano forse una sessantina di tipi. Ma la tipologia rimase immutata per più di 200.000 anni, una stasi tecnologica che non evoca certo l'immagine di cervelli pienamente umani in fermento". Elemento importantissimo per comprendere dove posizionare, alla luce di queste affermazioni, i cosiddetti sapiens sapiens "arcaici", è il fatto che essi utilizzavano tutti quanti strumenti di tipo musteriano come il Neanderthal. È sempre Leaky che descrive l'incolmabile divario esistente tra il Cro-Magnon e i suoi presunti parenti: "Ma quando il cambiamento avvenne fu abbagliante, così abbagliante che potremmo non cogliere la realtà retrostante". Nell'Europa di 35.000 anni or sono l'uomo iniziò a produrre strumenti di raffinata fattura ricavandoli da lunghe lame delicatamente distaccate da un nucleo, e per la prima volta osso e palco di cervidi vennero utilizzati come materia prima per la fabbricazione di strumenti. Ora i complessi di strumenti comprendevano più di un centinaio di tipi diversi, fra cui rudimentali telai per la tessitura e utensili per incidere e scolpire. Per la prima volta i manufatti dell'uomo divennero opere d'arte: i propulsori per zagaglie in palco di cervide per esempio, erano ornati con incisioni di animali sorprendentemente veristiche. Nella documentazione fossile compaiono elementi di collana e pendenti, che annunciano la nascita di un nuovo concetto della decorazione corporale. Ma più evocativi di ogni altra manifestazione artistica sono i dipinti parietali in caverna, che parlano di un universo mentale non dissimile dal nostro. Al contrario dei periodi precedenti, caratterizzati dalla stasi, ora la cultura è essenzialmente innovativa, e i cambiamenti, che prima avvenivano nell'arco di centinaia di migliaia di anni, ora si susseguono di millennio in millennio. Da alcuni definito "Rivoluzione del Paleolitico superiore", questo insieme di indicazioni offerte dalla documentazione archeologica testimonia inequivocabilmente che l'uomo anatomicamente moderno possedeva capacità intellettive."
    Su simili basi, non è certo illogico affermare che stando alle attuali conoscenze, l'uomo appare per la prima volta nell'Europa occidentale ed ha caratteristiche del tutto simili alla media delle popolazioni bianche, per l'appunto originarie del nostro Continente.
    Il nocciolo della questione, come si è già potuto capire, è tutto concentrato nella datazione dei reperti e nella loro classificazione. Soprattutto la precisione dell'età dei fossile serve ad indicare eventuali spostamenti di una stessa specie, o la coabitazione di individui differenti su una determinata area geografica. A tale proposito è doveroso sottolineare come il metodo di datazione più preciso, quello del carbonio 14, abbia uno spettro di 35-40.000 anni, dopo di che intervengano altre metodologie indubbiamente più empiriche. E per questi motivi che la cronologia del Cro-Magnon è di gran lunga più affidabile ad esempio di quella dei vari sapiens sapiens "arcaici" a cui si vorrebbe collegarlo all'interno del "dogma" evoluzionista.
    Se, infatti, osserviamo la sequenza temporale e l'ubicazione dei ritrovamenti di resti dell'Homo sapiens sapiens in Europa, ci accorgiamo come essi si irradino tutti da un unico centro posto nel Midi francese e giungano ad interessare l'Europa dell'est nell'arco di poco più di 10.000 anni.
    La cultura di Domi Vestonice in Slovacchia, ci ha tra l'altro regalato la straordinaria scultura di una testa umana in avorio di mammut, antica di 26.000 anni. Si tratta a tutti gli effetti del primo vero ritratto tridimensionale di un nostro antenato. I suoi lineamenti di tipo nordico, lo fanno rassomigliare ad un Russo o ad uno Scandinavo, mentre i capelli sono lunghi e lisci.
    Unica nota che in parte lo distingue dal Cro-Magnon e che in un certo senso lo potrebbe collegare ai sapiens sapiens "arcaici", è la forte arcata sopracciliare, perfettamente coerente coi crani ritrovati nella zona. In direzione sud l'uomo fa la sua comparsa ai Balzi Rossi in Liguria, circa 30.000 anni fa e lo troviamo poi nella variante di Combe-Capelle alle Arene Candide sempre in Liguria, a distanza di oltre 11.000 anni.
    All'incirca allo stesso periodo, definito anche Magdaleniano, è riconducibile la presenza del Cro-Magnon ad ovest nella Penisola iberica, testimoniata tra l'altro dagli splendidi dipinti parietali delle grotte di Altamira in Cantabria.
    Anche qui è necessario fare alcune considerazioni "controcorrente" e politicamente "scorrette"; se, infatti, il Cro-Magnon fosse il diretto discendente dei sapiens sapiens "arcaici" venuti dall'Africa, passando per Israele, non si capisce come mai costoro non abbiano lasciato alcuna traccia dei loro spostamenti verso l'Europa occidentale, mentre tutta la cronologia al carbonio 14, sembra chiaramente indicarci l'espansione del primo in maniera graduale e concentrica dalla Francia centromeridionale. Altro argomento che contrasta con l'ipotesi dell'evoluzione da oriente, è il fatto di ritrovare nell'Est europeo, individui con residui tratti arcaici 10.000 anni dopo la comparsa del Cro-Magnon, mentre sarebbe stata certamente più logica una datazione inversa. Al più questo elemento potrebbe essere interpretato come l'incrocio di questi ultimi con sapiens sapiens "arcaici" , ma questa è un'ipotesi che al momento non può avere alcuna conferma né archeologica, né tantomeno biologica. Che comunque nulla colleghi direttamente l'attuale popolazione umana con i Neanderthal, o peggio ancora coi vari ominidi ritrovati nel mondo, è un dato assodato scientificamente dalla moderna genetica e un ulteriore affossamento delle tesi evoluzioniste.
    Sulla specificità dei nostri progenitori europei molto è stato scritto e ancora altrettanto probabilmente, c'è da dire. Non si è mai accennato ad esempio alla loro fortissima identità razziale, che ha permesso di ritrovare individui con le stesse caratteristiche del tipo di Combe-Capelle, a distanza di 15.000 anni e lontani 1.000 chilometri dal luogo d'origine, presso Finale in Liguria. Se pensiamo che questo individuo in fondo, non variava che per particolari secondari rispetto all'uomo di Cro-Magnon, la cosa non può certo lasciarci indifferenti anche perché come sappiamo, quest'ultimo giunse in Liguria 10.000 anni prima e gli insediamenti conosciuti di entrambi, non distano che poche decine di chilometri. Nonostante gli inevitabili contatti, protrattisi per almeno 20.000 anni, i due tipi umani restarono ben distinti tra loro, probabilmente combattendosi a vicenda per la conquista dei migliori territori di caccia. Ciò non toglie che entrambi appartenessero ad un'unica specie e ad un medesimo universo culturale e spirituale, qualcosa di mai apparso prima sulla Terra.
    In quest'ottica l'ipotesi dell'eliminazione fisica da parte loro del Neanderthal, è quasi una certezza; una pulizia etnica come si direbbe oggi, a cui sicuramente dobbiamo la nostra attuale esistenza e cosa più importante tutta la civiltà umana. Che costoro non fossero però dei bruti, ce lo conferma la devozione verso i defunti, che assumeva forme di autentica espressione religiosa. Il corredo di oggetti simbolici, la cura con cui il morto era composto,
    cospargendolo tra l'altro di ocra rossa, gli oggetti con cui veniva adornato, indicano indubbiamente l'esistenza di una visione ultraterrena della vita e un'organizzazione sociale complessa, basata probabilmente sui legami familiari di sangue e su un rigido ordine gerarchico. L'Europa del paleolitico era perciò abitata da popolazioni tra loro strettamente imparentate e culturalmente omogenee, ma al tempo stesso estremamente gelose della loro indipendenza e portate ad evidenziare e a custodire come un prezioso patrimonio, le scarse differenziazioni fisiche esistenti.
    L'esasperazione della differenza, di ogni differenza possibile, quale affermazione del proprio diritto ad esistere e la conseguente capacità di difendere tutto ciò, anche con il completo genocidio dei nemici, veri, presunti o potenziali.
    Dalla Germania, dalla Francia, dalla Spagna, dalla Liguria, dalla Penisola Balcanica, dalla Slovacchia e dalla Russia, ritornano alla luce gli stessi rituali, gli stessi oggetti, le stesse statuine femminili, rappresentanti una probabile divinità a cui non può non collegarsi la successiva Dea Madre, che gli storici mondialisti, nemici dell'identità europea, definiranno "mediterranea", solo perché presente anche nell'attuale Turchia più di 20.000 anni dopo.
    Dei 35.000 anni della storia dell'Europa, che sono poi la storia della civiltà , quasi l'ottanta per cento ha avuto come protagonista l'Uomo di Cro-Magnon e le sue varianti, figure possenti di cacciatori e guerrieri , dalle caratteristiche dolicocefale, definiti non a caso da studiosi tedeschi Urjager (cacciatori primordiali)."
    http://www.stormfront.org/forum/show...ca-430356.html



    Altri articoli interessanti di Silvano Lorenzoni...
    Questa fu una sua lettera inviata a "La Padania" alcuni anni fa :


    "I paesi del terzo mondo sono troppo “prolifici” .
    Che il mondo sia sovrappopolato, è tanto ovvio che non vale neanche la pena di ripeterlo. Ma la sovrappopolazione è dovuta non ai popoli civili, ma al Terzo Mondo: a coloro che si sono dimostrati incapaci non solo di sopperire ai propri bisogni, ma anche a porre dei limiti alla loro crescita demografica. Limitare le nostre nascite significherebbe, intanto, fare spazio al Terzo Mondo; poi sarebbe anche la nostra scomparsa, e con essa quella del vivere civile. Non è vero che siamo in troppi a questo mondo: secondo me sono loro a essere in troppi.”
    SILVANO LORENZONI Sandrigo (Vicenza)"

    Questa un'analisi sul ruolo criminale e parassitario svolto dagli zingari e dagli allogeni di colore a Sandrigo ed in Veneto (sempre schietto ed esplicito eh!!) :


    http://www.comune.sandrigo.vi.it/vitasandricense/29.pdf
    “IL COSTO SOCIALE DELLA FECCIA SOCIALE
    In un dépliant distribuito ai consiglieri in occasione di un recente Consiglio Comunale è stato esplicitato, con dovizia di statistiche, quanto sia stato il lavoro della Polizia Locale per quel che riguarda l'arginamento delle azioni delittuose
    dei cosiddetti nomadi - ma tanto per parlare chiaro, degli zingari. E il lavoro della Polizia Locale ha senz'altro avuto un effetto: tenuti sotto continuo monitoraggio, i suddetti sono costretti ad abbandonare il campo e a limitare la loro azione delittuosa; fatto evidente soprattutto dalle parti di Lupia dove il flagello zingaresco era particolarmente percepibile. Il lavoro
    della polizia è stato reso possibile dell'aumento del suo personale con la costituzione della Polizia Locale; e questo innesca immediatamente un ragionamento quantitativo pertinente: si è aumentata la disponibilità di ore-uomo applicabili all'arginamento del flagello zingaresco. E siccome, naturalmente, ogni ora-uomo deve essere pagata, ne risulta che si sta spendendo proporzionalmente di più per limitare i danni che altrimenti sarebbero causati dalla feccia sociale - soldi spesi bene, ma spesi. In assenza degli zingari - si potrebbe mandarli a Schio o in Emilia-Romagna dove sarebbero (teoricamente) ricevuti a braccia aperte – quel denaro potrebbe essere utilizzato, per esempio, per le fasce più deboli della nostra gente. -
    Qui, sto esemplificando utilizzando un caso del tutto evidente per l'attenzione del pubblico; ma ce ne sono tanti altri che, meno evidenti, pesano ancora di più sulle tasche del pagatore di tasse veneto/sandricense che lavora, risparmia
    e rispetta il cosiddetto 'contratto sociale'. Quale è il costo della presenza zingaresca ed extracomunitaria nelle nostre scuole? Quale è il vero costo sociale della feccia sociale? (Non si insisterà mai abbastanza sul fatto che gli zingari, oltre sei secoli addietro, furono i primi extracomunitari a venire a esercitare il parassitismo da noi.) Varrebbe la pena di guardare indietro verso i nostri emigrati, costretti a lasciare la loro terra come conseguenza di guerre perdute (quella del 1866 e quella del 1940-1945: riguardo a quella del 1915-1918 non vale la pena di entrare in argomento): furono forse ricevuti a braccia aperte e su investito denaro su di loro dai governi iberoamericani? Ci sarebbe da schiattare dal ridere, se non fossero stati fatti tristi. - E la feccia sociale porta da noi anche la propria insolenza e la propria tendenza alla criminalità, tanto più scatenate adesso che, sotto un governo pretomarxista, si sente sicura dell'incolumità.
    Qualche mese addietro, lo scrivente, sulla stampa municipale, domandava quanto si dovrebbe ancora aspettare perché anche a Sandrigo si sviluppasse una fenomenologia criminale come a Padova ecc. La risposta è davanti a tutti: a Dueville, alle porte di Sandrigo, c'è già stato il primo caso di stupro ai danni di una minorenne, da parte di un 'compagno di classe' - naturalmente extracomunitario, il quale non ha fatto altro che dare un'ulteriore conferma alle statistiche criminali italiane ed europee. Aspettiamo pure: fra qualche tempo qualcosa del genere ce lo 'godremo' anche nel nostro Comune. A Cittadella hanno già incominciato a fare qualcosa; cosa si sta aspettando a Sandrigo?
    Silvano Lorenzoni , Capogruppo Consigliare , Lega Nord - Liga Veneta "


    14 Words! - Holuxar
    ADDIO GIUSEPPE, amico mio, sono LUCA e nel mio CUORE sarai sempre PRESENTE!
    «Réquiem aetérnam dona ei, Dómine, et lux perpétua lúceat ei. Requiéscat in pace. Amen.»

    SURSUM CORDA - HABEMUS AD DOMINUM!!! A.M.D.G.!!!

  3. #13
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    Predefinito Riferimento: Silvano Lorenzoni

    Link: http://www.archiviostorico.info/Sezi...htm#Orzivecchi


    Famiglia, tradizione, federalismo e immigrazione selvaggia
    il 13 Marzo Silvio Waldner a Orzivecchi.
    Continuano alla sala polifunzionale di via Matteotti le conferenze patrocinate dal Comune


    Silvio Waldner scrittore, traduttore e autore di saggi ("Etnonazionalismo ultima trincea d’Europa", "La deformazione della natura", "Stati Uniti, Iberoamerica e Sudafrica"). Collaboratore de "la Padania" e' artefice della traduzione di diversi testi tra cui il libro "Tipologia razziale dell'Europa".
    "Da troppo tempo ormai le nostre comunità etniche sono divenute lande desolate nelle quali è sempre più difficile riconoscere e ritrovare le nostre radici e le nostre Tradizioni di Popoli Europei, l'immigrazione selvaggia, cerca di perseguire un vero e proprio tentativo di genocidio etno-culturale ai danni dei nostri Popoli, distruggendone le radici etno-culturali, promuovendo l'uniformizzazione egualitaria della mentalità ed omogeneizzando i costumi all'insegna dei valori edonistici, creando un vero e proprio meticciato, dove cresceranno solo i vuoti miti del capitalismo mondialista".
    E' con la semplicita' e la forza di questo pensiero che Silvio Waldner parlera' Martedi' 13 marzo alle ore 20.30 presso la Sala polifuzionale della Scuola media di Orzivecchi. L'incontro, il terzo promosso dall'Associazione culturale "archiviostorico" e patrocinato dall'Amministrazione comunale di Orzivecchi, pone lo sguardo su una tematica importante ma poco nota al grande pubblico, l'Etnonazionalismo.
    Abbiamo rivolto a Silvio Waldner alcune domande.

    Che cos'e' l'etnonazionalismo?
    L'etnonazionalismo è quella corrente di pensiero politico secondo la quale ogni organismo statale dovrebbe avere come soggetto una popolazione il più possibile omogenea dal punto di vista culturale, linguistico, religioso, genetico/razziale. Si tratta dello stato etnico, il quale per sua natura è l'unico che ha, a lunga scadenza, reali prospettive di stabilità. Antecedente immediato dellàidea etnonazionalista è il nazionalismo 'volkisch', che si sviluppò in Germania forse un secolo addietro.

    Quali risposte puo' dare il pensiero etnonazionalista all'attuale visione mondialista?
    La visione mondialista è la conseguenza ultima di un processo storico millenario sfociato nell'imporsi su scala planetaria il paradigma religioso monoteista. Nel pensiero mondialista non c'è posto per i popolo, dotati di una loro specifica fisionomia, ma solo per atomi umani mossi esclusivamente da pulsioni edonistiche. E nello stesso modo in cui etnie disparate sono state compresse entro confini innaturali per dare origine a 'popoli' artificiali, adesso si vorrebbe 'comprimere il mondo' per farne un comunitario scatolone dove staranno assembrati quegli atomi umani senza volto, senza razza, senza religione. E' il sogno sia del marxismo che del liberalcapitalismo. Una situazione del genere non può portare se non a disordine, guerre, odi etnici e razziali; perchè l'atomo umano sognato dagli utopisti ugualitaristi rimarrà sempre un'utopia. l'applicazione del mondialismo porterà soltanto a una scalata delle violenze, della povertà e della conflittualità. Vedi, per esempio, l'ex-Jugoslavia - ma anche l'Italia, fatta di due tronconi eterogenei messi assieme per forza e destinati, secondo la logica storica, a separarsi a lunga o a corta scadenza. Sotto condizioni etnonazionaliste questo tipo di problematiche non si darebbero.

    Quali pericoli comporta una cosi' alta immigrazione per la nostra societa'?
    Qui vorrei fare riferimento al mio libro 'La deformazione della natura' (Ar, Padova, 1997) e a quello di Silvano Lorenzoni 'Il selvaggio' (Ghenos, Ferrara, 2006). premesso che un'immigrazione disordinata e massiccia è sempre indesiderabile, bisogna distinguere fra un'immigrazione europea/europide e un'immigrazione extracomunitaria. Un'immigrazione europea, a lungo termine, non comporterebbe problemi, in quanto trattandosi di immigrati della nostra stessa cultura e formazione genetica, si tratta di un'immigrazione (per usare un termine abusato) a lunga o a corta scadenza 'integrabile'. diversa è l'immigrazione extracomunitaria, che prospetta due problematiche diverse e ambedue gravissime: (a) l'incistirsi ( > l'insediarsi coattivamente ) nelle nostre terre di una massa parassitaria e criminale (il crimine come forma estrema del parassitismo) che poi, dovutamente organizzata da elementi di sinistra, formerà bande di razziatori nei nostri territori, (b) il meticciato, incoraggiato dalle sinistre e da certo clero, con conseguente snaturamento della nostra popolazione e con diminuzione delle sue capacità di prestazione quindi con terzomondializzazione delle nostre terre e con l'acuirsi - non con la diminuzione - dei problemi sociali a sfondo razziale - vedi 'La deformazione della natura'.

    Il liberismo capitalista e' sinonimo di liberta' e benessere?
    Il liberismo capitalista è sinonimo di opulenza per chi ha la vocazione dell'avvoltoio, non per chi lavora. La preeminenza del capitale sul lavoro stravolge le condizioni naturali dell'economia: non è più il lavoro che crea capitale ma il capitale che (dovrebbe) creare lavoro. lo speculatore finanziario diventa sempre più ricco mentre chi lavora si impoverisce. Adesso i grandi usurocrati dominano anche i governi e la sinistra, da Marx a questa parte, è sempre stata la stampella e lo sciacallo del grande capitale usurocratico per aggredire la classe media - cioé chi lavora - e suo strumento-principe, la feccia sociale. Un esempio perfetto è dato dall'attuale governo italiano: Prodi, impiegato degli usurocrati internazionali, si è impegnato a prosciugare per conto loro il lavoro e il risparmio degli italiani/dei padani mentre ad appoggiarlo con i loro suffragi perché possa rimanere lì a espletare questo lavoro ci pensano i parassiti e la feccia sociale.

    Perche' si parla cosi' poco delle problematiche razziali?
    Le problematiche razziali sono divenute tabù perché così fa comodo ai padroni del vapore, che sanno che da una popolazione dilacerata e in buona parte formata da maeticci ballerini e venali avrebbero relativamente poco da temere. L'obiettivo ultimo di quegli 'eletti' è il dominio glabale attraverso il monopolio del denaro. Un'industria sempre più meccanizzata e computerizzata produrrebbe quei beni che sarebbero destinati solo a loro, e quest'industria sarebbe mandata avanti da un numero limitato di tecnici. Fuori starebbe la gran massa dei reietti, ridotti a una miseria quasi inimmaginabile - e per evitarsi ribellioni significative in questa massa, è per loro auspicabile che essa sia genetica il peggiore possibile.

    Globalizzazione e omologazione hanno aspetti positivi?
    L'omologazione/l'appiattimento assoluto dovrebbe essere chiaro che non ha e non può avere alcun aspetto positivo - e che comunque è un'utopia. Quanto alla globalizzazione - movimento di merci, capitali, masse umane in modo pandemico in tutto il pianeta - essa viene a essere un veicolo usato dal grande capitale e dal suo sciacallo marxista per portare avanti i suoi piani. Quindi neppure quella ha aspetti positivi. La politica delle frontiere chiuse, salvo che per traffici e movimenti di merci e prodotto o materie prime veramente necessari, è molto preferibile.

    Quali soluzioni e' possibile intraprendere per fronteggiare il problema?
    In questo momento, come si suol dire, il nemico ha 'il coltello per per il manico' ma ricordiamoci che l'ultima parola non è mai detta. Sta a noi, i migliori, a mantenere accesa la fiaccola e a essere pronti ad assumere l'iniziativa quando si presenterà l'occasione. Si stanno preparando rivolgimenti estremi (cfr. Silvano Lorenzoni 'Contro il monoteismo', Ghenos, Ferrara, 2006) - per esempio il prossimo calo nella produzione di idrocarburi. Inoltre la superpotenza americana che è il garante delle attuali tendenze - e quindi, fra l'altro, garante delle sinistre, per le quali esse professano odio, ma ogni comunista in cuor suo vorrebbe essere americano, a partire da Lenin. Caduta l'America, che ormai è un paese di colore, ogni possibilità rimarrà di nuovo aperta.


    Sito internet http://www.archiviostorico.info/.
    Da "Paese Mio", marzo 2007, pag.14



    Continuo a consigliarvi di comprare soprattutto questi 2 :

    Silvio Waldner in La deformazione della natura - Disordine razziale e catastrofe ecologica, Edizioni di Ar, Padova, 1997.
    Silvano Lorenzoni , Il Selvaggio. Saggio sulla degenerazione umana, Edizioni Ghénos, Ferrara 2005


    La corrente razzista involuzionista é magistralmente esposta proprio da Silvano Lorenzoni in "Il Selvaggio" , libro davvero grandioso e praticamente UNICO nel suo genere all'interno del panorama culturale non solo italiano ma pure europeo e mondiale...
    Qui trovate , nell'ottimo sito del "Centro Studi La Runa" , una valida recensione di Michele Fabbri :



    http://www.centrostudilaruna.it/il-selvaggio.html
    "Il selvaggio di Silvano Lorenzoni è un libro che meriterebbe ampia diffusione, poiché tratta delle questioni razziali che si fanno sempre più impellenti nello scenario infernale della globalizzazione. Il libro, imperniato sul rifiuto del paradigma evoluzionista, analizza il fenomeno del meticciato che origina tipi umani degenerati e incapaci di costruire organizzazioni sociali degne di questo nome, riducendo l’umanità a una paccottiglia informe e priva di differenziazioni qualitative.
    La regressione dell’umanità allo stato selvaggio viene analizzata seguendo la falsariga della dottrina delle razze elaborata da Julius Evola, e lo studio si avvale di un ricco apparato di note che fornisce un’utilissima bibliografia per approfondire l’argomento. Lorenzoni, infatti, cita anche molti autori ignorati o censurati dalla cultura «ufficiale», controllata da occhiuti «Gran Sacerdoti» sempre pronti a soffocare le voci che si permettono di contestare i dogmi egualitari.
    Particolarmente interessante è la parte dedicata ai riflessi linguistici del processo di involuzione. La nascita di lingue meticce, infatti, porta a un desolante impoverimento del linguaggio, il cui risultato più caratteristico è la scomparsa della declinazione dei verbi e la loro tendenza a confluire nel gerundio, come appare nell’inglese parlato in America. Si delinea, in questo modo, un tipo umano che vive in una sorta di eterno presente, che è incapace di elaborare una memoria storica, e che, di conseguenza, è incapace di organizzare il futuro.
    Molto dettagliata è la parte del libro dedicata ai fondamenti ideologici dei sistemi «democratici», in cui l’autore analizza il monoteismo ebraico, colonna portante dello scenario di massificazione universale che caratterizza il mondo moderno. Questa parte del libro, sebbene argomentata in maniera puntuale, si presta a qualche osservazione: infatti l’autore considera alla stessa stregua dell’Ebraismo il Cristianesimo e l’Islam. Sono certamente condivisibili le critiche al Cristianesimo protestante e a quello cattolico che, dopo il Concilio Vaticano II, si è arreso alla modernità, tuttavia accomunare l’Islam al Giudaismo sembra una soluzione troppo sbrigativa, proprio in un momento in cui solo il mondo musulmano trova la forza di opporsi ai processi devastanti della «democrazia» occidentale.
    Il volume prosegue formulando ipotesi sugli sviluppi futuri della situazione. Gli scenari possibili saranno certamente apocalitticci, tuttavia non è escluso che, dopo una fase di dissoluzione, si creino le condizioni per la ricostruzione di comunità etnicamente omogenee. È probabile, infatti, che gli attuali sistemi di stato sociale, che già faticano a soddisfare le esigenze dei cittadini, non siano in grado di reggere alla pressione di popolazioni difficilmente integrabili, con uno stile di vita parassitario, e portatrici di malattie infettive verosimilmente destinate a dare origine a epidemie dagli effetti catastrofici.
    In conclusione, questo brillante saggio di Silvano Lorenzoni è un irrinunciabile punto di riferimento per la cultura identitaria e antagonista, e si configura come un eccellente manuale per disintossicare le menti dallo smog della correttezza politica."


    CITO poi dal LIBRO di WALDNER la parte in cui evidenzia e documenta il ruolo del POTERE EBRAICO svolto a supporto del partito di Mandela cioé l'ANC e dietro la crescita della PROPAGANDA COMUNISTA e contro la separazione razziale in SUD AFRICA :

    "Silvio Waldner - Usa Iberoamerica Sud Africa: tre messe a punto"
    http://utenti.lycos.it/silviowaldner/p0000015.htm
    "Negli anni successivi alla fine della guerra avvenne la fondazione dell'Unione Sudafricana, formata dalle due ex-repubbliche boere e dalle due colonie inglesi del Capo e del Natal, con capitale a Pretoria. Questa 'unione', affidata prima a Botha e poi a Smuts fu subito a disposizione degli Hoggenheimers - per conto dei quali Botha e poi ancora di più Smuts la amministrarono. La dittatura di quello che a buon diritto può essere definito il Grande Hensopper, Jan Smuts, durò fino al 1948. Mai i Hoggenheimers trovarono un servo più servile di Smuts, che a loro fece ogni più strisciante servigio anche e soprattutto sulla pelle della propria gente (35). Un lato poco conosciuto ma illuminante del carattere di questo personaggio fu il suo esplicito filosionismo (36). (...)
    Fu sempre sotto Smuts che in Sud Africa presero il via l'ANC e le organizzazioni ecclesiali a fondo sovversivo (su di cui si parlerà un po' più sotto); e che fu fondato il Partito Comunista Sudafricano, sul quale si diranno subito due parole (37).
    Il Partito Comunista Sudafricano - il primo a essere fondato fuori dall'Unione Sovietica - fu promosso nel 1921 da un comitato formato esclusivamente da Ebrei. Già nel 1924 esso aveva deciso che la sua attività rivoluzionaria doveva svolgersi fra la popolazione di colore, in concomitanza con le direttive di Israel Cohen (38), il quale già nel 1912 aveva proclamato in America che la distruzione della società 'capitalista' doveva essere raggiunta usando come ariete le masse di colore, adeguatamente 'responsabilizzate'. Dal 1924, a ogni effetto pratico, la storia del Partito Comunista Sudafricano corre parallela a quella dell'ANC, come ancora al giorno d'oggi - senza però perdere quella sua caratteristica di organizzazione totalmente ebraica. Qualche ulteriore informazione è illuminante: quando, sotto Smuts, i Negri avevano chi li 'rappresentasse' in parlamento (i rappresentanti però dovevano essere 'Bianchi'), questi rappresentanti erano tutti Ebrei. Ancora nel 1991 c'erano in Sud Africa circa 120.000 Ebrei (adesso parecchi sono emigrati), quasi tutti sostenitori dell'ANC e del Partito Comunista; e la maggioranza dei membri del "Jewish Board of Deputies" (una specie di comitato centrale ebraico per il Sud Africa) erano e sono ancora iscritti al Partito Comunista sudafricano, alla testa del quale stava fino al 1995 (anno della sua morte) l'Ebreo Joe Slovo, nato in Lituania. (...)
    L'ANC ebbe modeste origini che risalgono al 1912 come 'organizzazione conservatrice e cristiana' per Negri. Cominciando a circuirla nel 1924, i comunisti ne ottengono il totale controllo nel 1949: è allora che si incomincia a sentire parlare di Nelson Mandela. Nel 1950 il partito comunista si da alla macchia, ma l'ANC ne rimane come 'organizzazione di facciata'. Nel 1951 ne diviene presidente il primo non-Negro, l'Ebreo J. B. Marks; e nel 1955 l'ANC adotta come suo documento dottrinario ufficiale la cosiddetta 'Freedom Charter' [Esposto della Libertà], un documento a sfondo marxista adattato all'ambiente sudafricano. Nel 1959 un gruppo di 'africanisti' che resiste al controllo 'bianco' sull'ANC, si separano per fondare la PAC (Pan-African Congress), gruppo più 'estremista' (41). La PAC conduce una vita totalmente anodina fino al 1990, quando, riammessa in Sud Africa, procede subito a portare a termine assassinii in campagne, ristoranti, ecc., soprattutto nella zona anglofona (sic) del Capo Orientale.
    Nel 1960, dopo i disordini di Sharpeville, l'ANC è messa fuori legge e Mandela proclama la lotta partigiana. Nel 1963 quasi tutto il direttivo dell'ANC (composto da Ebrei, Indiani, Negri) viene arrestato mentre preparava una insurrezione armata generale, sotto la direzione tecnica di un certo Goldreich, ex-specialista della Haganah israeliana in lotta partigiana. Dopo i disordini di Soweto (1976), l'ANC inizia una serie di attentati dinamitardi (le vittime dei quali furono quasi tutte Negri) (42).
    Nel 1986 l'unione dell'ANC con il partito comunista sudafricano diviene un fatto pubblico, quando Joe Slovo diviene simultaneamente segretario de partito comunista e capo dell''ala armata' dell'ANC. A partire dal 1986 ci saranno approcci sempre più frequenti fra il Nasionale Party, già interamente infiltrato (si veda più sotto), e l'ANC; essi culminano con la liberazione di Mandela e con la legalizzazione dell'ANC nel febbraio 1990. Nel 1994 Mandela divenne presidente del 'nuovo Sud Africa'.
    L'ANC rappresentò il lato 'violento', guerriglieristico della lotta contro il Boer. Contrariamente alle notizie un tempo insistentemente diffuse dai mass media sudafricani, l'Unione Sovietica intervenne in quella congiuntura solo come fornitrice di armi - armi che si faceva pagare con il denaro che l'ANC riceveva dall'America (44), dai Hoggenheimers del Sud Africa, dalle chiese, da organizzazioni 'umanitarie' europee (soprattutto scandinave). Neppure dal punto di vista 'dottrinale' l'Unione Sovietica c'entrava molto, a parte il fatto che qualche membro dell'ANC frquentasse l'università Patrice Lumumba di Mosca. I quadri 'tecnici' (si fa per dire) del 'nuovo Sud Africa' usufruirono di borse di studio della Fondazione Rockefeller e frequentarono università americane; i futuri quadri sindacali già negli anni Ottanta venivano istruiti in Israele."

    Sul Sudafrica e l'Apartheid leggersi le mie importanti precisazioni qui (all'interno del 3d Apartheid ) :

    http://www.stormfront.org/forum/show...0&postcount=20

    Chiarisco varie questioni sull'Apartheid , spiegando come esso in sé non forse certo la soluzione ai problemi dato che di fatto restava pur sempre uno stato unitario ed una società multirazziale seppur apparentemente segregata , cosa ben saputa dagli stessi nazionalisti boeri più seri che infatti opponendosi al sistema avrebbero intelligentemente e coerentemente voluto la formazione di vere terre indipendenti e separate per ogni singola tribù sudafricana : una per gli zulu , una per gli xhosa , ecc. nonché una per i Boeri stessi.

    Questa era una recensione del libro apparsa su "La Padania" a firma di Alberto Lombardo :


    "PAMPHLET Alberto LOMBARDO , LA PADANIA , 5/2/2002
    Silvio Waldner smaschera la triste realtà di Stati Uniti, Iberoamerica e Sudafrica
    Società multirazziali? No, terzomondiali di Alberto Lombardo

    Un libretto stampato recentemente desterà certo scandalo fra i benpensanti sostenitori della società multirazziale. Sebbene costoro siano in realtà ben poche persone, concentrate per lo più nelle redazioni dei giornali “che contano” e ovunque si produca quella “cultura di massa”, fatta di degrado, pornografia diffusa e attacchi continui contro ciò che rimane delle tradizioni, essi non mancano di urlare all’allarme ogni qualvolta venga scritto o detto qualcosa di contrario al loro conformismo imperante. È verosimile che ciò capiti anche nel caso del pamphlet “Stati Uniti Iberoamerica Sud Africa. Tre messe a punto” di Silvio Waldner, autore anche dell’apprezzato e documentato saggio “La deformazione della natura”, uscito alcuni anni orsono per i tipi delle Edizioni di Ar. In questo volumetto, che si contiene in poco più di cento pagine, Waldner si occupa di tre aree geopolitiche in cui il grave degrado provocato dalla società multirazziale si associa ad altri fenomeni di assoluta gravità, come l’aggressione alla natura, il sovrappopolamento, la diffusione della criminalità e dell’analfabetismo, la pandemia di malattie infettive e via dicendo. Tutto ciò va a comporre scenari assai più foschi di quelle “magnifiche sorti e progressive” che i sostenitori del liberalismo a oltranza credono ingenuamente di ravvisare nella “mano invisibile” del liberoscambismo e dell’affarismo sfrenato. Gli Stati Uniti, secondo il Waldner, mantengono ancora in qualche modo la loro facciata di immane potenza grazie a un’economia retta in piedi esclusivamente da due fattori: il ricatto militare e l’usura nei confronti degli altri Stati, esercitata tramite il Fondo Monetario Internazionale. Ma una profonda crisi non tarderà a manifestarsi in modo deflagrante: ormai, infatti, la generale terzomondializzazione, la diffusione capillare del consumo di droga, la criminalità dilagante, l’Aids e l’“economia fantasma” sono fenomeni che negli USA hanno assunto dimensioni realmente epocali. Quanto all’America del Centro e del Sud, Waldner preferisce (e a ragione) la definizione di “Iberoamerica” a quella di America Latina: quest’ultima dizione dovrebbe in astratto designare quelle zone del Nuovo Continente in cui si parlino lingue neolatine, ma con ciò andrebbero incluse nel novero, quanto meno, anche le zone francofone del Canada e della Louisiana e le zone linguisticamente ispanizzate degli USA. Anche l’Iberoamerica, dunque, sta seguendo secondo Waldner un rapido processo di caduta, a causa del disastro ecologico e finanziario causato in vari modi dalle molteplici e composite razze che la popolano. Nel saggio assume una posizione di rilievo la rivisitazione storica di episodi legati al colonialismo e alla decolonizzazione. L’ultimo e più corposo dei saggi che compongono il volume è quello dedicato al Sudafrica, ed è probabilmente il più “scandaloso” dei tre scritti. L’autore vi denuncia senza alcuna remora la catastrofe determinata dalla perdita di potere della minoranza bianca, realizzata tramite tutti i mezzi - leciti e illeciti - da parte di diversi gruppi di interesse internazionale, in specie americani. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un paese industrializzato e con una forte economia è caduto, in capo a pochi anni, in una crisi e in una miseria senza precedenti, accompagnate dalla diffusione pandemica dell’Aids e da una violenza atroce e incontrollata rivolta contro la minoranza bianca. Questo di Waldner è un libretto che va consigliato a quanti, non avendo ceduto al canto delle sirene della società multirazziale, intendano combattere il destino di decadenza e sfacelo cui sembra destinata anche la nostra Europa."
    ADDIO GIUSEPPE, amico mio, sono LUCA e nel mio CUORE sarai sempre PRESENTE!
    «Réquiem aetérnam dona ei, Dómine, et lux perpétua lúceat ei. Requiéscat in pace. Amen.»

    SURSUM CORDA - HABEMUS AD DOMINUM!!! A.M.D.G.!!!

  4. #14
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    Predefinito Riferimento: Silvano Lorenzoni

    Lorenzoni é stato autore sul tema religioso di “Contro il monoteismo” e aderì per un certo periodo alla “Church of the Creator” di Ben Klassen quando abitava proprio in Sudafrica ; così si esprime nel suo recente fondamentale articolo “Autobiografia di un veneto” :

    Onore a Silvano Lorenzoni , scritti essenziali di un vero identitario/razzialista bianco veneto/europeo! - Stormfront
    “Avendo percepito nel monoteismo un nemico religioso e dagli effetti deleterei nel corpo sociale e nella politica e, al mio solito, non contento di semplicemente 'chiamarmi fuori' e stare a guardare, già durante il mio secondo soggiorno sudafricano avevo aderito a una 'chiesa' (a impronta razziale) di importazione americana, la cosiddetta Kerk van die skepper [Chiesa del creatore, dove il 'creatore' era l'uomo di razza bianca, in quanto unico a dimostrare capacità 'creative'] che aveva anche un'azione politica (che poi si dimostrò essenzialmente fallimentare) diretta a cercare di distogliere il boero dal suo esiziale calvinismo e bibliolatrismo - che poi si dimostrarono la sua rovina.”

    Nominava il movimento in maniera abbastanza positiva anche nella sua opera “Stati Uniti , Iberoamerica , Sudafrica” (http://www.archiviostorico.info/Sezi...berosudafr.pdf ) :

    “Come qualcosa di serio, negli Stati Uniti forse c'è da segnalare soltanto il movimento fondato dal recentemente (1993) scomparso Bernhard Klassen: la cosiddetta Church of the Creator [Chiesa del Creatore]. Il Klassen tentò sempre di indicare all'Americano che egli è un Europeo trapiantato in America e non un anti-europeo, come di norma egli si sente, sia pure a livello subconscio.
    Ma nel Sahara culturale che è l'America, ben difficilmente anche la Church of the Creator potrà avere un futuro.”

    Del resto , già in “La Deformazione della Natura” (1997) aveva citato “La bibbia dell’uomo bianco” a proposito della questione razziale. Su Ben Klassen e la WCOTC leggere questi 3d qui su ST-I :

    Klassen Day
    http://www.stormfront.org/forum/showthread.php?t=582445
    creatività: domande e risposte - Stormfront
    http://www.stormfront.org/forum/showthread.php?t=509464

    Per chi fosse interessato , qui trovate la recensione sempre di Lorenzoni del libro in più volumi di Deschner "Storia criminale del cristianesimo" con una analisi critica (alcuni estratti che riporto , condivisibili o meno che siano , sono interessanti) :


    http://www.krol.it/forum/deschner-re...ale-t8635.html
    Deschner-recensione a LA STORIA CRIMINALE DEL CRISTIANESIMO
    http://www.collettivamente.com/articolo/1543980.html
    "Qui sta il nocciolo della questione, e non solo per quel che riguarda il cristianesimo, ma tutti i monoteismi, confessionali (ebraismo, cristianesimo, islam) e laici (marxismo, liberalismo, 'democrazia'). I monoteisti, confessionali e laici, detentori della 'verità' e inservienti del 'dio padrone' se ne fanno strumenti per imporre la 'sua volontà' al mondo, commettendo atrocità e distruzioni sconosciute in tempi sanamente politeisti - non a caso le guerre religiose furono e sono una tenebrosa novità introdotta dal monoteismo, assieme alla teocrazia. (...)
    A questo punto diviene doveroso tirare le somme per arrivare alle ultime conseguenze: chi rifiuta l'ordine contemporaneo deve - se è del tutto conseguente e se ne ha il coraggio - rigettare l'assioma religioso che lo fonda (la frase è di Gianantonio Valli, cfr. la rivista "L'Uomo Libero" di Milano, N. 52, novembre 2001). Quindi niente mezze misure: bisogna denunciare anche la figura di Gesù Cristo come qualcosa di mostruoso e di distruttivo, esattamente come lo furono quelle di tutti i fondatori e propagatori di qualsiasi forma di monoteismo - quindi non soltanto Gesù Cristo, ma Mosé e Maometto; i papi e i riformatori; Adam Smith e Karl Marx. - Quanto alla persona di Gesù Cristo, non è il caso di affermare niente perché su di lui non si sa quasi niente: certuni affermano che non sia mai esistito (cfr. Wilhelm Kammerer, Die Fälschung der Geschichte des
    Urchristentums [La falsificazione della storia del primo cristianesimo], Verlag für ganzheitliche Forschung und Kultur, Wobbenbüll, 1981; anche Silvano Lorenzoni, Origine del monoteismo, cit.). È il caso perciò di farla finita con l'anticlericalismo che, in fondo, sottintende che i preti predicherebbero anche bene ma razzolano male. Chi invece rifiuta il monoteismo (cristiano o non cristiano) in blocco, sa che i preti razzolano male e predicano peggio - e ha il coraggio di dare l'ultimo passo: essi vanno attaccati non perché 'stravolgono' la dottrina di Cristo, ma proprio perché la propagano.
    Vicino all'ultimo passo arrivò, ai tempi suoi, Friedrich Nietzsche - e fu un isolato. Egli asseriva che nella figura di Cristo bisognava percepire un pazzo, il quale, in quanto tale,era essenzialmente incomprensibile. Quindi Nietzsche preferiva ignorarla per concentrarsi sull'analisi dello spaventoso fenomeno storico del cristianesimo. Ma fra i tanti estimatori e ammiratori di Nietzsche non c'è stato, fino a tempi recentissimi, nessuno che abbia avuto il coraggio di dare il passo ultimo e definitivo."


    Infine , per meglio approfondire la tematica religiosa , consiglio anche il testo di “L'abbraccio mortale. Monoteismo ed Europa” (pubblicato in origine con diversi titoli più volte e ripubblicato infine con il titolo “Contro il Monoteismo” dalle edizioni Ghénos) scritto appunto da Silvano Lorenzoni stesso :


    http://www.thule-italia.net/religione/monoteismo.html
    Uomo Libero - L'abbraccio mortale. Monoteismo ed Europa
    5.2 Le "linee di catastrofe"
    Inutile dire che a questa situazione difficilmente si potrà realmente arrivare. Indipendentemente dal fatto che, sia pure con esasperante lentezza, c'è una parte della popolazione europea che incomincia a svegliarsi, agli usurocrati serve, per un po' di tempo ancora, una società civile funzionale che, manovrata da "governi" a loro succubi, faccia da strumento per la realizzazione del loro piano. Ma anche se il 'regno di dio' dovesse davvero avverarsi secondo le mire di quei figuri, è improbabile che potrebbe mantenersi in piedi in un mondo ecologicamente disastrato e massicciamente criminalizzato.
    Nel futuro prossimo (grosso modo fra il 2010 e il 2020), convergono una serie di quelle che Guillaume Faye (125), con terminologia mutuata dal matematico René Thom, chiama "linee di catastrofe", convergenza che non potrà portare se non a un cambiamento totale della fisionomia planetaria. Ne elencheremo alcune fra le più importanti, ma la lista non è esaustiva (126).
    (a) L'incombente catastrofe ecologica, con le sue tre casistiche di punta che sono l'effetto serra, la deforestazione equatoriale-tropicale (con importanti conseguenze per la disponibilità idrica globale) e la contaminazione generalizzata della biosfera; nonché quella contaminazione umana che è causata dall'aumento pullulante e canceroso delle popolazioni terzomondiali. I suoi effetti, già percepibili, raggiungeranno un andamento vorticoso al più tardi verso il 2020.
    (b) I montanti problemi razziali. Le masse di colore sono state edotte, da utopisti e buonisti - da marxisti e missionari monoteisti – di essere state "sfruttate" per secoli dai colonialisti europei e adesso, galvanizzate in primo luogo dall'islam, vogliono vendetta. Incistite nel tessuto sociale europeo, esse portano a un generalizzato impoverimento e alla terzomondializzazione dell'Europa. Questi fenomeni, già in atto, si aggraveranno nell'immediato futuro a ritmo galoppante.
    (c) I problemi sanitari. Questa casistica è legata al punto (b), in quanto le turbe terzomondiali presenti in Europa fanno da calamita anche a tutte le patologie del Terzo Mondo - il quale versa in una condizione sanitaria sempre peggiore. Anche la catastrofe ecologica è causante dell'apparizione di nuovi morbi e dell'accelerata diffusione di quelli già presenti.
    (d) La destabilizzazione accelerata del Terzo Mondo, con un numero crescente di guerre interetniche. Queste sono destinate a essere esportate anche in Europa (e in parte già lo sono).
    (e) La criminalità. Anche questa è un problema in parte relazionato col punto (b), in quanto una microcriminalità pandemica è del tutto caratteristica del Terzo Mondo. (...)
    5.3 Conclusioni
    Tutte queste fenomenologie sono riconducibili in modo diretto all'affermarsi del monoteismo in Europa. Ed esse non potranno se non portare - in modo traumatico - a un cambiamento radicale in tutto il mondo, eliminando anche l'andazzo monoteistico. Ma, assieme a quello, non è da escludere che esse portino all'obliterazione di tutta la civiltà, quale essa fu realizzata dai nostri Padri politeisti e quale noi, nonostante tutto, ancora la conosciamo.
    Rimane il fatto che, nonostante ogni analisi razionale, l'ultimo perché di come fu possibile che il mondo civile soggiacesse all'aberrazione monoteista, rimane una cosa misteriosa. Qui, forse, bisognerebbe appellarsi al fatto metafisico dei cicli storico-cosmologici. Chissà che un destino imperscrutabile abbia deciso che questo specifico ciclo doveva concludersi non in bellezza, con un combattimento cosmico - come descritto dall'Edda o dal Mahabharata - ma per putrefazione. E Jahweh fu scelto come il bacillo patogeno per eccellenza. "

    Questi sono altri suoi due libretti molto interessanti sul tema :

    Silvano Lorenzoni , Contro il Monoteismo , Ghenos, Ferrara 2006
    Silvano Lorenzoni, Chronos, saggio sulla metafisica del tempo, Carpe Librum, Nove, 2001.





    Riporto l'indice sempre dal grandioso libro (che ogni vero identitario razzialista bianco dovrebbe comprare , leggere e rileggere! Ma in realtà dovrebbe farlo chiunque voglia sapere come stanno davvero le cose!) :

    Silvano Lorenzoni , Il Selvaggio. Saggio sulla degenerazione umana,
    Edizioni Ghénos , Ferrara , 2005

    " INDICE

    INTRODUZIONE: CONTRAPPOSIZIONE EVOLUZIONE-INVOLUZIONE

    I PARTE. IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA

    1 Il fatto razziale

    1.0 Introduzione: il fatto razziale come fenomeno obiettivo

    1.1 Teoria tradizionale delle razze: Julius Evola

    1.2 Distribuzione delle razze: il meticciato

    1.2.0 Introduzione

    1.2.1 Distribuzione delle razze

    1.2.2 Il meticciato come meccanismo di formazione di nuove razze

    1.2.3 Il problema delle razze standard: importanza di pigmei e pigmoidi


    2 Classificazione delle culture selvagge: l'asse Nord-Sud

    2.0 Introduzione: correlazione tra fatto razziale e fatto culturale

    2.1 Le culture selvagge secondo Wilhelm Schmidt e rielaborazione della sua
    classificazione

    2.1.1 Pigmei

    2.1.2 Antartici

    2.1.3 Culture meticce o tropicali

    2.2 Gli 'uomini scimmia' e il neandertaliano

    2.3 Le scimmie e gli insetti sociali

    2.4 Geografia della barbarie: l'asse Nord-Sud


    3 Cenni storici

    3.0 Introduzione

    3.1 Il selvaggio come decaduto: da Joseph De Maistre a Julis Evola

    3.2 La decadenza come problema della storia comparata delle religioni


    4 La fisima evoluzionistica e la posizione dell'uomo nel Cosmo

    4.0 Intoduzione

    4.1 Il darwinismo: sua matrice biblio-talmudica

    4.2 Gli argomenti statistici

    4.3 Antichità vera e diffusione dell'uomo


    5 La valutazione del tempo


    6 Il ricordo della decadenza

    6.0 Introduzione: identificazioni storiche e ricordi ancestrali

    6.1 Origine umana del subumano e dell'animale

    6.2 Il selvaggio vede sé stesso come un decaduto: 'neritudine' del male

    6.3 Ricordi e proiezioni biologiche ed etologiche


    7 L''uomo fuori dal tempo': Edgar Dacqué


    8 Il mito polare e il concetto di campo antropogenico

    8.1 La 'luce del Nord'

    8.2 Il concetto di campo antropogenico

    8.3 I continenti perduti


    II PARTE. TRACCE EMPIRICHE DELL'INVOLUZIONE E CASISTICHE PARTICOLARI


    1 Argomenti tratti dalla linguistica

    1.0 Introduzione: la lingua come 'specchio dell'anima' e psicologia
    linguistica

    1.1 Alcune casistiche specifiche

    1.1.1 Lingua parlata e lingua liturgica

    1.1.2 Il numero

    1.1.3 Le lingue dei pigmei

    1.1.4 L'inflazione lessicale e lo spreco del gerundio

    1.2 Carenza di percezione del futuro del selvaggio e suo riflesso nella
    lingua

    1.3 L'americano, lingua bantà del futuro

    1.3.1 Introduzione: caratteristiche bantù dell'americano

    1.3.2 L'americano è un 'papiamento': il meticciato linguistico

    1.3.3 L'americanizzazione linguistica del Sud del Mondo

    1.3.4 Confronto con le lingue boscimanesche


    2 Argomenti tratti dalla storia comparata delle religioni

    2.0 Introduzione

    2.1 Il culto astrale

    2.2 Il deus otiosus

    2.2.1 Il 'monoteismo primordiale' di Wilhelm Schmidt e il deus otiosus di
    Mircea Eliade

    2.2.2 Fenomenologia generale

    2.2.3 Percorso storico del deus otiosus fino alle casistiche contemporanee

    2.3 La banalizzazione delle iniziazioni

    2.3.1 L'iniziazione

    2.3.2 Fenomenologia generale

    2.3.3 Percorso storico della banalizzazione delle iniziazioni fino alle
    casistiche contemporanee


    3 Argomenti tratti dalla storia culturale

    3.0 Introduzione

    3.1 Il possesso del fuoco

    3.2 L'organizzazione 'politica'

    3.3 L'indirizzo 'economico'

    3.4 Petroglifi, megaliti, artefatti e alfabeti incomprensibili


    4 Il selvaggio e la psicopatologia

    4.0 Introduzione

    4.1 Labilità psicologica del selvaggio e sue analogie con la schizofrenia
    nell'uomo civile

    4.2 Tendenza alla tossicodipendenza e all'etilismo

    4.3 Psicopatologia sessuale


    5 Il Sud del Mondo quale nicchia patologica

    5.0 Introduzione

    5.1 Concetto di nicchia patologica: il Sud del Mondo come meganicchia
    patologica

    5.2 Patologie contemporanee e future

    5.2.1 L'AIDS

    5.2.2 Patologie 'in agguato'

    5.3 Patologia demografica del Sud del Mondo e sua probabile implosione
    biologica


    III PARTE. ANDAMENTI METASTORICI E PROIEZIONI


    1 Il fattore psichico nell'andamento razziale

    1.0 Introduzione

    1.1 Lo scambio psicofisico

    1.1.1 Influsso psicofisico dell'ambiente: Juluis Evola

    1.1.2 Origine degli ebrei e realtà di una razza ebraica

    1.1.3 L'ecumene semitico-negroide

    1.2 La 'minaccia del subumano'


    2 Involuzione autogena ed eterogena

    2.1 Andamento storico della distribuzione razziale: i pigmei quali 'decaduti
    puri' e gli altri selvaggi insorti per meticciato

    2.2 Mediterranei e ainu

    2.3 Gli indoeuropei e la 'razza nordica'


    3 Casistiche contemporanee e prospettive

    3.0 Introduzione

    3.1 I nuovi pigmei

    3.2 Ebrei, chazari, calvinisti

    3.3 Confronto fra il mondo preistorico e quello contemporaneo: uno scenario possibile "



    Sul libro di Lorenzoni e la questione razziale altre mie considerazioni qui :

    http://forum.giovani.it/informazione...mie-umani.html


    Di fatto contano molto anche piccole percentuali di differenza fra le razze umane (cfr. Silvio Waldner - "La Deformazione della natura" , ed. AR e Silvano Lorenzoni - "Il Selvaggio" , Ghenos). Lo cito :

    "Certi scienziati australiani (cfr.rassegna stampa maggio 1996) sostengono che il gorilla e lo scimpanzè dovrebbero essere classificati come umani perchè la differenza fra il DNA umano e quello dello scimpanzè e del gorilla sarebbe rispettivamente solo dell'1.6% e dell'1,7%. La cosa non manca di logica; altri scienziati, non certo disinteressati, assicurano invece (a chi loro vuol credere) che le diversità razziali sono un 'inezia, perchè la differenza fra i DNA delle razze non supera il 2%."



    Su Lorenzoni , sulla questione razziale , sull'immigrazione allogena di colore e sull’Etnonazionalismo altri articoli qui :


    Etnonazionalismo Völkisch - Stormfront
    http://www.stormfront.org/forum/showthread.php?t=386432
    Filosofia, Dottrina e Mistica dell'Etnonazionalismo Völkisch ...
    http://www.stormfront.org/forum/show....php?p=5821149
    http://doge91.blogspot.com/2008/07/libro.html
    Forum Etnonazionalismo Völkisch
    http://forum.politicaonthe.net/forumdisplay.php?f=23

    http://www.saturniatellus.com/portal...2c0a0c05119c96 922c7ba4356267

    Filosofia, Dottrina e Mistica dell'Etnonazionalismo Völkisch di F.Prati e S.Lorenzoni
    "Filosofia, Dottrina e Mistica dell’Etnonazionalismo Völkisch
    Contributi alla riflessione e all’analisi Federico Prati - Silvano Lorenzoni
    Effepi Edizioni, Giugno 2008, pagg. 200 Euro 22,00 - Edizione su carta normale Euro 30,00 - Edizione su carta di pregio numerata con le rune
    Note alla presente edizione- Di questa edizione sono stati stampati 24 esemplari contrassegnati a mano con le lettere dell’alfabeto runico protogermanico destinati unicamente ai Soci e ai simpatizzanti di Identità e Tradizione che si sono maggiormente contraddistinti per la loro opera di diffusione e divulgazione del Pensiero Etnonazionalista Völkisch.
    Il Libro– E’ indispensabile e doveroso, in un’epoca come l’attuale che disprezza profondamente ogni distinzione qualitativa, fornire i fondamenti filosofici e dottrinari per capire e comprendere appieno l’azione metapolitica intrapresa dall’Etnonazionalismo Völkisch. E’, infatti, profondo convincimento degli autori che, qualsiasi azione politico-culturale che abbia come meta finale la piena salvaguardia d’una ben determinata e specifica Blutsgemeinschaft, non possa assolutamente prescindere dalla necessità di ri-destare nei Popoli Europei l’ancestrale Volksgesit indogermanico, al fine di conferire nuovamente ad essi quell’essenza smarrita e così importante che è la facoltà e la volontà d’essere se stessi. I nostri Popoli debbono ri-acquistare quell’aspetto spirituale, quei profondi legami decretati dalle più remote forze naturali del Sangue e della Stirpe, che identificano un uomo, prima che come singolo soggetto, come discendente di un determinato Volk e come appartenente ad una specifica Comunità etnica. Solo allora, dopo aver ribadito la priorità di quei valori che nel Sangue, nel Suolo, nelle più ataviche vigorie della Razza hanno la loro mistica Origine, si potranno rinvenire le possenti forze che giacciono nel più profondo dell’anima dei Popoli Europei e che vanno nel senso della volontà di ritornare finalmente padroni della propria Terra. Ed è con questo quinto e nuovo testo, ricco di analisi e di documenti inediti, che gli autori intendono, oltre che onorare il quinto anniversario della costituzione dell’Associazione Identità e Tradizione, fornire una summa dottrinaria, dogmatica e filosofica inerente all’Idea Etnonazionalista Völkisch.
    Dal Testo – “A cinque anni dalla fondazione della nostra Associazione, diviene appropriato:
    1) tirare le somme della nostra attività;
    2) valutarla e fare alcune proiezioni di tipo generale per il futuro, non solo dell’Associazione, ma di tutta l’Europa, la razza bianca e la civiltà come noi la conosciamo.
    Non c’è alcun dubbio che negli ultimi tempi l’Idea Etnonazionalista Völkisch ha preso piede in modo crescente; e che su questo fatto la nostra attività di tipo culturale ha avuto un’influenza determinante nell’area geografica dove la lingua d’uso culturale è il toscano/italiano. Né la cosa deve sorprendere, data l’ottima qualità di quanto noi abbiamo pubblicato e l’andamento dei tempi. L’Etnonazionalismo Völkisch è un principio che richiama alla normalità, nel senso superiore della parola, mentre i nostri tempi sono, storicamente, i più anormali di cui si serbi ricordo. E, sia pure a livello subliminale, c’è (per fortuna ma, credo, inevitabilmente) un numero crescente di persone di “buona razza” che di questo incominciano a rendersi conto (…) .”

    Gli Autori – Federico Prati e Silvano Lorenzoni.

    Indice dell’Opera:
    Premessa – I cinque anni dell’Associazione Culturale Identità e Tradizione – Le Ragioni di una Scelta.
    Capitolo I: Alle Origini dell’Idea – Der völkische Gedanke - La Dottrina del Nazionalismo Etnico.
    Capitolo II: La Visione del Mondo - Die ethnonational-völkische Weltanschauung.
    Capitolo III: Sangue e Suolo – Il Mito del Sangue – La Mistica della Razza – Blut und Boden.
    Capitolo IV: Il Mito Indoeuropeo - Un nuovo Mito per l’Europa.
    Capitolo V: Orientamenti – A cosa può portare la globalizzazione – Russia, ultimo baluardo d’Europa – Lo Sato Etnico dal punto di vista economico – Europa Ethnica – Il Movimento Etnonazionalista Völkisch. "



    14 Words! - Holuxar
    ADDIO GIUSEPPE, amico mio, sono LUCA e nel mio CUORE sarai sempre PRESENTE!
    «Réquiem aetérnam dona ei, Dómine, et lux perpétua lúceat ei. Requiéscat in pace. Amen.»

    SURSUM CORDA - HABEMUS AD DOMINUM!!! A.M.D.G.!!!

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    Post I CONTINENTI PERDUTI, LA LUNA E LE CESURE EPOCALI

    http://www.krol.it/forum/continenti-...a-e-t5175.html

    Introduzione


    1. Atlantide, Mu, Lemuria, Gondwana, Iperborea

    1.1 Note introduttive

    1.2 Atlantide

    1.2.1 L'Atlantide classica

    1.2.2 Le 'colonie' atlantidee

    1.2.2.1 Generalità

    1.2.2.2 I megaliti

    1.2.3 Le 'Atlantidi-Ersatz'

    1.2.3.1 Generalità

    1.2.3.2 L'Atlantide nel Mare del Nord di Jürgen Spanuth

    1.2.3.3 Le 'Atlantidi' sotterranee

    1.3 Mu

    1.4 Lemuria

    1.5 Gondwana

    1.6 Iperborea

    1.7 Qualche conclusione


    2. Welteislehre - la Luna, arbitra dei destini umani

    2.1 La Welteislehre

    2.2 'Umanità' arcaiche e catastrofi cosmiche

    2.3 La Luna, arbitra dei destini umani

    2.3.1 Metafisica lunare

    2.3.2 Luna metafisica e Luna astronomica


    3. Cesure epocali






    INTRODUZIONE




    Al lettore non sarà forse sfuggito come nella letteratura fantascientifica
    e, in generale, fantastica, affiori ripetitivamente il tema del 'dopo': del
    mondo che ci sarà dopo questo, destinato necessariamente al dissolvimento,
    con obliterazione della presente civiltà e modo di vita. Questo tema non è
    tanto nuovo: ai tempi della 'guerra fredda', il 'dopo' era generalmente
    presentato come il post-olocausto nucleare, a sua volta prospettato come un
    'fenomeno della natura', per prevenire il quale non c'era niente da fare.
    Adesso, la tematica del post-catastrofe ecologica si fa avanti sempre più
    insistentemente - non senza una valida ragione - presentata anche quella
    come qualcosa di 'inevitabile'. Il fatto che masse crescenti di genti civili
    accettino supinamente questo tipo di cose come 'fenomeni della natura' è di
    per sé un indicatore addizionale che effettivamente stiamo andando incontro
    a un'epoca di stravolgimento esistenziale: a una cesura nel tempo.


    Sotto queste condizioni è stato ritenuto utile di riproporre la casistica
    dei 'continenti perduti' - 'inabissati' -, ma affrontandola sotto punti di
    vista totalmente diversi da quelli semplicemente storici - o
    fantascientifici o sensazionalistici - generalmente adottati nella
    letteratura corrente. Sull'Atlantide esistono 20 - 25.000 pubblicazioni, fra
    libri e opuscoli (pochissime, spesso quasi niente, sugli altri 'continenti
    perduti'). A questa pletora di carta stampata non sarebbe stato certo il
    caso di aggiungere, se non si avesse avuto la convinzione di avere da dire
    qualcosa di nuovo e di diverso.


    Questo libro, originalmente, doveva fare da appendice a un altro,
    sull'argomento dell'equilibrio antropocosmico, che lo scrivente ha in
    progetto e che sarà probabilmente completato nel prossimo futuro. Si è poi
    optato per una stesura separata per non appesantire eccessivamente quel
    testo e anche perché quello dei 'continenti perduti' è un tema che può
    essere trattato indipendentemente e che possiede un suo specifico interesse.




    Sandrigo, 24-30.01.01

    1. ATLANTIDE, MU, LEMURIA, GONDWANA, IPERBOREA




    1.1 Note introduttive


    Come schema strutturale - come 'struttura portante' o paradigma -, per un
    esposto generale dell'argomento dei 'continenti perduti', si può adottare
    quello ammesso dalla letteratura teosofica (1). Lì si prospetta una
    successione di 'razze radicali', o 'razze madri', a ognuna delle quali si
    presume sia corrisposto uno specifico habitat - 'continente'; 'mondo' -
    destinato alla lunga alla distruzione catastrofica, per inabissamento o
    conflagrazione vulcanica, come conseguenza di sconvolgimenti naturali;
    facendo così posto alla seguente 'razza radicale', abitante di un altro
    'mondo' non carente però di un qualche nesso di continuità con quello
    precedente. Ogni 'razza madre', dopo la sua caduta, lascia indietro dei
    residuati umanoidi, dalla psicologia spesso incomprensibile; e i
    corrispondenti 'continenti' dei relitti geologici, sotto forma,
    generalmente, di isole.


    Da notarsi comunque che anche nella letteratura teosofica - peraltro, sia
    chiaro, pregevole - non sembra esserci il concetto dell'illimitato divenire,
    senza principio né fine, che è invece proprio di ogni Weltanschauung
    sanamente tradizionale: anche i teosofi soggiacciono, forse senza
    avvedersene, alla concezione segmentaria del tempo, secondo la quale ogni
    cosa deve avere avuto un inizio e deve, alla lunga, finire in gloria dopo un
    processo di 'perfezionamento'. Le 'razze madri' verrebbero a essere in tutto
    sette (quattro passate, una presente, due future). L'umanità civile attuale
    verrebbe a essere la quinta 'razza madre', quella atlantidea la quarta e
    quella lemuriana la terza. E il ciclo dovrebbe finire per chiudersi con
    degli esseri 'perfetti' (qui si mette mano a concetti tipo riincarnazione,
    karma, ecc., resi fumosi da un'interpretazione moralistica) (2). Viceversa,
    la teosofia mostra sempre una preoccupazione per coordinare la propria
    cronologia con quella della scienza geologica ufficiale, quella delle 'ère
    geologiche' (3). Ne risulta che le 'razze madri' più antiche convissero con
    i dinosauri e altri animali preistorici - né la cosa è assurda: l'uomo
    ('uomo' in senso lato) è di immemoriale antichità e l'antropogenesi (ammesso
    che di antropogenesi si possa parlare) si perde nella notte dei tempi (4).
    La presunta 'modernità' della specie umana, sostenuta maldestramente dalla
    scienza ufficiale contemporanea, obbedisce al dogma evoluzionistico
    darwiniano e non ha niente di veramente scientifico.


    I testi teosofici (e non solo quelli) molto spesso dicono di fare
    riferimento a documenti di antichità immemoriale, la cui visione è permessa
    solo a persone 'qualificate' (la Blawacki faceva riferimento a un
    fantomatico libro tibetano, le cosiddette Stanze di Dzyan [5], mentre il già
    citato Scott-Elliot parla di antichissime mappe su terracotta o pergamena);
    nonché a fonti psichiche (6), cioé alle possibilità parapsicologiche di
    certi 'veggenti' particolarmente dotati.


    Si tratta, è chiaro, di fonti poco verificabili e anche magari opinabili; il
    che non togli che, nell'insieme, la visione teosofica sia, a parer nostro,
    adatta a fare da struttura portante per questo argomento. Essa fu adottata,
    peraltro, dallo stesso Julius Evola (7).


    Né le 'fonti psichiche' vanno prese del tutto sottogamba - anche se,
    ovviamente, ci vuole un certo criterio nel valutarle. In riguardo, è il caso
    di ricordare che l'Atlantide non fu un'invenzione di Platone, né egli è
    l'unico autore dell'antichità che ne parla: è invece vero che la 'nozione'
    di una grande civiltà scomparsa posta a 'occidente' ('oltre le Colonne
    d'Ercole') era molto diffusa a quei tempi - essa circolava nella 'psiche
    collettiva' dell'Europa antica. Viceversa, nell'Africa nera c'era una
    diffusissima 'nozione' secondo la quale i negri non si consideravano una
    razza giovane, ma enormemente arcaica e crepuscolare (8) - e i negri
    sarebbero, secondo la letteratura teosofica, fra i 'fossili viventi' che ci
    ha lasciati indietro la Lemuria.


    La geologia ufficiale ci assicura che l'Atlantide platonica (e, a fortiori,
    il resto dei 'continenti scomparsi') non possono essere esistiti (9). Qui è
    il caso di ricordare che la scienza ufficiale, che spesso e volentieri segue
    mode culturali, ha un valore del tutto relativo quando si tratta di valutare
    eventi posti in epoche o luoghi remoti - per esempio, la teoria della deriva
    dei continenti, lanciata da Alfred Wegener nel 1915, fu inizialmente coperta
    di ridicolo dai santoni dell'establishment scientifico (allora erano in voga
    i 'ponti intercontinentali'), mentre adesso è divenuta una colonna portante
    della scienza geologica ufficiale (fino a quando, staremo a vedere). Vale
    comunque l'osservazione che una cosa è prendere alla lettera la svariata
    letteratura sull'Atlantide ecc. e un'altra ammettere che i 'continenti
    perduti' possano avere avuto un'esistenza obiettiva di qualche genere, in un
    passato difficilmente precisabile.


    Si è già menzionato che sull'Atlantide ci sono migliaia di pubblicazioni e
    molte meno sugli altri 'continenti perduti': si tratta sempre di scritti
    specifici su di un certo 'continente'. Che lo scrivente sappia, l'unica
    opera dove si cerchi di dare una visione d'insieme è quella di Serge Hutin,
    Hommes et civilisations fantastiques (10).




    1.2 Atlantide


    1.2.1 L'Atlantide classica


    L'Atlantide, come essa è generalmente intesa, viene a essere quella 'grande
    isola' oltre le Colonne d'Ercole descritta da Platone nei suoi dialoghi
    Critia e Timeo. La letteratura in riguardo è ipertrofica (11), e qui ci si
    limiterà a qualche pertinente osservazione. - Secondo certe fonti (12),
    l'Atlantide originalmente sarebbe stata una specie di ponte
    intercontinentale fra l'America e l'Europa che si sarebbe 'sgretolato' a più
    riprese, l'Atlantide platonica venendo a essere quel che ancora ne rimaneva
    verso la metà dell'XI millennio a.C., quando essa scomparve per immersione
    nei flutti del mare.


    Qui interessa fare notare che è estremamente improbabile che Platone si sia
    inventato di sana pianta il suo racconto e che invece si può prendere per
    certa la verità di quanto egli afferma (che glie lo aveva raccontato
    Critone, che a sua volta lo aveva ascoltato da suo nonno Solone, che lo
    aveva appreso da sacerdoti egiziani). E comunque, prima, contemporaneamente
    e dopo Platone, parecchi autori antichi hanno parlato dell'Atlantide, in
    termini analoghi a quelli platonici anche se in minore dettaglio: Esiodo,
    Omero (nella sua Odissea), Solone, Euripide, Strabone, Dioniso di
    Alicarnasso, Diodoro Siculo, Plinio, Teopompo, Marcello (13) - il tema
    dell'Atlantide faceva parte della 'memoria ancestrale collettiva' di tutto
    il Mediterraneo da lunghissimo tempo. Questo sembrerebbe invalidare quelle
    teorie secondo le quali l'Atlantide avrebbe potuto essere nei più svariati
    luoghi, mentre Platone, a conoscenza di un qualche cataclisma geologico o
    meteorologico di grandi dimensioni, lo avrebbe utilizzato come spunto per
    imbastire la sua storia. Qualche notizia in riguardo sarà data più avanti,
    ma va detto subito che tutte queste teorie si rivelano insoddisfacenti: la
    svariate 'Atlantidi' poste nei più disparati luoghi del mondo non sono
    l'Atlantide.


    1.2.2 Le 'colonie' atlantidee


    1.2.2.1 Generalità


    Nella letteratura sull'Atlantide è rappresentata spesso l'idea che prima del
    suo inabissamento essa avrebbe fondato una serie di colonie sia in Europa
    che in America, le quali, in qualche modo, ne avrebbero prolungato la
    civiltà - pur serbando un ricordo impreciso e confuso delle loro origini. La
    civiltà delle piramidi - presente dall'Egitto attraverso la Sumeria fino
    all'estremo Oriente e anche in America (14) - è stata indicata come il più
    probabile 'prolungamento culturale' dell'Atlantide. Meno attenzione invece è
    stata data al fenomeno megalitico, che pure, in questo riguardo, forse
    presenta un maggiore interesse. Sul megalitismo ci si dilungherà un po'
    nella sezione che segue.


    1.2.2.2 I megaliti


    Il fenomeno megalitico si è dato in Europa, in Nord Africa, nel Medio
    Oriente, e poi attraverso l'Asia centrale e meridionale si è esteso agli
    arcipelaghi del Pacifico e all'Australia e ha attraversato il Sahara per
    raggiungere l'Africa nera; ed è presente anche in America (15) - di notevole
    importanza il fatto che il megalitismo è legato, in Eurasia e in Africa, al
    culto del toro. Secondo alcuni autori, fra i quali Alberto Cesare Ambesi e
    Pierre Carnac (16), nella civiltà megalitica si dovrebbe ravvedere il
    nocciolo dell'idea dell'Atlantide, tanto più che essa fu, in parte,
    fisicamente sommersa ai tempi della fine dell'ultima glaciazione (fatto
    ammesso ufficialmente anche dalle scienze universitarie). Il megalitismo
    europeo è perfettamente documentato, quelli asiatico e polinesiano molto
    meno, scarsissimamente quello americano (17), con l'eccezione di certe
    formazioni subacquee nella zona di Bimini (isole Bahamas) che potrebbero
    essere resti megalitici e che certuni hanno addirittura voluto identificare
    con la platonica Atlantide (18). Si tratta comunque di una faccenda ancora
    pochissimo chiara.


    La civiltà megalitica, in tempi preistorici e protostorici, ebbe come
    origine l'Europa occidentale da dove, per diffusione culturale, si estese
    enormemente (anche il megalitismo americano ha da essere visto,
    probabilmente, come di origine europea, anche se in riguardo qualsiasi
    affermazione non può essere se non arbitraria). La 'sostanza genetica' dei
    suoi artefici ha da ravvedersi in quella sottorazza della razza europide che
    ebbe come centro di diffusione quella medesima Europa occidentale, a ovest
    del Reno - la 'razza' mediterranea o, più esattamente, occidentale (19). E
    la civiltà megalitica ebbe delle caratteristiche tutte proprie che la
    rendono il candidato più idoneo per incarnare l'Atlantide platonica: culto
    del toro, orientamento ctonio dei suoi culti religiosi e - molto
    importante - la spiccata lunarità del suo orientamento astrologico (20).
    Alcuni fra i monumenti megalitici principali (per esempio, Stonehenge [21]),
    sembrerebbero essere stati osservatori astronomici nei quali appositi
    sacerdoti elaboravano oroscopi lunari (22). Tutte queste sono
    caratteristiche crepuscolari e decadenti, da un punto di vista tradizionale
    superiore, che indicano in quella civiltà qualcosa di residuale, al seguito
    di una qualche catastrofe. Nè va sottovalutato il fatto che la costruzione
    dei megaliti propone degli insolubili problemi tecnici (per chi ragioni
    sulla falsariga del pensiero tecnico contemporaneo), non dissimili da quelli
    proposti dalle costruzioni incaiche del Perù (23) - su di questo si
    ritornerà alla fine di questo scritto.


    1.2.3 Le 'Atlantidi-Ersatz'


    1.2.3.1 Generalità


    Si è già menzionato come certuni, nell'impossibilità di prendere alla
    lettera il racconto di Platone, ma non riuscendo a vedere le sue eventuali
    valenze simboliche, abbiano ipotizzato che egli abbia preso come spunto
    qualche catastrofe fisica o storica meglio conosciuta per imbastire i suoi
    racconti. Poi, molti hanno usato il concetto di Atlantide per costruire di
    sana pianta dei mondi inventati o per dare un qualche 'paludamento di lusso'
    a storie più o meno immaginarie poste nel passato di luoghi che a loro
    stavano a cuore (24). Sotto questa casistica ricadono le ipotesi
    dell'Atlantide a Thera, di Spiridon Marinatos, quella nella Spagna
    meridionale, di Adolf Schulten, e tante altre descritte in dettaglio nelle
    opere atlantologiche da noi già indicate nelle note. È appena il caso di
    ripetere che queste 'Atlantidi-Ersatz' non convincono assolutamente. Ci si
    soffermerà brevemente su due casi poco conosciuti, sia per ragione di
    completezza che per il loro valore particolare.


    1.2.3.2 L'Atlantide nel Mare del Nord di Jürgen Spanuth


    Il pastore luterano Jürgen Spanuth, parroco in un paesino dello Schleswig
    posto in quell'incantevole Dithmarsch alla quale il pittore Hans-Heinz Domke
    dedicò un'eccellente collezione di paesaggi (25), sostenne in un suo
    poderoso e documentatissimo libro (26) che l'Atlantide era stata nel Mare
    del Nord, fra la Dithmarsch e l'isola di Helgoland; e che il suo
    inabissamento non sarebbe stato se non verso la metà del II millennio a.C.
    Queste sue affrmazioni egli basa, essenzialmente, su due presupposti: (a)
    quando Platone parlava di 10.000 anni prima della sua epoca, si trattava
    invece di 10.000 mesi, in quanto gli egiziani parlavano, sembra, in termini
    di mesi e non di anni e che quindi a Solone avrebbero raccontato che
    l'Atlantide si era inabissata 10.000 mesi, e non anni, addietro (e lui capì
    male); (b) la validità del cosiddetto eschatologische Schema [schema
    escatologico] secondo il quale ci sarebbe stata una tendenza in tutte le
    opere letterarie dell'antichità di proiettare nel futuro disastri realmente
    accaduti nel passato: per cui, i racconti apocalittici dell'Edda (Ragnarök),
    nonché di fonti classiche ed egiziane, si riferirebbero a cose realmente
    accadute nel passato. Basandosi su di queste due assunzioni, egli approda
    all'idea che i platonici atlanti furono in realtà i filistei e i hiksos che
    verso la metà del II millennio conquistarono l'Egitto ('germani' provenienti
    dallo Schleswig, secondo lo Spanuth, illiri invece in base ai moderni dati
    dell'indoeuropeistica). Lo Spanuth conclude dicendo che la platonica
    Poseidonia, capitale dell'Atlantide, doveva essere nel Mare del Nord, non
    lontano da dove adesso c'è l'isola di Helgoland, e che nel fondo marino
    ('Steingrund') della zona ne dovrebbero rimanere le tracce.


    1.2.3.3 Le 'Atlantidi' sotterranee


    Esiste una persistente leggenda a proposito di un 'Re del Mondo' e di una
    civiltà sotterranea fondata - o nella quale avrebbero trovato rifugio - dei
    non meglio identificabili 'saggi' provenienti da qualche luogo imprecisato
    travolto da una qualche catastrofe (27). - Qui vale la pena di ricordare
    come, indipendentemente da qualsiasi riferimento mitico, Ivan Sanderson (28)
    aveva convincentemente ipotizzato l'esistenza di una civiltà sottomarina
    indipendente e parallela a quella sulla superficie della terra (se c'era,
    adesso sarà certamente stata affogata dalla montante contaminazione degli
    oceani). Il Sanderson non faceva ipotesi su quali potessero essere gli
    esseri portanti di quella ipotetica civiltà; ma il suo libro vale a
    dimostrare come esista la possibilità obiettiva dell'esistenza di civiltà
    del tutto dislocate, poste in 'nicchie ecologiche' diverse, che menino
    ognuna una sua esistenza autonoma senza neanche rendersi conto l'una
    dell'altra.


    Comunque, forse abusivamente, anche la casistica delle 'città sotterranee' è
    stata abbinata al fatto 'Atlantide' - e così, soprattutto in Sud America,
    'città atlantidee' poste sotto i massicci montagnosi o nel sottosuolo
    amazzonico sono state indicate da diversi esploratori, come Percy Fawcett e
    Paul Gregor (29). Allo scivente toccò, durante il suo soggiorno in Sud
    America, di fare la conoscenza di un esploratore italiano, Roberto Lovato,
    che lo assicurò di avere trovato una città 'atlantidea' sotterranea vicino
    alle sorgenti dell'Uraricuari (30).




    1.3 Mu


    Stando alla documentazione esistente, tutto ciò che si riferisce a Mu,
    continente 'inabissatosi' nel Pacifico centrale grosso modo allo stesso
    tempo dell'Atlantide (circa XI millennio a.C.), ha la sua origine nelle
    pubblicazioni di James Churchward, ufficiale coloniale inglese in India
    nella seconda metà del secolo XIX (31). Egli ne avrebbe appreso l'esistenza
    attraverso certe tavolette di terracotta - le 'tavolette dei
    naacal' -custodite in un tempio indiano del cui risi egli era divenuto
    amico. I naacal sarebbero stati una confraternita di 'saggi', provenienti da
    Mu, i quali le avrebbero scritte o a Mu stesso, prima del suo inabissamento,
    oppure in Birmania dopo il medesimo, da dove poi esse furono esportate in
    India. Churchward dà una trascrizione dell'alfabeto di Mu nei suoi scritti,
    ma gli originali delle tavolette non sembra siano stati mai più visti da
    alcuno dopo di lui. In quelle tavolette sarebbe stata descritta la storia di
    Mu (vecchia di oltre 50.000 anni) nonché una dettagliata descrizione del
    medesimo, presentato come una specie di 'paradiso tropicale' altamente
    civile, nel quale convivevano pacificamente tutte le razze umane ma dove la
    razza bianca aveva in mano il potere. L'inabissamento di Mu viene attribuito
    a un improbabile processo geologico (collasso di sacche di gas poste sotto
    la sua superficie), che avrebbe lasciato indietro come relitti gli
    arcipelaghi del Pacifico (un po' come, secondo certuni, le isole
    dell'Atlantico orientale sarebbero relitti dell'Atlantide).


    In modo non dissimile a quanto è stato affermato sull'Atlantide, Mu avrebbe,
    prima del suo inabissamento, 'colonizzato' e incivilito altre terre,
    incominciano dalla costa americana del Pacifico e dall'Asia orientale e
    centrale, da dove i suoi tentacoli sarebbero arrivati un po' dappertutto (la
    stessa Atlantide viene indicata come una colonia di Mu). La civiltà delle
    piramidi viene indicata come di origine muana, e sarebbe giunta in Egitto
    dal Medio Oriente e lì dall'Asia centrale. - Il Churchward, dopo avere
    visionato le tavolette dei naacal, dedicò il resto della sua vita a cercare
    evidenza per puntellare la sua teoria dell'origine muana di tutta la
    civiltà. Questo suo lavoro egli descrive nelle sue opere e fu proseguito da
    un suo discepolo francese, Jean-Claude Vincent (32). Sia il Churchward che
    il Vincent danno un'importanza determinante a certe pietre incise (del II
    millennio a.C., secondo si afferma), trovate nel Messico occidentale da un
    certo William Niven.


    Un'analisi comparata di quanto ha da dire Churchward sul conto di Mu e della
    classica teoria platonica dell'Atlantide - poi sviluppata dagli atlantologi,
    teosofi o meno - rende l'idea che Mu venga a essere una specie di immagine
    speculare dell'Atlantide, posta ai suoi antipodi ma conservante tutte le sue
    caratteristiche principali, reali o presunte.


    Sappiamo che il Churchward era un 'patito' dell'India e dell'Asia
    sud-orientale - e si è evidenziato che l'idea del continente di Mu è
    esclusivamente sua, nel senso che (a differenza del caso dell'Atlantide di
    Platone) non è sostenuta da alcuna documentazione indipendente. Insorge
    quindi il sospetto che anche Mu possa essere un'altra 'Atlantide-Ersatz'.




    1.4 Lemuria


    Il continente della Lemuria, sito nell'Oceano Indiano, fu proposto dalla
    Blawacki come 'supporto' per la sua quarta 'razza radicale', e lo chiamò
    Lemuria ricalcando il nome che lo zoologo Philip Sclater aveva dato a un
    ipotetico continente che un tempo, secondo lui, era esistito nell'Oceano
    Indiano. Esso sarebbe stato distrutto, eoni addietro, da attività vulcanica
    (non per inabissamento). Il già citato Scott-Elliot è l'unico che si
    riferisca in dettaglio a questo continente; e per quanto egli asserisca di
    basarsi su fonti soprattutto 'psichiche', quanto ha da dire non manca di
    spunti notevolmente interessanti.


    Vestigia della Lemuria sarebbero l'Australia e la Nuova Zelanda, il
    Madagascar, l'Africa meridionale e la Terra del Fuoco. Queste sono proprio
    le terre dove fino a recentissimamente allignavano (e in parte, ancora
    allignano) quei tipi umani descritti dagli etnologi come posti all'ultimo
    gradino della specie: negri, boscimani, australoidi d'Australia e Indostan,
    pigmei di vario tipo, fueghini (tutti esplicitamenti menzionati dallo
    Scott-Elliot come 'fossili viventi' lemuriani). Particolarmente interessante
    è il Madagascar, isola che per quel che riguarda la sua flora e la sua fauna
    viene a essere un microcontinente a sé stante, né africana né asiatica (33).
    Anche se, storicamente, il Madagascar fu popolato per la prima volta da
    genti indonesiane solo un migliaio di anni fa (e adesso, attraverso
    l'importazione di schiavi, la sua popolazione si è quasi interamente
    africanizzata), la sua atmosfera 'psichica' e religiosa non manca di tratti
    particolari che non sono né indonesiani né bantù (34) - residuo psichico,
    forse, di un'umanità arcaica ormai fisicamente estinta.


    Alla Lemuria è stata anche attribuita una 'civiltà', nei suoi tempi di pieno
    rigoglio - che però non è immaginabile se non come qualcosa di ctonio e
    sinistro, sul tipo di quella meroitica o zimbabweana. L'uomo lemuriano,
    supporto di questa civiltà, è descritto come uno strano essere
    semi-rettiliano, dall'intelligenza larvale, dotato di un 'terzo occhio' e
    coevo dei dinosauri, che egli anche addomesticava (35); mentre le sue
    comunicazioni avvenivano per via telepatica - col tempo, gli uomini
    avrebbero perso le facoltà telepatiche generalizzate e la lingua ebbe
    origine. Ma anche questo non sarebbe stato il primo 'uomo' ad abitare la
    Lemuria: prima di lui vi sarebbero state 'razze dalle ossa molli' (36): "il
    gigantesco corpo gelatinoso di questi esseri mostruosi cominciò lentamente a
    modificarsi e le sue membra e ossa molli si trasformarono in una più solida
    struttura" - qui c'è un conturbante parallelismo con certe antropogenesi
    mitiche australiane (37).


    Come nel caso dell'Atlantide, il fatto 'Lemuria' non deve essere
    necessariamente essere preso alla lettera, ma potrebbe stare a indicare una
    'civiltà' - e una sua 'umanità'-supporto - fiorita nella notte degli eoni; i
    cui residui hanno da essere visti in certe etnie animalesche della parte Sud
    del mondo (38) e il cui ricordo permane nell''immaginario collettivo' di
    certe popolazioni.


    1.5 Gondwana


    'Continente' ipotizzato dall'Hutin (39) per rendere anche l'Antartide il
    relitto di una terra che negli eoni del passato avrebbe potuto essere sede
    di una difficilmente definibile civiltà. (L'Hutin afferma, senza dare
    riferimenti bibliografici, che sotto i ghiacci antartici, nel 1961,
    sarebbero stati identificati resti di pavimentazioni o scalinate.) Il nome
    'Gondwana' (i gond furono una popolazione australoide di infimo livello
    dell'Indostan centrale) è stato scelto con riferimento alla teoria
    wegeneriana della deriva dei continenti: la primeva Pangea si sarebbe
    spezzata in due monconi, la Gondwana a Sud e la 'Laurasia' a Nord.

  6. #16
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    1.6 Iperborea


    Il caso dell'Iperborea è atipico rispetto rispetto agli altri, quando ci si
    immaginava una catastrofe naturale distruttiva posta alla fine di un periodo
    di decadenza culturale e spirituale. Qui invece, con riferimento alle
    mitologie indoeuropee, si vede il Nord come scaturigine di civiltà e di
    rinascita spirituale, dal quale i nostri antenati ariani sarebbero emigrati
    come conseguenza di peggioramenti climatici quando essi erano all'apogeo
    della loro capacità e della loro cultura: quindi non relitti di una qualche
    razza già involuta, catastroficamente travolta da un improvviso e spaventoso
    cataclisma naturale. In riguardo, di ottimo riferimento è la spesso citata
    Rivolta contro il mondo moderno di Julius Evola; mentre l'origine artica
    degli indoeuropei è proposta quale dato scientifico 'positivo' in un
    prezioso libretto di Jean Haudry (40). La tesi - dovuta a Serge Hutin - di
    un continente iperbore 'sommerso' (alla stregua dell'Atlantide; e i cui
    residui sarebbero certe isole periartiche come le Spitzberg, le Jan Mayen.
    ecc.) obbedisce probabilmente alla volontà di incastrare anche il fatto
    delle origini indoeuropee nel paradigma dei 'continenti perduti'.


    1.7 Qualche conclusione


    Da notarsi innanzi tutto come la successione cronologica dei 'continenti
    scomparsi' - per via catastrofica: Atlantide-Mu, Lemuria, Gondwana - ci
    porta da Nord a Sud, quasi a significare un 'movimento' di civiltà
    scaturenti dal Nord ('Iperborea') e obliterate a Sud. Qui ci troviamo di
    nuovo davanti a un'enigmatica metafisica della storia dell'involuzione
    umana, legata all'equilibrio antropocosmico, argomento sul quale, in questa
    sede, non ci possiamo dilungare.


    Si è poi menzionato che le fini catastrofiche incontrate dai 'continenti
    perduti' non hanno necessariamente da essere prese alla lettera. Si tratta
    piuttosto del fatto che la dissoluzione di quella che poté essere stata una
    grande e fiorente civiltà, al punto di perdersene addirittura il ricordo
    storico - la sua trasformazione in un 'fantasma psichico' - può passare
    all'inconscio collettivo di certi gruppi di popolazioni cammuffato da
    'inabissamento', 'terremoto', 'eruzione vulcanica', ecc. Sia però chiaro che
    questo non esclude la concomitanza di una qualche apocalisse anche fisica -
    per esempio, l'inabissamento dell'Atlantide va appaiato alla fine
    dell'ultima èra glaciale, quando ci furono vaste inondazioni.


    Qui si entra nella casistica della concomitanza fra fatti fisici e fatti
    metafisici - il già menzionato equilibrio antropocosmico. In riguardo, cè
    una persistente 'nozione' secondo la quale le catastrofi che portarono
    all'estinzione dei continenti perduti potrebbero essere state conseguenza
    dell'abuso di certi 'poteri' - che Julius Evola chiamò 'magia nera
    titanica' - scappati di mano ai loro originatori e resisi autonomi, con
    spaventosi séguiti. Qui siamo abbastanza palesemente davanti ai possibili
    sviluppi di una 'scienza' di tipo moderno, la quale, vista come metodologia
    per l'attuazione di un dominio distruttivo sulla natura, viene a essere né
    più né meno che una forma particolarmente sinistra di magia nera (41). Non è
    necessario immaginarsi la catastrofe finale come uno scenario apocalittico
    illuminato da un'infinità di funghi termonucleari, come fa, per esempio,
    Charles Berlitz. Le cose potrebbero essere andate in modo molto più
    'indolore', come sta succedendo adesso con lo snaturamento di tutta la
    natura come conseguenza di attività finanziarie, commerciali, industriali
    selvagge - la cosiddetta catastrofe ecologica (42). - Un'altra conturbante
    analogia fra l'Europa 'post-atlantidea' e quella contemporanea è la presenza
    di grandi masse di non-europidi nel suo territorio. La presenza di
    non-europidi nell'Europa preistorica fu riconosciuta dai paleontologi ancora
    alla fine del XIX secolo (43): si trattava di neandertaliani (44) nonché di
    elementi negroidi e boscimaneschi, dei quali non è rimasta traccia se non
    come reperti fossili. Adesso, invece, c'è una straordinaria presenza
    extracomunitaria.


    Nè gli apocalittici collassi di civiltà hanno da essere visti
    necessariamente come fatti di portata globale. C'è da credere che la civiltà
    possa essere stata qualcosa di permanente al mondo, con alti e bassi
    localizzati (sia pure su aree anche estremamente grandi). Per quel che
    riguarda i nostri tempi - quelli post-glaciali - di particolare significanza
    è il ritrovamento di quella brillante civiltà dei Balcani che, fino a dove
    se ne sa, è la civiltà più antica del mondo. I reperti archeologici ci
    permettono di arrivare fino all'VIII millennio a.C., avvicinandoci alla data
    della sommersione dell'Atlantide, ma le radici di questa civiltà si perdono
    nella notte dei tempi (45).

    Questa civiltà aveva sviluppato, fra l'altro, una scrittura che dovette
    esistere almeno due millenni prima di quella sumera e che si diramò verso
    Ovest e verso Est. Nell'Europa occidentale megalitica ('post-atlantidea') si
    svilupparono forme di scrittura direttamente ricollegabili a quella della
    civiltà dei Balcani (in modo particolare quella di Glozel, nella Francia
    centrale, ma anche nella Penisola Iberica). Viceversa, siccome la civiltà
    dei Balcani aveva degli avamposti in Asia Minore, esiste la possibilità che
    anche la scrittura fenicia sia una variante di quella balcanica (46).


    Concludiamo questo capitolo indicando l'assoluta non-essenzialità di un
    'alto livello tecnologico' ('magia nera titanica') per potere sviluppare
    delle squisite civiltà, sia sul piano materiale che su quello intellettuale
    e artistico, capaci di perdurare per tempo indefinito in una condizione di
    perfetto equilibrio con l'ambiente (47). Qui, quel che valeva, era la
    qualità spirituale delle popolazioni. - In riguardo, un'osservazione
    sull'ascesa e il trionfo di Roma non è fuori contesto. Non sono mancati
    tanti ottusi, soprattutto di area anglosassone, che hanno preteso di
    attribuire la formazione dell'Impero di Roma a una conquista non dissimile a
    quelle che portarono alla formazione degli imperi coloniali europei degli
    ultimi cinque secoli: delle nazioni 'progredite', usando armi 'moderne',
    hanno sottoposto dei selvaggi. Invece è vero che, dal punto di vista
    tecnico, Roma non era superiore alla maggioranza delle popolazioni europee
    contro le quali si trovò a combattere. Il successo di Roma si dovette a una
    superiore qualificazione metafisica, 'a essere stata segnata dagli dèi'. Se
    c'è stato un impero che può reggere il confronto con Roma, almeno entro
    certi limiti, fu quello dei tartari, fondato da Cinghis-Khan. I metodi usati
    dai tartari e dai romani per affermare il loro dominio non furono
    particolarmente dissimili, e ambedue furono estremamente duri. Eppure,
    quando si disintegrarono, ambedue questi imperi furono rimpianti dai
    discendenti di coloro che erano stati sottomessi nel più violento dei modi:
    perché, passata la conquista, ambedue avevano portato un sistema sociale
    molto preferibile a quanto c'era stato prima e incomparabilmente migliore di
    ciò che venne dopo.

  7. #17
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    2. WELTEISLEHRE - LA LUNA ARBITRA DEI DESTINI UMANI



    Hanns Hörbiger

    2.1 Welteislehre


    La Welteislehre - la dottrina del ghiaccio cosmico - fu proposta nel 1913 da
    Hanns Hörbiger (1860-1931); e poi in forma riveduta, in collaborazione con
    il selenologo Philipp Fauth, nel 1925 (48). Si tratta di un tentativo di
    combattere la scienza ufficiale sul suo proprio terreno - cosa eccellente -,
    ma accettandone, almeno in parte, i paradigmi, mettendosi quindi
    necessariamente sulla difensiva e a svantaggio rispetto all'imperante
    establishment. Comunque, la teoria di Hörbiger rappresenta probabilmente
    l'unica sintesi sistematica del lato 'scientifico' del sapere umano e delle
    mitologie di tutte le popolazioni. Questo fa della Welteislehre una genuina
    opera d'arte, di straordinaria bellezza e ancora valida come punto di
    partenza - con le dovute rettificazioni - per una cosmologia alternativa. -
    Nella Welteislehre non si prende assolutamente in considerazione la teoria
    wegeneriana delle derive continentali; la Terra di Hörbiger è sempre stata,
    geologicamente, quella di adesso.


    Hörbiger pone l'origine del sistema solare in un imprecisato ma remoto
    passato, e lo fa conseguenza dell'incontro di una gigantesca massa ignea, il
    cui residuo è il Sole, con un corpo fatto di ghiaccio. Il vapore allora
    generato avrebbe causato un'immane esplosione che avrebbe lanciato svariati
    'pianeti' verso lo spazio, dei quali un determinato numero si sarebbe messo
    a gravitare attorno al Sole.


    Ma, sempre secondo Hörbiger, lo spazio sidereo non è vuoto: esso è pervaso
    da polvere e da gas rarefatto, per cui il moto dei corpi celesti risulta
    frenato e le loro orbite non sono fisse ma spirali sempre più strette
    attorno al corpo centrale (Sole). Le molteplici (fino a sette o otto) Lune
    che la Terra ha avuto nel passato furono pianeti che un tempo circolavano
    fra la Terra e Marte: con il restringersi delle loro orbite, essi si
    avvicinarono alla Terra e ne vennero catturati; poi ebbero un'orbita a
    spirale attorno alla Terra, sulla quale, alla lunga, essi precipitarono
    causando immani disastri e dando inizio, ogni volta, a dei tempi senza Luna
    (le diverse Lune, non esclusa quella presente, vengono immaginate come
    formate da un guscio di ghiaccio racchiudente una massa di melma e
    pietrame). Dopo il collasso del presente sistema Terra-Luna, il prossimo e
    ultimo satellite terrestre sarà Marte, dopo di che la Terra stessa
    precipiterà nel Sole.


    La fenomenologia della nascita, vita e morte di ogni sistema Terra-Luna è
    descritto in dettaglio, per esempio, da Hanns Fischer (50) (il presente
    sistema sarebbe ai suoi inizi, la nostra Luna attuale essendo stata
    catturata verso il X - XI millennio a.C.).


    Nei tempi senza Luna la Terra gode di una distribuzione uniforme dell'acqua
    negli oceani e dell'aria nell'atmosfera. Con la cattura di una nuova Luna
    incomincia subito a esserci un innalzamento delle acque e dell'aria sotto
    l'orbita lunare (grosso modo equatoriale), innalzamento che diviene sempre
    più pronunciato a seconda che la Luna si avvicina, fino a formare un'alta
    cintura attorno ai tropici. Quando la Luna è molto vicina, la cintura, per
    qualche tempo, si trasforma in due montagne d'acqua e aria poste allo zenit
    e al nadir lunari, che circolano attorno alla Terra assieme alla Luna;
    montagne che si ridissolvono in un'altissima cintura oceanica quando la Luna
    è vicinissima. Sopravviene poi la disintegrazione della Luna accompagnata da
    grandi cadute di acqua e grandine - il 'diluvio' - e dal rilassarsi della
    cintura oceanica, con conseguente migrazione delle acque verso le zone
    polari, causando enormi inondazioni. Inoltre, l'avvicinamento lunare fa
    sentire i suoi effetti sul manto terrestre, causando un generalizzato
    vulcanismo. - Secondo la Welteislehre la cattura della presente Luna, causa
    di un innalzamento degli oceani vicino ai tropici, fu causa
    dell'inabissamento simultaneo della platonica Atlantide, della Lemuria e di
    un non meglio definito Osterinselkönigreich [regno dell'Isola di Pasqua].
    Siccome non c'è alcuna evidenza che Hanns Hörbiger conoscesse l'opera del
    Churchward, non è chiaro se questo 'regno' debba identificarsi con Mu.


    A questo punto il Fischer fa un passo avanti, identificando le epoche
    geologiche (secondo sono evidenziate dal susseguirsi dei giacimenti
    geologici [51]) con i Mondzeiten [epoche lunari]; durante ognuno dei quali
    la vita procedette in unisono con le specifiche condizioni dei tempi (52).
    Facendo riferimento a Edgar Dacqué egli afferma che l''uomo' (uomo come
    Wesen ['essere', 'entelechia'] e non come specifica Form/Gestalt [forma,
    figura]) esiste almeno dal Primario. - Siccome, secondo Hanns Fischer, il
    ghiaccio è necessario perché ci possa essere fossilizzazione, ci si deve
    aspettare delle discontinuità nel record fossile, corrispondenti ai tempi
    senza Luna, durante i quali la Terra avrebbe avuto un clima mite
    generalizzato (la presenza della Luna, assottigliando l'aria nelle zone
    polari, è causa della glaciazione) (54).


    2.2 'Umanità' arcaiche e catastrofi cosmiche


    Il tema della continuità della civiltà, al di là di catastrofi e di
    involuzioni (se ne è parlato alla fine del Cap. 1) è stato impostato dal
    hörbigeriano Denis Saurat (55) in termini della Welteislehre. Egli indica un
    filo conduttore che dalla notte dei tempi arriva fino ai nostri giorni;
    sostenuto dalla 'memoria inconscia collettiva' (che poi si estrinseca in
    miti, leggende, ecc.), nonché da reperti archeologici. (Vale la pena di
    notare che, in fondo, gli spunti indicati dal Saurat sono utilizzabili anche
    indipendentemente dalla Welteislehre.)


    Secondo la Welteislehre, ammessa dal Saurat, ogni epoca geologica
    corrisponderebbe a una Luna, e il collasso della Luna ne farebbe da
    suggello. Un periodo senza Luna farebbe poi da separazione fra un'epoca
    geologica e la seguente. Secondo i calcoli di Hörbiger, ripresi dal Saurat,
    le terre sempre emerse nel globo, attraverso le diverse lunazioni
    (ricordiamoci che la Welteislehre non è wegeneriana) verrebbero a essere i
    seguenti altopiani: Imalaia, Messico, Ande, Nuova Guinea, Etiopia; ed è
    sulle Ande, a Tihuanaco, che Saurat cerca quella che, secondo lui, è
    l'evidenza più probante per le sue teorie.


    Il Primario sarebbe stato dominato dagli 'insetti', il Secondario dagli
    insetti e dai 'giganti', il Terziario dai giganti e dagli uomini, il
    Quaternario dagli uomini (non c'è menzione di che cosa ci possa essere stato
    prima degli insetti primari o di che cosa verrà dopo dell'uomo attuale).
    Ognuno di questi diversi esseri fu - l'uomo, è - dotato di una sua
    intelligenza e sviluppò forme civili. Il passo da ogni Luna alla seguente
    significò la fine dell'habitat proprio di ognuno di loro, determinando non
    la loro scomparsa immediata, ma la loro involuzione degenerativa, che fece
    di loro prima degli esseri sinistri, maledetti e deformi e poi delle specie
    di robot animalizzati, prodromo della loro eventuale scomparsa fisica. Anche
    questo, alla lunga, è il destino dell'uomo, quale esso adesso è. Il Saurat,
    attraverso le sue analisi mitologiche, vorrebbe dimostrare che le religioni
    umane fanno riferimento ai giganti; e quelle che dovettero essere le
    religioni dei giganti, agli insetti.


    Gli sviluppi del Saurat sono straordinariamente interessanti; e in riguardo
    vale la pena di metterli a confronto con le idee di Edgar Dacqué. L''uomo',
    quale 'entelechia', potrebbe essere l'essere più antico di tutti i tempi -
    essere proprio 'eterno' o, meglio fuori dal tempo - e potrebbe manifestarsi
    in tanti modi diversi. Dacqué, come Scott-Elliot, immaginava come
    predecessore dell'Homo sapiens contemporaneo un essere in certo e qual modo
    'rettiliano'. E non c'è niente che vieti di ipotizzare un 'uomo-insetto'
    ancora più arcaico.


    2.3 La Luna arbitra dei destini umani


    2.3.1 Metafisica lunare


    Tutte le mitologie conosciute indicano la Luna come arbitro dei destini
    umani (57); ed è stato indicato che il 'regime notturno dell'immagine' è un
    archetipo fondamentale dell'immaginario umano - e signora della notte è la
    Luna (58). Le fasi della Luna hanno da sempre rivelato all'uomo la misura
    del tempo (59) e la misura in generale: la Luna è 'la madre della
    pluralità'; e non a caso nelle lingue indoeuropee l'etimologia della parola
    'Luna' coincide quasi sempre con quella di 'misura'. La qualità magica delle
    fasi lunari è sempre stata riconosciuta dagli umani; la Luna non è solo
    misura del tempo, ma promessa esplicita di eterno ritorno (60).


    Tutto nel cosmo è collegato, e questi legami ne formano la struttura: questo
    fu perfettamente capito dall'uomo tradizionale. E la Luna, in quanto norma
    dei ritmi, è la grande legatrice e tessitrice che mette insieme gli svariati
    piani cosmici: essa tesse la rete cosmica e quindi, di necessità, anche i
    destini umani. Non a caso essa, regina di tutte le cose viventi e guida dei
    morti, è spessissimo concepita come un enorme ragno dai popoli più
    eterogenei. E presso molte civiltà le Grandi Dee (generalmente trinitarie,
    inglobanti gli aspetti di Luna, Terra e Vegetazione) furono viste come
    padrone del tempo e del destino. La grande dea indù Kali deriva il suo nome
    da kala, tempo. Ma kala vuole anche dire nero - e il tempo è nero perché
    duro, irrazionale e senza pietà. Non a caso la Luna ha spesso assunto
    connotati tenebrosi (61) e la magia lunare è stata non di rado equiparata a
    forme particolarmente sinistre di goezia (62).


    Nel mondo sublunare - retto dal divenire, la cui misura è il tempo - niente
    è definitivo: e questo proprio in ragione del fatto di essere soggetto al
    tempo (63). E la Luna, reggitrice del tempo, è quindi causa (metafisica) di
    tutte le catastrofi che stravolgono il cosmo.


    3.2.3 Luna metafisica e Luna astronomica


    La 'scienza' contemporanea ha degradato la Luna (e non solo la Luna) a
    semplce oggetto (64). E, a parere dello scrivente, alla Welteislehre va
    riconosciuto il merito di avere fatto un tentativo di ridare alla Luna il
    ruolo suo proprio di 'tessitrice' e facitrice dei destini umani, sia pure
    dentro a un paradigma di tipo meccanicistico, di contro alla
    'scienza'cosiddetta ufficiale. In questo senso la Welteislehre fu e rimane
    un nobile monumento dell'ingegno europeo.


    Valgono un paio di osservazione a proposito della 'validazione' finale delle
    vedute scientificiste che sarebbe stata data dai voli spaziali - viaggio
    sulla Luna, sonde interplanetarie: (a) a diversi, non escluso lo scrivente,
    sarà parso strano che, se per davvero nell'ormai lontano 1969 si arrivò
    sulla Luna, il viaggio non sia stato ripetuto. Adesso, con gli ulteriori
    sviluppi che ci sono stati nei campi della metallurgia, della missilistica,
    dell'elettronica, dell'informatica, l'impresa dovrebbe essere molto più
    agevole e molto più a buon mercato; (b) le notizie che vengono date a
    proposito di 'sonde spaziali' sono saltuarie e poco convincenti. Trattandosi
    poi di cose interamente in mano americana, la faccenda è pochissimo
    rassicurante (65).


    Non avrebbe niente di strano che tutta la trafila del 'volo spaziale' sia
    stata fin dai suoi inizi una colossale montatura (66). Anche se una
    sicurezza definitiva in argomento non si potrà avere se non quando certi
    archivi vengano resi pubblici (il che non sarà tanto presto), se questo
    sospetto dovesse rivelarsi una realtà, si sarebbe smascherata una delle più
    imponenti falsificazioni storiche di tutti i tempi (67).

  8. #18
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    Cool Silvano Lorenzoni

    L'abbraccio mortale. Monoteismo ed Europa

    Stampabile da qui :

    Numero 59 del 01/03/2005

    www.uomo-libero.com


  9. #19
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    Predefinito Riferimento: Silvano Lorenzoni

    Gaudemus igitur: il buon Silvano c'ha omaggiato della sua biografia!

    http://www.archiviostorico.info/inde...2529&Itemid=12


  10. #20
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    Arrow Riferimento: Silvano Lorenzoni

    "AUTOBIOGRAFIA DI UN VENETO" é riportata integralmente nel mio 3d indicato su Lorenzoni aperto nel forum "STORMFRONT ITALIA"...
    Jenainsubrica , benvenuto! Grazie per il tuo messaggio di tempo fa sul mio blog di giovani.it , ti avevo ringraziato via hermes ma non so se avevi fatto in tempo a leggerlo perché dopo 1 settimana vengono cancellati automaticamente.
    Ho notato che si é iscritto pure Der Wehrwolf...


    Comunque ora riporto anche l'inizio (capitolo 1) del libro "Il Selvaggio" :





    "La moda culturale contemporanea impone la Weltanschauung evoluzionistica,
    secondo la quale ogni cosa ha la sua scaturigine in qualcosa di 'meno':
    dalla bestia all'uomo, dalla barbarie alla civiltà, ecc. Quindi anche nel
    selvaggio (ormai a ogni effetto pratico estinto, nella sua forma prisca,
    perché è stato obiettivo di etnocidio premeditato) si deve vedere l'immagine
    di quello che dovette essere l'antenato dell'uomo civile (modernisticamente:
    'quello che possiede un'avanzata tecnologia') - antenato che poi, in ragione
    di cause fortuite ambientali e mai dipendenti dalla natura intrinseca di
    alcuni umani che li avrebbe resi diversi da altri, in qualche posto si
    sarebbe 'evoluto' mentre in altri esso sarebbe rimasto allo stato
    originario.

    Secondo il punto di vista opposto, sostenuto validamente da diversi
    pensatori (sul lato storico si riverrà in dettaglio al Cap. 3 di questa I
    parte), nei selvaggi - nei cosiddetti Naturvölker, secondo la terminologia
    degli etnologi tedeschi dell'Ottocento, poi resasi di uso generale - si ha
    da vedere residui degenerati di genti che negli eoni del passato furono
    civili e che, come conseguenza di fatti non solo biologici o storici ma
    anche metabiologici e metastorici, presero la via della decadenza e
    dell'animalizzazione (cfr., in particolare, il Cap. 6 di questa I parte, i
    Capp. 1 e 2 della II parte e il Cap. 1 della III parte). Il selvaggio non
    verrebbe a essere, quindi, un uomo preistorico, ma post-storico.

    Lo scrivente, avendo appreso e fatto suo questo secondo punto di vista -
    pure condiviso da diversi notevoli studiosi - già all'inizio degli anni
    Settanta, non ebbe modo di rintracciare una trattazione sistematica
    dell'argomento: ed è del tutto probabile che essa non esista proprio. Egli
    si sobbarcò quindi l'onere di mettere insieme, attraverso decenni, spezzoni
    di informazione, usando l'insieme dei quali egli ha adesso proceduto alla
    stesura di questo libro che viene a essere, quasi sicuramente, l'unica opera
    che abbia la pretesa di affrontare questa problematica sotto ogni
    angolatura.

    Nella I parte si imposterà il problema in modo generale e facendo il punto
    di una serie di aspetti pertinenti a questo studio. Avendo fatto ciò, si
    renderanno esplicite e documentate due tematiche, fra loro non disgiunte e
    ambedue della massima importanza:

    (a) L'etnologia, interpretata in modo giusto, dimostra che presso i selvaggi
    rimane un'impronta del loro passaggio involutivo; e questo sarà affrontato
    nella II parte. Si prenderanno in considerazione gli aspetti linguistici,
    religiosi, culturali, psicopatologici, sanitari. Saranno ipotizzati i
    processi storici per il percorso discendente da un'umanità superiore a una
    inferiore, con riferimento a certe fenomenologie contemporanee che tali
    processi storici potrebbero rispecchiare. Questo, sarà portato a termine
    nella II parte.

    (b) Si vorrà dimostrare come adesso stia prendendo forma una condizione che
    potrebbe innescare, su scala planetaria, una morfologia sociale e culturale
    quale essa poté essere nella cosiddetta 'alta preistoria'. Adesso, dunque,
    ci si potrebbe trovare sull'orlo di un 'frattale nel tempo' che potrebbe
    avere luogo, storicamente parlando, anche molto presto (fatti pure i dovuti
    distinguo sulla qualità del tempo storico, cfr. il Cap. 5 di questa I
    parte). Questo, sarà l'assunto della III parte.

    Vale una nota sull'informazione di cui si possa disporre e della quale ci si
    deva accontentare. È certo che mai si disporrà di tutta l'informazione
    esistente (su qualsiasi argomento); e che anche se si potesse averla non
    basterebbero tre vite per leggerla e valutarla tutta. Bisogna perciò usare
    il proprio giudizio per decidere quando se ne ha a sufficienza per dare
    forma al proprio assunto. Letture mirate, scelte con criteri statistici
    validi - includendo la stampa quotidiana, che al giorno d'oggi è una fonte
    importantissima di informazione - risultano adeguate e, in numero
    ragionevole, servono a dare quella visione d'insieme che è quasi sempre
    sufficiente. Nel caso specifico dello scrivente, egli ha attinto anche alle
    sue esperienze e osservazioni personali fatte nel trascorso della sua
    permanenza pluridecennale nel 'Sud del Mondo'.

    Sandrigo (Vicenza),

    inverno 2003/2004.

    I PARTE. IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA

    CAP. 1. IL FATTO RAZZIALE

    1.0 Introduzione: il fatto razziale come fenomeno obiettivo

    Le caratteristiche pongidi (scimmiesche) di quasi tutti i selvaggi erano
    state descritte in modo ineccepibilmente obiettivo ed esplicito dagli
    studiosi seri di razziologia; e dopo che, nel 1945, in Europa - e non solo -
    calarono le tenebre, ci sono stati forse solo due autori, ambedue
    americanofoni, che possano essere classificati come ricercatori seri nel
    campo della razziologia: John Baker (1) e Carleton Coon (2), alle cui opere
    si farà spesso riferimento nel corso di questa trattazione. Essi furono
    studiosi seri nel senso che il loro obiettivo fu quello di descrivere
    scientificamente i fatti razziali e non di 'dimostrare' -
    'scientificamente', è chiaro - che il medesimo è inesistente, in obbedienza
    alla pressione della moda culturale contemporanea e alla convenienza di non
    mettersi contro coloro da cui dipendono stipendi e prestigiose posizioni.
    Carleton Coon pagò la sua onestà intellettuale con l'esclusione dal posto di
    lavoro e il silenzio mediatico nei suoi confronti (3). Ma il 'caso Coon' non
    è certo unico: moltissimi sono stati gli scienziati che per essersi messi
    contro la dogmatologia imperante hanno pagato caramente le loro coraggiose
    prese di posizione (4). E di dogmatologia si può parlare a buon diritto: in
    America si sta meditando di togliere i fondi agli specialisti della genetica
    del comportamento con il pretesto che le loro ricerche potrebbero fomentare
    il 'razzismo' (5).


    Il problema della vera natura del selvaggio va abbinato alla fenomenologia
    delle razze umane (6). Quindi, si può iniziare la trattazione del nostro
    soggetto a una disamina del fatto razziale e della sua realtà. Da notarsi
    che, dal punto di vista strettamente biologico, alla stessa specie (non alla
    stessa razza) appartengono tutti quegli individui che sono interfecondi
    (cioé: il meticciato è fra di loro possibile e il meticcio è a sua volta
    fecondo); quindi, a buon diritto, si può parlare di una specie (non di una
    razza) umana, costituita dall'ecumene di tutti quegli individui incrociabili
    con un dato gruppo (umano) scelto come 'indicatore' (standard) di ciò che si
    deve intendere per 'umano' (e all'interno di questa 'umanità' la biologia
    distingue razze e sottorazze, come fa con qualsiasi altra specie animale o
    vegetale - in riguardo, un ottimo riferimento è l'appena citato John Baker).
    Qui, premesso che il problema della razza (si veda più avanti, in
    particolare il Cap. 2 di questa I parte e il Cap. 2 della III parte) è non
    solo biologico ma anche, e forse soprattutto, metabiologico, sia ricordato
    che, in fondo, quando si voglia prescindere da ogni riferimento metafisico,
    a volere circoscrivere l''umano' non ci si può aggrappare a niente di più
    solido che definire come tale colui che sia accettato come 'umano'
    all'interno di una comunità che a sua volta si autodefinisce umana (7). Si è
    davanti a una situazione analoga a quella che Ludwig Wittgenstein (8) aveva
    incontrato nel suo studio del linguaggio, non potendo concludere di meglio
    che il 'significato' di una parola è quello che a essa scelgono di
    attribuire coloro che la usano.


    Adesso, gli aderenti e i sacerdoti dell'establishment 'democratico' aggirano
    il problema seguendo due angolature diverse: (a) la prima, più rozza, è
    quella di ammettere che le razze umane esistono ma che si tratta di fatti
    esclusivamente morfologici senza alcun connotato psicologico o di capacità
    intellettuale o di prestazione; (b) la seconda, più 'scientifica', è quella
    di negare la razza senza mezzi termini, presentando il fenomeno razziale,
    quale esso si manifesta nella realtà percepibile, come una specie di 'fata
    morgana'. Ambedue queste pretese saranno brevemente esaminate.


    Per quel che riguarda il caso (a) , invariabilmente si fa dell'eccezione la
    regola - "ho conosciuto un negro/un boscimano/un australiano così
    intelligente" - senza poi rendersi conto, in buona o in cattiva fede, che
    quel selvaggio "così intelligente" sembra essere tale soltanto perché è
    valutato contro un Hintergrund di suoi simili che 'così intelligenti' non
    sono di certo. Quanto quel selvaggio 'così intelligente' riusciva a fare,
    sarebbe stato più o meno quello che qualsiasi europeo o nord-est-asiatico,
    magari di bassissima capacità (valutata in confronto ad altri europei o
    nord-est-asiatici, magari addirittura 'mongoloide'), sarebbe stato
    agevolmente capace di fare. E comunque, Rémy Chauvin, etologo-principe,
    assieme a Konrad Lorenz, della seconda metà del secolo XX, ci assicura che a
    qualsiasi animale si può insegnare a fare praticamente qualsisi cosa, basta
    mettercisi d'impegno (9): nei primi anni del secolo XX uno spagnolo, certo
    Leopoldo Lugones, aveva insegnato a uno scimpanzé a parlare con linguaggio
    umano - la povera bestia, che si spaventava al suono della sua nuova voce,
    morì presto per effetti nervosi (10).


    Molto più calzanti sono state osservazioni fatte da persone non obnubilate
    da lavaggi cerebrali in senso 'ugualitarista' (11). Valga un ottimo esempio,
    tolto dal 'taccuino personale' dello scrivente: una distinta signora di
    origine est-europea, che lo onorò della sua amicizia, gli riferì (12) come
    essa, preposta a certi lavori di giardinaggio artistico, si doveva servire
    del lavoro di una squadra di selvaggi ('inciviliti') dai quali lei, a
    differenza di tanti altri europei che il medesimo tipo di manodopera
    dovevano utilizzare, riusciva a ottenere delle buone prestazioni - e qusto
    essa lo attribuiva ad avere messo a profitto dell'esperienza ottenuta nella
    sua terra d'origine dove era stata insegnante in un'istituzione per
    deficienti mentali (13).


    Il caso (b) è solo apparentemente meno grossolano, perché qui ci si spaccia
    per 'scienziati'; e al giorno d'oggi chi parla in nome della 'scienza'
    (quella ufficiale, che fa il buono e il cattivo tempo nelle cattedre
    universitarie e che gode delle casse di risonanza mediatiche) ha sempre
    ragione. Un vizio di questa 'scienza' è quello di fare continuamente
    confusione - generalmente in cattiva fede - fra la realtà fattuale, o
    presunta tale, e l'apparato matematico utilizzato per descriverla. Anzi, la
    simbologia matematica e le montagne di dati opportunamente 'macinati' usando
    il calcolatore elettronico vengono presentati come la realtà 'reale', mentre
    quello che si vede, palpa e ode non viene a essere se non una specie di
    fantasma - quando la realtà non coincide con l'output del calcolatore
    (opportunamente programmato per dare risultati che non urtino con la moda
    culturale), tanto peggio per la realtà. Adesso, l'establishment
    'scientifico' ha messo mano a una struttura miracolosa (14), il cosiddetto
    DNA, dalle proprietà della quale deriverebbe tutto ciò che è vivente (15) -
    quindi, si pontifica, siccome le differenze statistiche (magari stabilite ad
    hoc per 'dimostrare' certe tesi) fra il DNA di diverse razze sono inferiori
    a determinati limiti, esse 'scientificamente' sono indistinguibili. (Sia qui
    riportato che con questo argomento ci è stato chi ha voluto includere le
    scimmie antropomorfe fra gli umani [16].)


    Non a caso, nei testi seri di razziologia - prima della guerra, soprattutto,
    ma anche dopo, tipo quelli dei già citati John Baker e Carleton Coon, ma
    anche il gesuitico ma onesto antropologo Vittorio Marcozzi (17) - nel
    descrivere i diversi tipi razziali accompagnavano il testo da immagini
    fotografiche che permettevano al lettore di di orientarsi quando dovesse
    giudicare a quale razza potesse appartenere un qualche individuo che gli
    stesse davanti. Adesso si danno 'mappature di DNA' cha a nessuno possono
    servire da guida pratica (non solo ai 'non iniziati': letteralmente a
    nessuno). Un libro particolarmente squallido - ma illustrativo per quel che
    riguarda questo argomento - è stato recentemente pubblicato da due
    conosciuti tromboni dell'establishment, certi Luigi Cavalli-Sforza e Alberto
    Piazza (18); secondo i quali la razza (per loro un fatto esclusivamente
    somatico: l'intellligenza, invecece, dipende da molti geni che non c'entrano
    con quelli che determinano la 'razza' e quindi fra le due cose non ci può
    essere alcuna correlazione) dipende solo da una piccolissima parte del
    genoma e riflette soltanto l'ambiente in cui le diverse stirpi umane sono
    vissute negli ultimi 100.000 anni (già, l'uomo, per forza, non può esistere
    se non da 100.000 anni ed essersi 'evoluto' darwinisticamente - cfr. il Cap.
    4 di questa I parte). Ne concludono (difficilmente potrebbero continuare a
    tirare il loro stipendio se concludessero diversamente, vedi più sopra cosa
    successe a Carleton Coon) che "la razza, scientificamente, non esiste più",
    che "la purezza della razza non è un vantaggio ed è la più stupida proposta
    che sia stata fatta" e che si prevede il meticciato universale, fatto molto
    conveniente dal punto di vista 'genetico'. A questo punto vale la pena di
    citare quanto asserito dagli autori neomarxisti Michael Hardt e Antonio
    Negri (19) secondo i quali (in ragione dei progressi riduzionisti della
    biologia, che di tutto fanno 'mappature di DNA'), viene non solo a cadere il
    fatto razziale, ma anche la distinzione fra uomo, animale e cyborg (essere
    metà biologico e metà meccanico/elettronico) - si potrebbero aggiungere,
    perché no, anche le piante a questo elenco (20). E siccome gli appena citati
    Luigi Cavalli-Sforza e Alberto Piazza raccomandano il meticciato, si
    potrebbe aggiungere che l'incrocio con animali e piante, sicuramente
    eseguibile con tecniche OGM, potrebbe essere il prossimo passo verso uno
    straordinario miglioramento della cosiddetta umanità.

    (...)

    1.2 Distribuzione delle razze: il meticciato

    1.2.0 Introduzione

    Si vuole adesso fare riferimento ai risultati dell' antropologia
    geografica - la geoantropologia - quali essi sono stati sistematizzati dagli
    antropologi fisici (e solo marginalmente psicoantropologi) più seri. Si fa
    riferimento soprattutto al lavoro di Roberto Biasutti (29) e di Egon von
    Eickstedt (30) - proseguiti validamente, dopo la guerra, da Vittorio
    Marcozzi (31). Salvo indicazioni in senso contrario, il materiale empirico
    utilizzato in quel che resta di questo capitolo è tratto dai lavori di
    questi tre autori. Quanto sistematizzato qui sotto è della massima
    importanza, come riferimento empirico, per quanto si avrà da dire al Cap. 3
    di questa I parte e, in generale, in quanto segue di questo libro.


    È ovvio che allo studio della distribuzione delle razze si deve anteporre
    una loro classificazione; problema che si rivela complesso e che, in questa
    sede, non sarà discusso in dettaglio (il lettore interessato si riferisca ai
    testi specialistici originali). - La più antica delle classificazioni,
    quella di Arthur de Gobineau (32) (fatta verso la metà dl secolo XIX), per
    quanto piuttosto semplicistica ('bianchi', 'gialli', 'neri'), aveva già
    allora colto il nocciolo del problema. Quando si dia uno sguardo 'dall'alto'
    alla distribuzione razziale umana su scala globale, senza badare a distinguo
    eccessivamente sottili, ci si rende conto che la 'semplicistica'
    classificazione del de Gobineau era abbastanza azzeccata.




    1.2.1 Distribuzione delle razze


    Indipendentemente da qualsiasi classificazione dettagliata delle diverse
    tipologie umane, la distribuzione della specie Homo sapiens su scala globale
    presenta il seguente aspetto:


    (a) Un ecumene 'settentrionale'/boreale/artico - il Nord del Mondo - il
    'mondo civile'-, nel quale troviamo tipi e individui umani dotati di alta
    potenzialità intellettiva e creatrice, facitori di civiltà e di storia.
    Siamo davanti a quelle che Gaston-Armand Amaudruz (33) chiamò le grandi
    razze e Silvio Waldner (con espressione mutuata da Umberto Malfronte) le
    'razze di cultura' (34).

    (b) Un ecumene 'meridionale'/australe - il Sud del Mondo - nel quale
    troviamo tipi umani pochissimo dotati dal punto di vista intellettivo e
    creativo, dall'intelligenza larvale e la pelle scura. Siamo davanti alle
    'razze di natura' di Julius Evola e di Silvio Waldner (35).

    Naturalmente, le 'zone d'ombra' non mancano, ma la visione d'insieme è
    esatta. E, fatta questa constatazione, emerge subito un problema
    metodologico che ancora non ha trovato soluzione (e difficilemente la potrà
    avere, almeno se vogliamo seguire soltanto gli indirizzi della scienza
    'positiva', sia pure in modo ineccepibilmente onesto e rigoroso). Mentre nel
    caso delle razze di cultura l'identificazione è (abbastanza) agevole, dal
    punto di vista sia morfologico che psicoantropologico - una razza europide
    ('bianca') e una nord-est-asiatica ('mongoloide/gialla') -, il Sud del Mondo
    presenta un'incredibile varietà e confusione; tutta una fantasmagoria di
    tipologie diverse che in comune, molto spesso, non hanno se non la brutalità morfologica e l'infimo livello culturale. Ci si trova confrontati con un
    genuino liquame genetico all'interno del quale è certamente difficile
    raccapezzarsi: ma i tentativi fatti per trovare dei fili conduttori hanno
    portato a ulteriori importanti sviluppi.




    1.2.2 Il meticciato come meccanismo di formazione di nuove razze


    Ancora nell'anteguerra si era affacciata l'idea che il meticciato potesse
    essere un meccanismo formante di nuove razze. Date due (o più) razze che,
    almeno come ipotesi di lavoro, sono presupposte 'pure', che vengono a
    coabitare per lunghissimo tempo in determinate proporzioni numeriche in una
    medesima area geografica all'interno della quale esse si mescolano, sempre
    fra di loro, senza che ci siano altri apporti esterni che ne modifichino le
    proporzioni originali o che introducano altre componenti genetiche, alla
    lunga viene a formarsi quella che, a buon diritto, può essere chiamata una
    'nuova razza'. Questa nuova razza presenterà una media dei caratteri delle
    razze formanti, in modo uniforme e senza quegli sbalzi statistici estremi da
    individuo a individuo che ci sono nelle fasi iniziali del meticciato. Così,
    si può parlare di una 'razza etiopica' - o 'camitica', secondo la
    terminologia dell'anteguerra -, misto europide-negroide; e di una razza
    'indostana', misto europide-australoide; ambedue razze che, in ragione della
    prevalenza dei caratteri europidi venivano e vengono, qualche volta,
    classificate come varianti di una (malamente definita) 'razza caucasoide',
    nella quale si ammucchiavano tutte le fenomenologie razziali che in qualche
    modo potessero ricordare l'europeo. - A puntare l'attenzione sul fatto
    'meticciato' sono stati, dopo la guerra, soprattutto i già citati Carleton
    Coon e John Baker.


    Nell'anteguerra - ma anche il già citato Vittorio Marcozzi - si esercitava
    una notevole flessibilità nel classificare il fatto razziale, con la
    conseguenza che si attribuiva una 'razza' particolare a tutta una pletora di
    raggruppamenti umani. - Quando invece si metta a fuoco il fenomeno del
    meticciato come meccanismo-principe per la genesi di nuove razze, insorge
    naturalmente la domanda di quali veramente devano essere le razze standard
    dalle quali si devano prendere le mosse per poter dire che altri tipi umani
    sono il risultato di 'incroci stabilizzati' (questo argomento, di notevole
    importanza, sarà sfiorato nella prossima sezione).


    Il fatto che il meticciato sia e sia stato il più probabile 'motore' per la
    genesi di nuove razze - soprattutto nel Sud del Mondo - è nel contempo
    strano e conturbante. Questo fenomeno, storicamente, si è sempre dato quando
    razze diverse si sono trovate a condividere lo stesso territorio; eppure,
    invariabilmente, esso è sempre stato visto come qualcosa 'contro natura'.
    Delle indicazioni in riguardo sono date da Julius Evola (36) - ma cfr. anche
    Silvio Waldner (37) -, mentre John Baker (38) ci assicura che nella mancanza
    di preferenza sessuale esclusiva per partner della propria razza,
    presupposto necessario per il meticciato, si deve vedere un genuino fenomeno di bestialità. E addirittura nell'estremo meridionale del Sud America, fra gli ormai estinti indigeni della zona, il cosiddetto guaicurú - incrocio fueghino-tehuelche, quindi un meticcio molto relativo - era visto come un
    mostro, sia dai fueghini che dai tehuelche (39)."





    14 Words! - Holuxar
    ADDIO GIUSEPPE, amico mio, sono LUCA e nel mio CUORE sarai sempre PRESENTE!
    «Réquiem aetérnam dona ei, Dómine, et lux perpétua lúceat ei. Requiéscat in pace. Amen.»

    SURSUM CORDA - HABEMUS AD DOMINUM!!! A.M.D.G.!!!

 

 
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