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    Predefinito Ida Magli, l'antropologa del Giornale

    Ida Magli
    Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


    Ida Magli (1925) è un'antropologa italiana.

    * Che delusione: ho passato la vita a difendere le donne, ma purtroppo debbo constatare che le donne non pensano. (senza fonte)

    * L'uomo cerca di conoscere sempre meglio le leggi della natura e tutto quello che fa non è mai contro, anche quando si parla della vittoria dell'uomo sulla natura. (da Il Giornale, 28 dicembre 2002)

    * Per i governanti del nostro tempo diventa sempre più difficile passare alla storia. Non si possono conquistare imperi; non si può andare in battaglia per la salvezza del proprio Dio; non si possono liberare gli schiavi; non si possono scoprire nuovi mondi. (da Il Giornale, 17 agosto 2000)

    * Il cristianesimo, costituendosi con tutte le strutture del sacro, fin dal primo momento della morte di Gesù, non ha in nessun modo messo in atto quello che lui aveva proposto. (da Gesù di Nazareth, Rizzoli, 2004)

    * L'Europa in cui siamo costretti a vivere è un'Europa profondamente comunista, livellata verso il basso, che impedisce lo sviluppo delle singole nazioni. (da La Padania, 20 febbraio 2001)


    Bibliografia

    * Introduzione all'antropologia culturale: storia, aspetti e problemi della teoria della cultura, Roma, Laterza, 1983.
    * Viaggio intorno all'uomo bianco, Milano, Rizzoli, 1986
    * Gesu di Nazareth, Milano, Rizzoli, 1987
    * Teresa di Lisieux, Milano, Rizzoli, 1995
    * La femmina dell'uomo, Roma; Bari, Laterza, 1985
    * Sulla dignita della donna: La violenza sulle donne, il pensiero di Woityla, Parma, Guanda, 1994
    * Sesso e potere: la gogna della Santa Inquisizione multimediale, con un estratto dell'interrogatorio a Bill Clinton, Milano, Bompiani, 1998

    * La donna, un problema aperto: guida alla ricerca antropologica, Firenze, Vallecchi, 1978
    * Note sul linguaggio radiofonico, Edizioni Internazionali Sociali, 196?
    * La sessualita maschile, Milano, CDE, 1989
    * Contro l'Europa: tutto quello che non vi hanno detto di Maastricht, Milano, Bompiani, 1998
    * Gli uomini della penitenza : lineamenti antropologici del Medioevo italiano, Bologna, Cappelli, 1967
    * La Madonna: dalla donna alla statua, Milano, Rizzoli, 1987
    * Per una rivoluzione italiana, a cura di Giordano Bruno Guerri, Milano, Baldini & Castoldi, 1996
    * Storia laica delle donne religiose, Milano, Longanesi, 1995
    * Religione, societa e cultura : raccolta di temi interdisciplinari di sociologia, psicologia sociale, antropologia culturale, Bologna, EDB, 1971
    * Omaggio agli italiani : una storia per tradimenti, Milano, BUR, 2005
    * Il mulino di Ofelia : uomini e dei, Milano, BUR, 2007

    Curatele

    * Matriarcato e potere delle donne, Milano, Feltrinelli, 1982
    * La teoria della cultura, testi di E. B. Tylor et alii, Roma; Assisi, Beniamino Carucci, 197?

    Ida Magli - Wikipedia
    Ida Magli - Wikiquote


    carlomartello
    Ultima modifica di carlomartello; 22-04-10 alle 15:23

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    Predefinito Rif: Ida Magli, l'antropologa del Giornale

    ANTROPOLOGIA CULTURALE
    E GEOPOLITICA NELLO STUDIO
    DEI CONFLITTI


    di Ida Magli

    PROLUSIONE ANNO ACCADEMICO -5 NOVEMBRE 1998 - ACCADEMIA AERONAUTICA DI POZZUOLI


    Introduzione

    Nel tentativo di essere il più utile possibile nel breve tempo di questa prolusione, cercherò di presentare soltanto alcuni temi principali fra quelli che sono coinvolti nel problema attuale dei conflitti e che l'antropologia culturale ha sviluppato e approfondito. Se conoscere i costumi dei popoli è stato sempre importantissimo per fare la guerra, come ben sapeva Cesare, rimasto fino ad adesso il miglior conoscitore dei Galli, è forse ancora più importante oggi in cui si tende ad evitare che le guerre scoppino. Purtroppo, però, l'antropologia culturale, pur essendo la scienza che maggiormente potrebbe aiutare a capire le cause e a guidare nella direzione più proficua coloro che devono fronteggiare questi problemi, è fra tutte le scienze umane quella che viene meno utilizzata dai politici e dai governanti. E' quindi con un particolare senso di gratitudine che ringrazio il generale Arpino e il comandante dell'Accademia di Pozzuoli che hanno voluto proprio un antropologo per l'apertura di questo anno accademico.

    1) Concetto di cultura

    Una premessa indispensabile al nostro discorso riguarda il concetto di "cultura". Il termine "cultura" è stato così voracemente banalizzato dai mezzi di informazione che ne è andata persa quasi completamente la forza, il suo aver segnato una tappa fondamentale nella conoscenza dell'uomo. La cultura è un "insieme complesso" di costumi, di norme, di valori, di categorie del pensiero, che si intersecano, interagiscono e plasmano la vita di ogni gruppo, così come la personalità degli individui appartenenti a quel gruppo. La sua presenza però è quasi del tutto inconsapevole, sia a livello cognitivo che a livello psicologico. Su questa inconsapevolezza è necessario intendersi bene: la cultura è un ambiente totale ovvio, senza del quale non potremmo sopravvivere neanche per pochi minuti, come per la mancanza di ossigeno. Tuttavia ogni individuo respira automaticamente e il più delle volte vive senza sapere di che cosa sia formata l'aria che lo tiene in vita. Così la cultura. Essa alimenta continuamente il nostro pensiero, le nostre emozioni, il nostro linguaggio, perfino la nostra postura fisica, la nostra mimica, ma è talmente "ovvia", apparentemente naturale, che ci siamo accorti della sua esistenza e ci siamo decisi a studiarla (ossia a farla uscire dall'ovvio) soltanto da pochissimo tempo. Le scoperte che questo studio ha comportato suscitano inoltre una tale ansia, una tale preoccupazione che in genere si preferisce continuare ad ignorarle, fingendo di averle già assimilate (da qui la banalizzazione di cui parlavo all'inizio). L'ansia, la preoccupazione sorgono soprattutto perché con il riconoscimento dell'esistenza della cultura, si è praticamente giunti a toccare il limite massimo dell'esercizio del Potere, quello del quale non sono stati consapevoli ieri, e non sono consapevoli oggi, neppure coloro che lo detengono e lo adoperano. Alludo con questo al "piano di potenza" nascosto nella sacralità. Ma non utilizzare le conoscenze culturali, sia all'interno del nostro gruppo che nella comunicazione con gli altri gruppi, è come usare un codice senza conoscerne il significato, pronunciare i suoni e scrivere i segni di una lingua senza sapere che cosa dicono. Tanto più, quindi, è indispensabile per voi dato che occuparsi di conflitti, sia in termini di difesa che in termini di attacco, significa comunque stabilire la più forte delle comunicazioni prevedendone le risposte. Credo che, almeno in questo, i militari e gli antropologi siano alla pari: non si conosce mai nulla tanto bene quanto ciò che ci sta dicendo l'altro. Intendo dire che, sia per gli antropologi che per i militari, è indispensabile conoscere tutto dell'altro e al tempo stesso identificarsi nei suoi sentimenti, nella sua intelligenza, nella sua capacità d'azione: insomma bisogna imparare ad essere l'altro, a pensare come l'altro, a sentire ciò che sente l'altro. Proprio quello che impara a fare l'antropologo il quale, come diceva uno dei primi grandi antropologi, Franz Boas, deve continuamente entrare e uscire dalla propria cultura per assumere "il punto di vista dell'indigeno". Questa analogia con i militari mi fa tanto più piacere in quanto lo scienziato oggi non riesce a comunicare con coloro che detengono la leadership perché questi, politici o giornalisti che siano, sfuggono alla concretezza delle cose, ricercando e inventando continuamente idee e vocaboli ad hoc, funzionali a quello che essi desiderano che gli uomini siano o diventino, e non a quello che gli uomini irriducibilmente sono.
    Ogni cultura possiede una "forma" (nell'accezione gestaltica del termine). Ossia l'insieme di tratti che la costituisce assume un profilo significativo, "logico", dal quale non è possibile distaccarsi senza mettere in crisi tutta la forma. Questo modello complessivo scaturisce, in un incessante processo di stimolo-risposta-stimolo, dalle religioni. Ogni religione infatti è una "visione del mondo": lo spiega nelle sue origini e nelle sue mete, e detta i comportamenti logici rispondenti a questa spiegazione. In altri termini, l'Uomo ha bisogno di trovare un senso alla propria vita, e questo senso se lo è costruito attraverso le religioni. So che può apparire eccessivo oggi a chi vive in una società apparentemente laica un assunto così drastico. Ma in realtà il concetto di cultura è soltanto la conquista di un distacco oggettivante che siamo riusciti a compiere nei confronti delle religioni. Come vedrete subito, i temi di cui l'antropologo parla rappresentano una specie di "anatomia del sacro", di quel "piano di potenza-potere" che fino all'arrivo degli antropologi era rimasto tabuizzato in un suo particolare campo cognitivo, definito di volta in volta come filosofia, come teologia, come storia delle religioni, ecc.

    2) Un popolo è un Io

    Ogni popolo è come un individuo. E' un individuo. Questa è la norma fondamentale da tenere presente. E l'individuo, quali che siano le sue capacità intellettuali, le sue conoscenze, i suoi sentimenti, pensa e agisce sempre secondo una logica. (Come tutti sappiamo, anche nel delirio di chi ha perso il principio di realtà sussistono dei legami logici). Ogni popolo, dunque, ha, come l'individuo, un suo Io, punto di riferimento della sua identità, indispensabile per potersi sempre riconoscere al centro della vita, al centro del tempo e dello spazio, dal quale stabilisce quale sia il Nord e il Sud, con una memoria del passato in rapporto alla sua data di nascita, una previsione del futuro senza il quale non potrebbe orientarsi per sussistere neanche un momento. Questo Io non può essere messo a rischio senza che tutta la personalità ne venga disgregata. Cosa questa che i governanti quasi sempre dimenticano, ritenendo di poter plasmare i popoli secondo i loro propri desideri, e secondo ciò che ritengono sia meglio per i popoli stessi. Ma nessun individuo, neanche il più disturbato mentalmente, accetta di essere deprivato dell'Io perché sa che da questo dipende la sua sopravvivenza come essere umano. Subentra qui una ulteriore riflessione, anch'essa fondamentale. Per una serie di motivi che per ragioni di brevità sono costretta a lasciare alla vostra intuizione, i governanti occidentali sono portati a dare oggi primaria importanza ai bisogni organici, alla sopravvivenza biologica: la fame, le malattie, i bambini... Ma se fossero davvero questi i bisogni primari, la specie umana sarebbe identica alle altre specie animali, le quali appunto hanno l'unico scopo di sopravvivere. E per giunta questa specie pericolosa per la .Natura in quanto si moltiplica devastando il Pianeta. Per l'uomo invece la sopravvivenza organica è strumento indispensabile per i propri scopi e non la sua meta. Di questo non c'è bisogno di dimostrazione, in quanto tutta la storia dell'umanità lo testimonia. Tuttavia, se qualche prova fosse necessaria, non abbiamo che da guardare allo stesso strumento encefalico di cui la Natura ha fornito l'Homo Sapiens. L'eccesso di capacità cognitiva, le connessioni neuroniche che generano la memoria, la proiezione quasi totale all'esterno dell'organismo (il linguaggio è già una proiezione all'esterno) sono in funzione di una vita che va quasi totalmente al di là dei bisogni organici, e che crea dei bisogni altrettanto organici e più determinanti di quelli che provvedono all'esistenza vegetativa.
    Mi sono soffermata su questo tema, che pure dovrebbe essere soltanto una premessa all'argomento che ci sta a cuore, perché in realtà la strategia politica dell'Occidente costituisce un errore gravissimo non soltanto nei confronti dei popoli altri (poveri, in via di sviluppo, o come altro si vuole chiamarli cercando di evitare di pronunciarne il nome) ma anche nei confronti di noi stessi. Sebbene l'antico principio del panem et circences abbia dimostrato innumerevoli volte di essere sbagliato, in quanto non regge alla lunga durata, sfociando o in una rivoluzione o nella fine di una cultura, coloro che guidano, in un campo o nell'altro, la politica mondiale, sembrano più che mai convinti che i bisogni dell'Uomo (o debbano essere) quelli del "pane" e della "pace". Il che significa appunto prefiggersi di ottenere un organismo satollo, e rilassato nella "non tensione".
    Questo tipo di politica, per quanto possa essere in buona fede (ma non ne sono sicura), dettata dai buoni sentimenti che si riassumono nella solidarietà, nel "complesso di salvazione" che assilla il mondo cristiano, è tuttavia terribilmente ingiusto, oppressivo, e pone le premesse per uno stato di continua, feroce conflittualità, cui però abbiamo dato il nome di "pace". Si porrebbe qui il problema se "tensione" si configuri necessariamente come "aggressività", problema che lascio alla vostra riflessione, limitandomi però a segnalarvi che non si può e non si deve sottrarsi a questo interrogativo fondamentale. Lo stato di quiete è davvero quello che soddisfa l'Uomo?

    3) Territorio e Spazio sacro

    I bisogni culturali, dunque, sono primari. Quando una cultura viene disintegrata, i popoli si estinguono.
    Detto questo, accenno qui soltanto ad alcune delle strutture fondamentali sulle quali è sempre organizzata una cultura, invitandovi a riportarvi con la mente a titolo di esempio, a quei luoghi in cui oggi sono in atto dei conflitti. Prima di tutto il "territorio".
    Se un popolo è come un individuo, ha bisogno di uno spazio suo, di una casa in cui è padrone e che lo difende dai pericoli esterni. Così come ognuno di noi, entrando e uscendo chiude la porta della propria casa, così un popolo ha bisogno di sapere qual'è la propria porta, e la stabilisce nei cosiddetti "confini". Questi possono essere individuati nella natura dell'ambiente: un fiume, una collina, una montagna, una scogliera, un lago, un mare, un deserto, una foresta. Oppure l'uomo li crea: muri, palizzate, torri, sentinelle, dogane. Comunque è indispensabile per un popolo conoscere, vedere sia pure soltanto con gli occhi della mente, qual'è il suo territorio, sentirvisi al sicuro perché nessuno può entrarvi senza che lui lo sappia. Un confine dunque è indispensabile in quanto nel momento stesso in cui crea comunicazione, ne mette il controllo nelle mani di coloro che lo possiedono. E non vi stupisca che la ricerca di un confine territoriale concreto sia diventata oggi quasi più pressante che in passato. L'impero sovietico (ma è soltanto un esempio fra i tanti possibili) aveva messo a tacere con la forza questo bisogno, che è esploso subito dopo la caduta del Muro proprio perché era stato così a lungo conculcato. Lo ripeto: è un bisogno fortissimo perché è organico-culturale. E sarebbe bene che i governanti non si facessero illusioni in proposito: la comunicazione globale come strumento positivo ha aumentato a dismisura l'ansia e l'attaccamento degli individui e dei popoli nei confronti del proprio spazio, della propria porta. Questa anzi, più diventa estesa la comunicazione, più deve essere ristretta, perfettamente conoscibile e controllabile. (Credere di poter eliminare i confini, come si sta facendo per l'Europa, è un tragico errore: la premessa di terribili conflitti futuri, oppure di una sempre maggiore insicurezza e fragilità dei popoli che vi vivono, i quali diventeranno perciò rassegnati alle invasioni straniere e alla perdita della propria identità.)
    Il proprio territorio è "sacro". Il sacro è potenza. Il territorio dunque è sacro perché, dato che io vi ho camminato, è carico della mia essenza, è diventato "potente" perché partecipe di me, della mia stessa potenza, diversa da quella di tutti gli altri. Naturalmente il modo più forte che un popolo possiede per affermare la sacralità del proprio territorio, è quella di attribuirne l'assegnazione alla divinità. Il pensiero va subito, come è ovvio, alla Palestina. Ma il problema di questa sacralità è più grave (o almeno si è costituito come diverso dalla sacralità di tutti gli altri territori) perché è connesso al principio del popolo eletto. Monoteismo, elezione, unicità del territorio sono inestricabilmente connessi fra loro, e non c'è diplomazia al mondo che possa mettervi ordine, salvo che per qualcuno di questi popoli venga meno, si esaurisca, il significato che ne è alla base. Cosa questa però che non può avvenire se non con la fine storica di una cultura.
    Mi spiego: gli Ebrei sono l'unico popolo, fra tutti quelli che gli antropologi conoscono, che ha avocato a sé la causa della morte, si è riconosciuto responsabile dell'ingresso della morte nel mondo. Ma l'ha potuto fare, o meglio ha avuto il coraggio di farlo, perché ha simultaneamente riconosciuto l'esistenza di un unico Dio creatore degli uomini, e ha affermato di essere l'unico prediletto di questo Dio. In altri termini, il monoteismo è un tutt'uno con la predilezione. Soltanto se Dio è uno solo, io posso essere il prediletto. E soltanto se sono il prediletto posso mettermi di fronte a Lui, rivendicare di essere pari a Lui con l'aver provocato la morte, ossia di aver distrutto quello che Lui ha creato, la vita. (Non so se lo sapete, ma affinché quanto vi dico non vi sembri troppo lontano dalla nostra realtà, il nuovo Catechismo della Conferenza episcopale italiana, afferma ancora che "Dio non ha creato la morte". Eppure noi conosciamo ormai scientificamente i meccanismi biologici e non siamo , o almeno crediamo di non esserlo, dei pastori nomadi di ottomila anni fa).
    La potenza di un popolo è connessa con la potenza-sacralità della terra sulla quale poggia i suoi piedi. Faccio un solo esempio: noi siamo soliti stendere una stuoia sul percorso che devono compiere le Autorità. Si tratta di un ultimo, debolissimo segnale del fatto che sono più "potenti" di noi, e che quindi la terra dei comuni mortali deve essere "separata" (concetto di confine) dalla sacralità della loro potenza. Ma pure noi, ultimi degli ultimi, segnaliamo la sacralità del nostro territorio. Mettiamo infatti un tappetino davanti alla nostra porta: l'ospite quindi sa che supera il territorio profano entrando con i piedi non più contaminati dal territorio esterno, nella potente sacralità del nostro. Noi siamo talmente abituati a questo a segnale brandello ultimo di sacralità del territorio che lo decodifichiamo subito: più il tappetino è "spesso" (ossia separa maggiormente dalla terra) davanti ad una porta, più è importante (potente) la persona che vi abita.
    I musulmani, popoli culturalmente nomadi anche quando non lo sono più, come sapete portano sempre con sé la sacralità del proprio territorio, ossia il proprio tappetino. Ma per l'Uomo nessun simbolo sussiste mai se non sussiste la cosa concreta di cui è segnale. Per questo dunque, per gli ebrei come per i musulmani, la terra sacra originaria non può essere eliminata. E permettete all'antropologo di dirvi che il conflitto per la Palestina perdurerà. Soltanto una forza coercitiva assolutamente dominante potrà per qualche tempo tenerlo a bada. Oppure - e io ne vedo molti sicuri segnali - saranno gli Ebrei ancora una volta a perdere la battaglia. E insieme agli Ebrei, tutti noi, l'Occidente, l'Europa soprattutto. Perché il modello culturale ebraico-cristiano è, non soltanto diverso, ma opposto. Ossia procede verso una direzione di marcia logica opposta a quella musulmana.

    4) Identità etnica = identità religiosa

    A questo punto mi permetto di farvi presente che è un grave errore da parte dell'Occidente cercare di non riferirsi mai o di non mettere in causa le religioni. Si tratta di un tentativo che in antropologia, tecnicamente sarebbe definibile come "evitazione". Ma non nominare ciò che si teme non serve, se non a livello magico, ad evitare la realtà. Sia dunque ben chiaro che, come ho già detto all'inizio, una cultura è religione. Oppure, come molti antropologi non hanno esitato ad affermare: la religione è la cultura.
    E' quindi privo di senso tentare di tenere fuori dall'analisi dei conflitti le religioni. Del resto basta guardarsi intorno. Anche accantonando la disputa sulla Palestina, tutte le altre aree culturali di conflitto sono chiaramente agitate da identificazioni di popoli con religioni, e di conseguenza, dall'appartenenza dei rispettivi territori. La ex Jugoslavia ha visto in campo da parte nostra l'evitazione nominalistica delle religioni, chiamando i popoli: Croati, Serbi e "musulmani", cosa che, oltre ad essere grottescamente erronea visto che non si possono assimilare le pere con le mele, è anche del tutto inutile. Si tratta di cattolici, ortodossi e musulmani perché l'identità etnico-politica è sempre strutturata sulla base dell'identità religiosa. E naturalmente, della potenza sacra del territorio di coloro che vi risiedono. Lo stesso accade, s come è noto, nell'Irlanda del Nord, in molte zone della Russia, come per esempio la Cecenia, e in tante altre aspre contese di cui cerchiamo in Occidentale di sapere il meno possibile proprio perché coinvolgono identità religiose in cui prevalgono i cristiani. Basti accennare a tutta quella parte dell'Africa, dall'Algeria alla Somalia, al Ruanda, in cui terribili violenze nascono da identità etnico-religiose che cercano di delimitare il proprio territorio. L'Occidente ha reso tragicamente irrisolvibile la situazione perché, con la solita sicurezza che i propri valori siano i migliori, ha imposto la democrazia come un tempo imponeva il battesimo. Naturalmente la democrazia fa parte di una cultura e non può quindi essere inserita in altre culture senza disintegrarne la forma. Di qui il caos presente in questi paesi.
    Spesso i governanti occidentali si abbandonano alla dolce speranza che sia possibile una pacifica convivenza fra etnie diverse con le loro religioni diverse. Viene di solito portata ad esempio quell'America che l'Europa non ama molto ma che, quando fa comodo, viene elogiata come terra di felicità. Ebbene l'analogia con gli Stati Uniti d'America è assolutamente falsa. A parte il fatto che anche negli Stati Uniti esiste un alto tasso di conflittualità e di violenza fra i vari gruppi etnici, le differenze con l'Europa sono radicali. Prima di tutto il "territorio", nella sua enorme estensione, nella sua poca densità demografica, ma anche nei suoi significati, quegli stessi significati sui quali ci siamo già soffermati.
    L'America è "terra di arrivo" per tutti e non soltanto per quelli che oggi consideriamo immigrati. E' terra di arrivo per prima cosa per gli Americani stessi. Ma essendo vastissima, in buona parte disabitata, oppure abitata all'inizio da piccoli gruppi la cui presenza culturale non è stata percepita come importante, l'America si presenta come terra libera di salvezza per tutti i popoli. Prima di tutto per quelli che vi sono giunti: gli Americani. Gli immigrati dalla Francia, dalla Germania, dalla Russia, dall'Italia, dalla Grecia, dalla Cina, dal Giappone sono "nuovi" in America tanto quanto sono "nuovi" gli Americani Tutti ugualmente portatori di un'antichissima civiltà, ma tutti liberi da questa, anche conservandola, perché conquistatori di uno spazio, di un territorio sconfinato, lontanissimo, sia concretamente che psicologicamente, dal "resto del mondo". Noi infatti, anche se è buffo, li consideriamo un popolo giovane. Comunque c'è anche lì il problema dell'integrazione dei negri, che non è ancora risolta malgrado sia stata combattuta per loro una terribile guerra civile, sia passato tanto tempo e siano stati fatti enormi sforzi per superarla. La prima legge territoriale di cui di solito in Europa ci si dimentica, portando ad esempio l'America, è quella della densità demografica. Sento spesso dire, in Italia, soprattutto dalle autorità ecclesiastiche, che degli immigrati c'è bisogno a causa della denatalità. Si tratta di un macroscopico errore. L'Italia (ma lo stesso discorso potrebbe essere fatto per molti altri paesi europei d'Occidente quali la Germania, la Francia, il Belgio, la Spagna), soffre di una sovrappopolazione addirittura assurda, essendo più che raddoppiata nel giro di un secolo. Nel frattempo sono diminuiti i territori abitabili a causa degli errori compiuti dalla politica nazionale e da quella europea per disincentivare l'agricoltura, con l'abbandono di montagne, di boschi, di colline, e con l'erosione dei litorali. La densità per chilometro quadrato della popolazione italiana è sufficiente a spiegare (a parte altre molte cause sulle quali non mi posso soffermare) la denatalità: 28 abitanti per Km2 negli Stati Uniti, 190 in Italia. E' la Natura stessa, infatti, a dettare le leggi della regolazione demografica. Con l'incremento della popolazione immigrata si crea infatti un circolo perverso: data la radicale diversità etnico-culturale della maggioranza degli immigrati, i governanti incitano gli italiani ad abbassare le difese culturali nel tentativo di rendere più accettabili le differenze. Ma questa rinuncia alla propria cultura scoraggia dal mettere al mondo dei figli che ne dovrebbero essere e non potranno esserlo, i prosecutori.
    Quello che mi interessa mettere in luce è che il terreno dei massimi conflitti, sia attuali che per il prossimo futuro, è lo scontro fra le identità musulmane con tutte le altre presenti nel mondo. E questo a prescindere dall'effettiva fede religiosa. Infatti, proprio perché una religione è una cultura, si può, come di fatto avviene oggi, non essere credenti, ma continuare ad appartenere ad una cultura che è stata strutturata su una religione. Ci sono adesso molti Ebrei non credenti, ma che rimangono ebrei; molti cristiani non credenti, ma che rimangono cristiani. Cosa questa che non avviene ai musulmani perché il loro modello culturale non segue, e non può seguire, il percorso verso la laicità (il che significa appunto la nascita di una società distinta da quella religiosa). Il percorso verso la laicità è stato avviato esclusivamente dalla cultura ebraico-cristiana, e non è compatibile con quella musulmana.

    5) Il divenire del Tempo

    Si tratta di affrontare a questo punto quell'altra struttura fondamentale di ogni cultura che è la concezione del tempo.
    Una concezione che per noi adesso è scontato ritenere "in divenire", ma sulla quale dobbiamo piegarci per comprendere come si sia sviluppata e che cosa comporti dal punto di vista del futuro delle culture. La domanda fondamentale potrebbe essere questa: perché la scienza, quella sperimentale, sulla quale oggi si evolvono le conoscenze in tutto il mondo, è nata proprio da noi? Ossia in quell'Europa (sia permesso dire in quell'Italia) che è stata contraddistinta dalla cultura cristiana? Il pensare scientifico, come voi sapete bene, consiste prima di tutto in un atteggiamento cognitivo che si fonda sul dubbio. Fare scienza non è avere certezze, ma avere dubbi. Dubbi che non accettano mai risposte definitive, perché, una volta trovata la risposta a una domanda se ne pone subito un'altra che nasce dalla risposta precedente. La tecnologia, naturalmente, segue lo stesso itinerario di sviluppo. E' sempre divenire perché non si accontenta mai del risultato; ma parte da quel risultato per costruire un modello migliore, più perfezionato, con la certezza che anche l'ultimo modello non sarà l'ultimo perché ha posto le premesse per il futuro modello ancora più perfezionato.
    Bene, tutto questo che sembra quanto mai ovvio in quanto è logico, rappresenta viceversa una conquista. E una conquista che è stata possibile perché, prima con l'ebraismo e poi con il cristianesimo, si è creata una concezione del tempo "mossa", tesa verso un futuro, quindi divenire. Si è trattato di una scoperta fondamentale perché, viceversa, tutte le culture si sono sempre basate su una concezione del tempo "fissa", basata sulla Natura, in cui le stagioni ritornano sempre uguali, il "ciclo" segue un percorso che ritorna sempre su se stesso. Voi pensate forse che quei popoli, per noi "selvaggi", che non conoscono e non contano la propria età non siano capaci concettualmente di farlo? No, non è così. Semplicemente il loro modello culturale è "rassegnato", adeguato alla vita della natura. Se sono un cacciatore, se sono un agricoltore, se le mie divinità sono delle divinità della caccia, della terra, non presenta nessun interesse per me sapere in quale anno vivo perché quello che conta è se mi trovo in inverno o in primavera, se gli animali che debbo cacciare sono più facili da catturare in una certa stagione piuttosto che in un'altra. Pertanto gli anni, lo scorrere degli anni, non esiste. Sono stati gli Ebrei a inventarsi un tempo che è effettivamente "tempo", un tempo non naturale, ma culturale, ossia umano, basato sull'Uomo. Come ho già detto, nel momento in cui hanno attribuito a se stessi l'ingresso della morte nel mondo, gli Ebrei hanno stabilito una cesura nella fissità del tempo, ed hanno quindi imposto alla circolarità del non-tempo naturale, un tempo che è valido soltanto per l'uomo: quello dell'attesa. Attesa della salvezza.
    Voi capite che "attendere" significa proiettarsi verso il futuro. Nasce una prima forma di tempo in divenire: aspetto che arrivi il Messia, dunque "aspetto". Il tempo quindi non può essere più ciclico, non può più ricominciare sempre uguale a se stesso, perché qualcosa avverrà di assolutamente nuovo che cambierà il tempo attuale. Il tempo così diventa concezione della vita, assume una "direzione di marcia" in avanti, lineare, e fonda la "storia".
    Da questo punto di vista, si capisce bene quello che ha fatto Gesù di Nazaret: ha chiuso la cultura ebraica, che è fondata sull'attesa, dicendo: "Il tempo della salvezza è arrivato". Cosa è successo allora? Gesù è stato ucciso proprio perché la cultura ebraica avrebbe dovuto finire se si fosse dato seguito suo annuncio. I potenti non lo potevano permettere, perché il Potere, sempre e ovunque, si basa prima di tutto sulla sacralità di un tempo fondato da loro, che quindi è rivolto alla conservazione del passato, all'autorità di ciò che è già avvenuto, alla "festa". La festa infatti è sempre il passato, l'accadimento "accaduto". (Lascio a voi sviluppare questo tema sul quale non posso soffermarmi, ma che è fondamentale per comprendere i processi del Potere.)
    I seguaci di Gesù gli hanno creduto in un certo senso "troppo", in quanto essendo ebrei hanno concluso che se l'attesa era finita, era finita anche la vita. Di qui la convinzione che fosse prossima la fine del mondo. Ma non era questo che intendeva Gesù di Nazaret. Lui intendeva "liberare" gli ebrei dall'immobilità anche dell'attesa, che, per quanto meno fissa del tempo ciclico, era comunque paralizzante: una specie di "aspettando Godot". Il suo messaggio di libertà totale sotto questo aspetto era eversivo, nel senso assoluto del termine, in quanto cambiava totalmente i significati della cultura, e del Potere che vi si fondava: quello dei sacerdoti, degli interpreti della Scrittura. In fondo, dire l'attesa è finita, significava: cominciate finalmente a vivere la vita vera. Quella sulla terra, liberi, capaci di guardare al futuro costruendovelo con le vostre mani, senza sapere cosa avverrà. E' per questo che dicevo che l'atteggiamento cognitivo verso il futuro che non torna mai su se stesso, è nato con Gesù.
    I cristiani, però, essendo prima di tutto ebrei, hanno pensato, come ho già detto, che fosse prossima la fine del mondo. Ma la vita non è finita. Di qui l'itinerario faticoso, sempre ostacolato dalle autorità sia della Chiesa che civili, ma in definitiva "libero" dei cristiani, e che sbocca inevitabilmente nel Rinascimento, nella centralità dell'Uomo, nella scienza, nel tempo in un divenire, in un futuro senza più limiti. Noi contiamo il nostro tempo dalla nascita di Cristo. Ma in realtà nessuno, credente e non credente, pensa oggi che sarebbe possibile tornare indietro contando dal 1997 invece che dal 1998. In altri termini: il divenire del tempo è una conquista cognitiva ormai incancellabile, così come è impossibile cancellare la storia, o ritornare indietro nella vita di un individuo. Questo del resto, è l'unico modo per capire che le religioni sono la struttura fondamentale di ogni cultura, e che, per oggettivare le culture, bisogna accantonare il concetto di fede o di trascendenza. (Naturalmente qui stiamo parlando in termini di scienza, senza voler ferire la sensibilità religiosa di nessuno).
    Tutto questo discorso sulla concezione del tempo è indispensabile per comprendere quale sia il motivo per il quale il modello euro-occidentale non sia compatibile con quasi nessun altro modello. Tanto meno con il modello musulmano, o con quello dei popoli africani che sono rimasti per la maggior parte animisti e quindi fermi al tempo naturale. Maometto non ha capito né la concezione del tempo ebraico, quello dell'attesa, né quello del cristianesimo, il tempo in divenire. Era fondamentalmente fermo alle religioni antiche, a quella araba anti-ebraica, anche se si è avvalso dell'Antico Testamento per le sue strategie politiche. E' soltanto per una forma di inerzia ideologico-storica che il musulmanesimo è incluso fra le religioni ebraico-cristiane. Il modello musulmano però, ci pensi bene l'Occidente, è un modello vincente. Perché è adatto a tutti i popoli che non hanno alle spalle né la cultura romana, né quella greca, né quella ebraica, né quella cristiana. Ossia praticamente tutti i popoli che, una volta dispersa la cultura originaria, come in Africa e nel Medio Oriente, trovano nell'islamismo una forma religioso-culturale semplice, vicina a quella naturale animistica, e di affidamento ad una divinità protettiva e forte. Il modello culturale occidentale sembra (sottolineo "sembra") vincente, perché la tecnologia cammina al di sopra e al di là delle culture. Ma adoperare il telecomando o guidare l'automobile non cambia molto ai significati culturali perché le culture sono ereditate, per lo meno a livello epigenetico. Altro problema questo, molto complesso, che lascio alla vostra riflessione.
    Concludo, quindi, aggiungendo soltanto una parola al nostro tema fondamentale, quello legato ai conflitti per i territori. L'antropologo sa forse meglio di qualsiasi altro scienziato, che per la specie umana non esiste "concreto" che non diventi immediatamente "simbolico"; ma che, inversamente, non esiste "simbolico" che non abbia o non tenda ad avere qualche riferimento "concreto". Sia permesso quindi sollecitare i politici, e i militare che possono collaborare con i politici nei problemi che riguardano i conflitti, e quindi necessariamente i territori, a non dimenticare mai che un popolo può sopravvivere senza un territorio concreto, ma non senza uno simbolico La storia degli Ebrei e degli Zingari ne costituisce il migliore esempio. La cultura ebraica ha una forza indistruttibile perché ha sempre portato con sé una terra simbolico-concreta, malgrado la dispersione del popolo. Gli Zingari sopravvivono, ma la loro cultura è definitivamente morta perché priva di una identità territoriale.
    Affido a voi, ai militari dell'aria, il compito di non dimenticarlo mai, con la sicurezza di averlo affidato nelle mani migliori. Le mani di chi sa meglio di chiunque altro come la terra, i confini imposti dall'uomo alla terra, siano presenti e invalicabili perfino nella immensa libertà dell'aria.

    Ida Magli



    Bibliografia essenziale

    - Benedict, Ruth, Modelli di cultura, Feltrinelli, Milano 1960
    - Boas, Franz - General Anthropology, Heath, New York 1938
    - Kluckhohon, Clyde - Kroeber, Alphred, Il concetto di cultura, Il Mulino, Bologna 1972
    - Kroeber, Alphred, Antropologia, Feltrinelli, Milano 1987
    - Leeuw van der, Gerard, Fenomenologia della religione, Einaudi, Torino 1960
    - Lowie, Robert, Primitive Religion, Routledge and Kegan, New York 1924
    - Mauss, Marce~ Teoria generale della magia e altri saggi, Einaudi, Torino 1965.
    Fra le opere di Ida Magli più strettamente pertinenti agli argomenti trattati:
    - Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 1982
    - Contro l'Europa, Bompiani, Milano 1996

    ItalianiLiberi - giornale di critica antropologica


    carlomartello

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    Predefinito Rif: Ida Magli, l'antropologa del Giornale

    La guerra fra due mondi

    di Ida Magli
    da "Il Giornale", sabato 19 Maggio 2001


    E' stato più volte detto che questa battaglia elettorale si è risolta in una specie di referendum pro o contro Berlusconi. E' indispensabile affermare invece con chiarezza che si è trattato di una battaglia gravissima, e per questo combattuta all'ultimo sangue, fra due visioni del mondo, le stesse che si fronteggiano in Italia da oltre un secolo e di cui si era visto uno scontro così duro e determinato soltanto nel 1948. Da una parte il primato del soggetto, dell'Io, unico e universale, della sua capacità e libertà di pensiero, della sua responsabilità personale nell'agire che, tanto più è rigorosa nel pretendere il massimo da se stesso, tanto più contribuisce al bene comune; dall'altra il primato della collettività, nella quale tutti debbono essere uguali, annullando qualsiasi differenza, cosa che può essere raggiunta soltanto con l'imposizione da parte dello Stato.

    Si dirà che questi sono vecchi problemi e che il comunismo è morto da un pezzo. Ma non è così, e non può essere così perché il problema di come essere "giusti" verso tutti assilla la coscienza degli uomini, sia a destra che a sinistra, ed è sciocco pensare che si sia risolto con la caduta del Muro. E' successo, invece, che una volta tolto di mezzo il sistema politico sovietico, la sinistra ha potuto realizzare il proprio ideale nella sua forma più assoluta, come ha dimostrato in questi anni il governo. E' stato perseguito l'egualitarismo nella più tragica della distorsione logica: eliminando tutto quello che permette la formulazione del giudizio.

    E' dunque un grossolano equivoco, dal quale Berlusconi per primo deve guardarsi, attribuire il consenso espresso dagli Italiani a Berlusconi come "persona". L'impressione che si è fatto da sé, che ha lavorato indefessamente per raggiungere i traguardi che esibisce con orgoglio, rappresenta in modo concreto, e perciò terribilmente riduttivo, quell'ideale di vera, unica libertà della quale gli Italiani sono stati privati. E' scesa su di noi, con gli anni del governo socialcomunista, una pesantissima coltre che ha nascosto, sotto al benessere, la mancanza della libertà di costruire "pensiero". E dunque, senza questa, qualsiasi libertà. E' la libertà che gli Italiani si aspettano, caro Berlusconi, anche se non era citata nel contratto; ed è al raggiungimento della libertà che hanno sacrificato qualsiasi altro scopo, qualsiasi altra idea politica, anche bella e giusta. Se ne ha la prova nel quasi totale azzeramento degli altri partiti, sia da una parte che dall'altra. Non se ne dolga la Lega. Non se ne dolgano Fini e Buttiglione. Pur di liberarsi della prigione senza sbarre dell'egualitarismo collettivo, gli Italiani hanno concentrato tutte le loro forze sull'unico partito capace di sbaragliare la sinistra.

    Berlusconi ha detto nel suo discorso di ringraziamento che terrà conto dei suggerimenti di tutti. Siamo convinti della sua sincerità in questa promessa, ma forse per lui è più facile capire cosa si aspettano gli imprenditori che non gli intellettuali. Non saremo degli intellettuali organici: questa è la nostra prima promessa. Siamo convinti che è in buona parte colpa dei sudditi quando coloro che detengono il potere perdono il principio di realtà, circondati soltanto da omaggi. Vogliamo anche che ci si ricordi di quali sono le principali capacità degli Italiani: la produzione delle idee, di arte, di scienza, di letteratura, di musica, di "bellezza". Niente di tutto questo può nascere dall'egualitarismo; oggi ha bisogno che, oltre alla libertà, qualcuno proclami a voce alta e forte il primato del pensiero e non soltanto quello del reddito.

    Ida Magli

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    Predefinito Rif: Ida Magli, l'antropologa del Giornale

    Il cristianesimo
    ucciso dalla pace


    di Ida Magli
    30 Aprile 2001


    Finalmente un grido di allarme sulla fine del cristianesimo in Italia! L'ha lanciato il vescovo di Como, Monsignor Alessandro Maggiolini, in una intervista al Corriere della Sera che anticipa i contenuti di un libro di prossima uscita dal titolo appunto "Fine della nostra cristianità". Un'affermazione che non può in nessun modo essere smentita dato che già da molto tempo il cristianesimo è entrato a far parte del bel paesaggio italiano, oggetto di conservazione fra i tanti del Ministero dei Beni culturali, privo di vita propria. Ci si potrebbe meravigliare, semmai, che una preoccupazione così grave non sia sentita dai 250 Vescovi e dai circa 54.000 sacerdoti italiani, e neanche dal Papa, che pure è il Vescovo di Roma e il Primate d'Italia e che, quando lancia i suoi messaggi d'esortazione alla cristianità non sembra particolarmente allarmato per la situazione italiana.

    Invece è proprio qui, in questo tranquillo silenzio, uno dei sintomi, e al tempo stesso delle cause, della malattia mortale che sta uccidendo non soltanto il cristianesimo, ma la società, il popolo italiano. Un tranquillo silenzio dettato dalla volontà di conservare la "pace", di indurre, anzi, a ritenere la "pace", esaltandone la bellezza come il massimo piacere, il migliore dei sistemi sociali e politici, di cui godono gli italiani e possibilmente dovrebbero godere tutti gli uomini. Bisogna, dunque, intendersi sul concetto di pace. Il vescovo Maggiolini accenna alla "noia di una cristianità che se ne va dalla Chiesa senza sbattere la porta... che appare desiderosa di omologarsi alla cultura della nostra società affluente, nauseata e dimissoria, desiderosa di estenuarsi e di estinguersi...". Tutto giusto, tutto vero. Ma bisognerà pur chiedersi di chi siano le responsabilità maggiori di un tale stato di cose e se esso non abbia le sua radici proprio in quel concetto di "pace" che ha condotto la Chiesa Cattolica a un tragico ripensamento di se stessa. In altri termini si tratta dell'errore, troppo facile, per il quale si ritiene che si possa non farsi la guerra soltanto cercando "ciò che ci unisce piuttosto che ciò che ci divide"; slogan fatto proprio anche dai Capi politici, non soltanto in Italia ma in tutta l'Europa. Da qui l'ostinata volontà di attenuare il più possibile la frattura-differenza fra l'ebraismo e il cristianesimo, operazione cominciata in sordina dal Concilio Vaticano II, ma poi esplosa con l'opera totalitaria di Wojtyla tesa a includere anche l'islamismo nell'idea che ciò che ci unisce è il monoteismo, il padre Abramo. Wojtyla ha annullato così qualsiasi dinamica nelle religioni, con la stessa sicurezza con la quale ha ritenuto di poter annullare a suo piacimento la "storia", semplicemente chiedendo scusa, cosa di cui a ragione si lamenta Maggiolini.

    Da questo falso concetto di pace discendono due gravissime conseguenze. La prima è la riduzione al minimo comun denominatore di qualsiasi fenomeno umano, una riduzione che elimina l'intelligenza, il pensiero, la ricerca, la critica, la differenza, il nuovo, il difficile, il "meglio", insieme allo sforzo, alla passione, al sacrificio per conquistarlo. L'altra inevitabile conseguenza, connessa alla prima, è la "noia" di cui parla il Vescovo, la tendenza al suicidio, all'estinzione. Il conflitto, la tensione, la volontà di agire, di raggiungere una meta e di affermarla come giusta e vera davanti a tutti, è la vita dell'uomo, quello che lo caratterizza e lo definisce come l'attività del pensiero (capire significa sempre andare al di là di un confine). Fare della "pace" uno stato di inerzia, di immobilità, di conservazione dell'uguale, porta all'entropia, impedisce la voglia di vivere, toglie la speranza di un futuro cambiamento, uccide il contrasto delle idee lasciando questa possibilità soltanto a coloro che governano, ben felici di questo comodo modo di gestire il potere. In Italia questo è successo sia nell'ambito politico che in quello religioso. Nessuno si azzarda a discutere, neanche i sacerdoti e i vescovi, consentendo a priori con quello che dice il Papa, cosa che ha comportato la cancellazione di una forte personalità e di una reale presenza dei sacerdoti, al di fuori della funzione "amministrativa" con incluse le buone parole.

    Non è forse anche per questo motivo che il Vescovo Maggiolini appare così privo di speranza? Sarebbe indizio di vitalità l'esistenza di qualche movimento ereticale piuttosto che la "pace" dell'indifferenza. Ebbene, non tutto è perduto, purché si lasci agli italiani sia nella società politica che in quella religiosa una libertà "vera", non gestita attraverso i rappresentanti. E' la libertà propugnata per primo da Gesù di Nazareth quando ha consegnato ogni singolo uomo alla responsabilità di se stesso.

    Ida Magli

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    Predefinito Rif: Ida Magli, l'antropologa del Giornale

    IMMIGRATI

    PERCHE' DOVREMMO APPENDERE IL CARTELLO "TUTTO ESAURITO"


    di IDA MAGLI


    Il problema dell'immigrazione in Italia è stato impostato male fin dall'inizio e con il passare del tempo è diventato sempre più confuso e contraddittorio, finendo adesso in una spiacevolissima, e quanto mai ingiusta, diatriba fra italiani buoni e italiani cattivi. E' possibile accantonare, almeno per un momento, le polemiche e tentare di chiarire l'enorme complessità del fenomeno prendendo almeno atto che si tratta di un fatto tanto grave da condizionare sia il presente che il futuro degli italiani? Per prima cosa va detto che il contatto fra popolazioni diverse è stato studiato, fin dal primo impatto con la scoperta del Nuovo mondo, dalle maggiori intelligenze e dai più grandi studiosi di etnologia, di antropologia, di linguistica, di psicologia, di psichiatria, di biologia, di demografia; una letterature immensa della quale i politici nulla conoscono, ma che non sono autorizzati a fingere che non esista riducendola a questioni di egoismo o di buon cuore.

    Cominciamo dal dato di fatto reale, concreto: ogni corpo occupa uno spazio. Un territorio possiede una determinata estensione. Come per qualsiasi spazio, per il territorio di uno Stato è indispensabile calcolare quanti corpi può contenere. Ed essendo un habitat, questo territorio deve fornire aria, luce, calore, acqua, vegetazione, alimento, riparo, vie di comunicazione, scarico dei detriti, alle popolazioni che vi vivono. Bisogna dunque calcolare il rapporto fra tutti questi elementi e la densità demografica compatibile. Agli italiani si rammenta di continuo, per indurli a compassione, che anch'essi sono stati emigranti: ma vogliamo ricordare anche in quali territori sono andati? Chiedo scusa se faccio qualche cifra, ma non c'è nulla di meglio delle cifre per ricondursi alla ragione. Prima di tutto gli Stati Uniti d'America. Uno Stato-continente, la cui superficie, 9 milioni e mezzo circa di km2 (escluse le acque interne che sono estesissime) è pressoché uguale a quella della Cina e a quella del Canada, con immense risorse agricole, forestali, minerarie. Ebbene la popolazione attuale è di 200.260.000 abitanti con un rapporto di 27,3 abitanti per km2. Il Canada, altro luogo di emigranti, è, dopo la Russia, lo Stato più esteso del mondo, con 9.970.610 km2 (escluse le acque interne) e una densità demografica di 2,9 abitanti per chilometro quadrato. L'Australia, continente che è sesto per estensione fra i grandi Stati della Terra, si sviluppa per 7.682.300 km2 e ha una popolazione di 17.875.000 abitanti con un rapporto di 2,3 abitanti per km2. Paesi, dunque, che avevano assoluto bisogno di venire popolati per poter vivere dato che anche una densità troppo bassa è mortale, e le cifre di oggi sono molto più alte dì quelle di cento anni fa, epoca dell'emigrazione italiana.

    Quale confronto può dunque essere lecito con la situazione odierna dell'Italia, con una superficie di 301.277 km2 e una densità di 190 abitanti per chilometro quadrato? La verità è che la condizione italiana è terrificante e manda continui segnali di morte. C'è una sola cosa da fare: mettere bene in vista il cartello "tutto esaurito" e, come quando una barca è sovraccarica, avvertire che sta per rovesciarsi. Bisogna decementificare, rimboschire, risanare un territorio che va in pezzi a ogni pioggia, a ogni piena di fiume; bisogna recuperare terreni per l'agricoltura, per il pascolo; bisogna purificare l'aria dall'inquinamento, diminuire il numero delle automobili, Il consumo di energia: insomma diminuire la presenza umana e indurre quella che c'è ad amare la propria terra, il proprio paesaggio, i propri mari, i propri alberi, i propri animali. Soltanto allora gli italiani ricominceranno a fare figli perché è la natura stessa, oltre che la ragione umana, a cercare di salvare l'habitat facendo diminuire il consumo biofisico.

    Il ministro Veronesi ha emanato un decalogo per vivere bene, ma forse non ha tenuto sufficientemente conto della cosa più importante: lo spazio, l'aria, l'orizzonte, la voglia di una vita veramente umana, e dunque "bella". I giovani si drogano? Si intontiscono alle luci e ai ritmi assordanti delle discoteche? Ma in che modo possono accorgersi di essere "vivi" se la loro energia non serve a nulla; se l'aggressività non è tensione verso una meta da raggiungere ma soltanto tifo per la squadra di calcio, velocità dell'automobile, strumento di morte per gli altri e per se stessi? Che cosa di più frustrante che spendere energie in palestra producendo lavoro che non "produce"?

    Sono stati fatti molti studi (ricordo qui soltanto quelli famosi di Henri Laborit) su come impazziscano le cavie rinchiuse in uno spazio troppo ristretto. Si mangiano fra loro, piccoli e grandi, madri e figli; si scatenano in una sessualità compulsiva senza distinzione di sesso; si ammassano in un moto frenetico fino alla morte. Soltanto che per gli uomini la consapevolezza di non avere una direzione di marcia è più grave che per i topi. E ogni immigrato in più è - ed è visto - come un intruso che accelera il capovolgimento della barca.

    Ci pensino bene i politici: non sono stati eletti per essere buoni, ma per essere "giusti"; giusti verso i propri governati.

    Ida Magli

    (da "Il Giornale" del 16 Dicembre 2000)

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    Predefinito Rif: Ida Magli, l'antropologa del Giornale

    SCONTRO DI CIVILTA'

    GUERRA E PACE


    di Ida Magli

    da il Giornale, sabato 15 Settembre 2001


    Sentendo i commenti che vengono fatti riguardo all'attacco all’America, ci si rende conto che, malgrado qualche avvertimento sulla necessità di riflettere sul mondo islamico, le interpretazioni sono del tutto inadeguate. Il motivo di questa inadeguatezza nasce in pratica da un solo fattore: il rifiuto dell’Occidente di capire che il proprio modo di vivere, i propri costumi, i propri valori, non soltanto non sono giusti in assoluto, ma non possono essere assunti da altri popoli. I nostri politici, sia in Europa che in America, annegano da anni in un mare di retorica sulla «pace», sull’«uguaglianza», sui «diritti dell’Uomo», con la convinzione che. nessun popolo e nessun individuo possa non essere d’accordo; ma si tratta di una convinzione priva di realtà e comunque dettata, anche se in buona fede, dall’indiscusso primato dell’Occidente. A nulla è servito tutto il sapere degli antropologi, accumulato in secoli di ricerche, sul «punto di vista dell’indigeno», come lo chiamava Franz Boas, indispensabile per capire la realtà della vita dei vari popoli. Se, viceversa, proviamo a mettere in atto il principio del «punto di vista» (sperando che nessuno voglia intenderlo come un tentativo di giustificazione di quello che è successo), dobbiamo per prima cosa smettere di definire con i nostri termini e i nostri concetti le azioni e i valori del mondo islamico.

    Primo punto: noi chiamiamo «terrorismo» uccidere «civili», persone «innocenti», e quindi atti nefandi e non ammessi dal «diritto». Nel mondo islamico non esiste differenza fra diritto civile e diritto religioso, per cui chiunque appartenga all’Occidente satanico, nemico di Allah, può e deve essere ucciso.

    Secondo punto: non esiste il concetto di un «tempo di pace» perché il fedele di Allah ha l’obbligo di comportarsi sempre come tale, e di lavorare per la vittoria di Allah in qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo. L’errore gravissimo che da tanto tempo compie l’Occidente è quello di trasferire il concetto di «fanatismo», di «integralismo» al mondo islamico, e di considerare una specie di quello che noi chiamiamo «schegge impazzite», i terroristi. Non sono tali e se non ci sbrighiamo a comprendere e a comportarci di conseguenza, tutta l’Europa sarà presto nelle loro mani.
    Come si può credere che esista questo tipo di personaggio hollywoodiano che, essendo un miliardario ha l'hobby di organizzare atti terroristici? Questo è un tipico modo di rappresentazione occidentale, ma possiamo esserne certi - nessuno appare più imbecille di noi agli occhi musulmani. Tutto il mondo islamico lavora da anni per la conquista dell’Occidente, stabilendo la sua base in Europa, sia inviando migliaia di fedeli, organizzandone i viaggi e erigendovi moschee; sia facendo studiare nelle Università europee e americane le proprie classi dirigenti che (se lo metta bene in mente la Chiesa) non soltanto non si convertono mai al cristianesimo, ma viceversa operano con sempre maggiore successo nel convertire i cristiani all’islamismo.

    Punto terzo. E ‘da molto tempo, ormai, che gli organizzatori della conquista dell’Occidente fanno in modo che l’attenzione sia tutta concentrata sulla questione palestinese, ma si tratta di un’astuzia, dolorosa quanto si vuole, ma un’astuzia, nella quale sono stati stupidi gli occidentali a cadere. Il problema ebraico sarà drammaticamente più grave quando i musulmani avranno raggiunto il predominio in Europa. E' questo il vero pericolo, e l’Unione europea, con i suoi confini che non esistono, il suo sudorientalismo, il suo favore verso l’Africa, che è già quasi tutta musulmana, ha reso estremamente più facile questo predominio. Chi può pensare che l’esistenza della più grande moschea d’Europa nel quartiere d’elite di Roma, non ne rappresenti già il simbolo concreto?

    Punto quarto. Noi ce li rappresentiamo sempre come dei poveri, ma nulla è più sbagliato. I loro Paesi sono ricchissimi, perché possiedono il petrolio e le pietre preziose.
    Se non investono le loro ricchezze nel benessere sociale è proprio perché sono tutti d’accordo coni loro governanti nel voler far vincere Maometto, concretamente impadronendosi dell’Europa e, attraverso l’Europa, distruggendo il modo di vivere americano. Siamo noi degli ingenui a pensare che ci invidino. Non ci invidiano affatto, anzi. Vedono con occhi privi del velame occidentale dei poveri maschi imbelli, assillati dalla puntualità e dalla fretta, le cui donne li comandano, li abbandonano, se ne vanno in giro nude come prostitute e gli fanno, quando va bene, un solo figlio; dei vecchi anch’essi abbandonati, nella solitudine e nella tristezza degli ospizi e delle case per anziani...

    Dunque, adesso non c’è più tempo. Smettiamola di parlare con tutti la nostra lingua, nella presunzione che debba essere capita e accettata. Viene capita nel solo significato possibile: siamo deboli, privi di difese e dunque conquistabili. Abbiamo addirittura fatto nostro l’inverso del vecchio e sempre valido motto dei Romani: invece del «se vuoi la pace sii pronto alla guerra», diciamo: «Se vuoi la guerra, sii pronto alla pace». Ci siamo arrivati. A forza di parlare di pace, ci troviamo in guerra. L’attacco all’America dimostra che scorrono fiumi di denaro per pagare proseliti, connivenze, spie, traditori, insieme con esperti e strateghi di grandissimo livello. Non sono «martiri», altro termine nostro che non ha nulla a che fare con dei guerrieri: i martiri sono stati soltanto quei primi cristiani che «maravigliavano» il mondo perché rifiutavano le armi, non si difendevano, andavano incontro alla morte senza alzare un dito. Sono combattenti abilissimi, per far fronte ai quali dobbiamo inventarci altri modi di fare la guerra.

    Ida Magli

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    Predefinito Rif: Ida Magli, l'antropologa del Giornale



    Contro l’Europa
    – Tutto quello che non vi hanno detto di Maastricht

    di Ida Magli / Tascabili Bompiani

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    Predefinito Rif: Ida Magli, l'antropologa del Giornale

    La conquista musulmana dell’Italia

    di Ida Magli


    Montezemolo ha venduto il 5% della Ferrari agli Emirati Arabi. Dire Arabi significa dire musulmani. E i musulmani possiedono enormi ricchezze (tanto più che lasciano nella più estrema povertà i propri sudditi) con le quali comprano le nostre aziende, le nostre case, i nostri negozi, i nostri territori, le nostre banche, i nostri giornali.

    Gli Agnelli avevano già venduto buona parte della Fiat a Gheddafi, il quale ci tratta giustamente da umili servi inviandoci migliaia di africani musulmani “poveri” cui lui, da perfetto osservante del Corano, non porge neanche un dito ben sapendo che gli servono per impadronirsi dell’Italia. D’altra parte perchè non dovrebbe comportarsi verso i suoi sudditi esattamente come i nostri governanti si comportano verso di noi?

    I sudditi sono strumenti da utilizzare per gli scopi di coloro che detengono il potere: che siano generali, monarchi, imperatori, dittatori o parlamentari delegati dal popolo non fa differenza.
    Gli africani sono mantenuti nella miseria e nel degrado per poterli sradicare dalla loro terra, dai loro costumi costringendoli ad emigrare in Italia (e in Europa) per poterla conquistare. Gli Italiani e i cittadini degli altri Stati europei a loro volta sono costretti dai propri governanti a lasciarsi conquistare, spodestare, senza poter neanche aprire bocca per difendersi perchè il grande progetto europeo consiste proprio in questo: la cancellazione della cultura occidentale.

    Ogni giorno si compie un passo in questa direzione. Arrivano a migliaia, con il permesso e senza permesso, e non sappiamo neanche con precisione quanti siano perchè i nostri governanti non vogliono farcelo sapere. Però è sufficiente ciò che si vede. Torino (non per nulla la città della Fiat) è già tutta di loro proprietà. Sono di loro proprietà interi quartieri di Roma, a partire dalla Stazione Termini come centro di una diffusione a raggiera che giunge a tutte le periferie. A Firenze si sono impadroniti di una vastissima zona intorno al Duomo acquistando appartamenti, palazzi, negozi nei quali vendono ai turisti le merci più famose per la loro antica e pregiata produzione come “fiorentina” (gli oggetti in pelle, per esempio). Hanno anche dato vita a una specie di catena che rende riconoscibile i loro negozi con i nomi di “Michelangelo I”, “Michelangelo 2”, “Raffaello I”, “Raffaello 2”, nomi che nessun negoziante italiano aveva mai osato utilizzare (naturalmente è l’Amministrazione Comunale che approva insegne e nomi).

    Ma perchè dovrebbero sentire del rispetto per i grandi di una terra che non è la loro? Giustamente ci sfruttano come tutti i conquistatori hanno sempre fatto.
    Lo ripeto: le colpe sono tutte nostre che tacciamo e subiamo; e tacciamo e subiamo anche davanti ai nostri governanti che ci vogliono eliminare con questo metodo “non violento”.
    Se lo scopo dei nostri politici non fosse appunto questo, dovrebbero immediatamente vietare con una legge apposita l’acquisto di qualsiasi bene immobiliare a chi non è cittadino italiano e residente in Italia da almeno trent’anni. Inoltre si dovrebbe chiedere subito ed ottenere con assoluta determinazione per l’Italia alcune eccezioni alle norme dei trattati europei. Per prima quella riguardante la libertà di trasferirsi da un paese all’altro nell’ambito della Comunità prendendovi la residenza e con diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni amministrative anche per chi ha la cittadinanza in un paese diverso.

    Solo una follia suicida-omicida può aver suggerito simili leggi ai nostri governanti. Si pensa forse che saranno in grande maggioranza gli Italiani a trasferirsi per esempio in Svezia o in Polonia piuttosto che gli Svedesi o i Polacchi a trasferirsi in Italia? In Italia ce ne sono già delle vere e proprie colonie. Inoltre si trasferiscono da noi non soltanto i “veri” Svedesi e i “veri” Polacchi ma anche quegli immigrati africani, ovviamente musulmani, che hanno avuto subito in quei paesi la cittadinanza. Sia sufficiente sapere, per farsi un’idea di quello che sta succedendo, che in Svezia più del 20% della popolazione è formata da immigrati.
    Questi sono i fatti. Rimane soltanto una domanda alla quale non si sa che cosa rispondere: pensano forse i politici che stanno uccidendo i propri popoli di poter continuare a regnare una volta che gli stranieri saranno abbastanza forti da imporre la propria volontà e la propria religione?

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    carlomartello

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    Predefinito Rif: Ida Magli, l'antropologa del Giornale

    La nostra civiltà destinata alla morte

    di Ida Magli


    Provo a illustrare nel modo più chiaro e sintetico possibile i motivi per i quali i responsabili della vita, della cultura e della storia italiana, i leader politici debbono guardare in faccia la realtà. La massiccia importazione dell'islamismo porterà nel giro di pochissimo tempo allo sradicamento della civiltà italiana, a un brevissimo periodo di conflitto e infine alla sua morte. So bene che ci si affanna da anni a convincere i poveri italiani che viceversa le culture si debbono e si possono integrare, che esiste un islamismo moderato con il quale si può convivere; ma non è vero. Nessuno si deve offendere se si parla con la durezza della realtà quando si tratta della vita e della morte di un popolo. Ai nostri governanti stiamo parlando del popolo che hanno giurato di servire, il popolo italiano. Anche ammesso che qualcuno lo consideri soltanto un rischio, e non una certezza, anche in quel caso nessun governante ha il diritto di farlo correre al proprio popolo.
    In base a quale logica si pensa di poter far convivere i costumi, il pensiero, i sentimenti di pastori nomadi vissuti circa 1850 anni prima di Cristo nella terra di Canaan con quelli dell'Italia del 2006 dopo Cristo? Maometto ha fondato il Corano, quello che detta a tutti i fedeli musulmani ciò che debbono credere e che debbono fare, sui primi cinque libri dell'Antico Testamento e ha motivato le sue scelte affermando che si riallacciava ad Abramo perché sia gli ebrei che i cristiani se n’erano allontanati e dunque l'unica rivelazione valida è quella fatta a Maometto e nessuno può cambiarne nulla. Questo è il nocciolo del problema. Si sgozzano gli agnelli e se ne offre il sangue alla divinità come facevano i pastori migliaia di anni fa; si possono sposare quattro donne perché così si faceva migliaia di anni fa; nessuno, tranne il marito e i parenti più stretti, può vedere e toccare le donne che pertanto sono totalmente nascoste dagli abiti perché così si faceva migliaia di anni fa; la giustizia si basa sul corpo (se hai rubato ti taglio la mano, se sei fuggito ti taglio il piede, se sei adultera ti sgozzo) con il sottile pensiero giuridico di migliaia di anni fa, e così via. Guardateli i Paesi musulmani, in Africa e in Medio Oriente: sono poveri, poveri intellettualmente, poveri economicamente, soltanto perché Maometto li ha bloccati alla vita di migliaia di anni fa.
    Riflettendo a tutto questo ci si domanda anche come mai la gerarchia della Chiesa (che in Italia avrebbe potuto influire sulle decisioni dei governanti) abbia deciso di tradire Gesù Cristo e di far vincere Maometto. Sarebbe bastato, infatti, anche un piccolo segnale di protesta da parte dei vertici per far venire liberamente alla luce i timori sia dei parroci che dei loro parrocchiani. Allora perché? Io non ho nessuna risposta convincente. Il dialogo, la carità, la tolleranza non sono ammessi quando si tratta di tradire la propria fede e di privare totalmente l'Europa del cristianesimo. L'altra domanda è perché siano così blande le reazioni del centrodestra. Già sarebbe bastata una posizione forte sull'immigrazione durante la battaglia elettorale per farlo vincere, stando attenti a non lasciare la parola esclusivamente alla Lega, ma puntando sulla creatività intellettuale e artistica degli italiani incompatibile con la cultura islamica. Forse esiste ancora una possibilità di salvezza, ma bisogna muoversi subito e farlo con assoluta determinazione appellandosi esclusivamente al dovere che impegna coloro che hanno responsabilità di governo nei confronti degli italiani. Berlusconi faccia questo sforzo: organizzi una manifestazione degli italiani per gli italiani; per la propria storia, per la propria arte, per la propria religione, per la propria civiltà.

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    Predefinito Rif: Ida Magli, l'antropologa del Giornale

    L'Irak non c'entra; la Palestina non c'entra; l'Afghanistan non c'entra quelle sono già musulmane

    Estremisti alla conquista dell’Europa


    di Ida Magli


    In questi giorni si sono alternate discussioni ad altissimo livello su quale sia l'interpretazione più attendibile, e di conseguenza l'azione politica da intraprendere, nei confronti degli attacchi terroristici. Da queste discussioni la cosa che appare più evidente è l'assoluta lontananza dal «Tempo». Non stiamo vivendo l'inizio di una fase - sia questa una guerra oppure uno scontro di civiltà o qualsiasi altra ipotesi venga avanzata fra illustri opinionisti, filosofi, politici, capi religiosi - ma la fine.

    È la logica conclusione di un progetto strategico per installare l'Oriente islamico nell'Europa d'Occidente che ha avuto l'avvio negli anni Sessanta con il Concilio Vaticano II, con il «dialogo fra le religioni»; poi con sempre maggiore accelerazione con i vari trattati dell'unificazione europea fino a Maastricht e il passaggio alla moneta unica.

    L'attacco alle Torri Gemelle è avvenuto proprio nel momento in cui si cominciava a fabbricare l'euro: era quello il segnale che stavamo entrando nella fase finale.
    Si poteva attaccare l'America perché ormai era sicuro che l'Europa non si sarebbe mossa, anzi. Avrebbe aperto le sue porte, eliminando confini, nazioni, differenze concrete e ideali, alle più massicce immigrazioni islamiche che si fossero mai verificate in precedenza. (Posso affermare tutto questo non soltanto perché mi fondo sull'analisi antropologica dei modelli culturali, ma anche, per chi non volesse credere al sapere antropologico, perché l'ho preavvertito a decine di persone - vescovi, cardinali, politici, giornalisti - già dal momento della firma di Maastricht, l'ho scritto in innumerevoli articoli dei quali si può verificare la data, l'ho preannunciato nel volume stampato nel 1997, Contro l'Europa, nel quale è descritta la sconfitta del cristianesimo e la fine della cultura d'Occidente).
    Come è possibile discutere ancora di «scontro di civiltà»? Non c'è nessuno scontro, così come non è mai stato scontro di civiltà nessuna guerra, quale che fosse la giustificazione apparente. Si conquista il territorio:
    punto e basta. Vi si porta il cristianesimo, oppure vi si porta la monarchia, oppure vi si porta il musulmanesimo... Ogni popolo vuol far vincere le proprie idee estendendole ad altri popoli; ma appunto altri popoli significano altre terre. La cosa terribile per noi, uomini d'Italia, uomini d'Occidente, è che sono stati i nostri governanti, i nostri leader, i nostri vescovi a preparare, a volere la nostra fine. In buona fede oppure no, il risultato comunque è questo.
    Guardiamolo con obiettività, in un'ultima estrema speranza che si trovi una via d'uscita, questo risultato. I Paesi dell'Unione Europea sono affollati da musulmani i quali, buoni, onesti, lavoratori, disciplinati quanto si vuole, rimangono musulmani. Questo significa che desiderano, non possono non desiderare, il predominio della loro religione, della loro etica, dei loro costumi, della loro lingua (lingua, sì lingua: i musulmani di tutto il mondo adoperano la stessa lingua). L'islamismo, perciò, è radicato profondamente da noi e non può che trovare insipido un «dialogo» nel quale il cristianesimo è ridotto ad una bella variante dell'ebraismo.
    Se non c'è rottura con l'Antico Testamento, cosa rimane dell'opera di Gesù? Il vogliamoci bene universale è un bellissimo ideale, ma ciò non toglie che ognuno di noi ha chiuso a chiave la porta di casa stamattina. Quale diritto hanno i politici a tenere aperta la porta dell'Italia che è la casa degli italiani? È notizia di tre giorni fa che a Roma sono presenti quattrocentomila clandestini (quasi un terzo della popolazione residente). Questa è la realtà. Il resto (le varie normative sull'immigrazione) serve ad asciugare il mare col secchiello.
    Lo ripeto: gli attacchi terroristici (piccole punture di spillo in confronto alle Torri Gemelle) servono a ricordarci che il mondo musulmano è potente e pronto a tenerci a bada nel caso tentassimo qualche via di fuga. Ma soprattutto servono a dimostrarci quanto sono buoni quelli che già stanno qui e ad accogliere con ancor maggiore compassione quelli che arrivano. L'Irak non c'entra; la Palestina non c'entra; l'Afghanistan non c'entra: quelle sono già musulmane e musulmane rimangono, democrazia o non democrazia.
    L'Africa è musulmana; e noi l'aiutiamo, ma musulmana rimane. La conquista vera è l'Europa... Manca poco, pochissimo.

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