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    Predefinito L'O.R. esalta la figura del "riformatore" Calvino

    Nella Pléiade le opere di Calvino a cinquecento anni dalla nascita

    Il riformatore che disincarnò l'Incarnazione

    di Alain Besançon


    Pochi francesi hanno lasciato un'impronta duratura, visibile e riconosciuta sulla faccia della terra. Non penso a quelli che hanno lanciato una moda intellettuale e artistica, perché ce ne sono molti. E neppure a quelli che fanno parte dei classici dell'umanità, come Montaigne, Pascal, Balzac, Cézanne e molti altri. Penso solo a quanti hanno spinto una parte dell'umanità europea a deviare dal suo cammino storico abituale, che hanno avuto la forza di imprimerle un'altra direzione. Non ne vedo che due: Rousseau, senza dubbio, che ha rimodellato il XIX secolo, e anche il XX, ma ancora di più Calvino (10 luglio 1509 - 27 maggio 1564). Proprio perché era straordinario, non c'era finora nella collezione più apprezzata dei classici francesi un volume di Calvino. L'opera completa di Rousseau è stata pubblicata da tempo. Lutero ha già un volume. Ecco dunque finalmente Calvino nella Pléiade (Calvin, Oeuvres, édition établie par Francis Higman et Bernard Roussel, Paris, Gallimard, 2009, pagine 1432, euro 45).
    Si è potuto sostenere che senza Calvino la riforma luterana sarebbe rimasta una questione tedesca e a lungo andare avrebbe potuto essere riassorbita. Dopo tutto l'offensiva cattolica, all'inizio del XVII secolo aveva già ristabilito la gerarchia nei porti del Baltico, appena prima della fulminea controffensiva svedese, sovvenzionata da Richelieu. Ci furono riavvicinamenti per tutto il XVII secolo. Bossuet e Leibniz li sognavano, Bach non aveva problemi a mettere in musica messe. Nulla di simile con i calvinisti, severamente separati, come da un muro.
    Fu piuttosto sotto la forma calvinista che sotto quella luterana che la Riforma avanzò in Polonia e in Ungheria. In Francia il partito calvinista arrivò quasi a impadronirsi dello Stato monarchico, e anche dopo la notte di San Bartolomeo, che lo decapitò, poté ancora sostenere trent'anni di guerra e non fu mai eliminato.
    La forza del calvinismo sta nell'avere diffuso il suo modello di cristianesimo nelle aree più progredite, l'Olanda, la parte più dinamica dell'Inghilterra, la Scozia, e infine, e soprattutto, gli Stati Uniti. In Olanda, mi diceva un collega che vi ha vissuto a lungo e che ha ascoltato dal Nunzio questa battuta, il paesaggio religioso oggi è diviso tra i calvinisti protestanti, i calvinisti cattolici, i calvinisti ebrei, i calvinisti liberi pensatori. Tanto è profonda l'impronta lasciata dal riformatore francese.
    Non entrerò nell'immensa letteratura a lui dedicata. Tutt'al più vorrei sfatare alcuni pregiudizi comuni.
    Data la violenza delle polemiche rivolte contro di lui, non è inutile affermare che Calvino è un cristiano. Egli aderisce pienamente ai simboli di Nicea e di Costantinopoli. Professa di credere nella Chiesa una, santa, cattolica (preferisce dire universale) e apostolica. Crede nella Trinità, al peccato originale e a quello attuale, alla salvezza attraverso Gesù Cristo. Sebbene non voglia che si preghi la Madre di Dio, la onora e crede fermamente alla sua verginità perpetua. Mantiene due sacramenti, il Battesimo e la Cena. Contrariamente a ciò che a volte si dice, crede nella presenza reale, anche se non ammette la concezione cattolica della transustanziazione.
    In materia dogmatica, Calvino, di una generazione più giovane di Lutero, è un luterano, puro e semplice. A Strasburgo, in ambito riformato, dove ha acquisito le sue convinzioni definitive, ha aderito pienamente, e senza nulla cambiare, ai due principi della giustificazione per fede, (sola fide, sola gratia) e della sovranità della Bibbia (sola scriptura). Sono due principi che il concilio di Trento, troppo tardi, purtroppo, poiché la rottura era già avvenuta, ha riconosciuto che potevano essere accolti nell'ortodossia.
    Se vi è un punto a partire dal quale si percepisce meglio che Calvino si discosta dalla tradizione cattolica, e va persino più lontano di Lutero, è il suo iconoclasmo determinato che non immaginava potesse essere alla radice di una divergenza grave. Non sopportava il coacervo di tutto quello che si era accumulato nelle chiese del suo tempo, immagini troppo venerate, reliquie dubbie, nelle quali vedeva non senza ragione una ricaduta nell'idolatria. Ma facendo profonda pulizia nei templi, e, nello stesso tempo, tagliando nel folto delle tradizioni dogmatiche, espellendo il vasto magma delle devozioni popolari, non credo che si sia reso conto di alterare il dogma dell'Incarnazione, che, tuttavia, non cessava di professare in modo sincero. Lo spingeva verso l'astrazione, lo estenuava. Lo intellettualizzava. Disincarnava l'Incarnazione. Nell'Istituzione cristiana, lo espone more geometrico. S'inseriva così nella grande corrente dell'individualizzazione del rapporto con Dio, sorta all'inizio del XIV secolo, e che non ha smesso di affermarsi fino a oggi. Individualismo, rapporto personale, autonomo, con Dio, la società, lo Stato, la Legge: è con tutta la modernità che Calvino era anticipatamente in sintonia. E pure con la razionalizzazione, sebbene vi fosse in lui anche un'alta ispirazione mistica (cfr. C.A. Keller, Calvin mystique, 2001). Da parte mia credo che questa sia molto forte, sebbene Calvino diffidi di essa e la nasconda il più possibile. Io la percepisco persino in Kant.
    Lutero era stato incapace di fondare una vera Chiesa. Ne aveva affidato la guida ai principi. Nella sua speranza di far nascere una cristianità più pura e più perfetta di quella con la quale rompeva, riteneva che il principe cristiano avrebbe potuto esserne il "vescovo naturale". Calvino non condivide questa illusione. Egli fonda un sistema ecclesiale compenetrato nella società civile e allo stesso tempo sufficientemente indipendente, sottoposto da un lato al magistrato legittimo, ma dall'altro, capace di tenerlo a distanza e di influenzarlo. L'organizzazione calvinista è una creazione geniale. Essa è capace di adattarsi alla monarchia, spingendola verso l'accettazione della rappresentanza; al patriziato delle città moderne, il suo ambito favorito; alle repubbliche aristocratiche; alle repubbliche democratiche. Resiste agilmente a tutti i cambiamenti e le rivoluzioni della modernità. La sua superiorità storica - voglio dire la sua efficacia - è patente, paragonata alla rigidità autoritaria del mondo luterano. E naturalmente paragonata all'immensa, alla complessa, all'antica organizzazione cattolica, così difficile da muovere.
    Nella dottrina calvinista c'è un punto celebre, la predestinazione. Suppone che Dio assegni liberamente ogni uomo alla salvezza o alla condanna, ancor prima del peccato originale che lo ha radicalmente corrotto e che gli fa meritare, con tutti gli altri, in piena giustizia, la dannazione eterna. Dottrina che Calvino stesso giudicava "dura". Ma bisogna intenderla, da parte del cristiano che vi aderisce, come un affidarsi con totale fiducia a Dio. Come una pienezza dell'abbandono alla provvidenza divina. Di modo che, una volta compiuto questo passo supremo dell'atto di fede, il fedele sente e sa di far parte dei predestinati alla salvezza. Superata questa prova, che si può paragonare a quella di Abramo al momento di sacrificare suo figlio, il calvinista si sente in possesso della sua salvezza. È ormai tranquillo. Può e deve occuparsi della santificazione del mondo alla quale è chiamato, con un sentimento di riconoscenza dovuta e fervente a quel Dio che l'ha salvato gratuitamente. È un'occupazione a tempo pieno che non lascia troppo spazio all'arte e alla speculazione. Lutero confondeva la giustificazione e la santificazione, Calvino le distingue e le ordina l'una all'altra. La dottrina della predestinazione supralapsaria ("precedente la caduta") è stata ormai abbandonata dalla maggior parte delle comunità della tradizione calvinista, ma non da tutte. La confortante certitudo salutis è sempre lì.
    Ritorniamo ora all'edizione che ci propone la Pléiade. Nella bibliografia noto che la sola edizione completa delle opere di Calvino è quella pubblicata in Germania fra il 1863 e il 1990, in non meno di 52 volumi. I grandi riformatori non scioperavano. Un'altra edizione è in corso dal 1992 presso Droz. Le edizioni scelte in francese non hanno l'aria di essere numerose, e neppure abbondanti.
    Una decisione meraviglia. Non si trova nella Pléiade il testo più classico di Calvino, l'Istituzione della religione cristiana, né quello del 1536 in latino - Calvino ha ventisei anni - e neppure quello del 1541 in francese. Calvino rielaborò la propria opera fino alla sua morte. Le edizioni correnti che ci si può procurare oggi, e che non sono critiche, si fondano su quella del 1560. Se la Pléiade non ha ritenuto utile pubblicare il compendium canonico del pensiero calvinista, è, suppongo, perché lo si può trovare facilmente altrove. Non include neppure un altro testo fondamentale, ossia il Catechismo detto di Ginevra, pubblicato in francese nel 1542. Il volume, forse il più raro che ho fra le mani, è stato pubblicato in Sud Africa, dove si è conservato il calvinismo più rigoroso.
    L'interesse degli editori, Francis Higman e Bernard Roussel, non sembra centrato sulla teologia di Calvino, ma sulla sua persona, il suo pensiero, la sua vita, il suo stile. La loro prefazione è un modello di concisione e di precisione. Essi hanno trovato il modo di risolvere in poche righe il problema lasciato da Max Weber. Offrono una interpretazione convincente sulla natura del regime ginevrino, non così teocratico come si crede, visto che i magistrati civili mantenevano il controllo. Sulla presunta "cattiveria" di Calvino. Sulla lingua e sulla grafia, adottata in questa edizione. Trung Tran dà tutte le spiegazioni necessarie. Le note abbondanti, erudite, necessarie, occupano un terzo del volume.
    La materia è suddivisa così. Je n'ai pas cherché à plaire ("Non ho cercato di piacere") riunisce le prime lettere di Calvino (a Louis du Tillet, e in particolare a Sadoleto) che danno un'idea della sua formazione e del suo carattere dalla sua nascita in Piccardia ai suoi studi di diritto all'università di Orléans. Segue una selezione di commenti biblici. Calvino ha commentato instancabilmente le Scritture. Pronunciava circa 250 sermoni all'anno, che duravano ognuno un'ora abbondante e che sono per la maggior parte spiegazioni bibliche. Sulla dottrina: l'Istituzione e il Catechismo sono sostituiti da altri testi, come il Piccolo trattato della santa Cena, la Dichiarazione per mantenere la vera fede, la Breve risoluzione sui sacramenti.
    Calvino ha lottato su tutti i fronti. Contro i papisti, soprattutto, ma anche contro i "nicodemiti" (quelli che cercavano un compromesso con Roma) e contro i battisti. La fede battista è quella che viene chiamata "riforma radicale", quella che fa a meno di un'organizzazione ad ampio raggio d'azione e di pastori regolarmente ordinati. I battisti furono oggetto nel secolo della Riforma di una caccia spietata a cui parteciparono protestanti e cattolici. Nonostante questi massacri spaventosi, li ritroviamo oggi in piena forma negli Stati Uniti, dove il loro numero supera di gran lunga quello di tutte le altre denominazioni protestanti, calvinisti compresi. Hanno conservato vive la logica e l'essenza dello spirito calvinista.
    Il volume termina con gli ultimi scritti testamentari di Calvino. Come si sa, volle essere seppellito in modo così discreto e semplice che non si sa dove si trovi esattamente la sua tomba nel cimitero di Ginevra. Come Mosè.
    Lo studio sulla lingua di Calvino occupa un grande spazio in questo volume. A buon diritto. L'ho praticata un po'. Ho fatto un po' fatica a entrarvi, ma poi sono stato affascinato da questa lingua marmorea, atemporale. Eccone i principi, da Calvino stesso esposti nel suo Trattato contro gli anabattisti: "Esporre e dedurre le materie distintamente e con un certo ordine, chiarire un punto dopo l'altro. Soppesare bene e guardare da vicino le frasi della scrittura per estrarne il senso vero e naturale. Servirsi di una semplicità e rotondità di parola che non sia lontana dal linguaggio comune. Io cerco di disporre in ordine ciò che dico, al fine di permetterne una più chiara e più facile comprensione". Era una novità. All'epoca, tutti ammiravano lo stile di Calvino, il suo "miele", anche se, per i cattolici, era un miele "avvelenato". Quello che mi colpisce è che il programma retorico di Calvino precede e annuncia il programma metodologico di Cartesio. Siamo nello stesso clima di pensiero.
    Un clima francese abbastanza tipico, o piuttosto uno dei climi francesi. Rousseau, l'altro autore decisivo, è di un altro clima.

    Fonte: L'Osservatore Romano, 3.7.2009

  2. #2
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    Predefinito Riferimento: L'O.R. esalta la figura del "riformatore" Calvino

    Sono senza parole!!!!
    Ma cosa si sono fumati all'Osservatore Romano???? Cambino spacciatore che è meglio...
    E i decreti dei Concili Ecumenici e i documenti papali? e i martiri cattolici uccisi o fatti uccidere dai figli di Calvino? e le parole di Cristo, di Giovanni, di Paolo sui finti evangelisti, sui finti profeti e sull'anticristo?
    Che fine fanno?
    Ma con tutti i filosofi, teologi, scrittori noti e meno noti che abbiamo, ma proprio Calvino dovevano andare a pescare?
    Sto combattendo la Buona Battaglia, sto proseguendo la Corsa, sto tentando di conservare la Fede

    Sono un clandestino nel Regno dei Cieli

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    Predefinito Riferimento: L'O.R. esalta la figura del "riformatore" Calvino

    Citazione Originariamente Scritto da robdealb91 Visualizza Messaggio
    Sono senza parole!!!!
    Ma cosa si sono fumati all'Osservatore Romano???? Cambino spacciatore che è meglio...
    E i decreti dei Concili Ecumenici e i documenti papali? e i martiri cattolici uccisi o fatti uccidere dai figli di Calvino? e le parole di Cristo, di Giovanni, di Paolo sui finti evangelisti, sui finti profeti e sull'anticristo?
    Che fine fanno?
    Ma con tutti i filosofi, teologi, scrittori noti e meno noti che abbiamo, ma proprio Calvino dovevano andare a pescare?
    Il pesce - diceva Padre Pio - puzza dalla testa. hefico:

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    Predefinito Riferimento: L'O.R. esalta la figura del "riformatore" Calvino

    Il Vaticano riabilita Calvino

    “Straordinario riformatore”
    L’elogio sulla prima pagina dell’Osservatore romano


    GIACOMO GALEAZZI


    CITTA’ DEL VATICANO
    «Calvino meglio di Lutero». Il Vaticano «riabilita» il Grande Eretico nel cinquecentenario della sua nascita. Sulla prima pagina dell’Osservatore romano, l’accademico di Francia Alain Besançon elogia lo «straordinario» riformatore. «Malgrado la violenza delle polemiche rivolte contro di lui, Calvino è un cristiano - riconosce il quotidiano della Santa Sede - . L’organizzazione calvinista è una creazione geniale, capace di adattarsi alla monarchia, spingendola verso l’accettazione della rappresentanza, al patriziato delle città moderne, alle repubbliche aristocratiche e a quelle democratiche. Resiste a tutti i cambiamenti e le rivoluzioni della modernità. La sua superiorità storica, la sua efficacia sono evidenti, se paragonate alla rigidità autoritaria del mondo luterano e all’antica organizzazione cattolica così difficile da muovere».

    Lutero, evidenzia l’Osservatore, «era stato incapace di fondare una vera Chiesa. Ne aveva affidato la guida ai prìncipi e, nella speranza di far nascere una cristianità più pura e più perfetta di quella con la quale rompeva, riteneva che il principe cristiano avrebbe potuto esserne il “vescovo naturale”». Calvino, invece, «non condivide questa illusione e fonda un sistema ecclesiale compenetrato nella società civile ma indipendente, sottoposto al magistrato legittimo, però in grado di tenerlo a distanza e di influenzarlo». Inoltre, da padre della riforma protestante, «fece profonda pulizia nei templi, tagliò nel folto delle tradizioni dogmatiche, espulse il vasto magma delle devozioni popolari, ma senza cessare di professare sinceramente il dogma dell’Incarnazione».

    Insomma «pochi hanno lasciato un’impronta altrettanto duratura, visibile e riconosciuta sulla faccia della terra», rimarca Becançon accomunando il riformatore a Rousseau «che ha rimodellato il XIX e XX secolo». La forza del calvinismo «sta nell’avere diffuso il suo modello di cristianesimo nelle aree più progredite: Olanda, Inghilterra, Scozia, Stati Uniti». Calvino aderisce pienamente ai simboli di Nicea e di Costantinopoli. Professa di credere nella Chiesa una, santa, cattolica (anche se preferisce dire «universale») e apostolica. Crede nella Trinità, nel peccato originale, nella salvezza attraverso Gesù Cristo. Sebbene non voglia che si preghi la Madre di Dio, la onora e crede fermamente alla sua verginità perpetua. Mantiene due sacramenti, il Battesimo e la Cena. Crede nella presenza reale, anche se non ammette la concezione cattolica della transustanziazione. Aderisce ai due principi della giustificazione per fede e della sovranità della Bibbia «che il concilio di Trento, troppo tardi, purtroppo, poiché la rottura era già avvenuta, ha riconosciuto che potevano essere accolti nell’ortodossia».

    Una coraggiosa rilettura di Calvino, come ci spiega la storica Lucetta Scaraffia, editorialista dell’Osservatore e promotrice di questa operazione, «in linea con la valorizzazione del patrimonio cristiano compiuta da Benedetto XVI e diretta a un rapporto profondo e senza compromessi con le Chiese protestanti, a partire dall’incidenza sull’Occidente delle originarie divisioni». E «senza paura di riabiliatare un eretico».

    Fonte: La Stampa, 3.7.2009

  5. #5
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    Predefinito Nella Chiesa cattolica si esalta Calvino!!!!

    Il significato dell'eredità di Giovanni Calvino

    A cinque secoli dalla sua nascita


    ROMA, venerdì, 17 luglio 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito un articolo di Pawel Andrzej Gajewski, Pastore della Chiesa evangelica valdese di Firenze, apparso sul tredicesimo numero di Paulus (luglio 2009), dedicato al tema “Paolo l’architetto”.

    * * *

    La teologia di Giovanni Calvino è solitamente identificata con la dottrina della doppia predestinazione (Dio ha diviso l’umanità intera in eletti e reprobi) e con un forte rigore morale che deriva da tale dottrina. Non vi sono dubbi che la dottrina della predestinazione e una visione morale della vita cristiana, basata sul continuo confronto con la parola di Dio, siano le colonne portanti del sistema teologico elaborato dal riformatore di Ginevra. Ma chi era Calvino e qual è il significato della sua eredità oggi? Egli era prima di tutto un attento esegeta delle sacre Scritture nonché un ottimo organizzatore della vita ecclesiastica. In questo senso, vorrei definirlo come seguace e interprete dell’apostolo Paolo. Una coincidenza particolarmente favorevole stimola tale approccio: l’Anno Paolino 2008/2009 celebrato nella Chiesa cattolica romana coincide con l’Anno di Calvino 2009, proclamato dall’Alleanza Riformata Mondiale. Questo organismo ecumenico riunisce più di ottanta milioni di credenti cristiani che leggono attentamente le Lettere di Paolo, considerando il pensiero di Giovanni Calvino un punto di riferimento assai importante per il confronto con le sfide del mondo di oggi.

    Alla scuola delle Scritture ebraiche

    La teologia o è biblica o non è teologia. Sembra che questa frase abbia molti padri, veri o presunti. In ogni caso, il suo contenuto è assai pertinente all’opera di Calvino. Sfogliando una qualunque rassegna bibliografica dei suoi scritti, scopriamo che la stragrande maggioranza delle opere pubblicate a stampa consiste in commentari biblici e raccolte delle predicazioni. Bisogna aggiungere che le predicazioni di Calvino si contano a migliaia (mediamente sei, sette sermoni ogni settimana); una parte di esse non è stata ancora censita e pubblicata. L’approccio di Calvino alle Scritture si basa su due semplici presupposti: la sostanziale unità dell’Antico e del Nuovo Testamento (o meglio: del Primo e del Secondo Testamento) e la centralità di Gesù Cristo per entrambi i Testamenti. In altre parole, per Calvino le Scritture ebraiche parlano chiaramente di Gesù Cristo. Questo particolare tratto della sua ermeneutica lo mette in diretto collegamento con l’apostolo Paolo. Tale collegamento si rende ancora più evidente quando consideriamo l’attenzione al senso letterale e al testo originale delle Scritture. Entrambi però, sia Paolo che Calvino, sono attenti alla contestualizzazione della rivelazione. In altre parole, Dio si rivela nella storia attraverso i linguaggi umani dell’epoca. I credenti delle epoche successive sono dunque chiamati a distinguere le forme linguistiche e retoriche dall’essenza del messaggio. Questo pensiero è espresso in maniera assai chiara all’inizio della Lettera agli Ebrei, uno scritto postpaolino in cui però il principio basilare dell’ermeneutica di Paolo compare a modo di preambolo: «Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2a). Nell’insieme dell’opera esegetica di Calvino merita una particolare attenzione la sua riflessione sui capitoli 9-11 della Lettera ai Romani, contenuta nel Commentario a questo scritto di Paolo. Calvino afferma con forza la validità dell’elezione e il ruolo particolare degli ebrei nel divino piano della salvezza di tutti i popoli. Senza alcun dubbio la celebre frase di Paolo in Romani 11,2 – «Dio non ha ripudiato il suo popolo, che ha riconosciuto già da prima» – costituisce uno dei cardini della riflessione di Calvino. In essa la Chiesa non sostituisce il Popolo d’Israele, bensì s’inserisce in una dinamica di continuità: «Chiesa d’Israele» e «Chiesa di Gesù Cristo» sono due espressioni usate assai spesso da Calvino. La coesistenza storica dei due popoli, dunque, fa parte del piano di Dio.

    Vivere in Cristo

    Se l’esegesi di Giovanni Calvino può essere definita cristocentrica, lo è ancor di più l’intero impianto teologico ed etico da lui costruito. Il centro di questo impianto è l’Istituzione della religione cristiana, una delle più importanti sintesi della dottrina cristiana, la cui struttura si basa su quella del Credo apostolico. La prima edizione di quest’opera risale al 1536; la quarta, che è anche la più ampia, al 1559. Una buona parte dell’opera è dedicata alla cristologia. In questa riflessione Calvino si concentra in particolare sull’incarnazione dell’eterno Figlio di Dio. Anche in questa riflessione Calvino segue le orme di Paolo, costruendo la sua riflessione su un’accurata analisi dei testi biblici. L’Istituzione della religione cristiana dimostra la piena adesione di Calvino al paradigma dogmatico affermato dal Concilio di Calcedonia (451) a proposito dell’unione ipostatica delle due nature, divina e umana, nella stessa persona del Figlio di Dio. Il metodo di Calvino, di fatto, sottopone però il dogma al vaglio della Scrittura e non viceversa. Un forte legame tra Calvino e Paolo si manifesta tuttavia sul piano esistenziale, nella determinazione di Calvino di anteporre Gesù Cristo al nostro pensare e al nostro vivere. Egli afferma: «Anche se ci separiamo di poco da Cristo, la salvezza svanisce [...], dove il nome di Cristo non risuona, ogni cosa diviene stantia» (Istituzione II,16,1). Calvino chiede che s’intraveda Cristo in ogni persona. Al cuore di questa visione c’è un impegno compassionevole in favore dell’amore, della giustizia, della cura responsabile e dell’ospitalità verso «le vedove, gli orfani e gli stranieri» coloro che sono indifesi, senza patria, affamati, soli, costretti al silenzio, traditi, impotenti, malati, spezzati nel corpo e nello spirito. È una visione particolarmente incisiva per la missione della Chiesa di Gesù Cristo in questo nostro mondo globalizzato e diviso al tempo stesso.

    La Chiesa di Gesù Cristo

    Nella prospettiva teologica di Calvino esposta nel quarto libro dell’Istituzione della religione cristiana, la Chiesa dipende interamente dalla presenza del Cristo vivente tramite la forza dello Spirito di Dio. Così avviene la comunione degli “amanti di Cristo” sia nella dimensione invisibile, sia in quella visibile. Calvino parla sempre della Chiesa visibile, e del suo ministero della parola e del sacramento (battesimo e cena del Signore), come di una comunità di credenti entro la quale la fede è nata, è stata nutrita e rafforzata tramite l’azione dello Spirito Santo. Lo stesso Spirito Santo ci unisce a Cristo, ispirandoci nella nostra comprensione della parola di Dio, illuminandoci e consacrandoci nella fede e raccogliendoci dentro la comunione della Chiesa. Il tratto particolare dell’ecclesiologia “pratica” di Calvino è l’organizzazione collegiale, in cui il ministero del vescovo viene esercitato da un organo comunitario (concistoro o sinodo). Allo stesso modo, nella comunità locale, la molteplicità dei ministeri (pastori/dottori, anziani/presbiteri e diaconi) posti sullo stesso piano sostituisce la centralità del ministero di un parroco. Si tratta indubbiamente di un’applicazione concreta dell’affermazione di Paolo: «Dio ha posto nella chiesa in primo luogo degli apostoli, in secondo luogo dei profeti, in terzo luogo dei dottori, poi miracoli, poi doni di guarigioni, assistenze, doni di governo, diversità di lingue» (1Cor 12,28). Questa definizione di Paolo è ancora oggi oggetto di attenti studi anche nelle chiese pentecostali. In ogni caso, la collegialità e la molteplicità dei ministeri come basi dell’organizzazione ecclesiastica sono oggi un patrimonio comune di tutte le chiese evangeliche. Concludendo queste note, ancora una domanda: è possibile trarre da Calvino qualche ispirazione ecumenica? Credo che la riposta debba essere affermativa. Il cospicuo e appassionato impegno di Calvino a favore dell’unità del corpo di Cristo si è giocato all’interno di una realtà ecclesiastica già frammentata. Nel mezzo della divisione egli ha riconosciuto l’unico Signore dell’unica Chiesa, sottolineando più volte che il corpo di Cristo è uno. Il pensiero di Calvino circa la natura della comunità cristiana, la sua volontà di compiere mediazioni per quanto riguarda questioni controverse, quali la Cena del Signore e gli instancabili sforzi di costruire ponti a ogni livello della vita della Chiesa, rappresentano una sfida per l’oggi. Calvino stimola le chiese a comprendere le cause della loro continua separazione e, in accordo con la Scrittura, a tendere verso l’unità per amore della credibilità del vangelo nel mondo di oggi.

    Pawel Andrzej Gajewski

    Pastore della Chiesa evangelica valdese di Firenze


    BOX: Tra ansia riformatrice e aspri conflitti

    Giovanni Calvino (Jehan Cauvin) nacque il 10 luglio 1509 a Noyon in Piccardia (Francia). Studiò filosofia, teologia, giurisprudenza e lettere a Noyon, Parigi e Orléans. Nel luglio 1536 pubblicò la prima edizione della sua celebre opera Istituzione della religione cristiana, iniziando la prima fase della sua opera riformatrice a Ginevra in un rapporto di stretta collaborazione con Guglielmo Farel, conclusasi nel 1538. L’anno 1541 vide Calvino di nuovo a Ginevra particolarmente impegnato a redigere due scritti di carattere pastorale: il Trattato della Santa Cena di Nostro Signore Gesù Cristo e le Ordonnances ecclésiastiques, entrambi fondamentali per il sistema organizzativo e giuridico della Chiesa di Ginevra. Nello stesso anno, fu data alle stampe anche la versione francese dell’Istituzione. Nel 1542 Calvino pubblicò, inoltre, il Catechismo della Chiesa di Ginevra e il Formulario delle preghiere e dei cantici ecclesiastici. La vita di Calvino a Ginevra fu segnata da una serie di aspri conflitti con i suoi oppositori politici e anche da una strenua battaglia per la purezza della dottrina cristiana che trovò il suo drammatico apice nella condanna a morte del teologo e medico Michele Serveto, accusato di eresia antitrinitaria e quindi arso al rogo nel 1553. Nel 1559 l’opera riformatrice di Calvino raggiunse il suo culmine, segnato dalla fondazione dell’Accademia di Ginevra e dalla successiva pubblicazione della quarta (la più ampia) edizione dell’Istituzione. Consumato da un intenso lavoro, Giovanni Calvino morì il 27 maggio 1564.

    p.a.g.

    Fonte: Zenit, 17.7.2009

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    Predefinito Riferimento: L'O.R. esalta la figura del "riformatore" Calvino

    Calvino

    L’anno di San Paolo (2009) coincide –fatto salvo il secolo, ovviamente- con quello di Calvino. Ce lo ricorda la rivista –cattolica- Paulus nel numero 13 del luglio 2009. E, giustamente, ne affida il panegirico a uno che se ne intende: Pawel Andrzej Gajewski, Pastore della Chiesa evangelica valdese di Firenze. Se qualcuno se lo fosse perso (come il sottoscritto), l’agenzia –cattolica- Zenit.org ha pensato bene di riportarlo integralmente (titolo: « Il significato dell’eredità di Giovanni Calvino a cinque secoli dalla sua nascita»). Indovinato anche il giorno scelto: venerdì 17.

    Fonte: Antidoti, 25.7.2009

  7. #7
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    Predefinito Riferimento: L'O.R. esalta la figura del "riformatore" Calvino

    Che vergogna,di fronte a questi fatti mi chiedo come si possa ancora definire Cattolica la Chiesa...Solo alcuni parroci e vescovi possono ancora meritare il glorioso appellativo...

 

 

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