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  1. #11
    Avamposto
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    Predefinito Rif: Ecuador - Analisi di un golpe mancato


  2. #12
    Avamposto
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    Predefinito Rif: Ecuador - Analisi di un golpe mancato

    Rafael Correa (e Evo Morales) “La Repubblica delle banane non esiste più”


    - di Gennaro Carotenuto, lunedì 3 novembre 2008, 09:07




    Rafael Correa espelle dall’Ecuador la multinazionale petrolifera spagnola REPSOL e invita a gettare nella spazzatura della storia l’FMI.

    Evo Morales intanto espelle dalla Bolivia la potentissima DEA, la polizia antidroga statunitense finora libera di operare in Bolivia.

    Intanto Hugo Chávez lancia segnali di pace “al negro Barak Obama”: “qui siamo indigeni, negri, latinoamericani, dobbiamo e possiamo sederci e costruire relazioni più giuste”.


    Con un atto storico il presidente ecuadoriano Rafael Correa ha rotto ogni trattativa con la multinazionale petrolifera spagnola REPSOL che per mesi si è rifiutata di trattare su basi egualitarie con il governo: “Il tempo è finito. Devono andarsene. Tutte le multinazionali devono metterselo in testa. Da oggi in poi non sono più loro che dettano le condizioni. Le condizioni le detta il governo. Il tempo della Repubblica delle banane è finito”.

    Appena il mese scorso Correa aveva cacciato altre due multinazionali, entrambe brasiliane in questo caso. Lo schema seguito da Correa è quello del Venezuela che nel passato mese di febbraio, di fronte alle minacce giuridiche ed economiche, ai tentativi di corruzione e al linciaggio mediatico ruppe ogni relazione con la EXXON. “E’ venuto il tempo –ha concluso il presidente- di buttare nella spazzatura della storia il Fondo Monetario Internazionale e il Banco Mondiale che sono i colpevoli di un’architettura ingiusta e diseguale che ha impedito all’economia di crescere”.

    Mentre si avvicina la chiusura della base statunitense di Manta, liberando secondo la nuova Costituzione il territorio da basi militari straniere, la dignità di Correa non è sola. Gli risponde da La Paz Evo Morales espellendo definitivamente la polizia antidroga statunitense, la DEA, finora libera di fare il bello e il cattivo tempo in territorio boliviano, ledere la sovranità del paese e applicarvi leggi statunitensi.

    A grandi passi l’America latina recupera una sovranità che sembrava perduta per sempre e si avvia verso l’integrazione. Il cammino resta lungo ma forse davvero presto le repubbliche delle banane non esisteranno più.

    Gennaro Carotenuto su Giornalismo partecipativo

  3. #13
    Avamposto
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  4. #14
    Avamposto
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  5. #15
    Avamposto
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    Predefinito Rif: Ecuador - Analisi di un golpe mancato


  6. #16
    Avamposto
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    Predefinito Rif: Ecuador - Analisi di un golpe mancato

    Quito, 2 ott. - (Adnkronos/Dpa) - Il presidente dell'Ecuador, Rafael Correa, ha decretato tre giorni di lutto nazionale per la morte di 8 persone durante la rivolta della polizia dei giorni scorsi. Tre persone sono morte a Quito - 2 agenti ed uno studente di 24 anni - mentre cinque - tra queste un ragazzo di 17 anni - a Guayaquil, sulla costa. Altre 274 persone sono rimaste ferite.



    Ecuador: tre giorni di lutto nazionale per vittime rivolta - Adnkronos Esteri

  7. #17
    Avamposto
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    Predefinito Rif: Ecuador - Analisi di un golpe mancato

    Ecuador, passata la paura per il presidente Correa

    di Maria Chiara Albanese

    2 Ottobre 2010




    In America Latina spesso tutto nasce e tutto muore in un solo giorno, come il tentativo di colpo di stato in Ecuador ai danni del presidente Rafael Correa, politicamente molto vicino ai leader della nuova ventata antimperialista sudamericana, Hugo Chavez ed Evo Morales. La vicenda rivela la fragilità di un paese che dal 1996 ad oggi ha vissuto ripetute crisi di governo ed istituzionali. Protagonisti delle manifestazioni di piazza sono stati uomini appartenenti alla polizia di stato e anche infiltrati dei partiti di opposizione al governo. La protesta, sfociata in poche ore in guerriglia urbana, è stata poi spezzata dall’intervento di 500 soldati appartenenti al Gruppo Operazioni Speciali che ha liberato il presidente Correa, ostaggio dei manifestanti nell’ospedale della capitale da oltre 12 ore. Il bilancio al termine dell’operazione, è di due poliziotti morti e trentasette feriti.

    Le rimostranze sarebbero state innescate a seguito del varo di nuove misure di austerity, dirette ad alleggerire le casse dell’erario, provato dalla congiuntura economica internazionale. La manovra, che fa richiamo alla “Ley de servicios publicos”, intende apportare tagli ai benefici fiscali e salariali delle forze dell’ordine. Sebbene il presidente Correa avesse fatto cenno ad “un’interpretazione strumentale e negativa della manovra governativa”, i manifestanti ribadivano alla stampa il loro dissenso.

    La protesta ha preso avvio dopo l’occupazione dei soldati delle piste dell’aeroporto internazionale, rimasto chiuso per lunghe ore, con il conseguente annullamento di numerosi voli. La violenza non ha tardato a scatenarsi: agenti della polizia hanno dato fuoco a copertoni per le strade di Quito e, poche ore dopo, hanno assediato il Parlamento. Correa, identificato come il principale responsabile, ha trovato rifugio nell’ospedale della capitale, dove è rimasto prigioniero della folla inferocite per più di 12 ore. “E’ un tentativo di colpo di stato dell’opposizione e di una parte delle forze armate e della polizia. Non torno indietro, se volete uccidermi sono qui”. Così tuonava Correa, annunciando lo stato di emergenza del paese sull’orlo della crisi.

    Determinante a questo punto è stata la scelta del capo di stato maggiore, Luis Gonzàlez, di sostenere il suo comandante in capo: le forze armate "rimangono fedeli agli ordini del presidente Rafael Correa", ha dichiarato Gonzàlez, prendendo le distanze da chi aveva abbracciato la causa dei golpisti. "L'Ecuador vive in uno stato di diritto".

    “Un vero e proprio tentativo di golpe, che ha avuto l’avallo ed il supporto di alcuni partiti politici”: questa la convinzione del presidente Correa pochi istanti dopo la liberazione, che ha indicato come “burattinai” alcuni suoi avversari politici. I sostenitori di Correa, accorsi in piazza Independencia, hanno accusato l'ex presidente ed ex colonnello Lucio Guitierrez, suo principale antagonista politico, di essere la mente della rivolta. "È stato il giorno più duro del mio governo", ha detto Rafael Correa davanti alla folla. "Non ci sarà perdono e non dimenticheremo", gridava.

    L’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) ha indetto una sessione speciale per discutere degli eventi che hanno messo a ferro e fuoco Quito. Messaggi di solidarietà al presidente ecuadoriano sono giunti dalla Casa Bianca, dall’UE e da tutti i paesi europei, così come dagli altri leader sudamericani, in primis Hugo Chávez, che di Correa ha apprezzato l’intransigenza verso i rivoltosi, temendo forse lo scoppio di simili rivolte anche in Venezuela.




    Ecuador, passata la paura per il presidente Correa | l'Occidentale

  8. #18
    Avamposto
    Ospite

    Predefinito Rif: Ecuador - Analisi di un golpe mancato

    La rivolta della polizia, il sequestro del presidente Correa, e gli avvenimenti in strada

    di Plinio Limata

    Il 30 settembre i giornali di tutto il mondo davano la notizia di un tentato golpe in Ecuador. Le letture che ne sono state date divergono in alcuni casi sulle cause scatenanti degli avvenimenti. Alcune fonti di informazione hanno preferito abbassare i toni, focalizzandosi sull’elemento originario dei tumulti della giornata: la rivolta della polizia. Il motivo ufficiale? I tagli di alcuni bonus economici per la categoria. Bisogna però ricordare che, oggi, nel corpo di polizia l’ultimo arrivato guadagna quanto guadagnava 4 anni fa un poliziotto con 5 anni di esperienza. I salari insomma sono duplicati, eppure il malcontento nasceva da una legge in discussione nell’Asamblea Nacional. Altri media hanno invece parlato apertamente di un tentativo di colpo di Stato e, a dirla tutta, era questa l’aria che si respirava in strada.

    D’altronde l’ipotesi di mandanti neppure tanto oscuri dietro quanto accaduto non è stata assolutamente nascosta, lo stesso presidente ecuadoriano ha pubblicamente accusato alcuni membri dell’opposizione. Tra questi l’ex presidente e colonnello Lucio Gutierrez che, dalla sue residenza a Brasilia, ha ovviamente smentito. Ed al di la delle notizie che sono state ampliamente riportate, quello che stavolta voglio raccontarvi è semplicemente quello che ho visto in strada, a contatto con la gente. Al termine della giornata, quando l’ordine è stato ristabilito, il presidente Correa ha pronunciato testuali parole: “Oggi è un giorno triste per il Paese. È probabilmente uno dei giorni più tristi della mia vita, ma sicuramente il piu triste per il mio governo”. Eppure io vi dico che per quello che ho visto, il 30 settembre, è stato un gran giorno per il popolo ecuadoriano, per il Paese e per la democrazia.


    I FATTI IN BREVE - Nelle prime ore del mattino, nella città di Quito, il reggimento Quito insorge dando vita ad una protesta che si allarga presto anche ad altri reggimenti, e che si protrarrà fino all’intervento in serata dei militari. La protesta della polizia prende vita non solo nelle caserme della Policia Nacional, ma si diffonde anche nelle strade, dove si raccolgono poliziotti e alcuni civili che sostengono la mobilitazione. Fino a questo momento, la situazione per quanto critica rimane stabile. È con la visita del presidente Correa al reggimento Quito che la situazione precipita. Questi, accorso per instaurare un dialogo con i corpi di polizia, viene infatti ferito nel caos che nasce dal lancio di lacrimogeni da parte di alcuni riottosi. Il Presidente, che pare sembra sia stato anche colpito con bottiglie, viene cosi trasferito all’Ospedale della Polizia per ricevere le cure mediche necessarie. Qui vi rimarrà fino alle 21, quando verrà “liberato” al seguito di un’operazione militare. Intanto la situazione degenera. Con lo spargersi della notizia del presunto sequestro del presidente, la gente ha iniziato a scendere in strada riunendosi in numerose zone della capitale. Le aree principale di riunione diventano la Plaza de la Indipendencia, sede del Palazzo Presidenziale, e i dintorni dell’Ospedale, dove si trova Correa. Mentre la prima ha visto il raggrupparsi di persone per dar vita ad una protesta pacifica contro la polizia, è stata la seconda il principale teatro degli scontri.

    IL RACCONTO – La mia giornata “inizia” alle 13.20. Mi trovavo al ministero del Commercio e delle Relazioni Estere, e durante tutta la mattina ci è stato impedito di uscire a causa degli scontri che iniziavano nelle strade. È decisamente ironico trovarsi di fronte ad una rivolta che nasce dalle forze dell’ordine, proprio da loro che dovrebbero essere i pompieri che sedano il fuoco delle rivolte e che, in questo caso, erano la miccia. Ed è sicuramente strano trovarsi a far parte di una contro protesta non nata da un malcontento popolare ma soprattutto materiale, idea a cui siamo molto più abituati, ma che reclama a voce alta la difesa della democrazia, i suoi valori, ed il presidente della Repubblica che li rappresenta.

    Mi era stato riferito da alcuni funzionari la paura di una imminente guerra civile. Sinceramente non potevo crederci, soprattutto vista la totale assenza di segnali premonitori. Ma quando le porte sono state finalmente riaperte, tutto intorno sembrava differente. L’aria era satura dei fumi dei pneumatici lasciati bruciare nelle strade, i segni di una rivolta erano li, eppure una strana quiete dominava l’atmosfera. Negozi e banche chiuse, neppure l’ombra di alcuna forza dell’ordine e un silenzio da far sembrare tutto in stand by, persino le poche persone che si potevano incontrare. Il ministero si trova in una parte della città che ha visto solo l’inizio della protesta, ma non i suoi sviluppi. Obbligatorio muoversi per cercare di capire.



    Quando ho potuto raggiungere i manifestanti intorno all’Ospedale della Polizia, la situazione era decisamente ambigua. La Calle San Gabriel, che rappresenta la via d’accesso principale, si presentava piena di gente accorsa a manifestare pacificamente, reclamando la libertà del presidente dinnanzi ad un cordone di poliziotti che non consentiva l’accesso al nosocomio. Erano presenti persone di ogni età e di ogni classe sociale: bambini, anziani, professionisti accorsi da un qualsiasi lavoro bruscamente interrotto, e “ovviamente” politici. Tutti li, riuniti per difendere il proprio capo di Stato democraticamente eletto. L’Ecuador, come molti altri Paesi dell’America Latina, è stato il centro di molte turbolenze politiche negli anni scorsi. Difendere la democrazia, questo concetto di cui noi occidentali ci ingozziamo giornalmente, qui ha un significato ed un valore, che sembra assolutamente non negoziabile. E quanto accaduto in strada lo dimostra. In primis perché sebbene i sostenitori del presidente fossero la maggioranza, ad appoggiare la manifestazione sono stati anche coloro che volevano esclusivamente difendere la democrazia ed i suoi principi, che l’ennesimo golpe avrebbe rovesciato ancora una volta.

    Se la via d’accesso principale all’ospedale, i cui protagonisti erano soprattutto i soliti slogan politici, si presentava tranquilla, sono state le strade del circondario ad essere il teatro di scontri. Cittadini indifesi hanno fronteggiato per ore poliziotti in assetto anti-sommossa che si erano posti a difesa della zona. Fagocitando spazio, per poi abbandonarlo al seguito dei diversi attacchi che la polizia scagliava. Lacrimogeni, fumogeni, ed in alcuni casi pallottole 9mm (ne sono stati trovati i bossoli), hanno colpito indiscriminatamente i civili. Sconosciuti che si aiutavano senza chiedersi nulla in cambio. E scopro cosi che un buon metodo per mettere fine all’effetto dei lacrimogeni sono le sigarette e il sale. Le prime le fumi, mentre con il secondo ti cospargi le narici, e la parte inferiore della lingua. Quella sensazione che quasi ti impedisce di respirare, costringendoti a piangere, lentamente sparisce. E allora si riprende…

    Avanzare sperando di guadagnare qualche metro, per poi ripiegare, evitando i vari gas, è stata la regola il 30 settembre, non l’eccezione. Sono state persino innalzate “barricate” per evitare ai poliziotti di avanzare. Barricate costituite con tutto ciò che era possibile reperire: pneumatici, pietre, blocchi di cartone messi ad ardere. E sono stati anche istituiti picchetti nei vari vicoli, in modo da creare un cordone che consentisse di bloccare, o per lo meno avvistare, i movimenti delle forze dell’ordine. Le scene che si sono prodotte, altro non sono che la replica di milioni di altre immagini, che tutti i giorni affollano le nostre televisioni. Eppure “vivere” una guerriglia urbana ha tutt’altro sapore rispetto al ritratto che ti viene propinato dai media. In alcuni casi, ti rendi conto che realmente non ci sono speranze qualora i poliziotti decidessero di intervenire brutalmente, eppure non è un buon motivo per ritirarsi. Lotti per un obiettivo, respiri speranza. La speranza che tutto possa cambiare, cosi velocemente com’è iniziato. E la speranza quel giorno, strano a dirsi, erano anche i militari. Per molte ore un alone di dubbio si è riflettuto sulla posizione di questi. In fondo in ogni golpe che si rispetti, hanno sempre avuto il ruolo di protagonisti, ovvio aspettarsi qualcosa del genere anche questa volta. Ma non è stato così…

    Il fronteggiarsi e gli scontri sono continuati per tutto il pomeriggio. I pochi attimi di calma consentivano alle persone di riorganizzarsi, di prendere decisioni e informarsi: un tam tam di notizie si spargeva tra la folla con gli ultimi sviluppi. Le principale emittenti televisive giacevano silenti, vuoi per l’intervento di forze dell’ordine che cercavano di prenderne il controllo, vuoi per la dichiarazione dello stato d’emergenza. Ed ecco allora, che la radio ritornava ad essere, come una volta, il principale mezzo di comunicazione. È grazie a questa che i manifestanti ecuadoriani hanno potuto ascoltare le parole delpresidente: “Non possiamo negoziare. O esco da qui come presidente o ne esco morto”. Parole di circostanza? Forse. Ma sono servite. I cori di protesta tornavano ad esplodere, e le cariche anche…il tutto perpetuandosi fino alle prime ore della sera, quando la popolazione ha iniziato ad abbandonare la zona, in attesa dell’intervento dei militari.


    Manifestanti in piazza
    Avuta la conferma dell’imminente iniziativa dell’esercito, molti dei manifestanti sono, infatti, confluiti nella Plaza de la Indipendencia ad aspettare il rilascio di Correa. Questo è stato ottenuto con un’operazione militare, sfociata in scontri a fuoco con la polizia, lasciando a terra dei caduti. Il tutto è stato seguito attraverso le immagini della TV pubblica, messa antecedentemente in sicurezza dall’esercito. Correa una volta giunto al palazzo presidenziale, è stato accolto da una folla in tripudio. Il suo è stato un discorso di quelli che ti aspetti, scontato: ha ringraziato tutti per l’appoggio ricevuto, la comunità internazionale e singoli capi di stato; ha rivendicato la scelta di non negoziare con presunti poliziotti, ritenuti traditori della patria e colpevoli di non aver neppure letto, a quanto pare, la legge oggetto di protesta; ha accusato l’opposizione e ha inneggiato all’appoggio popolare di cui gode e alla giustezza della politica della Revolucion Ciudadana. Tutto di fronte ad una folla ancora scossa ma decisamente sazia per la sensazione di vittoria che pervadeva l’atmosfera. Non si può negare che da un punto di vista politico, la protesta, il tentato golpe o come si voglia definire, ha avuto l’effetto opposto di quello ipotizzato dai suoi sostenitori. In fondo, grazie ai suoi avversari, o lasciando perdere qualsiasi dietrologia, grazie a quanto accaduto, Correa si è ritrovato immediatamente proiettato su un piedistallo da cui sarà difficile “disarcionarlo”.

    Quello che è accaduto in altri posti della capitale, io non posso raccontarvelo. Lo immagino, perché mi è stato descritto. E non è differente da quanto si è vissuto nelle strade dell’Ospedale. Cariche, attacchi indiscriminati, il ricorso disperato a qualsiasi cosa potesse essere usata per rispondere, feriti. Violenza a cui in alcuni casi si è cercato di rispondere con la forza del numero, un numero inerme vista la disparità di mezzi; in altri casi semplicemente resistendo, aggrappandosi all’idea di poter cambiare quanto stesse accadendo. In nome non di un interesse particolare, non contro qualcosa, ma per qualcosa: la democrazia.

    Ecco perché è stato un gran giorno in Ecuador.





    Il tentato golpe in Ecuador. Io c

  9. #19
    Avamposto
    Ospite

    Predefinito Rif: Ecuador - Analisi di un golpe mancato

    Il Velino presenta, in esclusiva per gli abbonati, le notizie via via che vengono inserite.

    EST - Ecuador-Cile, Piñera a Quito per sostenere Correa

    Roma, 12 ott (Il Velino/Velino Latam) - Il presidente cileno Sebastian Piñera si è recato ieri a Quito per portare la solidarietà e il sostegno del suo governo e del suo Paese al capo di Stato ecuadoriano Rafael Correa. Quest'ultimo il 30 settembre scorso era stato ferito e sequestrato per alcune ore dai protagonisti di una rivolta che ha coinvolto una parte delle forze dell'ordine. La sollevazione, ritenuta dal governo di Quito un tentativo di golpe, ha provocato la morte di almeno otto persone e il ferimento di circa 300. Piñera ha detto di considerare un “privilegio” il fatto di essere il primo presidente a poter esprimere personalmente il suo sostegno a Correa e ha sottolineato come l'appoggio e la difesa della democrazia non siano né di destra e né di sinistra. Il presidente ecuadoriano, in una conferenza stampa congiunta, ha detto di ritenere che “nessun Paese sudamericano, a parte forse un paio di eccezioni, può ritenersi in salvo da questi gruppi di avventurieri senza limiti né scrupoli”. Un concetto al quale il suo omologo cileno ha risposto sottolineando che “non bisogna mai essere ingenui ed è necessario essere sempre preparati”.

    Piñera ha quindi definito “molto importante” che i governi sudamericani, attraverso l'Unasur (Unione delle nazioni sudamericane), stabiliscano dei meccanismi efficaci per prevenire, oltre che intervenire, questi tentativi di alterare la democrazia. In questo senso ha celebrato la reazione che l'organismo multilaterale ha avuto in occasione della rivolta in Ecuador, quando attraverso una riunione d'emergenza di quasi tutti i capi di Stato della regione ha inviato un messaggio “forte e chiaro” in difesa della democrazia. Su questo tema, ha evidenziato, “non ci sono confini né frontiere. Tutti reagiremo in maniera opportuna ed efficace per proteggere la democrazia ovunque sia minacciata”. Dal canto suo Correa ha ribadito che quanto accaduto il 30 settembre non è stata una protesta basata su rivendicazioni salariali ma una “insubordinazione” delle forze di polizia “in contatto con alcune forze politiche” sfociata in un tentativo di rompere l'ordine costituzionale, di fronte al quale il Paese ha dimostrato “la forza delle sue istituzioni”.

    Il capo di Stato ha messo in evidenza come la maggior parte delle forze di polizia non abbia partecipato alla sollevazione, ma ha anche ammesso che Quito ha bisogno del sostegno di Paesi alleati per intervenire contro quegli agenti, “retaggio di epoche oscure per la polizia nazionale”, che non rispettano i diritti umani e credono di poter raggiungere i loro obiettivi con la forza. Correa ha fatto quindi riferimento a un tema politico molto delicato nelle relazioni di Quito con il Cile e con il Perù, ovvero il contenzioso territoriale aperto tra Lima e Santiago di fronte alla Corte internazionale dell'Aia. L'Ecuador, ha ribadito, non risponderà alla convocazione del tribunale, perché “non crediamo sia necessario che faccia parte di questo processo”, e manterrà la sua neutralità. Cile e Perù si affrontano davanti alla Corte internazionale per risolvere una disputa relativa alla sovranità su un'area marittima di circa 30 mila chilometri quadrati. Per Santiago la definizione del confine è contenuta in una serie di accordi sulla pesca degli anni '50 firmati sia la Lima, che pretende invece di allargare la propria sovranità sull'area in questione, che da Quito.


    12 ott 2010



    il VELINO - Ecuador-Cile, Piñera a Quito per sostenere Correa - Agenzia Stampa Quotidiana Nazionale

 

 
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