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Discussione: Silvano Lorenzoni

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    Predefinito Silvano Lorenzoni

    Silvano Lorenzoni è un autore etnonazionalista.
    Propongo di postare qui i suoi articoli reperibili in rete.

    “IL BIANCO DEGENERATO CHE SOBILLA LE MASSE DI COLORE
    Coerentemente alla loro scelta di servire la "causa" della distruzione dell'europeità, i "Centri Sociali" hanno organizzato una manifestazione (l'ennesima) parallela alla conferenza governativa sull'immigrazione, organizzando la scesa in piazza di negri, e allogeni di ogni tipo, con tutta probabilità "irregolari". La dimostrazione che quegli ambienti non sono affatto "alternativi" al Sistema, come falsamente millantano, ma del tutto complementari e inseriti in esso, è stata dimostrata dal fatto che le autorità hanno subito ricevuto i rappresentanti di questa carnevalata sovversiva, promettendo che, sì, anche loro la pensano così, e aprirebbero immediatamente le frontiere a milioni di allogeni, ma devono farlo per gradi, per non provocare il rigetto nell'opinione pubblica.
    Provate ad immaginare se le autorità (non solo di sinistra ma anche di "destra") avrebbero acconsentito a ricevere una nostra rappresentanza che domandasse istanze di natura palesemente razziale come erano quelle dei "Centri Sociali", ma di segno opposto.
    E' chiaro che gli antirazzisti estremisti giocano in casa, poiché la base di "valori" su cui si regge il Sistema é egualitarista e mescolazionista.
    E anche le cosiddette "destre" fanno di tutto per non motivare la propria più restrittiva politica immigratoria con argomentazioni etniche o razziali, motivazioni e sentimenti naturali che vengono costantemente mantenuti nel "subconscio collettivo" e repressi capillarmente.
    In realtà ciò che interessa alle "destre" liberali è il "libero mercato", che prevede una mobilità umana e una perdita dell'identità etnica e razziale in maniera uguale al marxismo e all'antirazzismo radicale. Sono due finti avversari che si scontrano solo sul metodo.
    Come sempre nella storia, è il bianco che fornisce i mezzi organizzativi e dà il "la" per ogni azione politica; nonostante i marxisti affermino che la rivoluzione la fanno il proletariato, le classi basse, e le masse non bianche. E anche nelle lotte antirazziste, è il bianco (degenerato) che guida i giochi e fornisce le "armi" (organizzative, legali e fisiche) ad individui altrimenti non in grado nemmeno di conoscere la propria data di nascita.
    Nella manifestazione, inframmezzate in mezzo alle facce nere e camuse, si potevano scorgere qua e là volti bianchi di veneti "doc", chiaramente bianchi nonostante i tentativi di agghindarsi con cenci terzomondiali e finte treccine negroidi ("rasta").
    Noi, patrioti differenzialisti, ed etnonazionalisti, stiamo dalla parte opposta, in difesa non tanto degli interessi del putrido Occidente (come invece sono le "destre" liberali), quanto dell'europeità, e della nostra essenza di bianchi ed europei.
    E' chiaro che siamo noi quelli che giochiamo "fuori casa".
    In mezzo sta la massa borghese, inerte, paurosa e attendista, che come sempre costituisce il "bottino" politico a cui tutte le forze cercano di attingere. Chi è in grado di condizionare maggiormente questa massa, però, al momento siamo noi. Sono le stesse condizioni oggettive a creare tale situazione favorevole alle istanze differenzialiste: invasione immigratoria che crea rigetto, impossibilità dell' "integrazione" di allogeni culturalmente e razzialmente troppo diversi, etc. E difatti le posizioni degli ultras dell' antirazzismo stanno facendosi sempre più isteriche, segno che sentono che l'opinione pubblica sta loro sfuggendo di mano. Sono ormai lontanissimi i tempi in cui tutti non potevano non commuoversi e non parteggiare per il povero negro soggetto all' "apartheid" in Sudafrica.
    Oggi, quegli stessi, se solo vedessero i documentari su come è ridotto il Sudafrica mescolazionista, e collegando il tutto alle nostre prime dolorose esperienze, darebbero pareri ben diversi!
    Ma torneremo sugli aspetti che fanno prevedere una guerra inter-razziale in suolo europeo. Il fatto che occorre sottolineare, è che in tale guerra (che è già iniziata), non dovremo combattere tanto l'allogeno (o perlomeno lui lo combatteremo fisicamente), quanto il bianco degenerato, il bianco traditore che arma e sobilla l’allogeno.
    E contemporaneamente condurre una lotta culturale per togliere il morbo disfattista e nichilista dagli altri bianchi, lavati di cervello da decenni (o da due millenni) di propaganda egualitarista e universalista, che fungerà da freno per il combattimento.
    Quello stesso freno che ai funerali dei loro cari massacrati dagli allogeni fa dire ai parenti "non ce l'ho cogli extracomunitari" al microfono del giornalista-confessore.
    Quello stesso freno che impedisce al leghista medio di fare quel salto di qualità e riconoscere nel negro che lavora un nemico razziale ancora più insidioso dell'immigrato generico, in genere albanese o marocchino, che delinque.
    Intanto i "Centri Sociali" del Veneto ci schedano, segnano i nostri nomi, indirizzi ed abitudini, non tanto per fare i delatori con i questurini (ruolo comunque molto consono alla loro personalità di vermi), o per aggredirci adesso,quanto per creare una "banca dati" logistica sul nemico, in modo da facilitare la nostra eliminazione fisica quando le ostilità si saranno definitivamente aperte. Ho già detto che loro sono già scesi in campo e stanno già addestrandosi. E potete star sicuri che al momento buono spareranno a noi, non ai liberali o ai globalisti. Come già sessant'anni fa, faranno comunella coi propri fratelli liberali contro di noi, che rappresentiamo la vera alternativa al Sistema mondialista. Questa non è un'incitazione ad "opposti estremismi", che sono anzi al momento da evitare come la peste. Lasciamo che si sputtanino loro, e rinforziamoci."

  2. #2
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    Predefinito Riferimento: Silvano Lorenzoni

    L’americano, ‘bantù’ del futuro

    1 January 2000 (10:00) | Autore: Silvano Lorenzoni

    1. Introduzione: caratteristiche ‘bantù’ dell’americano

    L’americano è il mezzo d’espressione più diffuso in questi tempi. Generalmente conosciuto come ‘inglese’ (in quanto la sua zona storica d’origine è stata l’isola inglese), è però più corretto chiamarlo, appunto, americano (alla francese) perché il suo centro di potenza, che ha permesso la sua pandemica diffusione nel mondo moderno, sta in America, la quale ha assorbito in modo totale e irreversibile anche la sua ex ‘madre patria’ (1). In questa sua pandemica diffusione ha da vedersi un interessante e sinistro ’segno dei tempi’. Più sopra, in questo stesso capitolo, si è detto qualcosa su certe affinità fra l’americano e le lingue dei selvaggi. Adesso si tratta di considerare più da vicino questo fenomeno linguistico.

    Che l’americano abbia un carattere stranamente involuto è una cosa che avrà notato chiunque abbia con esso una discreta dimestichezza: non si tratta soltanto e semplicemente di una lingua appiattita, come possono esserlo la maggior parte delle lingue germaniche, con l’eccezione del tedesco, e in particolare le lingue scandinave e l’afrikaans. Ed è stato un acuto linguista francese, Claude Hagège (2), un elemento tutt’altro che ‘politicamente scorretto’, a dire senza mezzi termini che, strutturalmente, l’americano non ha ormai quasi niente di indoeuropeo e che invece è una lingua centroafricana (o sud-est-asiatica); aggiungendo che la bellezza e la chiarezza non sono preliminari necessari perché una lingua - un ‘idioma’, nel caso dell’americano - possa divenire un mezzo di comunicazione internazionale (e qui si sta forse parafrasando Gustave Le Bon [3], secondo il quale l’imbecillità di una dottrina non è mai stato un impedimento perché venisse accettata da vaste masse umane). Il carattere ‘bantù’ dell’americano risulta, paradossalmente, anche da un’osservazione della già citata Alice Werner (4), secondo la quale la mancanza di genere grammaticale in una lingua ‘altamente evoluta’ come l’americano la avvicina alle lingue ‘primitive’, anch’esse carenti di genere grammaticale ma che, secondo lei, “avrebbero la tendenza ad acquistarlo”. Quanto al carattere psicologico negroide dell’uomo americano, delle righe calzanti in riguardo sono state scritte da Julius Evola (5).

    A parte il lato fonetico - le lingue bantù, come l’americano, sono foneticamente indefinite, soprattutto per quel che riguarda la pronuncia delle vocali che non si sa mai bene cosa siano - ci sono delle indicazioni che sembrerebbero suggerire che le psicologie soggiacente il bantù e l’americano potrebbero avere qualcosa di simile. La mappatura del bantù sull’americano è molto meno disagevole che sulle lingue europee - in riguardo un libretto di Charles Doke (6) è parecchio significativo. E significativa è anche la casistica relativa al fanakalò, quella lingua franca che si era sviluppata negli ambienti minerari sudafricani e che aveva incominciato a tracimare nella vita associativa bantù al punto che non pochi negri lo usavano anche fuori dall’ambiente di lavoro - adesso, sta cadendo in disuso perché bollata di essere un ‘retaggio coloniale’ (7). Da un’analisi del fanakalò risulta che - contrariamente a quello che tanti, che pure lo usavano, pensavano che esso fosse - non si trattava di una forma di americano bantuizzato (una sorta di black english [inglese negro], sul tipo di quello che ormai, in Amarica, sta diventando la parlata generale anche dei ‘bianchi’), ma di uno zulù americanizzato (un english zulu [zulù inglese]) - e, americanizzandosi, addirittura lo zulù venne a perdere buona parte delle sue, già molto modeste, forme sintattiche e grammaticale: esso si appiattì.

    Cose del genere dovrebbero dare da pensare. C’è chi ha detto che l’islam (adesso pandemico nel Sud del Mondo) è l’ultima delle religioni possibili, nel senso che è difficile concepire come si potrebbe cadere più in basso nel campo del ‘religioso‘. L’americano, adesso, è parlato pandemicamente, soprattutto ma non solo, nel Sud del Mondo, ed esso viene a essere, forse, l’ultima delle lingue possibili, in quanto difficilmente si può cadere più in basso nel campo del linguistico. C’è da credere che da uno studio dettagliato e in profondità della lingua americana si potrebbero dedurre le caratteristiche principali parlate dalle popolazioni selvagge di un futuro più o meno lontano: esso è un bantù in formazione.

    2. L’americano è un ‘papiamento’: il meticciato linguistico

    Il papiamento è quell’intruglio di spagnolo, olandese, americano e portoghese che è parlato, e divenuto lingua ufficiale, nelle ex-Antille Olandesi. Un papiamento viene a essere un idioma che è il risultato di meticciato linguistico (che niente ha a che fare con l’adattamento di una certa lingua - generalmente, anche se non necessariamente, di conquistatori - a una popolazione a essa psicologicamente allogena: di questo si è parlato più sopra in questo stesso capitolo). E nello stesso modo che il meticciato biologico ha conseguenze teratologiche nel soma e nella psiche, il meticciato linguistico ha conseguenze esiziali nel modo di espressione - il che, alla lunga, c’è da credere che avrà un effetto di rimbalzo anche sulla qualità umana di chi l’idioma meticcio utilizza - ammesso pure che l’adozione di un papiamento come proprio idioma non stia a indicare qualcosa di psicologicamente ‘fuori di posto’ fra coloro che lo adottano (8).

    Dei papiamenti, storicamente, si sono spesso sviluppati nei luoghi di contatto fra popolazioni molto diverse: questo è documentato sia in Europa che fuori dall’Europa. Ma la tendenza è stata quasi invariabilmente a che queste parlate degenerate scomparissero una volta che le condizioni che le avevano originate cessarono di sussistere oppure semplicemente con il passare del tempo - ne diamo qualche esempio.

    Per molto tempo, in Spagna, nella zona di frontiera cristiano-musulmana, ci si intendeva con un misto spagnolo-arabo, la cosiddetta algarabía (9), che scomparve in brevissimo tempo dopo l’espulsione definitiva dei musulmani. Nei porti del Mediterraneo, ancora nel Settecento, le svariate ciurme si intendevano fra di loro e con le prostitute usando la lingua franca, fatta di spagnolo, francese, italiano, greco, turco e arabo; e a Buenos Aires, per oltre mezzo secolo, imperò il cocoliche, papiamento italo-spagnolo. - Nei primi tempi di Roma, nella zona di frontiera con gli etruschi a Faleria, per qualche tempo prese forma un papiamento latino-etrusco. - Tutti questi mezzi di comunicazione scomparvero non appena cessarono di essere funzionali a determinate situazioni.

    In Africa, Martin Gusinde (10) indicava come fino agli inizi del secolo XX, nei pantani dell’Okawango, si fossero sviluppati papiamenti bantù-boscimaneschi, poi scomparsi con l’assorbimento definitivo dei boscimani da parte dei bantù. Invece lo suahili, papiamento arabo-bantù con una modesta aggiunta di portoghese, si è stabilizzato ed è diventato perfino lingua ufficiale in certi ‘paesi’ dell’Africa orientale.

    L’americano è l’unico papiamento (”per metà francese male pronunciato e per metà Niederdeutsch pronunciato peggio ancora” [11]) che si sia stabilizzato in Europa (12). Anche dal punto di vista dell’evoluzione storica, l’americano è completamente diverso da tutte le lingue europee.

    3. L’americanizzazione linguistica del Sud del Mondo

    Marco Merlini, La scrittura è nata in Europa? Prehistoric Knowledge Project Il carattere essenzialmente non-europeo dell’idioma americano e la sua origine storica come papiamento - cose sicuramente non disgiunte l’una dall’altra - hanno dato origine, dopo l’avventura coloniale dei secoli XV - XIX, a interessanti sviluppi linguistici nel Sud del Mondo: l’americano si è rivelato (a) il trampolino linguistico ideale per lo sviluppo di altri papiamenti - papiamenti di secondo grado - che ormai si sono stabilizzati nelle parti meno civili del mondo abitato, (b) in ragione di essere un idioma che strutturalmente ed essenzialmente è ‘terzomondiale’, esso è un modo di espressione adatto alle psicologie larvali delle popolazioni selvagge che lo hanno adottato e che continuano ad adottarlo nel più naturale dei modi. (Sia fatto qui un appunto sulla presunta ‘adeguatezza’ dell’americano per trattare argomenti tecnici. Secondo Hans F. K. Günther [13], ideali all’uopo - per argomenti, appunto, tecnici, non psicologici e neppure matematici - sarebbero le lingue semitiche).

    In svariati luoghi del Sud del Mondo i papiamenti a base di americano si sono sviluppati e sono in via di soppiantare o hanno già soppiantato le parlate locali; e questo non può essere attribuito soltanto alla notevole estensione geografica dell’ex-impero coloniale inglese: l’americano e i suoi papiamenti hanno presto soppiantato il tedesco, l’italiano, il francese, l’olandese, il danese e in tanti luoghi anche lo spagnolo e il portoghese. In America la lingua - lo si è già menzionato - tende ad africanizzarsi sempre di più con l’insorgere del black english; mentre papiamenti a base di americano sono lo spanglish di Puerto Rico (ex-colonia spagnola), il guyanese creolese della Guyana, il fanakalò sudafricano (americano-zulù, con assenza quasi totale dell’afrikaans). In Nuova Guinea (in parte ex-colonia tedesca), il pidgin (papiamento americano-papuaso con una modesta aggiunta di cinese) è addirittura assurto a lingua ufficiale. - In quasi tutto i Sud del Mondo si sono solidamente radicate le cosiddette “non-native varieties of english [varianti non-aborigene dell'inglese]” che, pure essendo divenute lingua materna solo dele classi privilegiate/’colte’, sono anche, a seconda dei luoghi, lingue ufficiali, seconde lingue comuni oppure mezzi di comunicazione con tutti gli stranieri fra le classi infime: nell’Indostan (là, le classi veramente colte, razzialmente distinte da quelle servili, parlano ancora le lingue indiane di origine sanscrita), in Pakistan, Malesia, Tailandia, Filippine, Ghana, Nigeria, Uganda, Tanzania, Zimbabwe, ecc. (14).

    Una crescente americanizzazione linguistica del Sud del Mondo sta certamente prendendo piede; ed è da attribuirsi al fatto che l’americano - magari sotto forma ‘rettificata’, come ‘papiamento di secondo grado’ - è l’espressione idiomatica appropriata per quel tipo di popolazioni.

    4. Confronto con le lingue boscimanesche

    L’americano regge confronto non solo con il bantù, ma anche con le lingue boscimanesche. Questo studio fu intrapreso dallo scrivente già durante il suo primo soggiorno nell’Africa meridionale (15), quando ebbe occasione di acquistare una certa dimestichezza sia con l’americano che con il boscimanesco (16).

    Le lingue boscimanesche hanno in comune con tutte quelle degli altri selvaggi l’indefinizione fonetica, soprattutto nella pronuncia delle vocali che sono intercambiabili, e l’indeterminatezza sintattica e grammaticale (almeno da un punto di vista indoeuropeo) - questi tratti, che le accomunano con l’americano, sono stati menzionati più sopra. Lo spesso citato Isaac Schapera (17) faceva notare come la costruzione delle proposizioni in lingue boscimanesche spesso coincidesse esattamente con quella delle proposizioni dello stesso significato in lingua americana - cosa che lui, americanofono, trovava strana e interessante.

    Specificamente, le lingue boscimanesche hanno la caratteristica lessicale degli schiocchi, posti quasi invariabilmente all’inizio della parola; mentre nella ‘declinazione’ dei sostantivi, oltre al nominativo, le uniche forme che esistono e che in certo e qual modo possono essere interpretate secondo un paradigma europeo sono il vocativo e un ‘nominativo enfatico’. L’una e l’altra di queste caratteristiche indicherebbero che nelle lingue boscimanesche c’è una banalizzazione degli enfatici, per cui ogni altra parola viene a essere detta come se l’oggetto a cui si riferisce fosse causa di sorpresa o di ammirazione (lo schiocco viene a essere un”interiezione fonetica’). Questo ha un riscontro nell’americano: chiunque lo conosca avrà notato che molto spesso il tono con cui vengono dette le cose indica un’enfasi del tutto fuori luogo. - La banalizzazione degli enfatici è quella forma linguistica degenerativa per cui essi entrano a fare parte normale del linguaggio corrente e perdono la loro forza, per cui quando si voglia enfatizzare qualcosa per davvero bisogna mettere mano a circonlocuzioni. L’americano ci da un esempio perfetto di questo fenomeno nell’uso della particella do nelle negazioni, che in questo caso non c’entra con il verbo do [fare = germanico tun]: l’identità delle parole viene a essere una coincidenza fonetica. Il do della negazione è piuttosto, con il massimo di probabilità, una corruzione del germanico doch, particella enfatizzante usata molto poco in tedesco e solo quando ne valga veramente la pena. Se anche nell’americano, quando si tratta di affermazioni, essa ha mantenuto il suo uso corretto (I do want [voglio per davvero]), nelle negazioni il suo uso si è banalizzato, e mentre I do not want dovrebbe volere dire ‘non lo voglio assolutamente’, questa frase non viene a essere se non una normale negazione.

    * * *

    (1) L’isola inglese, da almeno il 1940, fa parte dell’America.
    (2) Claude Hagège, Le souffle de la langue, Odile Jacob, Paris, 1992.
    (3) Gustave Le Bon, nel suo classico La psychologie des foules, tr. it. Longanesi, Milano, 1992 (originale 1895).
    (4) Alice Werner, Introductory sketch of the bantu languages, Kegan Paul, London (Inghilterra), 1919.
    (5) Julius Evola, L’arco e la clava, Scheiwiller, Milano, 1971.
    (6) Charles A. Doke, Outline of grammar of bantu, Department of African Languages, Rhodes University, Grahamstown (Sud Africa), 1982 (originale 1943).
    (7) Sul fanakalò c’è poca letteratura, ma una buona messa a punto è data da D. W. Sparks, Translation programs for construction and mining, testo di una conferenza data al simposio “Computing in the new South Africa”, Midrand (Sud Africa), 1992.
    (8) Cfr. Alain de Benoist e Giorgio Locchi, Il male americano, LEDE, Roma, 1978.
    (9) In spagnolo moderno la parola algarabía esiste ancora e sta a indicare un caos di urlamenti sconclusionati.
    (10) Martin Gusinde, Von gelben und schwarzen Buschmännern, Akademische Druck, Graz, 1966.
    (11) La frase è del compianto storico e politologo francese Henry Coston, che onorò lo scrivente della sua amicizia nei primi anni Ottanta.
    (12) Se l’isola inglese faccia veramente parte dell’Europa, è certo discutibile. Topograficamente essa ne fa, in quanto è un’isola posta al largo, e non lontano, delle sue coste.
    (13) Hans F. K. Günther, Rassenkunde des jüdischen Volkes, Lehmann, München, 1931.
    (14) Cfr. Claude Hagège, Le souffle de la langue, Odile Jacob, Paris, 1992; ottimo anche l’articolo di Aldo Braccio Aspetti culturali della colonizzazione angloamericana, rivista “L’uomo libero” (Milano), N. 54, ottobre 2002.
    (15) Primi anni Settanta e poi fine anni Ottanta e primi anni Novanta.
    (16) Sulle lingue boscimanesche, cfr. le riferenze bibliografiche date nella nota (39) qui sopra. Le grammatiche e i dizionari americano-italiani si sprecano, le grammatiche e i dizionari boscimanesco-italiani mancano del tutto. Un breve glossario tedesco-boscimanesco è dato in appendice da Carl Meinhof, Versuch eines grammatischen Skizze einer Buschmannsprache, Zeitschrift für Eingeborenen-Sprachen, Band XIX, 1928-1929 und XX, 1929-1930.
    (17) Isaac Schapera, The khoisan peoples of southern Africa, Routledge and Kegan Paul, London (Inghilterra), 1930.

    Il presente scritto costituisce il paragrafo 3, capitolo 1 della prima parte del libro di S. Lorenzoni Involuzione. Il selvaggio come decaduto, di prossima pubblicazione da parte delle Edizioni Ghénos di Ferrara.

    Silvano Lorenzoni

    Ottimo autore,anche se non approvo molto il suo "nordicismo" in ambito etnico italico,rimane insuperato il suo breve scritto "contro il monoteismo".

  3. #3
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    Arrow Riferimento: Silvano Lorenzoni

    Salute ai forumisti di Tradizione e Identità...

    Si dovrebbe magari citare la fonte esatta da cui si è preso l’articolo , cioé un 3d del sottoscritto su Stormfront , almeno la buona educazione richiederebbe che lo si facesse…


    Onore a Silvano Lorenzoni , scritti essenziali di un vero identitario/razzialista bianco veneto/europeo! - Stormfront
    http://www.stormfront.org/forum/showthread.php?t=575404


    Là sopra , nel link indicato , trovate diversi altri articoli dell'autore da me raccolti insieme...Su Lorenzoni , sulla questione razziale , sull'immigrazione allogena di colore e sull’Etnonazionalismo altri articoli qui :

    Etnonazionalismo Völkisch - Stormfront
    http://www.stormfront.org/forum/showthread.php?t=386432
    Filosofia, Dottrina e Mistica dell'Etnonazionalismo Völkisch ...
    http://www.stormfront.org/forum/show....php?p=5821149
    http://doge91.blogspot.com/2008/07/libro.html
    Forum Etnonazionalismo Völkisch
    http://forum.politicaonthe.net/forumdisplay.php?f=23


    Adesso vi riporto 4 interessanti ed importanti articoli del nazionalista boero Dan Roodt sul Sudafrica tradotti sempre grazie a Silvano Lorenzoni in italiano :



    http://www.archiviostorico.info/inde...d=69&Itemid=95
    “Daniel Roodt è uno scrittore afrikaans e un attivista politico. Scrive regolarmente sui più conosciuti quotidiani sudafricani e anche nell''Economist' (Inghilterra), 'Le Monde' (Francia) e altre pubblicazioni internazionali. Recentemente egli ha pubblicato una collezione di saggi politici in afrikaans, AWEREGS, nonché una polemica in inglese, THE SCOURGE OF THE ANC.”

    I Problemi razziali del Sud Africa sono sempre piu' gravi venerdì 18 aprile 2008
    http://www.archiviostorico.info/inde...1504&Itemid=95
    "Sud Africa' è sinonimo di 'paradosso'. Inizialmente, questo paese era stato, erroneamente, visto come un luogo dove ci doveva essere una grande tensione razziale. Dopo la scalata al potere dell'ANC nel 1994, si pretese che il Sud Africa fosse entrato in un periodo post-razzista, e molti stranieri hanno addirittura affermato che il Sud Africa era divenuto un esempio di collaborazione multiculturale e multirazziale.
    Invece, ogni ottimismo si rivelò ben presto sbagliato. Sembrerebbe invece che il Sud Africa, dopo il suo ingresso nei tempi post-apartheid, sia divenuto il teatro di un confronto razziale al quale prima non si pensava neppure - e non certo perché i sudafricani, negli ultimi dieci anni, siano divenuti più 'razzialmente consapevoli'.
    Poche settimane fa, un gruppo di giornalisti negri hanno impedito a giornalisti bianchi, non esclusi alcuni stranieri, di assistere a una riunione dell'Unione di Giornalisti Negri. I giornalisti bianchi 'liberali' hanno espresso la loro sorpresa e la loro ripulsa verso questa iniziativa, che invece è stata appoggiata dai propagandisti giornalistici negri e da politici ugualmente negri.
    Dal 1994 il Sud Africa è stato polarizzato dalla volontà di raggiungere 'quote razziali'. Questo, come conseguenza delle politiche governative pilotate dall'ideologia della 'trasformazione' - che si è manifestata come una forma radicale di 'azione correttiva' contro i bianchi (il che significa una 'discriminazione positiva' -"affirmative action"). Nell'economia, nell'istruzione, nello sport, valgono le 'percentuali razziali'. Siccome i negri fanno l'80% della popolazione, l'80% dei medici, degli ingegneri, dei dirigenti amministrativi e dei giocatori di rugby devono essere negri (vedi articolo " Sud Africa, imposto il primo c.t. nero " n.d.r.) - nonostante il fatto che meno dell'1% degli studenti negri riesca a superare gli esami di matematica alla fine della loro carriera scolastica e che la maggioranza di loro preferisca il calcio al rugby.
    Un recente incidente che ha attratto l'attenzione di tutto il paese è stato la diffusione di un video satirico fatto da un gruppo di studenti dell'università del Vrystaat. Questo video, che è stato descritto dai media come dilettantesco e volgare, mostrava la partecipazione di quattro addette negre alle pulizie a una specie di rituale iniziatico/magico nelle cucine universitarie di Reitz (Vrystaat) - a Reitz sta una sede dell'università.
    Le immagini di donne che, nel rituale in questione, devono ingerire ogni sorta di pattume e anche prendere parte a una corsa a ostacoli e a una partita di rugby, sono state segnalate dalla stampa locale ed estera come come un fatto razzista: fino a che la CNN non diffuse anch'essa una parte del video.
    Per circa due settimane il video del Vrystaat fu la 'notizia' più importante nel paese e fece del 'razzismo' il problema principale nel medesimo. Nel video non si mostravano incidenti personali o fatti di sangue, ma questo non servì a diminuire l'isteria di massa inscenata dai media. Quando si ricordi che negli ultimi 10 anni circa 30.000 bianchi sudafricani sono stati assassinati da negri e che circa 70.000 donne bianche sono state violentate da negri, un video studentesco potrebbe anche non sembrare una cosa tanto importante.
    Ma nei tempi odierni, nei quali i bianchi vengono indicati come colpevoli e i negri sono stati resi feroci, il video è arrivato come il cacio sui maccheroni. Ci ha fatto vedere perfettamente che il sogno di un Sud Africa 'non razziale' non è altro che un fantasma. L'apartheid aveva tenuto le razze separate, invece la 'trasformazione', ha scatenato per la prima volta l'odio razziale nel paese - in particolare, quello dei negri verso i bianchi. Non mancano certuni, fra i negri, che assicurano che in Sud Africa ci vuole un dittatore come Robert Mugabe che mandi via tutti i i bianchi senza curarsi delle conseguenze.
    E' probabile che questa sia la prima volta che il fatto 'razza' sia divenuto il problema fondamentale del Sud Africa, dal punto di vista politico, sociale, culturale. Quanto più certi 'scienziati', politici e giornalisti negano la realtà del fatto biologico razziale, tanto più esso diviene un fattore politico e un marchio di identità. La 'trasformazione' genera ogni sorta di situazioni assurde, per cui, per esempio, gli ingegneri bianchi non possono più lavorare nella fornitura nazionale dell'elettricità, con la conseguenza di interruzioni croniche nella fornitura del servizio elettrico. Ma l'ossessione razziale dell'élite negra e di certi 'intellettuali' bianchi di sinistra, sta spingendo il paese verso il baratro.
    E' possibile che un giorno arrivi a esserci uno sterminio generalizzato della popolazione bianca del paese o una fuga in massa della medesima, come è successo in Zimbabwe - staremo a vedere. C'è anche la possibilità che in Sud Africa si sviluppi una guerra civile o qualcosa di peggio. Se un semplice video può polarizzare la nazione, quali potranno essere le conseguenze della fanatizzazione tnica, soprattutto dei negri, portata avanti dai media? "


    Africa: “Democrazia futura” venerdì 25 gennaio 2008
    http://www.archiviostorico.info/inde...=953&Itemid=10
    "Nel corso delle ultime elezioni in Kenia circa 600 persone sono rimaste uccise. In Africa, milioni di persone sono morte come conseguenza di guerre interetniche, genocidi e carestie; e questi milioni di morti non sono mai ricordati per molto tempo. Eppure le elezioni del Kenia, alle quali è stata data parecchia pubblicità e per le quali fu presente l’Unione Europea, hanno delle importanti lezioni da dare.
    La prima di queste lezioni è che il continente africano, si afferma, un giorno o l’altro sarà una “democrazia”. Ci fu un tempo in cui la Costa d’Avorio fu indicata come l’”esempio” da seguire per il resto del continente, con un governo stabile, una crescita economica e un numero considerevole di bianchi nei posti tecnici. Ma la democrazia della Costa d’Avorio, dal 1998, si è progressivamente tramutata in conflitto etnico e alla lunga in guerra civile, nella quale risultò vincitore Laurent Gbagbo, che è ancora al potere. Intanto, molti europei, soprattutto francesi, hanno abbandonato il paese e in conseguenza c’è stato un collasso economico.
    Ciò che è vero per la Costa d’Avorio è vero anche per la cosiddetta Repubblica del Congo, che è tanto democratica come potette esserlo l’ex Repubblica Democratica Tedesca. Solo qualche mese fa, l’Unione Europea, investendo 500 milioni di euro, ha reso possibili le prime elezioni in 40 anni. Fino a qualche settimana fa la ‘democrazia’ del Congo era la più ‘promettente’ di tutta l’Africa; poi scoppiò la guerra civile per le strade della capitale, Kinsjasa. La guerra interetnica, fino adesso, ha fatto nel Congo quattro milioni di morti, e non accenna a cessare.
    Si sente spesso dire che in Africa non c’è una visione del futuro. Gli africani vivono alla giornata, non c’è molta pianificazione, le comunicazioni non ricevono manutenzione, l’agricoltura viene abbandonata e la crisi è ‘normalità’. Quindi ci vuole l’intervento delle organizzazioni ‘caritatevoli’, europee o delle Nazioni Unite.
    Nel 1980 era lo Zimbabwe a essere la ‘futura democrazia’ dell’Africa. I giornalisti inglesi scrissero apologie di Mugabe e lo storico Thomas Pakenham, negli ultimi anni Novanta, presentò lo Zimbabwe come modello per il mondo, indicando come Mugabe fosse “tollerante verso le minoranze etniche e razziali”. Da allora Mugabe si è rivelato un dittatore che ha perseguitato le minoranze etniche, tipo i Matabele (egli è un Sjona) e ha espulso tutti i bianchi dal paese confiscando i loro beni e annientando l’economia del paese.
    Nonostante tutto questo, un mese fa Mugabe è stato ricevuto con tutti gli onori alla riunione dell’Unione Europea a Lisbona, dove si ipotizzò che nello Zimbabwe ci potesse essere un ‘ritorno alla democrazia’ – come se da quelle parti democrazia ce ne fosse mai stata. Ma l’Africa è sempre una “democrazia del futuro” – prima la Costa d’Avorio, poi il Kenia, poi il Congo e poi lo Zimbabwe.
    Anche il Sud Africa, il paese più sviluppato dell’Africa, all’inizio degli anni Novanta era indicato come la più promettente democrazia del continente. Mandela, ex comunista ed ex avvocato della classe media, appartenente all’etnia xhosa, fu acclamato in tutto il mondo come il più grande statista dopo John F. Kennedy, Charles de Gaulle e addirittura Giulio Cesare.
    Adesso il Sud Africa sta attraversando le fasi preliminari dello scontro etnico fra gli xhosa, sempre più potenti, e i loro concorrenti storici, gli zulù; una circostanza, questa, che viene tenuta nervosamente d’occhio sia dai bianchi che che da tutte le altre minoranze etniche o razziali del paese. C’è una probabilità di oltre il 50% che, entro tempi relativamente brevi, il Sud Africa si incammini sulla stessa via dello Zimbabwe.
    La lealtà alla propria etnia assieme a un sistema di valori che è incompatibile con quello delle democrazie occidentali, sono realtà indiscutibili in Africa. Eppure tanti osservatori occidentali dalle idee poco chiare, che visitano l’Africa all’ombra di parasoli o a fare vacanze di caccia, vi vedono ancora una futura democrazia e sono disposti a riversarvi milioni di euro.
    Da quando è finita la guerra fredda, la democrazia e le elezioni che sono costate milioni di euro sono state le principali cause di guerra e di violenza interetnica in Africa. Coloro che vanno in Africa a fare ‘safari’ armati di binocoli e di denaro contante, non fanno proprio niente per ‘portare la democrazia’ agli autoctoni."


    Zimbabwe: l'utopia multiculturale martedì 04 dicembre 2007
    http://www.archiviostorico.info/inde...=945&Itemid=95
    "Come conseguenza di un'inflazione del 15.000%, che adesso è un record mondiale, la maggior parte degli abitanti del pianeta hanno sentito parlare dello Zimbabwe. La settimana scorsa l'ex-dirigente della vecchia Rhodesia, Ian Smith, è morto a Città del Capo. Alla fine degli anni '70 Smith fu tradito dall'Inghilterra in modo che Mugabe potesse impossessarsi di quello che allora, assieme al Sud Africa, era lo Stato più ricco dell'Africa subsahariana.
    Può sembrare strano, ma leggendo la biografia di Hillary Clinton, mi è subito venuto in mente lo Zimbabwe. Era una brava ragazza conservatrice di Ridge Park (stato di Illinois, Stati Uniti) che, perduta la giusta via, finì negli ambienti liberali e multiculturali. Durante il suo primo anno nel 'college' di Wellesley, essa fu la segretaria dei Giovani Repubblicani. Al congresso nazionale repubblicano del 1968, a Miami, appoggiava la candidatura di Nelson Rockefeller e sviluppò un'intensa antipatia per Nixon; e le sembrò di percepire un'aria di 'razzismo' nel congresso.
    L'ondata multiculturale non si è riversata soltanto sulla povera Hillary; ma su intere regioni del mondo. In Sud Africa, la 'lotta contro il razzismo' ha condotto a uno dei sistemi più discriminanti che ci siano mai stati: diretto contro i bianchi. I governi conservatori e pro-occidentali che un tempo erano gestiti da bianchi sono stati sostituiti da regimi radicali 'africanisti' che sono all'avanguardia della rivoluzione terzomondiale contro l'Occidente.
    Nello Zimbabwe l'economia, il sistema scolastico, la sanità e i trasporti stanno tornando all'età della pietra. Le scuole non funzionano più e secondo un recente rapporto del Daily Telegraph alcune parti dell'Università di Zimbabwe sono state trasformate in bordelli. Una studentessa ha detto: che cosa si può fare se non si ricevono che dei miserabili 2 milioni di dollari zimbabweani (meno di 2 euro) al semestre?
    Per la maggior parte degli europei e degli americani lo Zimbabwe è uno di quei paesi terzomondiali che non si sa bene dove siano. Eppure il sistema fanaticamente antibianco di Mugabe non è altro che una delle manifestazioni del movimento multiculturale internazionale.
    Per quel che riguarda il multiculturalismo, lo Zimbabwe rappresenta ciò che Cuba rappresenta per il comunismo: la soppressione della religione e la sua sostituzione con la religione secolarizzata marxista. La religione marxista fece di Cuba un satellite malaticcio dell'Unione Sovietica. L'idea che Castro aveva del marxismo era tanto radicata che essa non fu modificata dalla caduta del muro di Berlino e dalla liberazione dell'Europa Orientale.
    L'8 e il 9 dicembre, gli eurocrati di Bruxelles terranno una conferenza a Lisbona alla quale Mugabe sarà invitato assieme a un gruppetto di dittatori e assassini africani. Sorprende che il primo ministro inglese Gordon Brown si sia dichiarato contrario alla presenza di Mugabe.
    Ci si domanda perché. Furono proprio le sanzioni economiche e militari che l'Inghilterra mise in atto contro la Rhodesia che portarono al potere il compagno Bob. E lo storico Thomas Pakenham, nel suo libro The scramble for Africa del 1992, scrisse: "Negli ultimi dieci anni lo Zimbabwe ha chiuso la bocca ai critici ... I dirigenti del nuovo stato, che erano stati in prigione o al confino, hanno trattato le loro minoranze, bianche e nere, con encomiabile moderazione".
    C'è chi dice che l'Africa non ha subito alcun fallimento, ma solo livelli diversi di successo. Saccheggiare la propria terra, fare pulizia etnica dei propri concittadini di razza bianca e mettere alla fame il proprio popolo significa, per loro, progresso: almeno fino a tanto che questa situazione sarà strumentale alla distruzione dell'Occidente.
    Parecchi hanno affermato che il multiculturalismo non è altro che una forma di comunismo; ma recentemente io ho incominciato a pensare che il multiculturalismo può essere peggio del comunismo. Nonostante tutto, gli est-europei sono riusciti a dare un'educazione alla propria popolazione, a fare loro imparare il balletto e la musica classica e, in ultima, sono riusciti a contribuire alla diffusione della civiltà, sia pure in modo alquanto perverso. Invece il multiculturalismo si indirizza solo verso la barbarie, come adesso vediamo in Sud Africa e Zimbabwe.
    Diversamente dal comunismo, che almeno ci dette Prokofiev e l'architettura social-realistica di Nowa Huta a Cracovia, il multiculturalismo non è altro che distruzione pura."


    L’immigrazione sta causando il tracollo del Sud Africa venerdì 23 novembre 2007
    http://www.archiviostorico.info/inde...=944&Itemid=95
    "L’intellettuale italiano Umberto Eco ha dichiarato qualche anno fa una cosa che mi ha molto colpito. Nel suo libro Cinque Scritti egli dice, fra l’altro, che "Il Terzo mondo bussa alle nostre porte e, a noi piaccia o non piaccia, fra poco entrerà ... l’Europa sarà un continente multirazziale - o "meticcio" a seconda dei gusti. Sarà così, per forza".
    Potrebbe darsi che Romano Prodi non sia tanto fatalista come Umberto Eco, in quanto sembra che l’Italia possa essere il primo paese in Europa nella deportazione di imigrati illegali. Ma se comunque qualcuno dovesse avere un qualche dubbio sull’effetto devastante dell’immigrazione illegale, basterebbe che egli visitasse il mio paese, il Sud Africa.
    Si calcola che ci siano da 10 a 15 milioni di clandestini in Sud Africa, cioé qualcosa come un quarto di tutta la popolazione. In certe zone del paese, tipo la Provincia del Limpopo, l’80% della criminalità è a carico di immigrati. Eppure, non molto tempo fa, il presidente del Sud Africa, Thabo Mbeki, ha detto che il suo governo "non può fare niente" per arginare la marea dell’immigrazione, soprattutto proveniente dallo Zimbabwe.
    Il Sud Africa, una volta, era un paese occidentale. La borsa di valori sudafricana è più antica che quella di alcune nazione dell’Europa occidentale. Fino a recentemente avevamo più ferrovie e strade dell’Inghilterra. Adesso le nostre strade si sono riempite di buche e oltre la metà delle ferrovie non funzionano più. Questa è la conseguenza dell’africanizzazione, ma anche dell’immigrazione clandestina che ha travolto praticamente tutto il nostro sistema sociale.
    Una volta c’era un quartiere di Johannesburg - Hillbrow - che era conosciuto come il "Manhattan dell’Africa". Era una zona cosmopolita dove c’era gente proveniente da molte parti diverse dell’Europa. Mi ricordo quando, da studente, come si frequentasse il Cafè de Paris e il Café Wien. C’erano anche librerie e una rivendita di dischi, la Hillbrow Records, che aveva un buon reparto di musica classica.
    Adesso Hillbrow è divenuto uno slum con un altissimo livello di delinquenza controllato da spacciatori nigeriani. Dei 100.000 nigeriani presenti in Sud Africa solo 3.000 hanno permessi legali di soggiorno. In qualsiasi angolo di strada ci si può procurare non solo eroina, ma anche carte d’identità sudafricane per l’equivalente di 100 euro. Spesso questi documenti sono venduti da funzionari corrotti del Ministero sudafricano degli interni. È difficile descrivere in parole la condizione attuale del Sud Africa. Ogni giorno, sui giornali, si può leggere di tutto a proposito del livello di omicidi, ruberie, e stupri. Succede qualche volta che quando le vittime di un furto vanno a farne denuncia presso la stazione di polizia, riconoscano il ladro proprio nel poliziotto in uniforme azzurra che li riceve.
    Proprio ieri un conosciuto cantante sudafricano, André Swiegers, scriveva come suo figlio, la sua fidanzata e la madre di lei fossero stati arretati perché lei non aveva mostrato sufficientemente in fretta la sua patente di guida Naturalente la donna arrestata era bianca e il vigile negro o "meticcio" come direbbe Umberto Eco.
    Lì sta la radice del problema: il presidente Mbeki è un complessato per il fatto di essere negro e come tale non farà niente contro gli immigrati clandestini, anche quando essi commettano atti criminali contro vecchi, donne, bambini. Per lui, noi occidentali sudafricani che rispettiamo le leggi siamo il nemico che deve essere tormentato dalla sua polizia, contro il quale è diretto il suo arsenale di leggi e che è suo scopo finale espellere dal paese. I nostri figli non devono frequentare le università o i migliori luoghi di studio, che devono essere frequentati solo da negri. Inoltre, devono pagare caramente per i loro studi, mentre per i negri gli studi sono gratuiti.
    La condizione imperante in Sud Africa è in parte dovuta all’immigrazione clandestina, in quanto moltissimi negri che abitavano oltreconfine sono passati in Sud Africa per ragioni economiche. Speriamo che il destino dell’Italia possa essere diverso e che la profezia di Umberto Eco si avveri falsa.

    * Dan Roodt è uno scrittore e uno che combatte per la sopravvivenza dell’afrikaner in Sud Africa.
    [Traduzione a cura di Silvano Lorenzoni per archiviostorico.info - Tutti i diritti riservati] "



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    14 Words! - Holuxar
    ADDIO GIUSEPPE, amico mio, sono LUCA e nel mio CUORE sarai sempre PRESENTE!
    «Réquiem aetérnam dona ei, Dómine, et lux perpétua lúceat ei. Requiéscat in pace. Amen.»

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  4. #4
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    Arrow Riferimento: Silvano Lorenzoni

    Sempre tradotti da Silvano Lorenzoni...
    Vi riporto altri vari articoli sul Sudafrica , pubblicati da un importante settimanale Boero...



    LA MALATTIA MORTALE martedì 20 gennaio 2009
    http://www.archiviostorico.info/inde...3142&Itemid=81

    "Ognuno che pensi con la sua testa si sarà accorto di quanto distruttiva sia la pandemia mondiale di AIDS e che essa è ben lontana dall'avere raggiunto il suo punto apicale.
    Degli studi recenti hanno confermato che il Sud Africa sarà pesantemente coinvolto dalle conseguenze della malattia, che è trasmessa da paersona a persona soprattutto in ragione di abitudini di vita sregolate. Il fatto che negli ultimi anni ci sia stato un forte aumento della mortalità e che ci siano stati milioni di nuovi casi è una dimostrazione lampante dello stile di vita sregolato che va insieme a un certo tipo di 'cultura'.
    Il regime comunista sudafricano ha speso negli ultimi 15 anni miliardi di rand, usciti dalle tasche del contribuente bianco, in innumerevoli e inutili iniziative per arginare la pandemia, ma il problema di fondo non è mai stato considerato. Ogni cosa sembra indicare che il contagio è fuori controllo.
    Alla fine degli anni Novanta una squadra di scienziati tedeschi ha indagato la situazione sudafricana e ha indicato quali misure qualsiasi governo avrebbe dovuto prendere per arginare la pandemia. I suoi risultati, assieme a una proiezione di che cosa potrebbe succedere se non si fosse fatto niente, furono resi disponibili al governo ANC sudafricano. Si prevedeva che già nel 2010 in Sud Africa lo spettacolo giornaliero di cadaveri giacenti per le strade non sarebbe stato niente di particolare.
    Ci sono 7 milioni di sieropositivi in Sud Africa, cifra ufficiale, il che potrebbe indicare che i risultati e le proiezioni di quell'indagine siano veritieri. Il regime non ha fatto gran caso. In occasione della recente cosiddetta 'giornata dell'AIDS', l'esercito ha distribuito anticoncettivi per le strade - come se così facendo si fosse risolto qualcosa.
    Una squadra di medici belgi ha fatto un'indagine analoga e verso la fine del 2007 ha trovato che in Sud Africa ci devono esserer almeno 8 milioni di sieropositivi. Inoltre ha constatato che la vita sregolata degli africani è in parte dovuta al fatto che essi credono che i loro stregoni abbiano dei mezzi appropriati per curare la malattia.
    Molti esperti concordano che in Sud Africa i sieropositivi devano essere molti di più di quanto ammetta l'ufficialità, in quanto moltissimi casi non vengono denunciati.
    La mancanza di competenza del governo rende la situazione ancora peggiore. L'ultimo ministro della sanità non aveva alcuna conoscenza sull'argomento, e le sue dichiarazioni sul potere curativo dell'aglio e delle bietole causarono sgomento fra i medici.
    Recentemente in un programma televisivo un negro fece due interessanti dichiarazioni:
    (1) i negri hanno fiducia nella loro medicina tradfizionale che hanno ereditato dai loro antenati e per loro la medicina dei bianchi non ha valore,
    (2) essi non crederanno mai alla frottola, messa in giro dai bianchi, secondo la quale la vita sregolata favorisce il contagio. La cultura negra è vecchia di millenni e la panzana del contagio dell'AIDS per via sessuale fa loro da rider.
    Per noi afrikaner queste due dichiarazioni non hanno niente di peregrino. Conosciamo il negro africano a sufficienza per sapere che queste dichiarazioni riassumonmo perfettamente il suo modo di vedere le cose. Né l'ANC né qualsiasi altro governo sarà mai in grado di cambiare le opinioni dei negrei sul fatto 'AIDS'. Noi afrikaner abbiamo fatto sempre una vita regolata ed èmeglio che continuiamo così; il virus dell'AIDS può annientare interi popoli.
    Dal settimanale Die Afrikaner 16 -22 gennaio 2009
    (Traduzione a cura di Silvano Lorenzoni per archiviostorico.info - Tutti i diritti riservati) "


    IL REGIME DI MUGABE E' STATO FABBRICATO DALL'INGHILTERRA lunedì 07 luglio 2008
    http://www.archiviostorico.info/inde...2371&Itemid=81

    "Ci sono dei fatti che vengono sistematicamente ignorati quando ci si occupa del regime comunista di Mugabe nella ex-Rhodesia, di tutte le sue imbecillità e misfatti. Che Mugabe abbia devastato lo Zimbabwe, è vero. Ma suo complice fu il suo alleato di altri tempi, l'Inghilterra, che ha spianato la strada verso il 'governo di maggioranza' nello Zimbabwe. Mugabe, una volta, era un eroe per gli inglesi: fu lui a garantire che essi avessero a loro disposizione le ricchezze minerarie dello Zimbabwe. E Mugabe, per questo servizio, ricevette grandi ricompense.
    Adesso Mugabe ha voltato loro le spalle e si è procurato un nuovo alleato nella Cina comunista. Improvvisamente Mugabe diveniva un 'criminale' ; e gli inglesi si procuravano un nuovo alleato nella fattispecie di Tsvangirai [il candidato presidenziale 'sconfitto' alle ultime elezioni che, significativamente, non è uno zulù matabele - i matabele sono gli oppositori tradizionali del masciona Mugabe - ma anche lui un masciona. Adesso ha domandato asilo politico in un'ambasciata europea]. A Tsvangirai l'Inghilterra ha dato milioni di sterline per cercare di mettere Mugabe fuori gioco, magari assassinandolo. Ma Tsvangirai non avrebbe 'salvato' lo Zimbabwe: egli non avrebbe fatto altro che proteggere gli interessi inglesi in Zimbabwe, di contro a quelli cinesi. Per lo zimbabwese medio non sarebbe cambiato niente: egli avrebbe continuato a spravvivere mangiando sorci e spazzature raccattate nelle discariche.
    I bianchi sudafricani dovrebbero dovrebbero rendersi conto che non c'era e non c'è alcuna differenza fra Mugabe e Tsvangirai. L'uno è sostenuto dai comunisti cinesi, l'altro dai capitalisti angloamericani. Se la Cina dovesse riuscire ad impossessarsi del potere nello Zimbabwe, si sarebbe creata una situazione per noi pericolosa. Ma in ogni caso all'Inghilterra non interessano i negri dello Zimbabwe, i quali continueranno a sciamare verso il Sud Africa, cosa che avrebbero contiunuato a fare anche se Mugabe se ne fosse andato. Ci sarebbe stato qualche cambiamento politico di facciata; e i grandi capitalisti avrebbero continuato a dominare la situazione.
    Le unghie del 'drago rosso' sono solidamente piantate in Africa: Zimbabwe, Nigeria, Uganda Repubblica Centroafricana, Zambia, Sudan - e, in modo crescente, anche in Sud Africa. La Cina non lascerà la presa facilmente. - Il gigante petrolchimico sudafricano SASOL ha reso intanto pubblico che assorbirà un numero crescente di cinesi fra il suo personale, nel suo programma di Predominanza Economica Negra, in quanto la Corte Costituzionale sudafricana ha decretato che anche i cinesi devono essere classificati come 'negri'.
    Dal settimanale Die Afrikaner 27 giugno -03 luglio 2008
    (Traduzione a cura di Silvano Lorenzoni per archiviostorico.info - Tutti i diritti riservati) "


    BARACK OBAMA sabato 28 giugno 2008
    http://www.archiviostorico.info/inde...1904&Itemid=81

    "Parecchi americani si aspettano grandi cose da Barack Obama, attuale candidato del Partito Democratico, nel caso che egli dovesse divenire il prossimo presidente degli Stati Uniti d'America. Ma è probabile che egli non si limiterebbe a eseguire l'agenda che gli imporranno i sionisti [come hanno fatto i Bush, Clinton, ecc.] ma che agirebbe anche contro i bianchi americani.
    Durante la sua campagna elettorale, Obama ha detto di essere contro la guerra in Irak e di volere risanare le pratiche corrotte che adesso sono all'ordine del giorno negli uffici governativi di Washington. Molti americani, sia negri che bianchi, credono sul serio che Obama farebbe dei cambiamenti positivi.
    Eppure Obama si è contraddetto in occasione di una sua recente conferenza tenuta presso il gruppo di pressione ebraico AIPAC, quando ha parlato davanti a circa 7.000 ebrei. Questo suo discorso ha disilluso parecchi che pensavano che egli volesse cambiare la politica estera americana. Ha minacciato di attaccare l'Iran e ha dichiarato che Gerusalemma, nella sua totalità, deve essere la capitale dello stato di Israele. Cosi ha dimenticato diverse promesse che aveva fatto ai suoi elettori qualche mese fa e ha spento le speranze che aveva acceso nel cuore di tanta gente, soprattutto palestinesi e altri arabi.
    Queste dichiarazioni di Obama significano essenzialmente che qualsiasi candidato allapresidenza dell'America, sia egli democratico o repubblicano, senza escludere John Mac Cain o la Hillary Clinton, è di necessità uno strumento degli ebrei; e si rende conto che altrimenti non ha alcuna probabilità di vincere. Ogni candidato, quindi, deve per forza fare questo tipo di discorsi.
    Ma non ci si ferma ai discorsi. La carriera di George Bush ha dimostrato [ammeso che ce ne fosse ancora di bisogno] che i presidenti americani devono portare a termine scrupolosamente l'agenda a loro imposta dai sionisti. Anche Obama, certamente, obbedirà ai sionisti, ma in ragione del colore della sua pelle, della sua carriera personale e del suo credo religioso, porterà avanti anche un'altra agenda, diretta contro l'uomo bianco.
    Obama è un pericolo per la sopravvivenza dei bianchi in America e non solo [anche in Sud Africa]. Gli americani avrebbero una scelta presidenziale molto migliore nella persona del dott. Ron Paul; ma costui non gode dell'appoggio degli ebrei e quindi non sarà eletto.
    Dal settimanale Die Afrikaner,
    (Traduzione a cura di Silvano Lorenzoni per archiviostorico.info - Tutti i diritti riservati)"


    LE TRE OPZIONI PER LA LIBERTA DELL'AFRIKANER venerdì 24 ottobre 2008
    http://www.archiviostorico.info/inde...2557&Itemid=81

    "Dopo la capitolazione di De Klerk nel 1994, all'afrikaner sono rimaste solo tre opzioni politiche. Per coloro che si accontentano di rimanere per sempre sottomessi, c'è l'opzione di essere per sempre una minoranza, il che significherebbe che l'afrikaner non verrebbe a essere mai più un popolo e l'attuale situazione diverrebbe irreversibile: condizione inaccettabile per quelli fra di noi che mantengono un minimo di rispetto per sé stessi.
    La seconda opzione è quella del 'Volkstaat' [stato proprio della minoranza afrikaner], opzione che, adesso come una volta, si dimostra una fantasia di sognatori solitari che credono di potere ottenere uno stato a loro proprio nel quale possano essere indipendenti attraverso di negoziati. In questo modo essi saranno mantenuti occupati per tempo indefinito, fino a che il loro sogno non finisca per svanire.
    La terza opzione è quella della libertà; ed è la scelta di coloro che vogliono liberarsi dal giogo dell'oppressione esogena e ridiventare padroni della propria terra. La patria dell'afrikaner è quel territorio che, storicamente, è appartenuto ai bianchi, i quali di un deserto hanno fatto una nazione civile di livello europeo. Le terre dei negri sono quelle alle quali essi possono vantare qualche diritto storico (nazioni swazi, sotho, tswana, zoeleoe, ecc.). L'indostano è sempre stato un parassita dappertutto e in Sud Africa egli non ha alcun diritto territoriale. Quanto ai kleurling [ottentotti variamente meticciati], essi sono autottoni e a loro bisognerà pur concedere un qualche territorio.
    Si sente parlare molto di un prossimo momento storico di stravolgimento, quando il bianco potrà di nuovo appropriarsi del potere politico in Sud Africa. Ma nelle nostre attuali condizioni, mantenere in funzionamento l'esercito, la polizia, i servizi pubblici, sarebbe difficile per mancanza, ormai, di un sufficiente personale qualificato - volendo mantenere l'attuale struttura politica. Bisogna invece appropriarsi del potere in modo totale e senza riferimenti a qualsivoglia struttura parlamentare. Una volta in possesso del potere assoluto, le differenze numeriche non conterebbero più: alla battaglia di Bloedrivier eravamo 1 contro 12, adesso siamo 1 contro 15, dei quali la metà sono sieropositivi. Inoltre, l'armamento in possesso dei negri è in pessime condizioni.
    La ricetta per la libertà è ormai di tipo extraparlamentare. Il Sud Africa, storicamente, è la nostra terra. L'ANC non l'ha a conquistata: le è stata consegnata di contro a qualsisi diritto.
    Dal settimanale Die Afrikaner 03 - 09 otobre 2008
    (Traduzione a cura di Silvano Lorenzoni per archiviostorico.info - Tutti i diritti riservati) "



    Da leggere con attenzione per capire il nuovo Sudafrica!
    Onore alla RESISTENZA ETNICA BOERA!


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  5. #5
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    Lightbulb Riferimento: Silvano Lorenzoni

    Omaggio sincero da parte mia a lui nel giorno del suo compleanno.
    Articoli essenziali di Silvano Lorenzoni sulla questione razziale.
    Raccolgo ed unisco in questo 3d i fondamentali scritti di Silvano Lorenzoni , onore ad un grande uomo e scrittore identitario-razzialista ed etnonazionalista veneto/europeo che si batte culturalmente con coraggio e senza compromessi per la sopravvivenza della razza bianca e che proprio oggi 25 febbraio compie 67 anni (nato nel 1942) , auguri a lui!
    Lo ringrazio per la sua gentilezza e al di là di alcune differenze di vedute su certi argomenti ribadisco tutta la stima che nutro nei suoi confronti , avendo anche l’onore di conoscerlo di persona.
    Inizio riportando come primo articolo la sua illuminante autobiografia culturale scritta di recente , una lettura memorabile.
    Intanto una sua breve presentazione/biografia , l’elenco dei suoi scritti principali , link di riferimento , ecc.
    Seguono poi i suoi vari articoli , uno dopo l’altro in modo da averli tutti insieme.
    Da salvare , leggere e meditare…




    “Silvio Waldner (Silvano Lorenzoni) Vicentino, classe 1942, dopo tutta una vita passata all'estero (le due Americhe, l'Africa), rientra in Europa nel 1994. Poliglotta, è stato esploratore ed etnologo. Autore di diversi libri su svariati argomenti (analisi dei tempi moderni, razziologia, epistemologia) ha anche tenuto parecchie conferenze usufruendo anche della sua vasta documentazione fotografica. Ha fatto parecchie traduzioni, soprattutto dal tedesco ma anche da altre lingue.
    Abita adesso a Sandrigo, provincia di Vicenza.”
    http://www.archiviostorico.info/inde...ogcategory&id= 3&Itemid=12


    Silvio Waldner, La deformazione della natura. Disordine razziale e catastrofe ecologica , Ar, Padova 1997.
    Silvano Lorenzoni, Il Selvaggio. Saggio sulla degenerazione umana, Edizioni Ghénos, Ferrara 2005.
    Federico Prati - Silvano Lorenzoni, Scritti etnonazionalisti. Per un'Europa delle Piccole Patrie, Effepi, Genova 2005
    F.Prati-S.Lorenzoni-H.Wulf , Etnonazionalismo ultima trincea d’Europa, Effepi Edizioni 2006.
    Federico Prati-Silvano Lorenzoni-Flavio Grisolia , I Fondamenti dell’Etnonazionalismo Völkisch, Effepi Edizioni 2006.
    Federico Prati – Silvano Lorenzoni, Filosofia, Dottrina e Mistica dell’Etnonazionalismo Völkisch, Effepi Genova 2008


    AUTOBIOGRAFIA DI UN VENETO mercoledì 22 ottobre 2008
    http://www.archiviostorico.info/inde...ew&id=2529&Ite mid=10
    I Veneti preromani nel contesto europeo | Silvano Lorenzoni
    http://www.centrostudilaruna.it/venetipreromani.html
    http://www.centrostudilaruna.it/teoriarazzeevola.html
    http://www.centrostudilaruna.it/invo...eterogena.html
    http://www.centrostudilaruna.it/americanobantu.html
    http://www.centrostudilaruna.it/wald...roduttiva.html
    Atlantide, Mu, Lemuria, Gondwana, Iperborea Autore: Silvano Lorenzoni
    http://www.centrostudilaruna.it/atla...iperborea.html
    http://www.krol.it/forum/continenti-...a-e-t5175.html
    Immigrazione extracomunitaria e denatalità europea | Silvio Waldner
    http://www.centrostudilaruna.it/immi...a-europea.html
    IMMIGRAZIONE EXTRACOMUNITARIA E DENATALITA' EUROPEA: LORO SIGNIFICATO E INTERRELAZIONE (di Silvio Waldner)
    http://eurosiberiacristiana.splinder.com/post/18461833
    http://www.fdng.org/documenti/cultur...ta_europea.htm
    IMMIGRAZIONE È UNA COSA, IMMIGRAZIONE DI COLORE UN'ALTRA
    http://www.italiasociale.org/AlzoZero/az011005-3.html
    Etnonazionalismo Völkisch - Stormfront
    http://www.stormfront.org/forum/showthread.php?t=386432
    QUINTO ANNIVERSARIO DI "IDENTITA' E TRADIZIONE"
    Filosofia, Dottrina e Mistica dell'Etnonazionalismo Völkisch di F.Prati e S.Lorenzoni
    Novità libraria:"Orizzonti del Nazionalismo Etnico"‎
    Pensiero Etnonazionalista e Idea Völkisch
    http://www.politicaonthe.net/forum/f...splay.php?f=23
    archiviostorico.info - Usa Iberoamerica Sud Africa: tre messe a punto
    http://www.archiviostorico.info/inde...ew&id=277&Item id=10
    http://utenti.lycos.it/silviowaldner/p0000019.htm
    http://utenti.lycos.it/silviowaldner/p0000023.htm
    http://utenti.lycos.it/silviowaldner/p0000025.htm
    http://www.archiviostorico.info/Sezi...berosudafr.pdf
    http://www.occidentalcongress.com/ed...ditoria03.html


    Miei 3d e post in cui cito Lorenzoni :
    http://forum.giovani.it/romanzi/1104...-razziale.html
    http://forum.giovani.it/lega-nord/57...-ai-boeri.html
    http://forum.giovani.it/politica/113...ml#post1562859
    http://forum.giovani.it/lega-nord/51...mografica.html
    http://forum.giovani.it/lega-nord/54...immigrati.html
    http://forum.giovani.it/1226038-post16.html
    http://forum.giovani.it/lega-nord/50...a-deuropa.html


    14 Words! - Luca/Holuxar
    ADDIO GIUSEPPE, amico mio, sono LUCA e nel mio CUORE sarai sempre PRESENTE!
    «Réquiem aetérnam dona ei, Dómine, et lux perpétua lúceat ei. Requiéscat in pace. Amen.»

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  6. #6
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    Predefinito Riferimento: Silvano Lorenzoni

    "I Veneti preromani nel contesto europeo
    di Silvano Lorenzoni


    'Veneti' ce ne furono non solo nell'Adriatico settentrionale ma anche in Armorica (Bretagna), sulle Alpi (Lago di Costanza), alla foce della Vistola (Prussia occidentale), nel Lazio e anche in Asia Minore, ma gli unici sul conto dei quali si sappia qualcosa - per quanto poco - di storicamente fondato sono i veneti del Veneto. - Quanto alla presunta origine microasiatica dei veneti - essi sarebbero venuti dalla Paflagonia guidati da certo Antenore, troiano, dopo la caduta di Troia proprio come i romani sarebbero arrivati nel Lazio da Troia guidati da Enea, secondo l'Eneide di Virgilio - si tratta di un'invenzione lanciata inizialmente da Plinio, che a sua volta faceva riferimento a Catone, poi continuata da Livio in un clima di esaltazione politica della grandezza di Roma.

    Come dappertutto in Europa, e non solo, la genesi delle diverse nazioni e culture, quali grosso modo sono riconoscibili ancora adesso, risale alla dominazione del continente da parte di signori indoeuropei che si imposero su popolazioni paleoeuropee non certo tutte uguali. Dal punto di vista culturale ed etnico il Veneto arcaico - fino, grosso modo, al secolo XI - apparteneva all'ecumene centroeuropeo, del quale la Padania viene a essere il meridione. Il tipo umano predominante era ed è quello alpino (cioé: il tipo alpino della razza bianca o europide), che non è quello mediterraneo e neppur quello nordico o quello balcanico. Esso assomiglia piuttosto a quello prevalente nel Baltico e, in generale, nell'Europa Nord-orientale, e anche le lingue pre-venete/pre-indoeuropee parlate nel II millennio dovevano essere di tipo finnico-uralico. Incomincio perciò con dare un'idea di quali potessero essere le caratteristiche del Veneto pre-veneto. - Sia fatto l'appunto che fin dai tempi preistorici le genti alpine ebbero come caratteristica la laboriosità, la serietà nell'impegno preso e l'ingegno tecnico; e questo si riflette nei tempi moderni quando le zone trainanti dal punto di vista economico (economia reale, non virtuale all'americana) sono quelle dove c'è un forte elemento alpino: quindi la Padania, l'Austria, la Germania meridionale, la Francia centrale. Anche in Spagna, le zone più forti in questo senso, tipo la Catalogna, rivelano un'importante presenza genetica alpina. Viceversa, gli alpini, di massima, furono genti chiuse, poco aggressive e anche poco portate alla cultura astratta e alla creazione artistica brillante. Non a caso i razziologi dell'anteguerra tendevano a dimostrare una scarsa stima per le genti alpine - salvo vedersi costretti a contraddirsi spesso, obbligati dall'evidenza.

    Gli abitanti pre-veneti della pianura veneta furono i cosiddetti euganei, sul conto dei quali non si sa praticamente niente, mentre le zone montagnose erano abitate dai reti, che si estendevano in tutto il Tirolo fino alla Baviera meridionale. Queste due popolazioni dovevano essere virtualmente identiche e si dice che con il sopraggiungere dgli indoeuropei gli euganei siano fuggiti e si siano attestati sulle montagne assieme ai reti. È invece molto più probabile che la stragrande maggioranza degli euganei siano rimasti dov'erano e abbiano continuato la loro vita come vassalli dei veneti indoeuropei dei quali, un poco alla volta, essi adottarono la lingua. I reti continuarono ad avere un'esistenza politicamente indipendente per molto tempo - fino al I secolo, e dal punto di vista culturale anche dopo. In riguardo, su di loro ci sono delle informazioni, che ci lasciano intravvedere come dovettero essere anche gli euganei.

    Già nei secoli XVIII - XI nel Veneto c'era un'importante industria del bronzo, che veniva importato grezzo dal Trentino e lavorato localmente in diversi luoghi. A quei tempi venivano già fatti i bronzetti votivi tipicamente veneti che si continuarono a fare anche dopo l'avvento degli indoeuropei - non a caso, nel Veneto, gli ex-voto furono sempre di bronzo e non di ceramica come nel resto dello spazio geografico italico. L'industria del bronzo continuò a essere, anche in tempi romani, particolarmente importante nel Veneto: le cosiddette situle, vasi di bronzo ornati di scene quotidiane, di contro agli stili geometrici in vigore in quasi tutto il resto dell'Europa, incominciano a essere prodotte nel VI secolo e rappresentano una continuazione ed evoluzione di un artigianato del bronzo già in pieno rigoglio agli inizi del II millennio. Già in tempi preindoeuropei, è chiaro, c'era una florida attività artigianale e commerciale.

    I reti, lo si è già detto, ci danno un'idea di come potesse essere il Veneto pre-indoeuropeo nel suo insieme. Dopo l'arrivo dei veneti, fra reti e veneti ci fu un nteressante intercambio culturale. I reti (e quindi probabilmente gli euganei) utilizzavano la tecnica architettonica di fabbricare case semiinterrate usando blocchi di pietra (se ne trovano resti in tutta l'Europa alpina), adottate anche dai veneti. In margine alle zone indoeuropeizzate, i reti - che erano veneti pre-veneti - continuarono ad avere una fiorente società ancora in tempi romani. Valpolicella, nel I secolo, era ancora un centro retico e centro retico era stata Verona prima della sua celtizzazione, come lo fu Trento. I reti, oltre a ottimi contadini e artigiani, costituivano società fortemente organizzate dove vivo era il senso della proprietà, della casa e della famiglia: qui si intravvedono molte delle qualità che distinguevano i veneti fino a tempi molto recenti. Già molto presto i reti avevano adottato l'alfabeto etrusco e rimangono alcune iscrizioni, di epoca romana. Si tratta di una lingua non indoeuropea, non ancora decifrata (lo si è già detto, probabilmente di tipo uralico). È stato detto che essa presenta affinità con il ligure; ma l'unica affinità di cui si possa essere sicuri è che ambedue erano lingue non-indoeuropee (il ligure era una lingua mediterranea, di tipo, se vogliamo 'etruscoide'). - Dal lato religioso, i reti avevano l'abitudine di accendere grandi fuochi cultuali e i veneti indoeuropei sembra abbiano mutuato queste abitudini. In Lessinia, zona di forte presenza retica, ancora circa un secolo fa si accendevano verso il Solstizio d'inverno dei grandi falò sulle cime dei monti, e i carboni che ne risultavano servivano a proteggere contro il fulmine. A questi fuochi erano anche legate pratiche divinatorie. Fra dicembre e gennaio si bruciavano sterpi per 'aiutare' il Sole nel processo stagionale dell'allungamento delle ore di luce.

    Altra fenomenologia arcaica pre-indoeuropea è quella architetturale dei castellieri, grandi costruzioni di pietra a secco e di terra battuta in cima a certe colline, difese da fossati. Fino a tempi romani, in Istria e in Dalmazia, furono luoghi fortificati e di abitazione, ma ne esistevano anche in Tirolo, orientati secondo criteri astrologici, e nella pianura, fino al Garda e oltre (quindi identità, in tempi pre-indoeuropei, fra le genti della montagna e della pianura veneta). C'è chi ha voluto vedere nei castellieri un'influenza mediterranea - né la cosa è impossibile, visto che le genti mediterranee erano dei grandi costruttori in pietra, ma questo è ancora da dimostrarsi.

    Il Veneto indoeuropeo esordisce con l'insediamento dei veneti nei secoli XI - X. Si trattava di indoeuropei di ceppo italico, come testimonia la loro lingua, molto simile al latino e della quale incominciano a trovarsi documenti a partire dal secolo VI, scritti in alfabeto veneto, derivato dall'etrusco chiusino (di massima, come sempre e dappertutto, si tratta di iscrizioni funerarie). Dei veneti si è anche detto che fossero celti o protocelti, ma si tratta di un fatto ambiguo, in quanto ancora alla fine del II millennio la distinzione fra celti e italici non era del tutto chiara. Tratto celtico, ma anche italico (si ricordi il particolare rapporto fra Numa Pompilio e la ninfa Egeria) è l'importanza religiosa data alle fonti e agli spiriti acquatici, su di cui si riverrà anche più avanti, e che fu caratteristica anche dei veneti (il ricordo delle anguane, spiriti acquatici, era vivo nelle popolazione veneta ancora meno di un secolo fa). I templi veneti erano quasi sempre vicini a fonti o a corsi d'acqua; e libagioni d'acqua erano offerte ai loro dei.

    Come tutti gli indoeuropei, anche i veneti costruivano in legno. Le genti mediterranee erano state grandi costruttori in pietra, quelle centroeuropee usavano, a quanto sembra, tecniche miste. Non a caso tutte le città venete - principalissime Padova ed Este, ma anche Vicenza, Montebelluna, Oderzo, Treviso, ecc. - furono città di legno delle quali sono rintracciabili soltanto le fondamenta.

    La vitalità e l'intraprendenza indoeuropea portò a un fiorire culturale e commerciale che nel veneto antico era stato meno dinamico. L'alto Adriatico, crocevia fra l'Europa settentrionale e orientale e il mondo etrusco e greco e poi romano, divenne un centro artigianale e un crocevia commerciale di tutto rispetto. Attraverso il Veneto passava la via dell'ambra, proveniente dal Baltico, ma si commerciava anche in sale, vino, metalli grezzi e lavorati, ceramica (il Veneto, fin da llora, fu terra di grandi ceramisti) e in cavalli, i cavalli veneti essendo fra i migliori d'Europa - i veneti furono grandi allevatori di cavalli (tratto, questo, fortemente indoeuropeo). Già nel secolo VII c'era una moneta veneta, l'aes rude, sostituita nel secolo III dalla dracma venetica di tipo massaliota e poi, nel I secolo, dalla monetazione romana.

    Per quel che riguarda il lato religioso, le informazioni che abbiamo sono scarse. Come dappertutto in Europa - e anche in Asia - lo stabilirsi delle aristocrazie dominanti indoeuropee portò a sincretismi religiosi per cui la religione uranica dei dominatori convisse e acquistò caratteristiche delle religioni dei paleoeuropei sottomessi. Se per il mondo greco molti studi sono stati fatti e, entro ragionevoli limiti, si è riusciti a districare fra ciò che c'era di ellenico e di pre-ellenico nella religione greca, nel resto dell'Europa le cose si presentano molto meno chiare; e quale fosse la religiosità delle popolazioni pre-indoeuropee non-mediterranee è quasi sconosciuto. Aggiungiamo che, specificamente nel Veneto, i luoghi di culto dovevano essere solo eccezionalmente dei templi veri e propri, e generalmente recinti sacri posti nella prossimità delle fonti - comunque, si trattava sempre di strutture in legno delle quali adesso sono riconoscibili soltanto i tracciati. La prossimità delle fonti, se ne è già parlato, potrebbe essere un carattere indoeuropeo, di tipo italo-celtico.

    Non c'è dubbio che i veneti dovevano avere una struttura religiosa non dissimile da quella paleoromana, improntata dalla tripartizione indoeuropea (Juppiter, Mars, Quirinus). Ma notizie in riguardo non ne rimangono. I lasciti archeologici puntano invece, con ogni probabilità, essenzialmente alla religione popolare del substrato pre-indoeuropeo della popolazione (come, del resto, è il caso anche in tutta l'area italica, dove però la fabbricazione di templi e di aree cultuali in pietra, per non parlare di una abbondante documentazione scritta, permise agli studiosi contemporanei di farsi un'idea migliore di quali relazioni intercorressero fra fra le diverse stratificazioni religiose).

    Prettamente indoeuropeo - anzi, identico a certe pratiche comuni in Lituania fino alla fine del Medioevo - è il sacrificio del cavallo, che poi veniva sepolto sotto tumuli artificiali di terra - diversi scheletri di cavalli sono stati trovati sotto tumuli del genere in terra veneta. Tendenzialmente indoeuropeo potrebbe essere il fatto che le tombe trovate sono prevalentemente a cremazione e poche quelle a inumazione, probabilmente di servi. Anche se sia indoeuropei che paleoeuropei usavano l'una e l'altra pratica funeraria, la prevalenza della cremazione potrebbe indicare una predominanza indoeuropea.

    Per il resto, quanto ci è dato di sapere sulle pratiche cultuali nel Veneto pre-romano suggerisce che si tratti in massima parte, come già detto, di sopravvivenze pre-indoeuropee - 'euganee' - e magari anche di influenze mediterranee o di sincretismi a esse legati. La dea più conosciuta del culto veneto preromano era Reitia (radice veneta rekt = tedesco richten = raddrizzare), anticamente Pora, dea del guado o del passaggio, verosimilmente verso le regioni dell'Oltretomba (tratto essenzialmente pre-indoeuropeo). I suoi principali santuari furono a Este e a Vicenza, dove essa aveva l'attributo di sanante e facilitava le guarigioni e i parti. Nei siti dei suoi luoghi di culto sono stati trovati un numero grandissimo di ex-voto, dalle cui iscrizioni si può dedurre che devote a Reitia erano soprattutto le donne. L'aspetto religioso di Reitia sembra coincidere, sia per quel che riguarda la sua attività che per il tipo di culto che le si rendeva, con quello di Esculapio, anch'esso un dio vicino agli umani e verosimilmente di origine pre-indoeuropea. Ad Abano si venerava un non meglio identificato Apono e a Lagole (in Cadore), la tricefala Trumusiate (o Icate), forse affine all'infernale Ecate pre-ellenica: qui, forse, ha da vedersi un influsso mediterraneo. Stranamente, in tempi romani, Trumusiate divenne Apollo.

    Storicamente, i veneti gravitarono sempre nell'orbita di Roma, che era un alleato naturale per affrontare gli attacchi dei galli della Padania occidentale e meridionale e contro i quali sia i veneti che i romani si dovettero difendere per secoli. Né si escludono affinità naturali di tipo culturale e linguistico, per cui i veneti, anch'essi italici, si sentivano più vicini ai romani che ai celti. Nel I secolo il Veneto passò, in modo più o meno indolore, a formare parte dell'Impero Romano. Buona parte dei caduti nella battaglia della foresta di Teutoburgo furono veneti.

    BIBLIOGRAFIA

    Giulia Fogolari, I veneti, in AA.VV., Antiche genti d'Italia, De Luca, Roma, 1994;

    Giorgio Chelidonio, Le feste e le tradizioni del fuoco in Lessinia, edizione della Comunità montana della Lessinia, Verona, 1999;

    Giulio Romano, Archeoastronomia italiana, CLEUP, Padova, 1992;

    Raffaele Mambella e Lucia Sanesi Mastrocinque, Le Venezie, itinerari archeologici, Newton Compton, Roma, 1988;

    Roberto Guerra, Antiche popolazioni dell'Italia preromana, Aries, Padova, 1999;

    Jean Haudry, Gli indoeuropei, Ar, Padova, 2001;

    Hans F. K. Günther, Tipologia razziale dell'Europa, Ghenos, Ferrara, 2003;

    Marija Gimbutas, Die Balten, Herbig, München, 1982. "




    "Tipologia razziale dell’Europa
    Nota: il presente scritto costituisce la Nota introduttiva a Tipologia razziale dell’Europa di Hans Friedrich Karl Günther, pubblicato dalle Edizioni Ghénos di Ferrara (2003, 224 pagine, 320 illustrazioni, 20 cartine. Costo 20 Euro). Prima edizione a cura del gruppo di studi Ghénos.Traduzione della seconda edizione tedesca (Rassenkunde Europas, von Dr. Hans F. K. Günther,J. F. Lehemanns Verlag, München, 1926) ad opera di Silvio Waldner.
    Sull’utilità della prima parte del presente libro (capp. 1-6), quella più sistematica, data la totale esclusione delle nozioni razziali dall’ambito divulgativo (relegate in un iperspecialismo che quasi si vergogna di trovarsi di fronte al dato razziale, e che per ‘rimediare’ aggioga la ricerca al ‘dogma’ egualitarista), è già stato fatto cenno da parte dell’editore, Invece, vale la pena qui di soffermarsi un po’ di più sulla seconda parte del testo di Günther (capp. 7-12). Essa tratta piuttosto argomenti storici e temi di attualità (quali essi potevano essere negli anni Venti). In particolare, al Cap. 8, l’autore fa una sintesi di quegli sviluppi storico-razziologici che portarono alla decadenza dell’Ellade e di Roma, argomenti che poi egli avrebbe sviluppato in grande dettaglio in due sue opere specifiche mai tradotte in alcuna lingua diversa dal tedesco (eccettuati alcuni stralci in inglese) (1). Indipendentemente dalla fissazione del Günther sull’idea nordica (che aveva certamente i suoi pregi ma che fu portata all’estremo), la lettura di questa seconda parte ha una sua notevole utilità, in quanto vengono prospettate tematiche sociali che, incipienti all’inizio del secolo XX, sono adesso di tragica attualità.
    Quanto alla fissazione sull’idea che l’unica ‘razza portante’ della civiltà europea fosse stata e sia ancora quella nordica, è basata soprattutto su constatazioni storiche; e ‘l’idea nordica’, probabilmente valida ancora diversi secoli addietro, non è detto che continui ad esserlo adesso. Ogni cosa sembra indicare che la ‘razza’ nordica (in termini razziologici più esatti, la sottorazza nordica della razza europide) abbia subito un collasso interno dal punto di vista dell’evoliana ‘razza dello spirito’, con conseguente affievolimento della capacità di retto giudizio. Ne resterebbe, al massimo, una maggiore intraprendenza e, forse, serietà di propositi (ma probabilmente non una maggior intelligenza, laboriosità o inventiva) rispetto alle altre sottorazze europidi – qualità messe a profitto spesso e volentieri da elementi di torbida origine per scopi che con ‘l’idea nordica’ poco avevano a che vedere. Già Julius Evola aveva osservato che la facilità con cui le popolazioni a prevalenza nordica accettarono, quasi tutte, il Cristianesimo prima e il protestantesimo dopo (e l’americanizzazione in tempi recenti), non deponeva in loro favore: contro il veleno psichico biblista, la ‘razza nordica’ dimostrò di avere ben pochi anticorpi.
    Il Günther, poi, dimostra anche lui un’ottusa anglofilia, che si estende anche all’America del Nord – cosa non del tutto atipica della Germania della svolta dei secolo XIX e XX e anche dopo - la quale, per i Tedeschi, fu ancora più esiziale della loro slavofobia, anch’essa spesso ottusa ma che, se non altro, aveva dei precisi radicamenti storici. I ‘fratelli di razza’ anglofobi sono stati la rovina della Germania (e della razza europoide). In riguardo, valgono, fra l’altro, due osservazioni: (a) la ‘nordicità’ inglese (quale che possa essere l’importanza di questo fatto) fu sempre sopravvalutata: la popolazione dell’isola inglese è ed è sempre stata fondamentalmente di ceppo occidentale/mediterraneo; con buona pace del Günther, che va incontro agli anglofobi che hanno orrore di essere confusi con i centro o sud – europei, classificare l’inglese come lingua germanica è, scientificamente, un grossolano errore. L’inglese non è una lingua germanica – e tanto meno una lingua neolatina, nonostante il suo lessico neolatino al 70% - ma un liquame fonetico, grafologico, lessicale, grammaticale e sintattico che ha molto del ‘papiamento’ (3) e che, quale idioma profondamente degenerato, è stato classificato come strutturalmente affine alle lingue bantù (4).
    * * *
    (1) Lebensgeschichte des hellenischen Volkes (Storia biologica del popolo ellenico) e Lebensgeschichte des römischen Volkes (Storia biologica del popolo romano) pubblicati ambedue da Franz Freiherrn Karg von Bebenburg, Verlag Hohe Warte, Pähl, 1965 e 1966 rispettivamente. (Verlag Hohe Warte, Tutzinger Str. 46 D-82396 Pähl. Tel: +498808267. Fax: +498808921994)
    (2) Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Mediterranee, Roma, 1969(3).
    (3) Il papiamento è quell’intruglio di spagnolo, olandese, portoghese e inglese che è adesso lingua ufficiale nelle ex-Antille Olandesi (Curacao, Aruba, Bonarie).
    (4) Dal linguista francese Claude Hagège, Storia e destini delle lingue d’Europa, La nuova Italia, Scandicci, 1995. Da notarsi (!) che l’Hagège è tutt’altro che un anglofobo o un americanofobo.

    Nel dopoguerra, nella più grande operazione di censura e distruzione culturale della storia, anche tutte le opere di Hans Friedrich Karl Günther furono messe all’indice. Il 13 maggio 1946 la Commissione Interalleata di Controllo emanò una legge “sull’estirpazione della letteratura a carattere nazionalsocialista o militarista”. Contemporaneamente si creò nella zona di occupazione sovietica un organismo specializzato (“Schriften-Prüfstelle bei der Deutschen Bücherei”) che intraprese subito la redazione di una nuova lista di libri proibiti (Liste der auszusondernden Literatur). La lista iniziale di 526 pagine comprende 13.223 libri e 1502 giornali proibiti dal 1 aprile 1946. A completamento di questa prima escono altri tre volumi rispettivamente il 1 gennaio 1947 (179 pagine, 4.739 libri e 98 giornali), il 1 settembre 1948 (366 pagine, 9.906 libri e giornali) e il 1 aprile 1952 (circa 700 libri e giornali). In totale furono proibiti poco più di 36.000 libri e periodici editi prima del 1945. Queste liste di proscrizione sono consultabili in quanto ristampate nel 1983 dall’editore antiquario Uwe Berg (Uwe Berg Verlag und Antiquariat, Tangendorferstr. 6, D – 21442 Toppenstedt, Tel. 04173 6625, Fax 04173 6225).
    Un’interessante selezione delle opere di Hans Friedrich Karl Günther è stata messa in rete ed è consultabile al sito
    http://www.white-history.com/earlson/gunther.htm "



    "Teoria tradizionale delle razze: Julius Evola
    Avendo menzionato il fatto che la razza è un fatto non solo biologico ma anche e soprattutto metabiologico, è il caso di dare un’idea estremamente schematica della teoria tradizionale delle razze, che diverrà della massima importanza per quel che segue di questo libro, in particolare i Capp. 1 e 3 della III parte.
    Questa teoria (1), il cui sviluppo è dovuto quasi esclusivamente a Julius Evola, è basata sull’assegnazione di caratteri razziali propri a ognuna delle tre componenti che, tradizionalmente, costituiscono il ‘composto umano’: corpo, anima e spirito (2). Il corpo viene a essere la manifestazione tangibile e visibile dell’individuo - umano e non-umano -, mentre lo spirito ne è il ‘pricipio informatore’ metafisico, posto fuori dal tempo, che ne dirige la prassi e il pensiero in senso anagogico o catagogico. L’anima, o psiche, “è connessa a ogni forma vitale così come a ogni forma percettiva e a ogni passionalità. Con le sue diramazioni inconsce stabilisce la connessione fra spirito e corpo” (3). Essa, come il corpo, è peritura, ed è il fattore determinante per lo stile della persona - per il modo in cui essa affronta ogni compito, ma senza alcun riferimento al valore etico del compito stesso. “Gli uomini sono diversi non solo nel corpo ma anche nell’anima e nello spirito … la dottrina della razza deve articolarsi in tre gradi ” (4). Quindi: c’è una razza del corpo, una dell’anima e una dello spirito, ognuna delle quali è suscettibile di classificazione, e questo Julius Evola lo ha affrontato nella sua Sintesi di dottrina della razza, mentre una versione semplificata fu da egli esposta in un suo libretto didattico, Indirizzi per un’educazione razziale (5). Per quel che riguarda le razze del corpo e dell’anima, Julius Evola si appoggiava ai lavori degli antropologi seri dei suoi tempi - in particolare modo Hans F. K. Günther, un autore sul quale si avrà occasione di ritornare nella III parte, e Ludwig Ferdinand Clauss (6) -, che però si occupavano essenzialmente delle differenze esistenti fra i diversi tipi umani riscontrabili in Europa o al massimo nel Medio Oriente. Egli invece propose, in via del tutto indipendente, una classificazione delle razze dello spirito - in riguardo il lettore è riferito ai testi originali.
    Per quel che riguarda il nostro assunto, di fondamentale importanza è che “l’un elemento cerca di trovare, nello spazio libero che le leggi dell’elemento a esso immediatamente inferiore gli lasciano, una espressione massimamente conforme (…) non semplice riflesso, ma azione a suo modo creativa, plasmatrice, determinante” (7). In altre parole, le razze dell’anima e dello spirito che intervengono in ogni composto umano abbisognano di un ’supporto adeguato’ a livello immediatamente inferiore. Ben difficilmente una razza dello spirito di ‘prima qualità’ potrà tovare spazio accanto a un’anima che non le sia strumento adeguato per manifestarsi; e lo stesso dicasi per la razza dell’anima rispetto a quella del corpo.
    Questo tipo di considerazioni danno adito anche ad altri sviluppi, adombrati dallo stesso Julius Evola, che sono gravidi di conseguenze per le problematiche qui sotto esame. “Una idea, dato che agisca con sufficiente intensità e continuità in un determinato clima storico e in una data collettività finisce con il dare luogo a una ‘razza dell’anima’ e, con il persistere dell’azione, fa apparire nelle generazioni che immediatamente seguono un tipo fisico comune nuovo da considerarsi … una razza nuova” (8). Cioé: il cambiamento nella ‘qualità psichica’ di una determinata popolazione può innescare cambiamenti anche morfologici. Questo ragionamento, portato alle sue ultime conseguenze, adombra un possibile effetto a catena. In una popolazione nella quale lo spirito, magari per qualche imperscrutabile ragione, si sia spento o capovolto, si produrranno prima fenomeni degenerativi di tipo psicologico che poi, alla lunga, non mancheranno di rifletttersi anche nel soma (su di questo argomento si riverrà nella III parte).
    * * *
    (1) Di questa teoria, un riassunto molto schematico è dato da Silvio Waldner, La deformazione della natura, Edizioni di Ar, Padova, 1997.
    (2) Sulla dottrina tradizionale del composto umano cfr. Julius Evola, Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, Mediterranee, Roma, 1971 e anche Sintesi di dottrina della razza, Ar, Padova, 1994 (originale 1941). Un sunto di questa dottrina è dato anche da Silvano Lorenzoni, Chronos, saggio sulla metafisica del tempo, Carpe Librum, Nove, 2001.
    (3) Julius Evola, Sintesi, cit.
    (4) Julius Evola, Sintesi, cit.
    (5) Julius Evola, Indirizzi per un’educazione razziale, Conte, Napoli, 1941.
    (6) Ludwig Ferdinand Clauss, Rasse und Seele, Lehmann, München, 1941.
    (7) Julius Evola, Sintesi, cit.
    (8) Julius Evola, Sintesi, cit."
    ADDIO GIUSEPPE, amico mio, sono LUCA e nel mio CUORE sarai sempre PRESENTE!
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    Predefinito Riferimento: Silvano Lorenzoni

    "IMMIGRAZIONE È UNA COSA, IMMIGRAZIONE DI COLORE UN'ALTRA
    Il problema 'immigrazione', del quale si vuole trattare in questa successione di presentazioni, è volutamente travisato da chi ha interesse a confondere le idee al pubblico. Diciamolo subito: ciò che rende l'immigrazione, in Italia e in Europa, un problema e non semplicemente un 'fenomeno', non è il fatto 'immigrazione' in sé e per sé, ma che si tratta spesso e volentieri dell'immigrazione di genti razzialmente allogene.
    Gli imbonitori di cervelli hanno un bel dirci che le migrazioni umane sono un fenomeno di antichità immemorabile del quale stiamo adesso presenziando soltanto una nuova edizione. È vero che le migrazioni umane ci sono sempre state, ma è anche un fatto storico che, almeno in Europa, i movimenti di popolazioni sono stati fino a recentissimamente movimenti interni al continente. Adesso lo scenario è diverso, quantitativamente e qualitativamente: la tecnologia contemporanea rende possibile lo spostamento di enormi masse di popolazione; le quali sono quasi interamente costituite da elementi di colore, spinti da circostanze storiche perverse a venire a fare da parassiti nel mondo civile.
    E il mondo civile - almeno quello di razza bianca; in estremo Oriente le cose stanno almeno parzialmente altrimenti - ammette supinamente l'invasione, castrato da complessi di colpa immessi nelle coscienze più deboli dai mass-media e dall'educazione scolastica, tutti in mano di centri di potere che sono
    succubi della grande finanza e delle multinazionali - su di ciò si riverrà più avanti.
    Esiste una vera e propria ideologia, che è il cosiddetto 'terzomondismo', la quale celebra adesso i suoi fasti su scala mondiale. Fin dalle scuole elementari al bambino di razza bianca è detto che il Bianco è il responsabile della condizione di povertà del Terzo Mondo perché sono stati i Bianchi a sfruttarlo, a svuotarlo delle sue ricchezze e risorse (il che è né più né meno che falso) e che quindi la ragione della sua arretratezza è stata la colonizzazione europea (invece il contrario è vero: il periodo coloniale sarebbe stata l'opportunità d'oro per quelle popolazioni per mettersi al passo con l'Europa se ne avessero avuta la capacità e la volontà).
    Viceversa, non c'é Negro, Papuaso, Australoide, Indocinese, che non sia convinto che la sua condizione di povertà non sia dovuta al fatto che per secoli la sua razza è stata 'sfruttata' dal satanico colonialista europeo. Quindi, da parte sua, la convinzione di avere il diritto a farsi risarcire - cioè: a farsi mantenere - lui e i suoi discendenti, per tutti i secoli a venire. Da parte, invece, del Bianco che abbia assorbito il lavaggio cerebrale massmediale, una forma acuta di masochismo, per cui egli risulta convinto di doverlo proprio mantenere; e anche di umiliarsi davanti al raazialmente allogeno.
    Questo è il clima psicologico che prepara il discioglimento della civiltà europea - la quale, salvo totali o parziali inversioni di rotta, sarà una cosa del passato entro meno di un secolo. (Vale la pena di menzionare qui che molto spesso i fautori di questo tipo di progresso accusano i loro oppositori di essere motivati da paura del loro 'radioso mondo nuovo'. A costoro si potrebbe rispondere che si tratta di un caso analogo a quello di qualcuno che mi invitasse a saltare giù dal decimo piano di un caseggiato; e se io non mi dovessi mostrare interessato mi dicesse che non lo faccio per paura - a quello io direi che la chiami pure paura, se gli va).
    Un'implosione della civiltà europea risulterebbe forse a tutto vantaggio del Giappone: la scomparsa di ogni contrappeso sul piano culturale darebbe il via all'insorgere di un ipertrofico Impero del Sol Levante che ben presto sarebbe padrone di tutto il pianeta - i Giapponesi, e i Nord-est-asiatici in generale, posseggono ancora una vigile consapevolezza razziale.

    Ciò premesso, si vuol fare qualche esempio di ciò che significhino immigrazione di elementi di razza bianca e immigrazione di genti di colore.
    L'esempio-principe che si può addurre è probabilmente quello della Prussia, con ragione definita la Roma della modernità, da Spengler fra altri. Della Prussia poté essere detto che essa fu un paese fatto di minoranze e che fu costruito grazie all'immigrazione. Effettivamente, su di una popolazione originale fatta di Balti e di Slavi occidentali si innestò una classe dirigente tedesca che favorì una massiccia immigrazione germanica, alla quale seguirono Polacchi, Lituani, Russi, Francesi, Scandinavi: tutte etnie di razza bianca che si fusero senza problemi e che contribuirono tutte a fare la grandezza del paese.
    La Francia, prima della guerra, assorbì importanti quantitativi di immigrati fiamminghi, italiani, spagnoli, polacchi, al punto che adesso almeno un Francese su quattro ha almeno un antenato di una di quelle nazionalità: si trattò anche in questo caso di un'immigrazione che non snaturò razzialmente il paese e che non causò problematiche di rigetto o di degradazione sociale. Tutto il contrario successe dopo la guerra, quando la Francia divenne obiettivo di una massiccia immigrazione di colore.
    Anche la Repubblica Veneta incamerò senza danno vasti quantitativi di genti balcaniche nella sua popolazione. - Si potrebbe parlare degli Stati Uniti, ma questo interessante argomento ci porterebbe troppo lontano.

    Dovrebbe essere perciò del tutto chiaro che c'è immigrazione e immigrazione: finché l'immigrato è di razza bianca, di una vera problematica non è il caso di parlare, almeno in termini generali e a lunga scadenza: l'immigrato entrerà, di massima, a far parte della nazione ospite, anch'essa di razza bianca, senza degradarne il livello.

    L'opposto è vero dell'immigrato di colore. Esso, per ragioni genetiche, è inassimilabile (salvo a cadere in quella forma di 'assimilazione' che è il meticciato generalizzato, su di cui più avanti si diranno due parole). Esso arriva né più né meno che a fare da parassita del tessuto sociale dei paesi civili. La sua presenza causa deperimento delle infrastrutture, diffusione di malattie, criminalità crescente (il 70 - 80% della criminalità nei paesi civili è adesso di importazione), deterioramento della compagine sociale e del tenore di vita dei paesi ospitanti - non a caso tanti industriali vedono di buon occhio l'immigrato di colore perché essa' fa da calmiere sul costo della
    manodopera: la sua presenza mantiene basso il prezzo del lavoro causando nel contempo disoccupazione fra gli operai bianchi meno qualificati, spesso ridotti a essere dei paria nella loro propria terra.
    In Francia, dove ci sono quasi sette milioni di immigrati di colore ('extracomunitari'), è calcolato che la loro presenza costi, per via indiretta, al contribuente francese, molte migliaia di miliardi di lire annue (cfr. volantino di Forza Nuova, agosto 1998) - ma, sempre in Francia, si è arrivati al punto che tasse addizionali vengono imposte per sussidiare le comunità extracomunitarie, la cui attitudine verso chi le ospita e le mantiene diviene sempre più ostile. Ma il dover contribuire alla manutenzione del parassita di colore, una volta che esso è incistito nel tessuto del paese, è qualcosa a cui non è dato sottrarsi, neppure in via teorica.
    Anche se si potesse decidere che non una lira di ciò che ci viene tolto sotto forma di tasse venisse dirottata verso il parassita extracomunitario, a nessuno sarebbe dato di sottrarsi al carico di sussidiarlo se non diventando egli stesso un parassita o un criminale. E ciò perché ognuno che rispetti il vivere civile - il cd. 'contratto sociale' - contribuisce volens nolens alla manutenzione di quelle infrastrutture alle quali l'allogeno di colore si attacca a succhiare come da una mammella.

    Nel contempo, a mano a mano che il suo numero aumenta e che le sue enclàves - veri ascessi dentro al tessuto sano dei popoli civili - acquistano in consistenza, l'allogeno si radicalizza psicologicamente e diviene in modo sempre più aperto un rabbioso nemico di colui che lo mantiene. Già adesso negli Stati Uniti e in Francia i gruppi rap inneggiano alla prossima vendetta dell'extracomunitario contro l'uomo bianco. Questo, non dovrebbe suscitare alcuna sorpresa: l'elemento di colore, convinto di essere stato uno sfruttato per secoli e consapevole - sia pure a livello subconscio - che sua condizione di paria - e quindi di maledetto (tous les malhéreux sont méchants) - è insormontabile - per ragioni genetiche - non può diventare se non un risentito della peggior specie e non desiderare se non la morte più atroce per colui che a lui è irremissibilmente migliore.

    Non c'é dubbio che il risorgere e il rafforzarsi dell'Islàm, su scala mondiale, rappresenti per l'allogeno di colore di stanza in Europa un appoggio e un punto di riferimento straordinariamente forte. Ma non si insisterà mai abbastanza sul fatto che il problema dell'immigrazione extracomunitaria non è soltanto un 'problema islàmico'. Questo sembrerebbe essere invece il punto di vista di certi ambienti cattolico-tradizionalisti (per esempio, quelli facenti capo alle Edizioni Civiltà di Brescia) secondo i quali sull'immigrazione terzomondista si potrebbe chiudere un occhio se tutti i razzialmente allogeni fossero cristiani e preferibilmente cattolici.

    Invece è vero che un'inondazione dell'Europa da parte di una marea di Negri e di Australoidi 'cristiani' avrebbe alla lunga, per meticciato, le stesse conseguenze di un'invasione islàmica, solo che forse in modo un po' più indolore. Un meticciato generalizzato porterebbe in ogni modo alla dissoluzione della civiltà europea in brevissima scadenza. Esempi storici del tutto pertinenti e perfettamente documentati che mostrano il processo di disfacimento di grandi civiltà per meticciato ce ne sono diversi. A noi particolarmente vicino è il caso del Nord Africa. Entrare in argomento, in questa sede, sarebbe troppo lungo: si faccia riferimento al libro di Silvio Waldner, La deformazione della natura, pubblicato dalle Edizioni di Ar nel 1997.

    Se il presente sistema dovesse rimanere in piedi ancora per 20 - 40 anni, si prospetterebbe l'obliterazione dell'Europa e della razza bianca in generale come conseguenza dell'immissione di masse crescenti di razzialmente allogeni; che per meticciato o magari per eliminazione fisica procederebbero a distruggerci - mentre i Bianchi, in gran parte smidollati da un lavaggio cerebrale in senso 'umanitario' non opporrebbero nella loro maggioranza se non una debole resistenza. A questa situazione avranno portato da una parte le forze della globalizzazione, dall'altra le chiese cd. cristiane. I megaricchi, padroni della finanza internazionale, non avrebbero più niente da temere da
    una massa amorfa e senza volto - dalla quale i nuovi preti pescherebbero anche le loro future greggi di 'credenti'. Ci si potrebbe prospettare un mondo dove qualche migliaio di Arpagoni deterrebbero ogni esistente ricchezza e vivrebbero in quartieri di stralusso continuamente guardati da eserciti privati, attorniati dalle bidonvilles dove vegeterebbe la subumanità senza volto, sprofondata in una miseria quasi inimmaginabile. Questo tipo di situazione si sta già delineando in vaste zone a popolazione prevalentemente di colore, tipo 1'Iberoamerica e l'Asia sud-orientale.

    È mia opinione che a questo difficilmente si arriverà, perché l'accumularsi di processi catastrofici farà saltare il sistema molto presto. Sarà allora còmpito dei giovani ridare all'Europa un volto e di farla uscire dall'incubo nel quale si è trascinata negli ultimi decenni. Còmpito che dovrà essere affrontato presto: ai ferri corti si arriverà probabilmente entro i prossimi 10 - 15 anni (cfr. l'ottima conferenza di Guillaume Faye pubblicata sulla rivista "Orion", agosto e settembre 1998).

    Noi, che prendiamo atto e siamo consapevoli della problematica razziale, che rifiutiamo il dogma egualitarista e che agiamo e giudichiamo guidati da questa consapevolezza senza fare la politica dello struzzo, siamo spesso e volentieri additati dai reggistrascico del sistema come fautori dell'odio fra gli uomini. Invece, in una conferenza data nel 1990, il prof. Johan Schabort ebbe a dire che non c'è odio più grandi di quello di colui che odia i suoi bambini. E quello è proprio l'odio dei segugi del sistema, i quali, se dovessero potere proseguire fino in fondo con il loro operato, destinerebbero ai loro figli un futuro che chiamare infernale sarebbe un eufemismo.


    =================

    Spesso,nei discorsi relativi all'immigrazione e alla società multirazziale,ci si sente dire che le correnti migratorie sono una cosa perfettamente naturale perchè sono sempre esistite e a meno che non siano causate da invasioni violente non comportano per il popolo ospite conseguenze negative.
    Ci assicurano che la cultura e lo stile di vita degli indigeni non subiranno mutamenti indesiderati perchè i nuovi venuti sono una risorsa economica fondamentale e si adegueranno alle costumanze e alle leggi in vigore.
    Nutro per questi discorsi una diffidenza istintiva.Un ostilità derivante dall'istinto che avverte un pericolo in questa mancanza di sana paura e di orgoglio.
    Diffidenza accresciuta leggendo il bel libro dello scrittore Michener intitolato Hawaii.
    Si tratta della storia delle isole Hawai dalla prima colonizzazione ai giorni nostri.
    Una storia interessante perchè dimostra di come un popolo possa perdere la propria terra senza subire in precedenza una conquista militare o una vera e propria invasione violenta.
    Guardiamo le tappe con cui si è verificata questa sostituzione vera e propria di una popolo con altri.
    Le isole furono colonizzate da polinesiani provenienti da Tahiti all'incirca all'epoca di Carlo Magno.
    Per mille anni la loro stirpe prosperò e si diffuse con pochi contatti con il resto del mondo.
    Nel 1778 furono scoperte dagli europei ad opera di capitan Cook che rilevò una popolazione di circa quattrocentomila persone retta da una monarchia ereditaria.
    Era l'epoca quella della grande espansione dei missionari europei.Finanziati dalle loro chiese i missionari si recavano nei paesi esteri a convertire le popolazioni e prepararle ad una nuova mentalità.
    Le Hawaii furono toccate dai missionari provenienti dalla Nuova Inghilterra ,quella zona degli USA abitata sopratutto da protestanti,con una forte presenza dei calvinisti.
    Infatti furono proprio i congregazionalisti,seguaci di Calvino,ad essere inviati alle isole il primo settembre 1821.
    Sbarcarono alle isole Maui e grazie alla preponderanza tecnologica degli americani ,che gli indigeni vedevano arrivare su grosse navi,il prestigio dei missionari e della loro religione crebbe notevolmente. E nonostante che essi subito presero a disprezzare i riti e i sacrari degli hawaiani la reazione non fu di rivolta ma di paura.I membri della classe dirigente hawaiana,chiamati Alii ,cercarono l'amicizia con gli estranei e un compromesso con la loro religione per accattivarsi il loro Dio,che essi erano disposti ad adorare,anche se assieme agli altri dei. Gli hawaiani erano gente semplice e primitiva,incapaci di dialettica contro la religione dei premi e delle punizioni. Erano superstiziosi e la loro pratica era quella di ingraziarsi tutti gli dei possibili.I missionari cominciarono ad aprire scuole e i figli dei nobili presero a frequentarle. I missionari tra le altre cose instillarono negli indigeni nuovi bisogni e nuove vergogne.Per esempio fecero credere che il nudismo era una colpa grave e che vestirsi era necessario,possibilmente secondo le mode del New England. Da qui il bisogno di tessuti e stoffe.
    Uno dei congregazionalisti,un certo Abner Hale ,progenitore di una famiglia destinata a grande successo nelle isole,organizzò un commercio di tapa(materiale usato per calafatare),olona,maiali,manzo selvatico.Materiali portati dagli indigeni prestati come manodopera servile dalla nobiltà locale al reverendo.E da lui venduti alle navi di passaggio lungo la rotta del Pacifico.In cambio ebbe quantità di stoffe per vestire tutti i nudisti.
    Da qui la religione e i buoni affari si unirono in una combinazione fatale agli indigeni.
    Ma una minaccia ben più diretta arrivò dalle malattie importate dagli europei.
    Nel 1828 un altro missionario,il dottor Whipple,rilevò che quando il capitan Cook scoperse quelle isole cinquantanni prima gli abitanti erano quattrocentomila e adesso si erano ridotti a centotrentamila.Morbillo ,sifilide e altri malanni decimarono gli indigeni.Nel 1832 il morbillo eliminò un terzo della popolazione. Nonostante ciò la popolazione non riuscì neppure a concepire un piano di riscossa contri i nuovi arrivati. La loro tradizionale ospitalità gli impediva tutto ciò.
    Il loro modello familiare non prevedeva neppure una distinzione netta tra i propri figli e quelli degli altri,tra la propria moglie e le altrui. Uomini senza gelosia e avidità,generosi e amichevoli,sembravano l'incarnazione perfetta del buon selvaggio. Ma tale liberalità li stava uccidendo. Secondo la mentalità umanitaria hawaiana i figli erano di tutti non derivando tanto da legami di sangue ma di affetto e tenerezza.La causa della decadenza di quel popolo fu appunto la scarsa possibilità di stabilire un confine tra amico e nemico,tra tuo e mio. Intanto i furbi missionari sposarono le donne nobili del posto divenendo comproprietari di estese porzioni di terreno.
    La loro reazione di fronte allo spopolamento indigeno fu di .....importare manodopera dall'estero.
    Nonostante l'estrema ospitalità ricevuta gli yankees disprezzavano le usanze hawaiane,puntando sopratutto sui punti che ad un occidentale sarebbero sembrati osceni tra cui il matrimonio tra fratello e sorella dei nobili e l'eutanasia dei neonati deformi. La coscienza era a posto e la morale tranquilla.
    Nel 1830 nacque la prima ditta di navigazione,la Janders & Whipple.I regnanti locali lasciarono fare.
    Pensarono che in fondo gli americani non facevano niente di male con le loro ditte. Anzi creavano ricchezza ,senza toglierla agli indigeni tradizionalmente dediti alla pesca.
    Nel 1865 la compagnia di navigazione Hoxworth & Hale cominciò ad organizzare la grande migrazione cinese. Ingaggiati dapprima come lavoratori nelle piantagioni divennero grazie alle capacità lavorative e commerciali indispensabili all'economia locale.

    Ben presto il dottor Whipple sul Mail di Honolulu affermò che quella era un'immigrazione di stanziamento vista la grande propensione al lavoro dei cinesi.E quindi al profitto dei propietari. Inoltre i cinesi,sposandosi con hawaiane disponibili cominciarono a possedere terre e proprietà immobiliari. E di fatto a far parte della comunità americana delle isole laddove gli indigeni ne erano sempre rimasti ai margini.Ciò perchè per l'economia erano più importanti.E ,caso strano,quegli stessi missionari che avevano combattuto gli dei pagani hawaiani ora accettavano tranquillamente confucianesimo e buddismo. Ma si sa che anche Dio ama i buoni affari.
    Nel 1878 gli indigeni rimasero in 44mila.Ormai erano minoranza. Ma si cullarono pensando che comunque a comandare erano loro perchè la nobiltà era sempre formata dagli alii e il re un puro hawaiano. Che poteva importare a loro se nelle città ormai erano esclusi ? E se nelle terre coltivabili lavoravano cinesi. A cui nel 1880 si aggiunsero giapponesi e più tardi filippini.
    I giapponesi sopratutto si rivelarono micidiali per gli indigeni poichè la loro propensione al lavoro e la fedeltà alle autorità era tale da rendere il loro ingaggio richiestissimo.
    La situazione era matura per l'atto finale.
    Che prese l'avvio da una decisione del governo USA del 1892.Bisogna sapere che nel 1876 un accordo conchiuso con gli Stati Uniti prevedeva l'esportazione di merci hawaiane senza dazio in cambio dell'utilizzo della base navale di Pearl Harbour da parte di navi da guerra americane.Ma nel 1892 i latifondisti della Luisiana e del Colorado fecero revocare l'accordo del libero scambio per fermare la concorrenza relativa al commercio dello zucchero,che le Hawaii esportavano in abbondanza.
    I notabili delle grandi famiglie calviniste si accorsero allora che sarebbe stato opportuno fare a meno della monarchia "corrotta" per stabilire una democrazia il cui primo atto avrebbe dovuto essere l'unione con gli USA..Uno degli Hewlett ,il più forte proprietario di piantagioni propose:"dobbiamo cercare di tirare in ballo il concetto di democrazia,dobbiamo far credere che i liberi americani di queste isole sono stufi di vivere in una monarchia corrotta". Un soprassalto di orgoglio venne allora dal governo hawaiano .
    A dire la verità la monarchia non era mai stata forte.Congiure e deposizioni di re erano un fatto abbastanza comune e i consiglieri delle famiglie ricche di origine missionaria detenevano di fatto le redini.Nel 29 gennaio 1891 andò al potere la regina Liliuokalani,donna forte e autoritaria,ammiratrice della regina Vittoria.Ma giunse al potere quando le esportazioni di zucchero divennero le vere fornitrici della ricchezza dell'isola. Cercò di guerreggiare contro di esse,contro i missionari e contro le idee repubblicane,ormai dilaganti nell'isola a causa delle lotte tra i nobili locali.Ma ormai era troppo tardi.Per troppi decenni ormai avevano lasciato che il potere economico finisse in mano a genti straniere.Il 15 gennaio 1893 le truppe americane sbarcarono dalle navi da guerra e occuparono Honolulu per "proteggere" i cittadini americani .Dopo un po di tergiversazioni da parte del Presidente americano,dovute più che a scrupoli alle pressioni dei concorrenti economici degli esportatori hawaiani,le isole divennero possedimento il 12 agosto 1898. Una nuova legislazione diede il potere ai ricchi anche ufficialmente in quanto il diritto di voto era stabilito per censo.
    Quando il 12 marzo 1959 le isole divennero il cinquantesimo Stato dell'unione oramai gli indigeni erano dei poveri emarginati,ridotti a piccola minoranza costretta a vivere di espedienti. Buffoni per turisti,i più fortunati. E all'ultima regina non rimase che viaggiare per gli USA in una specie di esilio .
    Non fu ne imprigionata ne eliminata.Non ce ne fu bisogno. Oramai era solo il simbolo di un popolo morto lentamente. Di indolenza.E ospitalità.

    Certo,al termine di questo breve excursus sulla storia hawaiana direte che tra europei e isolani c'è una bella differenza. Ma pensateci bene. E'vero o che le ideologie maturate da tanti secoli a questa parte,chiedono la fine dell'istintiva nozione di CONFINE,tra un popolo e l'altro ?
    In fondo è da San Paolo che la morale insiste su questo. Sul concetto di uguaglianza e di fraternità obbligatoria. Con l'implicita condizione che per essere fratelli bisogna adeguarsi alle idee del padrone.
    Padrone che cerca di renderci sempre più mansueti,più "hawaiani" ,per quel che concerne la difesa della nostra identità etnica e culturale. In fondo il nemico peggiore non è tanto quello che si presenta come tale ma quello che i padroni dell'economia ci mettono accanto perchè lavori assieme a noi per il suo guadagno. Non è vero che poi si finisca per essere tutti uguali. La storia soprascritta lo dimostra. Si finisce per perdere tutto ciò che non è materiale. Ci si riduce a numeri ,a unità di produzione e consumo della grande macchina e se ci si ribella ci si scopre in pochi.
    Deboli di numero e sfiduciati.
    Pensate che a Torino o Milano o Genova sia possibile,anche solo per ipotesi,una ribellione degli indigeni alla colonizzazione meridionale ? Ma quanti hanno almeno uno dei nonni indigeno ?
    Tra qualche decennio ormai gli europei nelle città saranno minoranza. E tanto idioti,come i poveri hawaiani,da consolarsi dicendo che "comandiamo ancora noi"!
    Finchè si risveglieranno un brutto giorno e scopriranno che non contano più nulla.
    Datemi retta ,non fate i cretini,non cedete alle lusinghe ! IL VERO NEMICO È QUELLO CHE TI SCONFIGGE COMINCIANDO A TOGLIERTI IL CONTROLLO SULL'ECONOMIA.
    La divisione in classi è sempre stata all'origine della rovina dei popoli. Nessuna difesa dell'identità è anche solo concepibile senza includere una guerra a quel sistema economico che sancisce il primato del profitto e dell'individuo contro l'interesse nazionale.E che ci rimbambisce dicendoci che il mescolamento è bello e ci fortifica e gli stranieri "purchè onesti" sono nostri amici.
    Siate cattivi contro chi ci impone la bontà obbligatoria."
    ADDIO GIUSEPPE, amico mio, sono LUCA e nel mio CUORE sarai sempre PRESENTE!
    «Réquiem aetérnam dona ei, Dómine, et lux perpétua lúceat ei. Requiéscat in pace. Amen.»

    SURSUM CORDA - HABEMUS AD DOMINUM!!! A.M.D.G.!!!

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    Predefinito Riferimento: Silvano Lorenzoni

    "L'IMPLOSIONE BIOLOGICA DEL SUD DEL MONDO
    Nel 1990 un lungimirante autore tedesco, Manfred Ritter (1) - il quale poi,
    a quanto sembra, pagò duramente di persona per le sue affermazioni - aveva scritto che il Terzo Mondo era sull'orlo dell'implosione biologica e che il
    mondo civile non aveva la possibilità di impedire quell'implosione. L'unica
    sua scelta possibile era quella di essere oppure non essere esso stesso
    risucchiato dal vortice (rischio assolutamente reale). Ma per non esserne
    risucchiato esso avrebbe dovuto voltare le spalle al Terzo Mondo. Tutte e
    due queste casistiche, prospettate da Manfred Ritter, stanno incominciando a prendere forma adesso, alla svolta del XXI secolo.

    L'esplosione demografica del Sud del Mondo fu un fenomeno incominciato verso il 1950, che portò a che quelle genti passassero, a un ritmo allucinante, da
    essere qualcosa come il 20% della popolazione mondiale ad arrivare a
    esserne, verso il 1990, forse l'80%. Questo dovuto non soltanto, e forse non
    principalmente, all'introduzione in quei territori di pratiche e strutture
    mediche e ospedaliere proprie del mondo civile - difatti, l'esplosione
    demografica là continuò anche dopo la decolonizzazione, che comportò il
    collasso quasi immediato di quelle pratiche e di quelle strutture - ma
    piuttosto al fatto che la colonizzazione comportò la cesura di certe
    abitudini che i selvaggi avevano avuto da tempo immemoriale e con le quali
    contenevano la loro crescita numerica e mantenevano il loro equilibrio con
    la natura. Si trattava anche di pratiche anticoncettive, ma soprattutto
    l'uso indiscriminato dell'aborto, dell'infanticidio, dell'eutanasia,
    dell'uccisione di infermi, di disabili, di invalidi, di vecchi. - E nello
    stesso modo che l'esplosione demografica del Terzo Mondo ebbe un andamento
    catastrofico, è da considerarsi praticamente sicuro che la sua implosione
    avverrà parimenti catastroficamente, una volta che i fattori innescanti
    abbiano veramente preso piede.

    Questo, sembrerebbe essere il caso adesso - grosso modo dal 1990 - 1995. Il

    punto dell'argomento è stato fatto nel gennaio 2004 in una presentazione
    data al 36º congresso dell'associazione GRECE (2), dove sono state
    presentate da Hervé Coteau-Bégarie delle statistiche che indicano che è in
    atto un calo demografico su scala globale, dovuto essenzialmente alla
    ripresa delle epidemie - le malattie, in particolare l'AIDS, stanno
    diventado di nuovo un fattore essenziale nell'andamento demografico umano.
    Con l'eccezione della Palestina e dello Jemen - ancora fino al 2003 - tutti
    i grafici demografici del mondo hanno cessato di avere quella disposizione a
    'pera' caratteristica delle popolazione in crescita sfrenata dove c'è una
    preponderanza assoluta di bambini, per assumere quello a 'salsiccia' delle
    popolazioni in via di invecchiamento, prodromo di quello a 'fungo velenoso',
    caratteristico adesso dei paesi civili, dove la popolazione è in massima
    parte formata da vecchi. E nel Terzo Mondo incomincia a esserci, anche là,
    una preponderanza di vecchi, perché i vecchi sono meno propensi a essere
    inficiati da AIDS.

    Quanto presentato da Hervé Coteau-Bégarie riflette comunque delle tendenze già riprese occasionalmente dalla stampa quotidiana ancora alla fine degli

    anni Novanta. Chi abbia seguito con una certa attenzione la stampa
    quotidiana, non avrà mancato di percepire che le notizie sulla crescita
    numerica del Terzo Mondo ha subito una battuta di rallentamento e forse
    d'arresto. La sua diminuzione è già percepibile, ed è lecito pensare che si
    tratti dei prodromi della sua implosione che, come già detto, una volta
    innescata procederà quasi sicuramente in modo catastrofico. Fattore
    principale, l'AIDS, ma anche altre malattie. Ci si può aspettare che,
    nelll'Africa nera e nel Sud-est asiatico, tutto una serie di patologie
    soprattutto virali stiano aspettando di fare quella mutazione che permetterà
    loro il passaggio da umano a umano invece che solo da animale a umano come
    adesso è il caso, per divenire in breve tempo dei 'nuovi AIDS' (3).
    Casistiche del genere contribuirebbero parecchio al carattere vorticoso del
    declino demografico del Sud del Mondo.

    Viceversa, le comunità terzomondiali incistite nel mondo civile stanno

    'benissimo' e la loro crescita numerica è travolgente, molto superiore a
    quella delle popolazioni ospitanti che rischiano, di questo passo, di essere
    travolte a breve termine: si parla di poche generazioni (4). Per
    sopravivere, il Terzo Mondo che nelle sue zone circumtropicali di origine è
    in via di annientamento biologico, si trasferisce nel mondo civile. E nel
    mondo civile esso può ancora perpetuarsi perchè ha un sistema produttivo e
    sanitario ancora funzionale da potere parassitare. Dovesse mancare quello,
    anche gli extracomunitari presenti nel mondo adesso ancora civile sarebbero
    destinati all'estinzione a più o meno breve termine - da soli, mai ce la
    farebbero a evitare lo stesso destino dei loro confratelli nelle terre di
    origine. Così si espresse anche un brillante scrittore francese, Guillaume
    Faye, in un suo libro che recentemente, in Francia, è stato sequestrato (5).

    E potrebbe esser proprio la presenza degli extracomunitari a innescare lo

    sfacelo del vivere civile dal quale essi stessi dipendono. Sappiamo che sì e
    no il 25% degli extracomunitari presenti in Europa sono funzionali (6)
    all'economia, quale essa adesso è strutturata; il resto sono mantenuti di
    sana pianta e vengono così a costituire un peso sociale montante e
    minaccioso. Ma la loro influenza nel campo sanitario è ancora più grave.
    Specificamente nel Veneto, il 40% dei finanziamenti per la sanità, per
    diverse specialità, è assorbito dagli extracomunitari, che costituiscono
    forse il 10% della popolazione totale (7). Negli ospedali europei, il 50%
    dei posti letto destinati alle malattie infettive sono già monopolizzati da
    extracomunitari (8). E il caso dell'AIDS è ancora più indicativo: esso è uno
    dei tre fattori fattori principali che stanno determinando l'inflazione dei
    costi sanitari (assieme all'invecchiamento della popolazione e il
    prolungamento delle fasi terminali di certe patologie) (9). Eppure AIDS, in
    Europa fra gli europei, ce n'è sempre meno - in Italia, per esempio, fra gli
    italiani ci sono adesso circa 3.000 casi di contagio all'anno contro i circa
    20.000 degli anni Ottanta (10); e il numero complessivo dei casi registrati
    in Italia sono stati 53.000 dei quali 34.000 sono già morti (11), i quali,
    presumibilmente, non gravano sulle spese sanitarie. L'AIDS, in Europa, è
    adesso essenzialmente di importazione - le cifre ufficiali del Ministero
    della Sanità italiano indicano che il 15% degli immigrati terzomondiali in
    Italia sono sieropositivi (12) e quindi c'è da scommettere che le cifre
    reali siano almeno il doppio. (Con i sieropositivi extracominitari arrivano,
    fra l'altro, sempre nuovi ceppi di virus [13].) E in Europa ormai l'AIDS non
    è più ereditato dai neonati (14): il contagio dei neonati non si registra
    più grazie al'azione di parto cesareo, trattamento della madre con farmaci
    antiretrovirali e allattamento artificiale. A parte il costo di questo tipo
    di interventi, che sicuramente è altissimo e totalmente a carico del
    contribuente europeo, eccoci qui davanti a un esempio specifico lampante di
    quanto si è detto poco prima: il Terzo Mondo si trasferisce nel mondo civile
    per potere sopravvivere e perpetuarsi.

    A questo tipo di cose si da poca pubblicità, mentre i mezzi di comunicazione

    tendono a dare risalto a 'proiezioni' che pretendono di indicare tutto il
    contrario oppure che, interpretate per quel che veramente dicono, risultano
    contraddittorie. Un fantasioso pronostico proveniente dagli Stati Uniti
    d'America può essere citato tanto per farvi sopra una risata (15): nel 2050
    ci saranno quasi 9½ miliardi di bipedi sul pianeta, dei quali solo il 4%
    sarà nei paesi 'avanzati' e il rimanente 96% saranno ammassati nel 'Sud del
    Mondo' soggetti alla fame (perchè, allora come adesso, non produrranno
    praticamente niente ma vivranno della carità internazionale alla quale
    contribuirà solo quel tale 4%) e alle malattie, soprattutto a una pandemica
    sieropositività. Non è assolutamente chiaro come una situazione del genere
    potrebbe non solo reggere ma essere raggiunta. - Poi, gli stessi organismi
    internazionali che ci assicurano che oggigiorno i sieropositivi possono
    essere contati soltanto in diecine (non in centinaia) di milioni, ci dicono
    anche che l'AIDS è la quarta causa di morte nel mondo (16) e che nell'Africa
    subsahariana l'80% (proprio 8 su 10) dei minorenni sono orfani perché i loro
    genitori sono morti di AIDS (17).

    Esiste una logica perversa dietro a questa disinformazione e a questo

    occultamento della verità, che obbedisce al fatto che l'esistenza di quelle
    masse larvali, pullulanti e infette, è divenuta una necessità del mondo
    contemporaneo, retto da ideologie di sinistra - e anche quando il Terzo
    Mondo sarà sprofondato nel vortice della dissoluzione, e fino a tanto che
    quelle ideologie continueranno a prevalere, esso continerà a esistere, per
    forza, sia pure di un'esistenza virtuale fabbricata dai mezzi di
    comunicazione di massa.

    In ultima, c'è una sola forza che usufruisce dell'esistenza delle masse

    larvali del Terzo Mondo, che è la sinistra: e la sinistra ha diverse
    sfaccettature. Una sono i partiti politici dichiaratamente di sinistra,
    marxisti e post-marxisti; ma una componente importante della sinistra, molto
    spesso ignorata, è il cristianesimo postconciliare. E la sinistra/le
    sinistre lavorano da sempre per i poteri forti. Ai quali conviene che un
    mondo civile sempre più annichilito viva sia sotto un costante senso di
    colpa - perché, ci si pontifica continuamente, la colpa delle condizioni del
    Terzo Mondo è solo nostra - che sotto la minaccia costante
    dell'obliterazione da parte di coloro che 'non hanno avuto la parte che a
    loro spetta' nell'universale Bengodi, e i quali quindi bisogna ammansire
    dando loro sempre di più.

    A questa condizione di tipo generale, se neaggiungono di particolari. I

    marxisti puntano adesso più che mai sulle masse terzomondiali d'importazione
    per assicurarsi una situazione di potere e un futuro politico, perché
    saranno gli immigrati terzomondiali che formeranno, secondo loro, il loro
    futuro serbatoio di voti. Già negli anni Venti, fra i primi bolscevichi,
    c'era chi assicurava che la leva per fare saltare il mondo 'borghese'
    sarebbe stata costituita dalle masse di colore (18), ma questo tipo di
    ragionamenti si riferivano soprattutto all'America. Adesso invece che la
    cosiddetta 'lotta di classe' ha fatto fallimento in tutto il mondo civile,
    le sinistre, per cercare di non scomparire, puntano sulla creazione di un
    nuovo sottoproletariato miserabile, che sarà formato da extracomunitari di
    importazione, contrapposto a quel che rimarrà della popolazione europea
    autottona. Il 'fondo' dal quale viene la materia prima per la fabbricazione
    di questo nuovo sottoproletriato è il Terzo Mondo; e quindi la sua scomparsa
    taglierebbe le gambe alla sinistra. Ne segue che esso è per la medesima una
    necessità vitale e deve sussistere per forza.

    Viceversa, nel campo 'cristiano', c'è una onnipresente categoria di

    individui, dei quali parlò anche Johann Wolfgang Goethe ai tempi suoi, che
    sarebbeo felici che tutto il mondo fosse un gigantesco lazzaretto nel quale
    essi si aggirerebbero per dare le loro cure agli infermi nel contempo
    'salvando loro l'anima': un esemplare perfetto di questo tipo di persone fu
    la cosiddetta Madre Teresa di Calcutta (19). Anche questi si vedrebbero
    privati del loro 'senso della vita' il giorno che venisse a mancare il Terzo
    Mondo, quale esso è.

    In ultima, il 'dare da mangiare agli affamati' è divenuto adesso un

    mega-'business' sul quale vivono e si arricchiscono non pochi affaristi e
    funzionari di associazioni 'filantropiche' e di agenzie 'umanitarie'
    internazionali.

    S'è già detto che, secondo le tendenze attuali, si intravvede la possibilità

    che il Terzo Mondo, importato in quello civile attraverso tutta una rete di
    complicità e di protezionismi, minaccia di travolgerlo e di annientarlo:
    Hervé Coteau-Bégarie è pessimista, ma ricorda, concordando con il
    geopolitico Jordis von Lohausen (20), che la storia è il regno
    dell'imprevisibile. E, a ben vedere le cose, niente è tanto pazzesco come
    l'affermazione che la storia 'abbia un senso' - il futuro è assolutamente
    aperto e a fare la storia sono sempre stati e sempre saranno gli uomini,
    fino a che ancora ci saranno uomini in piedi.


    Nell'implosione biologica del Terzo Mondo, adesso incipiente, nonché nella
    condizione angosciante di quello civile, succube di ideologie suicidarie, si
    deve vedere la mano di una Provvidenza, che sicuramente esiste, ma che si pone al di là del bene e del male.


    (1) Manfred Ritter, Sturm auf Europa, Hase und Koehler, München, 1990.


    (2) Hervé Coteau-Bégarie al 36º colloquio annuale del GRECE, Parigi, 18
    gennaio 2004. Un ottimo riassunto in italiano del suo intervento è stato
    pubblicato dal mensile "Orion" (Milano), febbraio 2004.


    (3) Cfr., per esempio, il quotidiano "Libero" (Milano) del 24 agosto 2003.


    (4) Hervé Coteau-Bégarie, cit.


    (5) Guillaume Faye, La colonisation de l'Europe, L'Aencre, Paris, 2000.


    (6) Funzionali non significa indispensabili. Con un sistema sociale e
    politico sano, anche l'economia verrebbe strutturata in modo da non avere
    'necessità' di alcun extracomunitario.


    (7) Notizia appresa alla Scuola Quadri della Lega Nord a Verona, il 4
    dicembre 2004.


    (8) Cfr., per esempio, il quotidiano "La Padania" (Milano) del 28 maggio
    2002.


    (9) A. M. Giacomin, Welfare comunitario, opuscolo della Lega Nord, Milano,
    agosto 2002.


    (10) Cfr. il quotidiano "La Padania" (Milano) del 19 novembre 2004.


    (11) Cfr. il quotidiano "Il Giornale" (Milano) del 31 luglio 2004.


    (12) Cfr. il quotidiano "La Padania" (Milano) del 24 novembre 2002.


    (13) Cfr. il quotidiano "La Padania" (Milano) del 29 novembre 2003.


    (14) Cfr. il quotidiano "La Padania" (Milano) del 25 giugno 2003 e anche
    l'opuscolo della Bundeszentrale für gesundheitliche Aufklärung, AIDS von
    A-Z, Köln, 2004.


    (15) Cfr. il quotidiano "La Padania" (Milano) del 18 agosto 2004.


    (16) Cfr. il quotidiano "Il Giornale" (Milano) del 31 luglio 2004.


    (17) Cfr. il quotidiano "La Padania" (Milano) del 10 dicembre 2004.


    (18) Ci si riferisca, per esempio, al libro di Klaus Vaqué, Verraad teen
    Suid-Afrika, Varama, Pretoria, 1989.


    (19) Sulla quale esiste un saggio molto esatto, anche se scritto da un punto
    di vista discutibile: Christopher Hitchens, La posizione della missionaria,
    Minimum Fax, Roma, 1997.


    (20) Jordis von Lohausen, Mut zur Macht, Vowinckel, Berg am See, 1979."
    ADDIO GIUSEPPE, amico mio, sono LUCA e nel mio CUORE sarai sempre PRESENTE!
    «Réquiem aetérnam dona ei, Dómine, et lux perpétua lúceat ei. Requiéscat in pace. Amen.»

    SURSUM CORDA - HABEMUS AD DOMINUM!!! A.M.D.G.!!!

  9. #9
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    Predefinito Riferimento: Silvano Lorenzoni

    "LA DEMOCRAZIA
    martedì 09 ottobre 2007

    Recentemente, Massimo Fini - uno dei pochi giornalisti ad avere una solida base culturale, almeno in Italia - ha pubblicato un interessantissimo saggio (1) nel quale egli vorrebbe mettere a punto che cosa veramente sia la democrazia. Secondo chi scrive, egli non ci arriva, in quanto descrive soltanto che cosa la democrazia non è - e già questo è comunque qualcosa di utilissimo. Mettendo a fuoco le fenomenologie fattuali che si sviluppano dove ci sono governi che si autodefiniscono 'democratici' - cioé, al giorno d'oggi, dappertutto - egli arriva, ma non va oltre, alla constatazione che ovunque agisce una gestione fattuale del potere da parte di una congerie di mafie - oligarchie delittuose o se no affaristiche, il che in ultima istaura generalmente la stessa cosa - e che la 'democrazia' non ha niente a che vedere con la 'libertà' o la 'giustizia' con cui, mediaticamente, si tende ad associare questo termine. Vale, quindi, la pena di approfondire questa tematica di grandissima attualità nei nostri tempi.

    Per incominciare, bisogna osservare che la parola 'democrazia' è divenuta probabilmente il più esagerato feticcio lessicale di cui ci sia conoscenza storica (2). Al giorno d'oggi ognuno che si occupi di politica deve essere 'democratico', perché a dire di non esserlo si espone ad attacchi verbali e anche fisici, alla perdita del posto di lavoro, ecc., in quanto quasi tutti sono stati pavlovianamente condizionati a vedere nel 'non democratico' (checché esso sia), il 'nemico'. Quindi non c'é governante né aspirante tale che non sia democraticissimo ('fascista' è, facendo sempre del pressappochismo verbale e del pavlovismo mediatico, l'antidemocratico - e quindi il paria politico - per eccellenza). Quindi, le battaglie 'politiche', al giorno d'oggi, si combattono di necessità a forza di accuse, e controaccuse, di non essere sufficientemente democratici - quasi invariabilmente senza sapere di che cosa si sta parlando.

    In questa sede si vuole accettare uno spengleriano invito. Oswald Spengler, nel suo Der Untergang des Abendlandes (3), voleva fare una fisionomistica della storia, cioé un'analisi della medesima quale essa era stata nella sua nuda fattualità - e così scoprirne i meccanismi intrinseci - e non una disamina guidata da schemi preconcetti. Il sottoscritto, qui, ha la pretesa di fare un'analisi fisionomistica del fenomeno democratico, del tutto libera da sofismi preconcetti, per arrivare il più vicino possibile a individuarne il nocciolo concettuale e ideologico. Ciò sarà fatto tramite una disamina 'strutturale' di quei movimenti e di quelle ideologie politiche - tanto a livello teorico che squisitamente e , spesso, tragicamente pratico - che si auto definiscono come democratiche (4). Quindi, la democrazia secondo essa è ed è stata, per ammissione esplicita degli esponenti della medesima nelle sue diverse forme; e non come essa 'avrebbe dovuto essere stata' a sentire certuni che si afferrano a sofismi di tipo economicista, religioso o pseudo tale, sociologico, addirittura etimologico. Frasi vuote di senso come: "questa non è una vera democrazia", "voi non siete dei veri democratici", "quel (determinato) paese non è ancora maturo per la democrazia", "non è vero che la democrazia fallisca in certi paesi, ci sono invece dei paesi che falliscono di fronte alla democrazia" (5), sono banalmente note.

    Si può liquidare subito la fola, spesso ripetuta, secondo la quale la democrazia sarebbe quel sistema politico nel quale il potere è in mano di tutti i costituenti della comunità. Ciò di per sé costituisce una contraddizione di termini: il potere non può essere in mano a tutti senza cessare di essere tale - potere implica che ci sia chi può, chi comanda, e chi obbedisce. Il fatto che ogni forma di potere sia per necessità di natura assolutistica era già stato detto in modo esplicito dai pensatori politici controrivoluzionari della prima metà dell'Ottocento (in particolare, da Joseph De Maistre) ed era stato visto in modo ugualmente chiaro dagli anarchici di fine Ottocento (in particolare da Michal Bakunin, secondo il quale "tutti i governi devono essere combattuti, perché tutti i governi sono dittature") (6). Perciò si può anche scuotere via quell'asserzione senza senso - però martellata in testa dai mass media per beneficio di tutti coloro per i quali pensare è doloroso - secondo la quale la democrazia sarebbe il contrario della 'dittatura': ogni forma di potere, qualsiasi cosa che non sia il caos politico puro, è, per natura di cose, una 'dittatura'.

    Sistemi democratici - questa è un'altra cosa che ci si dice - sono quelli sotto i quali il potere è in mano a dei tali che sono bene accetti dalla maggioranza dei governati (il 50% + 1 e magari anche di più) (7). E la volontà di questa fantomatica maggioranza viene scoperta sperimentalmente attraverso il suffragio universale: quello, tanto per intenderci, che Benito Mussolini, chiamò ludo cartaceo. (Chi invece governava le democrazie marxiste affermava che la vera democrazia era la 'dittatura del proletariato'.) Fu Jean Jacques Rousseau (8), un personaggio che ognuno che si consideri democratico riverisce come importantissimo padre spirituale, ad affermare che "la volontà generale non è necessariamente la volontà del più grande numero, ma quella che dovrebbe essere del gran numero". Questo insegnamento di Rousseau, pochissimo citato, è larghissimamente applicato da ogni governo che afferma di essere 'democratico'.

    Vale l'osservazione che ben difficilmente un privato può avere i mezzi e le possibilità di presentarsi come candidato a una elezione: quindi i politici divengono dei professionisti che concorrono alla gara per mettere le mani sulla cosa pubblica come rappresentanti di quelle organizzazioni tentacolari e spessissimo sovranazionali che sono i partiti politici. Quindi, in termini generali, sia nelle ex-democrazie 'popolari' marxiste che in quelle 'democratiche' che adesso ci sono dappertutto, per quel che riguarda l'amministrazione tecnica del potere si deve parlare di partitocrazia: una volta ottenuta una fetta (o la totalità) del potere, i partiti fanno e disfano senza ricordarsi minimamente di quelli che, depositando il loro voto, hanno dato loro in mano l'amministrazione pubblica.

    Con riferimento invece al procedimento, usato ormai quasi dappertutto, per consegnare fette di potere a questo o a quell'altro partito - il suffragio universale - a buon diritto si può parlare di suffragiocrazia (9). La suffragiocrazia consiste nel portare a termine a intervalli regolari oppure irregolari l'appena menzionato ludo cartaceo, i cui risultati, manipolati qualche volta onestamente e più spesso disonestamente secondo determinate regole - cioé impastati aritmeticamente, oggi facendo uso e spreco del calcolatore elettronico - servono a dare a questo e a quello la sua porzione di amministrazione pubblica. Il termine 'democrazia' è stato usato, anche da grandi menti quali Oswald Spengler e Julius Evola come sinonimo di 'suffragiocrazia': cioé di quel tipo di sistema a cui a ogni partito politico è assegnata periodicamente la sua perecentuale di 'potere', in base a un procedimento detto elezioni.

    Riguardo alle elezioni va detto che affermare - come viene sempre ripetuto - che il votante sa quello che vuole è qualcosa che dovrebbe costituire motivo di riso. Con l'eccezione di ciò che si riferisca ai suoi bisogni, alle sue voglie, alle sue ambizioni e magari ai suoi risentimenti del tutto personali, l'elettore è quasi sempre un analfabeta politico. Bisogna circuirlo, per convincerlo a dare, o magari a vendere, il suo voto a questo o a quello: e ciò, generalmente, non può essere fatto se non mettendo in moto le grancasse di quelle parate da circo che sono divenute le campagne elettorali, nelle quali si usano quelle tecniche psicologiche conosciute da ogni venditore di qualsiasi mercanzia per convincere il pubblico a comperare il suo prodotto. La campagna elettorale costa cara; e il massimo di voti andrà molto spesso a quei partiti che se ne possono finanziare una il più vasta e capillare possibile. Ne risulta che sotto una metodologia suffragiocratica il potere sarà quasi sicuramente in mano a chi potrà disporre di un massimo di finanziamenti per potere convincere i votanti - usando, di massima, l'arma mediatica - a dargli o a vendergli il voto. Il potere è quindi in mano di chi ha il denaro da elargire, perché chi ha denaro non finanzierà alcun candidato senza esigere una contropartita. Siccome oggi il denaro è in mano agli usurai bancari internazionali, si può, a buon diritto parlare di usurocrazia. Il primo a dire, ormai quasi un secolo addietro, che la 'democrazia' (leggi: suffragiocrazia) non è né può essere se non uno strumento nelle mani di chi ha tanta disponibilità finanziaria, fu Oswald Spengler.

    Del sistema democratico-suffragiocratico fu Julius Evola a dire che è quello nel quale si ammette che sia chi ci vede a guidare i ciechi, ma poi si pretende che siano i ciechi stessi a decidere chi ci vede e chi non ci vede. Adolf Hitler aveva definito il medesimo sistema come la dittatura della maggioranza, aggiungendo che la maggioranza è composta dagli indecisi, dagli egoisti e dai vigliacchi. Passare da quanto sopra a dire che la democrazia è la dittatura degli imbecilli, il passo sarebbe breve, ma in ultima sbagliato, perché gli imbecilli non governano mai. Un poco più esatto sarebbe dire che gli imbecilli regnano e i furbi governano: inesatto però anche questo, perché si tratta di ben squallidi furbastri, marionette degli Shylock dai cui finanziamenti hanno dipeso e continuano a dipendere. Fu un agente della grande finanza internazionale, Walther Rathenau (10), a definire la democrazia come "la dittatura che gli informati (die Wissenden), i furbi e i ricchi esercitano sul bestiame votante (das Stimmvieh - tanto per intenderci, il 'popolo bue').

    Dal punto di vista storico, i governi autoproclamantisi democratici - un fenomeno politico del tutto atipico - hanno fino a oggi avuto due impennate. La prima fu nel mondo ellenico del V secolo a.C., dove questo fenomeno già manifestò le sue più salienti caratteristiche e ci furono dei pensatori che tentarono di farne un'analisi e di definirlo discorsivamente. La seconda incomincia poco più di duecento anni fa, perdura ancora ed è, dal 1945, di onnipervadenza planetaria. Prima di proseguire l'analisi del fenomeno democratico per se, è utile, per ragioni di chiarezza, fare un breve excursus storico nell'Antichità, cioé nella democrazia ellenica. Il materiale storico grezzo è dato in esposto molto completo in un libro di Luciano Canfora (11).

    Da notare che nella Grecia antica il demos (di cui la demokratìa doveva essere il 'potere' - kràtos), a differenza dell'ellenico làos, dell'italico populus, del germanico Volk, dello slavo narod, non era la popolazione organizzata e formante uno stato organico, ma quella parte della popolazione che era opposta ai monarchi e alla nobiltà: quindi il démos veniva a essere la feccia sociale, la canaille. Perciò: democrazia = il potere in mano ai peggiori, i quali, sia detto per inciso, solo eccezionalmente erano la maggioranza, anzi, normalmente erano minoranza. Aristotele classifica la democrazia come uno dei peggiori sistemi di governo, il contrario dell'illuminata politéia. Quell'Anonimo ateniese (forse Senofonte) che per primo fece un'analisi sistematica del fenomeno democratico, afferma esplicitamente che essa, oltre a essere il più dannoso di tutti i tipi di governo, è anche il più oppressivo, il più liberticida. E Atenagora, dirigente democratico siracusano, raccomandava di perseguitare gli oppositori non solo per il reato d'opinione (il reato d'opinione viene così a essere un'invenzione squisitamente democratica) ma per le loro opinioni stesse, con l'argomentazione che è facile passare dalle parole alle vie di fatto e che se si fosse aspettato che gli oppositori si fossero organizzati si sarebbe andati a rischio di essere sbalzati dal potere prima di avere il tempo per difendersi. Questa fu la democrazia classica, alla quale fanno riferimento tutti i democratici moderni, a partire dalla Rivoluzione Francese. Dal V secolo a.C. fino al secolo XVIII d.C. lo 'spirito democratico' si accontentò di dormicchiare nelle fogne, fino a che i tempi non furono 'maturi'.

    Sia qui anche menzionato che è stato documentato da Hans F. K. Günther (12) come nella popolazione greca classica, fino dai suoi primi tempi, non mancò di esserci un elemento levantino al quale si devono attribuire tutte quelle nuances che, per un gusto schiettamente europeo, la luminosa Ellade poté avere di meno attraenti. In particolare, le pratiche omosessuali ebbero i loro inizi dai contatti che i greci ebbero con il Medio Oriente, del quale, molto più tardi, si disse che ex Oriente lux, ma del quale i romani preferivano asserire che ex Oriente nox. Sarebbe del maggiore interesse potere stabilire fino a che punto l'elemento levantino fu responsabile del fenomeno politico democratico nell'antica Grecia: una ricerca storica del genere, se eseguibile, non mancherebbe di dare dei risultati inattesi (13). Da considerarsi comunque come accertato che le due prime 'luci' che il Medio Oriente esportò in Europa furono la pederastia e la democrazia: altro sarebbe venuto dopo.

    Anche se, come detto, il vocabolo 'democrazia' scompare nella tarda Antichità, vale la pena di menzionare certi sviluppi legati all'avvento del cristianesimo, che non mancarono, per vie traverse, di aver eun'influenza sui fatti etichettantesi 'democratici' che sarebbero venuti duemila anni dopo.

    Da notarsi che il cristianesimo si rivela una religione della decadenza: esso si affermò al tempo dello sfacelo del mondo classico, sfacelo che esso accelerò e poi portò a compimento (ma che, non causò: se la civiltà classica non fosse già entrata in una fase involutiva non è concepibile che il cristianesimo avrebbe potuto affermarsi). E il cristianesimo, religione della decadenza, si rivolge all'individuo e alla sua personale 'salvazione' (di checché si possa trattare). Quindi fondamentale egalitarismo del cristianesimo, per il quale ogni atomo umano ha il medesimo valore. Dunque nessun pensiero per la sopravvivenza di una qualsiasi compagine sociale, nazionale o etnica. A coloro che - generalmente in campo protestante e spessissimo in America - dicono che "non si può accusare il cristianesimo di avere fallito il suo scopo sociale, perché uno stato veramente cristiano non è mai stato sperimentato" è stato validamente risposto che nessuna società civile, o magari incivile, potrebbe essere basata su di un cristianesimo 'puro', che fa riferimento esclusivamente all'individuo e al quale non interessa minimamente la permanenza di una qualsiasi struttura sociale. Fu per necessità di cose che il cristianesimo dovette adattarsi al mondo, se volle sopravvivere come religione storica - almeno in attesa di quel tale improbabile 'giudizio universale'. Neppure dottrinalmente si poté mai avere un 'cristianesimo puro': il cattolicesimo medioevale fu uno strano e distorto prolungamento del paganesimo classico, del quale però poté conservare non poche valenze positive; i protestantesimi hanno da essere visti come svariate forme di giudaismo camuffato da 'cristianesimo' ed edulcorato per un gusto europeo (14).

    Il suo adattarsi al mondo non impedì che, larvatamente, la mentalità cristiana cessasse di avere una certa nostalgia per un mondo 'perfetto', riflesso di quell'ipotetico 'regno dei cieli' dove ogni anima è uguale - anzi, identica - agli occhi di dio. Questa nostalgia è affiorata talvolta in modo scomposto e violento, dando origine a sinistri fatti storici. Siano menzionati, fra i tanti: nel Medioevo: gli esperimenti comunisti di Fra Dolcino a Brescia e di Jean Vaud a Lione (15) e le guerre hussitiche nel XV secolo; per i tempi della riforma protestante: la dittatura comunista degli anabattisti a Münster e le rivolte dei taboriti e degli adamiti in Boemia-Moravia. E in tempi desacralizzati in modo completo quali possono essere quelli contemporanei, l'egalitarismo cristiano secolarizzato ha dato origine a forme particolarmente acute di utopismo sociale, una delle quali è stato (ed è) il marxismo. Ralph Perier (16) ha fatto notare che proprio adesso che alla mitologia cristiana non crede più nessuno, l'utopismo sociale proprio del cristianesimo celebra i suoi massimi fasti.

    Come conseguenza dell'egalitarismo fondamentale che impregna il cristianesimo, non poteva mancare chi si ponesse il quesito di chi, a questo mondo, era, al meno con il massimo di approssimazione,il 'popolo di dio', dal quale sarebbero scaturiti i futuri commensali di Gesù Cristo dopo il 'giudizio universale', a livello dei quali ogni 'superbo' sarà abbassato; rendendo reale, sia pure nel mondo delle anime, quell'uguaglianza assoluta che nel mondo tangibile ovviamente non esiste. Questo quesito ha avuto più risposte (17); qui daremo due esempi del tipo di figuri che secondo certi santoni levantini - adesso messi nel novero dei cosiddetti padri della chiesa - devono essere visti come rappresentanti di spicco del 'popolo di dio'. Si tratta sempre di tipi particolarmente estremi di mendicanti professionisti.

    (a) Esempio proveniente da Costantinopoli, ai tempi del Basso Impero: quei mendicanti che oltre ad autoinfliggersi ogni tipo di mutilazioni e a esporre piaghe spesso purulente e coperte di vermi per eccitare la compassione e l'orrore dei passanti, bucavano gli occhi ai loro bambini ancora piccoli per poi tenere in alto quei lattanti dalle occhiaie vuote come oggetto di commiserazione per le folle dei mercati (18).

    (b) Esempio contemporaneo (anni Quaranta), proveniente dall'India: esisteva (e magari esiste ancora) una determinata categoria di mendicanti che fanno passare una cannuccia appuntita lungo la propria uretra causando una perforazione fino a dentro allo scroto; soffiando per la cannuccia si può poi fare gonfiare lo scroto come un pallone. La cannuccia viene poi ritirata e l'aria compressa fuoriesce per il pene, manipolando poi il quale come grottesco flauto, si suona della musica. Ecco quindi un'impensata arietà terzomondista del mendicante che, in Europa, per ricevere qualche moneta suona invece il violino o la fisarmonica (19).

    Dovrebbe essere abbastanza chiaro chi costituisce il 'popolo di dio' secondo quei tali santonio levantini: non l'evangelico poveretto che, per amore di dio, si accontenta anche di sopportare ingiustizie con la speranza di godere, dopo morto, la beatitudine 'in seno a Gesù Cristo'; ma l'elemento più abbietto che una società a sfondo levantino può produrre (20). Sono queste le tendenze che il cristianesimo si è trascinato dietro durante tutta la sua storia e che poi abilmente strumentalizzate da tanti avvoltoi e da tanti psicopati diedero un contributo ragguardevole al fenomeno democratico in utta la sua variopinta molteplicità.

    Il dogma central di tutte le ideologie politiche democratiche (cioé, al giorno d'oggi, tutte) - siano esse liberali, marxiste, anarchiche, ecc. - è, formalmente, l'egalitarismo (21). La democrazia non ha per soggetto l'uomo, quale persona dotata di una sua specificità e di una sua dignità, ma l'atomo umano, interamente intercambiabile, sradicato, senza cultura, senza nazione, senza famiglia, senza religione, senza razza, mosso esclusivamente da motivazioni di tipo edonistico (22). È di Platone è l'acuta osservazione che, logicamente, perfino le più ineccepibili elezioni suffragiocratiche sono antidemocratiche, in quanto esse presuppongono, almeno teoricamente, una scelta e un giudizio; mentre in un sitema basato veramente sul dogma egalitarista i governanti dovrebbero essere nominati per mezzo di una lotteria.

    Per quel che riguarda la prassi, la democrazia - sostantivo collettivo: sarebbe forse preferibile dire: le 'democrazie' - può essere vista come quel sistema politico nel quale la cosa pubblica tende ad andare in mano alla classe criminale (salvo mai, eccetto in casi marginali ed estremi, andarci del tutto; perché, secondo sarà menzionato più avanti, una 'democrazia pura' di questo tipo non potrebbe sopravvivere se non di parassitismo puro). Questo obbedisce a una logica perfetta, perché la classe criminale è l'ultimo dei comuni denominatori sociali, al di sotto del quale è difficilmente concepibile che si possa andare. Ecco che la democrazia contemporanea dà la mano ai suoi predecessori ellenici e cristiano-levantini. Il controllo della politica da parte di elementi criminali ha preso e prende, naturalmente, diverse gradazioni: la forma più estrema (più perfetta) essendo stata, nei nostri tempi, le democrazie popolari di stampo marxista tipo il Pol-Pot cambogiano. La forma più blanda e più sorniona - che dopo la caduta dei 'socialismi reali' è divenuta la più generalizzata e virulenta - è quella liberale. Un'analogia al riguardo può essere tratta da un'affermazione fatta da Julius Evola in un suo giovanile ma profondo scritto (23): ciò che il cattolicesimo aveva di positivo (dopo il Vaticano II non ha più niente) non era cristiano - il cristianesimo era già stato definito da Oswald Spengler il 'bolscevismo dell'antichità'. Analogamente, ai tempi appena trascorsi della 'guerra fredda' si diceva a chi voleva crederci che in Occidente si godeva di una certa libertà (sia pure poca e sempre meno) perché in Occidente c'era 'democrazia', mente Oltrecortina imperava il 'totalitarismo'. La verità era invece tutto il contrario: la libertà di cui in Occidente si poteva ancora godere risultava dal fatto che esso era meno democratico dell'Oriente bolscevico.

    Sotto un sistema democratico-suffragiocratico-usurocratico, quale esso oggi impera, il potere politico - almeno quello palese - è messo in mano a un nuovo tipo di classe criminale - da essere aggiunta a quella degli spacciatori di droga, dei pedofili, dei lenoni, dei contrabbandieri di armi e di immigranti clandestini, ecc. (24). Si intende parlare del tipico politico di professione, post-1945, accattone-ladro di voti, che egli ottiene da quel bestiame votante di rathenauerina memoria (ormai in massima parte rimbecillito e incanaglito dal potere mediatico) offrendogli ogni più basso servigio e facendogli promesse che, in partenza, sa che non avrà la possibilità (e meno ancora l'intenzione) di mantenere; mentre dietro le quinte fa da prosseneto a chi lo finanzia. Di questo tipo di individui fecero dei calzanti ritratti psicologici alcuni grandi scrittori: Francisco Quevedo Villegas, che nella Vida del buscón llamado Don Pablos descrive il disonesto obbligato; Edgar Allan Poe, che nel The man in the street, descrive l'autolesionista che gode della propria degradazione; Fjodor Dostojevskij, che nelle Memorie del sottosuolo descrive l'abbietto allo stato puro, quasi quintessenziato. E il sistema suffragiocratico ha portato allo scoperto alcuni fra i più grandi criminali di tutti i tempi, sia pure sotto circostanze eccezionali: Winston Churchill e Franklin Delano Roosevelt sono due calzantissimi esempi: due figuri in confronto ai quali ogni persona onesta non potrà trovare Stalin se non simpatico.

    In Pol-Pot si ebbe un'approssimazione di quella che si può
    chiamare 'democrazia pura': un sistema retto da un capo che non ha alcun carisma che non sia la brutalità assoluta e che si mantiene al suo posto esclusivamente con la violenza esercita un potere despotico e assoluto su di una massa di maledetti tutti uguali (25). Casi di democrazia pura o quasi sono documentati per certe associazioni sul tipo di quella dei mendicanti della Parigi medioevale, descritta da Alexandre Dumas in Notre dame de Paris, oppure quella dei lebbrosi della Cayenne, descritta da Henri Charrière nel suo romanzo Papillon. Capo è là il ladro più abile, l'assassino più spietato, il lebbroso più orrendo; e il capo non viene mai destituito, egli può soltanto essere ucciso da chi, a crimine espletato, si imporrà sulla massa senza volto come nuovo tiranno. Non a caso le democrazie pure non potettero sussistere se non in comunità od organizzazioni a funzionamento parassitario.

    Si può fare un breve riferimento 'critici' della democrazia quali l'austro-americano Erik von Kühnelt-Leddihn, l'italiano Panfilo Gentile, il francese Jules Monnerot, il tesdesco Fritjof Meyer, ecc. (26). Si tratta sempre di 'bravi borghesi', che omologano invariabilmente la democrazia a quella sua variante che è la suffragiocrazia e la loro critica della suffragiocrazia ha per tema centrale che mettere la potestà di conferire il potere in mano al 'popolo', a tanto inadatto, può portare a 'pericolosi sbalzi' come la scelta (suffragiocraticamente ineccepibile) di Adolf Hitler nel gennaio 1933. Avendo disimparato a distinguere fra démos e làos-populus-Volk, essi mettono Hitler e Stalin nello stesso diabolico sacco, mentre Roosevelt e Churchill sono angelici: ecco un vecchio vizio liberale, quello della credenza negli 'opposti estremismi'. E la loro ricetta, perché tutto vada nel migliore dei modi, è quella di mettere il potere assoluto in mano ai finanziocrati, alla plutocrazia bancaria. Dovrebbe essere perciò del tutto chiaro che che l'opera di costoro è di valore normativo nullo - pur senza negare che talvolta vi si possono trovare qualche osservaziione acuta e qualche analisi azzeccata. Perfino l'autore di un libro certamente intelligente, La rebeliòn de las masas, José Ortega y Gasset, quando si trattò di proporre un rimedio per l'andazzo democratico, non seppe afferrarsi a niente di meglio che al liberalismo 'anglosassone' (27). Molto più nel giusto vide Friedrich Nietzsche nel suo Zarathustra, dove dice di avere disimparato a distinguere fra povero e ricco: perché c'è plebe in alto e plebe in basso.

    Già Julius Evola osservava che l'ambiente democratico esercita una controselezione, sia a livello individuale che a livello collettivo, portando a galla ciò che di peggiore ci può essere sia negli individui che nelle collettività. Né è pensabile, salvo che sotto circostanze democratiche, quella particolare perversione dei valori giuridici che esiste nel mondo contemporaneo, secondo a quale la solidarietà con le vittime dei crimini e con i loro congiunti (28) deve passare in secondo piano davanti all'imperativo del 'reinserimento sociale' dei criminali: c'è una tendenza, quindi, a sostituire le norme giuridiche tradizionali, tendenti alla protezione della società, con contorte fantasie di freudiana psicanalisi.

    Secondo la giurisprudenza democratica il criminale è una vittima della società o, nel peggiore dei casi, uno che comunque non porta colpa. Di conseguenza, chi dovesse trovarsi a essere vittima di un atto delittivo è semplicemente uno sfortunato, come colui che è colpito da un fulmine o travolto da una valanga. Fu l'americano James Rawls (29) ad asserire che siccome le differenze di nascita e di attitudini sono 'ingiuste' (ingiusta in questo caso è la natura), sarebbe giusto che queste differenze venissero compensate dando trattamenti preferenziali agli elementi peggiori della società (non esclusi, anzi inclusi, assassini, stupratori, pedofili, ecc.).

    Per tirare le somme, adesso come adesso, nella 'democrazia' può essere visto essenzialmente quel feticcio lessicale (che nessuno sa esattamente cosa sia) che serve di riferimento liturgico per tutte le cerimonie a sfondo politico che, mondialmente, hanno luogo dal 1945 a questa parte - questa è probabilmente la migliore, per quanto approssimata, definizione che se ne può dare. Per quel che riguarda la prassi, in un ambiente autoproclamantesi democratico si danno tutte le fenomenologie teratologiche di cui sopra si è fatto uno schizzo. Si percepiscono due tendenze, diverse ma convergenti: una è l'insorgere pandemico di quella particolare 'specie antropologica' che vede in ogni abbietto, in ogni tarato o criminale, in ogni maledetto, un 'fratello'. L'altra è il fatto che la struttura 'democratica', sia pure a livello subconscio, sa che garanzia della sua sopravvivenza è che sussista una classe criminale il più ipertrofica possibile,sicura di sé stessa perché può contare sull'incolumità.

    Silvano Lorenzoni "
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    Predefinito Riferimento: Silvano Lorenzoni

    "RUSSIA, BALUARDO D'EUROPA
    venerdì 05 ottobre 2007 Il confronto/contrapposizione fra Russia ed Europa va visto sotto due aspetti diversi: (a) quello storico e geopolitico e (b) quello essenziale, che si ricollega al fatto che adesso come adesso il problema di fondo davanti al quale ci troviamo è quello della sopravvivenza della razza bianca.
    Una contrapposizione, nel senso di antagonismo, fra Europa e Russia, dal punto di vista storico e geografico dovrebbe essere vista come qualcosa di falso, in quanto la Russia fa parte dell'Europa, territorialmente e razzialmente, tanto quanto qualsiasi altro paese del nostro continente: né si deve escludere la Siberia, che nella sua parte occidentale è popolata in grande maggioranza da genti europee. Quanto alla popolazione mongolide/asiatica della Siberia orientale, non vi si dovrebbe vedere un problema: si tratta sempre di genti razzialmente valide e non certo di bantù o papuasi - si può forse ipotizzare una futura 'Eurasia' che includesse il Giappone e la Mongolia.
    La presenza dei tartari in Russia, durante il Medioevo - la cui influenza 'deeuropeizzante' è stata parecchio esagerata - sta probabilmente alla base di quell'idea di 'non-europeità' che la Russia ispirò a certe menti europee centrali e occidentali, anche acute: nella trappola della non-europeità della Russia caddero anche Oswald Spengler e il geopolitico Jordis von Lohausen, che poneva la Russia in 'Asia' e faceva finire l'Europa alla linea Königsberg-Odessa. Ben diverso fu l'apprezzamento di Otto von Bismarck, il più grande uomo di stato della seconda metà del secolo XIX: egli vagheggiava un asse Berlino-Mosca, che si sarebbe rivelato invincibile. A fare fallire questo piano, che per l'Europa sarebbe stata la salvazione, furono le tresche ebraiche che avevano per punto d'appoggio Londra e Nuova York; in combinazione con la presenza al trono di Germania di una figura mediocre e a quello di Russia di una che non valeva niente - Nicola II fu un altro Luigi XVI. Una personalità di ben altro calibro e che vedeva le cose chiare fu Grigorij Jefimovic Rasputin, che si oppose sempre alla guerra: non a caso la sua figura è stata demonizzata.
    La prima guerra mondiale fu combattuta per liquidare quelle potenze che ancora mantenevano una certa autonomia davanti all'usurocrazia ebraica: Germania, Austria-Ungheria, Russia. I bolscevichi, prima della guerra del 1914-1918 e durante la medesima, furono finanziati da fonti ebraico-inglesi; e a carico dell'amministrazione dei finanziamenti stette quell'Alfred Milner che nel 1899-1902 era stato a carico dello spopolamento sistematico del Sud Africa bianco, dove sorsero i primi gulag della storia. C'è da credere che da quel particolare personaggio i bolscevichi abbiano ricevuto non solo denaro ma anche 'consigli'. Quanto alla Francia, dopo la disfatta del 1870 e l'istituzione della repubblica massonica sotto l'egida dell'ebreo genovese Gambetta, essa era diventata un satellite politico dell'Inghilterra.
    Nel 1917 le forze ebraiche internazionali raggiunsero lo scopo di demolire la Russia, trasformandola nell'Unione Sovietica la quale, pure a singhiozzo e non sempre obbedendo loro esattamente, fu fatta strumento dei loro piani. L'Unione Sovietica si prestò prima all'aggressione contro l'ultimo stato europeo che ancora si oppose validamente all'ebraismo, il Reich tedesco, poi a inscenare la 'guerra fredda'. Quest'ultima permise ai soliti di arricchirsi a dismisura fabbricando e smerciando armi, che trovarono anche un grande mercato nel cosiddetto Terzo Mondo, che divenne subito un formicaio di di guerre civili e interetniche. Non a caso, durante la 'guerra fredda', la propaganda americana attaccava non tanto il bolscevismo in quanto tale, ma la Russia e il popolo russo, descritto come animalesco, e presentava il regime comunista come una continuazione naturale del regno degli zar. Anche le atrocità avvenute in Germania nel 1944-1945, commesse da alcuni reparti dell'esercito sovietico, furono 'commissionate' a Stalin dagli americani - cioé dagli ebrei - attraverso il loro 'rappresentante' Ilja Ehrenburg: né Stalin (ammesso che lo avesse voluto) avrebbe potuto sottrarsi al ricatto in quanto dipendeva dall'America per le sue forniture di guerra. (Comunque, fu sempre Stalin a rifiutare costantemente i bombardamenti su obiettivi civili e a proporre la riunificazione della Germania già nel 1948.) Quelle atrocità - purtroppo in buona parte reali -, vastamente pubblicizzate, servirono poi a occultare quelle degli occidentali (bombardamenti indiscriminati su popolazioni civili, oltre un milione di prigionieri tedeschi lasciati morire di fame da Eisenhower e De Gaulle dopo la fine delle ostilità; se i sovietici violentarono il 3,7% delle donne tedesche, gli occidentali ne violentarono il 2,7%.) e a preparare il terreno per inscenare la guerra fredda, già prevista prima della fine delle ostilità contro le potenze dell'Asse.
    Fatte queste doverose precisazioni storiche, si può ben passare alla discussione di quella che costituisce la vera e fondamentale questione esistenziale dei nostri tempi: la sopravvivenza della razza bianca - un fatto che, verosimilmente, verrà deciso entro, al massimo, il secolo XXI. E, in riguardo, dall'America non è il caso di aspettarsi alcunché di positivo e invece tantissimo di negativo. (Qui vale l'appunto che quando si parla di America si intende parlare anche dell'Inghilterra che, ormai da almeno il 1940, non è niente altro che il suo prolungamento e testa di ponte davanti alle coste dell'Europa. Non solo: chiamare 'anglosassoni' gli abitanti dell'isola inglese e i loro effluvi è un po' come chiamare 'longobardi' gli abitanti della pianura padana o 'visigoti' quelli della penisola iberica.)
    Indipendentemente dal fatto che l'America è essa stessa, alla maggior parte degli effetti pratici, un paese di colore, il suo orientamento politico, pilotato da una classe dirigente calvinista asservita al grande capitale ebraico, è indirizzato all'annientamento razziale dell'Europa. L'invasione dell'Europa, soprattutto occidentale, da parte di turbe islamiche di colore è in buona parte finanziata dall'Arabia Saudita, uno stato protetto dall'America che porta avanti i suoi piani di islamizzazione con il beneplacito della medesima - e l'Arabia Saudita lavora in combutta con il Marocco: essa rende disponibili i capitali, il Marocco le masse umane di colore, miserabili e fanatizzate, che all'islam fanno da 'fronte d'urto'. L'America è il garante della situazione politica internazionale odierna, che se si dovesse prolungare tale e quale ancora per qualche decennio porterebbe necessariamente all'obliterazione della razza bianca. Quindi il destino della nostra razza è legato a quello dell'America, in modo negativo - prima collasserà la superpotenza americana e prima si potrà intravvedere un bagliore di speranza per la razza bianca, cioé per noi europei. L'America, per quanto 'bianca' (ancora per qualche tempo) è spiritualmente ebraico-negroide. Adesso, la potenza dell'America (a parte la ragnatela di complicità mantenuta in funzione soprattutto dalle comunità ebraiche) sta esclusivamente nella minaccia di usare contro i suoi nemici l'ordigno nucleare. Anche se c'é evidenza che l'arsenale nucleare americano valga molto meno di quanto i suoi possessori dichiarino - forse un 20% - esso è ancora sufficiente per causare ingenti danni.
    Ne consegue che, nei nostri tempi, l'unica via di salvezza possibile per noi come bianchi e come europei è quello di opporsi all'America con ogni mezzo - e non certo come lo fanno le sinistre, con il loro antiamericanismo straccione di facciata, ma che vedono e hanno sempre visto l'America come esempio e come 'terra promessa' (Lenin doveva fare dell'Unione Sovietica una 'grande America'). E in questo momento c'è una sola potenza europea in grado di fare fronte all'America: la Russia che, ridivenuta sé stessa dopo l'implosione dell'Unione Sovietica, continuò comunque a essere una grande potenza con la fortuna di essere governata da un uomo come Vladimir Putin, sicuramente uno dei due unici veri uomini di stato che siano stati espressi dalla razza bianca dopo la guerra del 1939-1945 (l'altro essendo stato il sudafricano Hendrik Verwoerd negli anni Sessanta).
    La Russia ha molti vantaggi intrinseci rispetto all'America: la sua estensione, la sua ricchezza e, soprattutto, la sua popolazione europea. Se l'America, nel passato, poté avere uno sviluppo tecnologico ragguardevole, fu perché usufruì per oltre due secoli di un'immigrazione europea di ottima qualità, soprattutto tedesca. La Russia fondò la sua tecnologia usando soltante le sue proprie forze intellettuali autoctone (salvo forse nei tempi dell'immediato dopoguerra), che si dimostrarono sempre di prima qualità - non a caso, nell'ormai lontano 1914, la Russia aveva la migliore aviazione allora disponibile.
    Non è certo esagerato affermare che in questi nostri difficili tempi la Russia si prospetta come l'ultimo baluardo della razza bianca verso la quale, anche per il fatto di sfidare l'America, essa dimostra di avere una coscienza di responsabilità.
    Silvano Lorenzoni "
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