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  1. #561
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    Predefinito Rif: La Repubblica Araba Siriana

    LIBERTAD - JUSTICIA - DIGNIDAD
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  2. #562
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    Predefinito Rif: La Repubblica Araba Siriana


  3. #563
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  4. #564
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    Predefinito Rif: La Repubblica Araba Siriana

    "Non discutere mai con un idiota: ti trascina al suo livello e ti batte con l'esperienza" (firma valida per tutte le stagioni)

  5. #565
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    Predefinito Rif: La Repubblica Araba Siriana

    Siria: lo spettro di una guerra civile indotta La scorsa notte attaccata la sede del partito Baath a Damasco. Le parole del Segretario di stato Clinton sul pericolo di «una guerra civile», più che esprimere una preoccupazione appaiono una minaccia



    foto: nena-news.globalist.it


    MICHELE GIORGIO



    Roma, 20 novembre 2011, Nena News - Non era chiara ieri la posizione di Damasco alla vigilia della scadenza dell'ultimatum lanciato dalla Lega araba al regime di Bashar al-Assad chiamato ad accettare il «piano arabo» e in particolare ad accogliere osservatori per non vuole affrontare pesanti sanzioni economiche. Venerdì Damasco aveva chiesto la modifica di 18 clausole dell'accordo per l'arrivo degli osservatori, ma l'organizzazione panaraba ha opposto - stando alla stampa locale - un secco rifiuto. Come si concluderà il braccio di ferro ieri non era chiaro, in ogni caso il futuro della Siria sarà nero. Le parole del Segretario di stato Usa Hillary Clinton sul pericolo di «una guerra civile» più che esprimere una preoccupazione rappresentano una minaccia. I recenti blitz dei disertori del cosiddetto «Esercito libero siriano» confermano che l'opposizione è sempre più armata e aiutata dall'esterno. Lo scenario libico perciò incombe sulla Siria. Stavolta però con la Russia (alleata di Damasco) nettamente contraria a un intervento militare della Nato, è la Lega araba che sta facendo il grosso del lavoro per tenere sotto pressione il regime siriano, preparare l'opposizione politica a diventare la futura classe dirigente, modello Cnt libico.

    Il ruolo svolto nel 2010 dalla Lega Araba è stato straordinario per una organizzazione che negli ultimi venti anni non ha mai avuto una reale influenza, poteri concreti e, più di tutto, consenso popolare. Un risveglio che non può non sollevare interrogativi sulle finalità di tanto improvviso attivismo. Senza dubbio la situazione in Siria è gravissima e le responsabilità del regime sono enormi. Assad sostiene di avere il consenso della maggioranza dei siriani ma deve provarlo. E per farlo non ha scelta: deve indire elezioni libere e lasciare al suo popolo il diritto di esprimersi senza restrizioni e intimidazioni. In ogni caso nessun leader politico può varare misure repressive così pesanti, costate la vita a tanti cittadini, pur di rimanere al potere.

    Il presidente siriano Bashar Assad- foto: nena-news.globalist.it
    Allo stesso tempo dovrebbe ormai essere chiaro che quella in corso in Siria non è una rivolta simile a quelle di Egitto e Tunisia. Lo è stata all'inizio, con le proteste spontanee esplose a metà marzo e organizzate dai comitati popolari. Non lo è certo ora con le manifestazioni che si concentrano nelle città roccaforti del sunnismo militante (Hama, Homs), nemico del regime del partito Baath dominato dagli «apostati» alawiti, la setta sciita alla quale appartiene lo stesso Assad. Non ora con i disertori e civili armati che lanciano attacchi contro i servizi di sicurezza e l'Esercito. E forse non erano frutto della propaganda del regime le notizie di agguati ad unità della polizia e delle forze armate diffuse nei mesi scorsi dai media statali.

    Alle redini della Lega araba (La) oggi c'è di fatto il Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), guidato dall'Arabia saudita e composto dalle monarchie ed emirati del Golfo. La caduta del dittatore egiziano sotto l'urto della rivoluzione del 25 luglio e la dipendenza dell'Egitto dagli aiuti dei paesi arabi ricchi, ha catapultato alla testa della La il Consiglio che ha mosso subito i passi necessari per impedire che la «primavera araba» potesse mettere a rischio la stabilità delle petromonarchie. La casa reale saudita, che ha inviato truppe in Bahrain a reprimere le manifestazioni popolari, ha compreso che le proteste in Siria possono essere «guidate» non tanto per abbattare Assad - peraltro un nemico solo a parole perché dipendente dagli aiuti arabi e garante della stabilità regionale -, quanto per scardinare la trentennale alleanza tra Siria e Iran. Nella strategia saudita in Siria, la caduta di Assad non serve per dare la libertà ai siriani ma ad assicurare il raggiungimento di un obiettivo fondamentale: l'isolamento totale di un potente nemico, l'Iran sciita.

    Tagliente come sempre è il giudizio del noto commentatore arabo Asad AbuKhalil, che pure è un feroce critico del regime siriano: «I media occidentali descrivono la decisione della Lega araba di sospendere la Siria come un passo importante a favore della democrazia ma evitano di spiegare perché non è stata presa una decisione simile nei confronti del dittatore yemenita (Ali Abdullah Saleh) che pure usa i carri armati e gli elicotteri contro la sua gente. Se un dittatore gode del sostegno del Ccg, i suoi crimini verranno tollerati, a maggior ragione se è alleato degli Stati uniti».

    L'autoproclamato Esercito libero siriano - foto: nena-news.globalist.it
    Sono considerazioni pregne di un vetero anti-americanismo quelle di Abu Khalil? Difficile sostenerlo quando gli danno ragione gli sviluppi sul terreno e le manovre in atto dietro le quinte. La Lega araba a trazione saudita prosegue il suo compito di surrogato del ruolo della Nato provando a mettere insieme le diverse anime dell'opposizione siriana per prepararla a prendere la guida della Siria quando Assad e il Baath verranno travolti. Riyadh con i suoi principali alleati - Giordania, Qatar e i sunniti libanesi (il governo di Beirut controllato dagli sciiti di Hezbollah invece è ancora dalla parte di Damasco) - lavorano alla costituzione di un fronte unito che, su modello del Cnt libico, dovrà diventare il «rappresentante legittimo del popolo siriano», come è stato stabilito nell'ultimo incontro al Cairo con alcuni oppositori di Assad. Nel frattempo si studiano tempi e modi del via libera che verrà dato alla Turchia (e forse anche alla Giordania) per la creazione in territorio siriano di «zone cuscinetto a protezione dei civili».

    Ad intralciare, per il momento, i disegni della Lega Araba-Ccg sono le spaccature tra il Consiglio nazionale siriano (Cns) che si considera il solo rappresentante dell'opposizione siriana, e il Comitato di coordinamento nazionale (Ccn), con posizioni più moderate e favorevole al dialogo con Assad. Senza dimenticare le ambizioni della Commissione generale della rivoluzione siriana (Cgrs) e il ruolo svolto sin dalle prime proteste dai Comitati di coordinamento locali (Ccl). Secondo il giornale libanese Al Akhbar, le prossime mosse della Lega araba saranno il riconoscimento del fronte unito delle opposizioni quale unico rappresentante legittimo del popolo siriano; la creazione delle «zone cuscinetto»; l'avvio della transizione dei poteri. Non sono contrari all'unità delle opposizioni ma sollevano obiezioni su vari punti Haytham Manna, leader del Ccn, e due intelletuali della «Dichiarazione di Damasco» (2005), Michel Kilo e Samir Aita, che temono che la Siria faccia la fine della Libia. Per i vertici della La inoltre non è facile capire il peso reale di Burhan Ghalioun, il leader del Cns. Questo storico oppositore (dall'estero) di Assad raccoglie davvero consenso? Oppure è un altro Ahmad Chalabi, l'ambizioso iracheno sponsorizzato da Washington che, fatto rientrare a Baghdad dopo la caduta di Saddam Hussein, dimostrò di rappresentare solo se stesso? Nena News



    Siria: lo spettro di una guerra civile indotta :: Il pane e le rose - classe capitale e partito
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  6. #566
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    Predefinito Rif: La Repubblica Araba Siriana

    SIRIA: ora pesa la crisi economica

    di Miriam Giannantina



    Damasco attende l'arrivo dei monitors della Lega araba. Nella capitale cominciano a mordere le conseguenze del crollo del turismo e delle sanzioni

    A Damasco, soli 150 km da Homs, roccaforte delle proteste, in apparenza la vita scorre come sempre, c’è traffico nelle strade, i negozi sono aperti. Ma l’atmosfera è più tesa e cupa della scorsa estate. Anche se nel centro della città non ci sono state manifestazioni di protesta contro il regime di Bashar al Assad, a causa soprattutto della visibile presenza e del controllo dei servizi di sicurezza (mukhabarat) dicono gli attivisti, le proteste e la conseguente repressione hanno interessato interi quartieri – anche centrali come quello di Midan. Episodi di protesta sono diffusi, come cortei improvvisati all’università e nelle scuole. Dopo 9 mesi di proteste e repressione si vedono pochi sorrisi, piuttosto un’aria depressa e preoccupata. La crisi ormai è innegabile, anche se la sua lettura può essere opposta in una società sempre più polarizzata.
    Da un lato i sostenitori del presidente, i mnhebak, «ti amiamo» (riferito a Bashar Al Assad), tra cui molti appartententi alle minoranze alawuite, cristiane, druse e alla business élite ma non solo, che guardano la tv di Stato, Syria News, e il canale satellitare Dounia, di proprietà di Rami Makhlouf, cugino di Bashar Al Assad. Dall’altro gli oppositori, che chiedono la fine del regime, iskat al nizam, e dunque di Bashar Al Assad. Guardano le tv satallitari panarabe al Jazeera e al Arabya e quelle dell’opposizione, come Orient tv, Barada.
    In un ristorante è entrato un gruppo di giovani che ascoltava canzoni di sostegno a Bashar Al Assad dal cellulare. Il cameriere ha detto: se vi seguiamo finiremo come in Somalia, e loro gli hanno risposto: il sale te lo portano da Homs? In mezzo resta la maggioranza silenziosa, che magari desidera un cambiamento ma ha paura dello stato di polizia o teme l’incertezza del futuro. Anche se il protrarsi della crisi, l’intensità delle proteste, la durezza della repressione – fonti dell’opposizione parlano di oltre 5000 vittime civili, cifra ripresa dalle Nazioni unite, oltre a 2000 militari morti secondo il governo, e migliaia di persone arrestate – rende sempre più difficile rimanere neutrali.
    Il Natale, secondo le indicazioni delle gerarchie ecclesiastiche, è stato celebrato dal circa 8% di cristiani siriani con semplici preghiere, senza processioni e decorazioni, in omaggio alle vittime degli attentati terrostici del 21 dicembre e alla situazione del paese. Gli attentati kamikaze a Damasco, i primi di questo tipo dall’inizio della rivolta, hanno segnato un pericoloso passo nell’evoluzione della crisi. Le autorità li hanno attribuiti immediatamente a al Qaeda. «Sorprende che le autorità siriane, di solito così lente nell’emettere una posizione ufficiale, questa volta siano state così veloci», commenta un diplomatico occidentale.
    Secondo Joshua Landis, editore del blog Syria Comment, «sorprende che non siano avvenuti prima. La ragione va ricercata nell’allentamento dell’ordine e della sicurezza derivanti dalla crisi che permette a gruppi radicali, come al Qaeda, di agire». Ma per l’opposizione gli attentati sono opera degli stessi servizi di sicurezza con l’obiettivo di dimostrare agli osservatori della Lega araba l’azione di bande di terroristi. Alcuni si spingono fino a ipotizzare che negli attentati siano stati utilizzati i cadaveri delle vittime degli scontri nell’area di Idlib dei giorni precedenti. «Ma questa volta, a differenza degli attacchi dell’organizzazione terroristica Jund al Islam contro l’ambasciata americana del 2008, non tutta la popolazione crede alla versione ufficiale», continua Omar. Un effetto inconfutabile delle proteste è una «politicizzazione» della popolazione, dove per 50 anni, nel regime di censura e terrore, non si è dibattuto di politica, pur se in forme diverse da quelle occidentali. «I bambini a scuola gridano hurryat, nelle case si commentano le notizie. Da questo non si potrà tornare indietro», afferma Rima Flihan, una scrittrice.
    L’arrivo degli ispettori della Lega araba è considerato da tutti, oppositori e sostenitori, un evento importante. Ma è soprattutto la crisi economica a preoccupare gli strati popolari. Le strade pullulano di venditori ambulanti. La disoccupazione è almeno al 30% secondo statistiche non ufficali. Tanti giovani senza lavoro trascorrono la giornata a guardare notizie e commentarle intorno al caffè e molti altri cercano di lasciare il paese, verso la Turchia o i paesi del Golfo. Non ci sono più turisti, i mercanti del suq della città vecchia sono disperati. La lira siriana ha perso il 25% del suo valore – ora viene cambiata a 60 contro il dollaro, prima delle proteste era a 45 – annullando di fatto l’aumento del 30 % dei salari dei dipendenti pubblici concesso dal governo all’inizio delle proteste. «Ma figaz, ma fimazoot», «non c’è gas da cucina, non c’è diesel», si sente ripetere. Si vedono file lunghissime, anche di notte, in attesa del mazoot, del diesel, fondamentale per il riscaldamento e il trasporto. La distribuzione è razionata, gestita dai comitati locali del partito Baath. Più che alle sanzioni occidentali – il 99% del petrolio siriano era esportato in Europa – cio è dovuto secondo gli attivisti al fatto che buona parte del gasolio viene consumato per le operazioni militari. L’energia elettrica viene tagliata in città per almeno due ore al giorno. «Ma nei quartieri dove ci sono le proteste, come Daraya, più a lungo», afferma Omar, uno studente che partecipa alle manifestazioni. Con le basse temperature di questi giorni, è dura, soprattutto per i più poveri. E tutti sono consapevoli che la situazione è destinata a peggiorare.


    ( Fonte: Nena News)



    30-12-11SiriaCrisiEconomica
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  7. #567
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  8. #568
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  9. #569
    Roma caput mundi
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  10. #570
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    Predefinito Rif: La Repubblica Araba Siriana

    Recentemente gli osservatori arabi hanno CONFERMATO i nostri sospetti,cifre gonfiate
    ,nessuna repressione di massa.
    I morti e gli arresti di cui ciarla la stampaccia,sono appunto coglionate.

    Siria,osservatori: niente di spaventoso. Liberati 755 detenuti | Prima Pagina | Reuters

 

 
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