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    Predefinito "Rivoluzione e Contro-rivoluzione" di Plinio Corrêa de Oliveira

    Plinio Corrêa de Oliveira
    Rivoluzione e Contro-Rivoluzione


    Premessa


    Lettera del P. Anastasio Gutiérrez al Prof. Plinio Corrêa de Oliveira, su "Rivoluzione e Contro-Rivoluzione"



    (Roma, 8 Settembre 1993)





    Padre Anastasio Gutiérrez C.M.F. (5 dicembre 1911 – 6 gennaio 1998) fu un canonista di fama internazionale, co-fondatore a Roma dell'Institutum Juridicum Claretianum e consultore di vari dicasteri vaticani.





    Rivoluzione e Contro-Rivoluzione è un'Opera magistrale i cui insegnamenti dovrebbero essere diffusi fino a penetrare nella coscienza di tutti coloro che si sentono veramente cattolici; direi di più: di tutti gli uomini di buona volontà. Leggendola, questi ultimi imparerebbero che l'unica salvezza sta in Gesù Cristo e nella sua Chiesa, e quelli si sentirebbero confermati e irrobustiti nella loro fede, e prevenuti e immunizzati psicologicamente e spiritualmente da un processo astuto che si serve di molti di loro come di idioti-utili e compagni di strada.

    L'analisi che essa fa del processo rivoluzionario è impressionante e rivelatrice per il suo realismo e per la profonda conoscenza della Storia, a partire dalla fine della decadenza del Medioevo, che prepara il clima per il Rinascimento paganizzante e per la Pseudo-Riforma, e questa per la terribile Rivoluzione Francese e, poco dopo, per il Comunismo ateo.

    Quest’analisi storica non è solo esterna, ma viene spiegata anche nelle sue azioni e reazioni con gli elementi forniti dalla psicologia umana, tanto quella individuale quanto quella collettiva delle masse. Tuttavia bisogna ammettere che c'è qualcuno che dirige questa scristianizzazione fondamentale e sistematica. È indubbiamente vero che l'uomo tende al male - orgoglio e sensualità -; ma, se non ci fosse chi prendesse in mano le redini di queste tendenze disordinate e le coordinasse astutamente, esse probabilmente non produrrebbero il risultato di un'azione così costante, abile e sistematica, tenacemente mantenuta, approfittandosi perfino degli alti e bassi provocati dalle resistenze e dalla naturale 'reazione' delle forze contrarie.

    Il libro prevede anche, sebbene con cautela nelle sue anticipazioni e in via ipotetica, la possibile evoluzione prossima dell'azione rivoluzionaria e quindi, a sua volta, dell'azione contro-rivoluzionaria.

    Vi abbondano pensieri e osservazioni perspicaci di carattere sociologico, politico, psicologico, evolutivo… disseminati per tutto il libro, non pochi dei quali da antologia. Molti di essi mostrano le tattiche intelligenti che favoriscono la Rivoluzione, come pure quelle che devono essere utilizzate nell'ambito di una strategia generale contro-rivoluzionaria.

    Insomma, oserei dire che è un'Opera profetica nel miglior senso della parola; anzi, che il suo contenuto dovrebbe essere insegnato nei centri superiori della Chiesa, affinché almeno le classi elitarie prendessero coscienza chiara di una realtà schiacciante, della quale credo che non si abbia chiara coscienza. Questo, tra l'altro, contribuirebbe a rivelare e smascherare gli idioti-utili e compagni di strada. ….

    Nella seconda Parte viene esposta molto bene la natura della Contro-Rivoluzione e la tattica .… che bisogna adottare, evitando eccessi e atteggiamenti impropri o imprudenti.

    Dinanzi a tali realtà, viene il dubbio se nella Chiesa c'è una vera "strategia", come esiste nella Rivoluzione; è ben vero che ci sono molti elementi, azioni, istituzioni…"tattiche"; sembra, tuttavia, che agiscano isolate e a volte con lo spirito di campanile e di contro-altare, senza la presa di coscienza dell'insieme. Il concetto e la coscienza di attuare una Contro-Rivoluzione potrebbe unificare e persino dare un maggior senso di collaborazione nella Chiesa.

    Non mi resta che congratularmi con l'associazione TFP per avere un Fondatore con l'elevazione e la qualità del Prof. Plinio. Prevedo per essa, e lo desidero con tutta l'anima un vasto sviluppo e un futuro colmo di esiti contro-rivoluzionari.

    Concludo dicendo che causa una forte impressione lo spirito con cui il Libro è stato scritto: uno spirito profondamente cristiano e amante appassionato della Chiesa. È un autentico prodotto della sapientia christiana. Commove pure vedere in un laico o persona secolare una devozione così sincera alla Madre di Gesù e…nostra: un chiaro segno di predestinazione: "Incerti, come tutti, sul domani, volgiamo i nostri in atteggiamento di preghiera fino al trono eccelso di Maria, Regina dell'Universo. … La Vergine accetti, dunque, questo omaggio filiale, tributo d'amore ed espressione di fiducia assoluta nel suo trionfo" (pp. 137,139).



    Roma, 8 Settembre 1993

    Festa della Natività della Madonna

    P. Anastasio Gutiérrez, CMF

  2. #2
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    Predefinito Riferimento: "Rivoluzione e Contro-rivoluzione" di Plinio Corrêa de Oliveira

    Plinio Corrêa de Oliveira maestro del pensiero contro-rivoluzionario



    “Quest’uomo supera addirittura la sua leggenda!”, commentava con meraviglia un noto pensatore contro-rivoluzionario francese dopo un colloquio col prof. Plinio Corrêa de Oliveira nel 1968.

    La luminosa traiettoria di Plinio Corrêa de Oliveira ha attraversato quasi da una sponda all’altra il nostro travagliato secolo, imprimendogli un segno indelebile con l’esempio della sua vita integra, con la coerenza e vitalità del suo pensiero, con la Fede incrollabile di cattolico, apostolico, romano. La sua opera — le Società per la difesa della Tradizione, Famiglia e Proprietà (TFP), oggi fiorenti in 27 Paesi dei cinque continenti — attesta la fecondità apostolica di questo gigante del cattolicesimo contemporaneo.

  3. #3
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    Predefinito Riferimento: "Rivoluzione e Contro-rivoluzione" di Plinio Corrêa de Oliveira

    UN CROCIATO DEL XX SECOLO



    Plinio Corrêa de Oliveira nasce a San Paolo del Brasile, il 13 dicembre 1908, da due illustri famiglie. Dal lato paterno, i Corrêa de Oliveira sono Senhores de Engenho, ossia membri dell’aristocrazia rurale dello Stato di Pernambuco. Dal lato materno, i Ribeiro dos Santos appartengono alla classe dei “paulisti di quattrocento anni”, provenienti dai fondatori o dai primi abitanti della città di San Paolo.

    Dopo i primi anni di formazione sotto lo sguardo premuroso dei suoi genitori e la sicura guida d’una istitutrice bavarese, all’età di dieci anni Plinio Corrêa de Oliveira entra nel Liceo San Luigi, retto dai padri gesuiti.

    Ben presto, posto di fronte al contrasto tra il casto, tradizionale, aristocratico e tranquillo ambiente del focolare materno — con il quale sente una naturale affinità — e i tratti di sregolatezza morale, volgarità, egualitarismo e frenesia in molti dei suoi compagni, il giovane Plinio prende la precoce decisione di consacrare interamente la propria vita alla difesa della Chiesa e alla restaurazione della civiltà cristiana.

    Questo impegno si concretizza già nel 1928 col suo ingresso nelle Congregazioni Mariane, delle quali presto diventa leader. Inizia allora l’epopea della sua vita pubblica. Affascinante oratore ed uomo d’azione, Plinio Corrêa de Oliveira diventa l’esponente più in vista del Movimento cattolico brasiliano, come era allora genericamente chiamato l’insieme delle associazioni laicali, imprimendogli rinnovato vigore e un indirizzo decisamente tradizionalista. Massicce manifestazioni pubbliche danno al Movimento cattolico una crescente visibilità nella vita nazionale.

    Nel 1929 fonda l’Azione Universitaria Cattolica, che si estende a molte scuole superiori, spezzando l’egemonia liberal-positivista che fino ad allora contraddistingueva gli ambienti accademici.

    Alcuni anni dopo, nel 1932, ispiratosi all’esempio della Fédération Nationale Catholique, fondata dal leader cattolico e eroe di guerra francese, il generale de Castelnau, Plinio Corrêa de Oliveira promuove la formazione della Liga Eleitoral Católica (LEC), che nell’anno seguente lo fa eleggere deputato all’Assamblea Federale Costituente. È il più giovane e il più votato del Paese.

    Plinio Corrêa de Oliveira si rivela allora come il leader più influente del gruppo parlamentare cattolico. In quell’assise costituzionale, il gruppo cattolico ottiene l’approvazione non solo delle “Rivendicazioni Minime” della LEC, ma anche della maggior parte del suo “Programma Massimale”.

    Secondo l’insospettabile testimonianza dell’ex-ministro della Giustizia e presidente della Corte Suprema, Paulo Brossard, “la LEC fu l’organizzazione extrapartitica che nella storia del Brasile ha esercitato la maggiore influenza politica” (Jornal de Minas, 03-07-86).

    Questa felice incursione dei cattolici in politica, condotta da Plinio Corrêa de Oliveira, ha molteplici e profonde conseguenze.

    Anzitutto, serve di decisivo freno alla montante minaccia social-comunista, che non pochi consideravano ineluttabile, visto lo “spirito dei tempi”. Osvaldo Aranha — titolare dal 1930 al 1940 di diversi portafogli e presidente, nel 1947, dell’Assemblea Generale dell’ONU — giunse a dire: “Se i cattolici non si fossero uniti per intervenire nelle elezioni del 1933, il Brasile sarebbe oggi definitivamente deviato a sinistra” (Legionário, 20-12-1936).

    Inoltre, l’avvento d’un robusto movimento cattolico, tradizionalista e militante, induce ad una notevole diminuzione del tonus laicista nella vita pubblica brasiliana, in un’epoca in cui, sulla scia del positivismo novecentesco, la pratica religiosa era sdegnata come bigotteria. L’elezione di tanti deputati della LEC e il loro successo parlamentare è così una dimostrazione della immensa forza politica dei cattolici. Una forza che — nell’intento di Plinio Corrêa de Oliveira — avrebbe reso possibile la piena restaurazione della civiltà cristiana.

    * * *

    Scaduto il suo mandato parlamentare, Plinio Corrêa de Oliveira assume la cattedra di Storia della Civiltà nella Facoltà di Diritto dell’Università di San Paolo e, più tardi, di Storia Moderna e Contemporanea nella Facoltà Sedes Sapientiae e nella Facoltà Sao Bento, ambedue della Pontificia Università Cattolica di San Paolo.

    Nel 1933 diventa direttore del Legionário, trasformandolo nel maggiore settimanale cattolico del Paese, con ripercussioni anche internazionali. Intorno al periodico si forma una dinamica corrente informalmente conosciuta come “Gruppo del Legionario”, che dà l’impulso all’insieme del movimento cattolico. In America e anche in Europa si comincia a parlare di Plinio Corrêa de Oliveira come una speranza per la civiltà cristiana.

    Privi, in molti casi, d’un indirizzo politico di segno anticomunista, non pochi cattolici negli anni 1920-1930 si lasciano sedurre dalle dottrine nazi-fasciste, che all’ideale di restaurazione cristiana sostituiscono il culto dello Stato.

    Nel momento in cui il nazi-fascismo è una moda davanti alla quale tanti vacillano, Plinio Corrêa de Oliveira mantiene il Legionário su posizioni cattolico-tradizionaliste, radicalmente contrarie al nazismo e al fascismo. Quando gli stessi oppositori del nazismo considerano il movimento di Hitler un avversario del comunismo, Plinio Corrêa de Oliveira denuncia la comune radice dottrinale dei due movimenti, di stampo gnostico, egualitario e socialista.

    Nel 1942 Plinio Corrêa de Oliveira è uno dei principali oratori nel IV Congresso Eucaristico Nazionale, portando il saluto ufficiale dell’Episcopato brasiliano al rappresentante del Presidente della Repubblica. La folla, calcolata in oltre mezzo milione di persone, acclama piena di entusiasmo il suo nome. La sua fama è allo zenit.

    * * *

    Intanto, spunta all’orizzonte una nuova realtà: l’Azione Cattolica. Voluta da Pio XI per agevolare la “partecipazione dei laici all’apostolato gerarchico della Chiesa”, secondo la definizione allora in uso, l’Azione Cattolica si espande rapidamente in Europa ed in America.

    Nominato nel 1940 presidente della Giunta Arcidiocesana dell’Azione Cattolica di San Paolo, Plinio Corrêa de Oliveira subito nota, in certi settori di questo movimento, una cospicua influenza della corrente cattolico-democratica nonché di quella neomodernista, condannate da S. Pio X trent’anni prima. Tale influenza giungeva soprattutto dalla Francia.

    Fuorviati da pensatori come Maritain e Mounier, e da teologi come Chenu e Lubac, attivisti della sinistra progressista s’infiltrano nelle organizzazioni di Azione Cattolica, servendosene come veicoli per la diffusione dei loro errori.

    Per fermare quest’infiltrazione nel seno del laicato cattolico, nel 1943 Plinio Corrêa de Oliveira scrive il suo primo libro, In Difesa dell’Azione Cattolica. In particolare l’autore vi denuncia l’esistenza d’un movimento tendente a sminuire gradualmente il principio di autorità nella Chiesa. Nel campo sociale, questo movimento si caratterizzava per il rifiuto delle giuste e armoniche disuguaglianze sociali e per l’incoraggiamento della lotta di classe.

    Il prologo è scritto dall’allora nunzio apostolico in Brasile, mons. Benedetto Aloisi Masella. Venti vescovi plaudono all’opera e il Provinciale gesuita si schiera a favore.

    Nonostante questi autorevoli sostegni, ai quali si aggiunge nel 1949 una lettera di decisa approvazione a Plinio Corrêa de Oliveira scritta a nome di Pio XII da mons. Giovanbattista Montini, allora sostituto alla Segretaria di Stato della Santa Sede, è addirittura dall’ambiente cattolico che provengono le opposizioni più dure alle tesi esposte nel libro.

    Una terribile bufera di calunnie si abbatte allora sul Gruppo del Legionario. Il numero di parrocchie che diffondono il periodico cala. Plinio Corrêa de Oliveira, finora oratore molto in voga, non viene più invitato e nel 1945 perde la carica di presidente dell’Azione Cattolica di San Paolo. Infine il suo principale mezzo di propaganda, il Legionário, gli è sottratto. L’ostracismo è totale.

    Benché le apparenze possano indurre a trarre una conclusione in senso contrario, l’obiettivo del libro è però pienamente raggiunto: il progressismo è definitivamente smascherato in Brasile e non potrà più camuffarsi da pietà.

    La storia ha successivamente confermato le profetiche ammonizioni di Plinio Corrêa de Oliveira. Basti ricordare che la cosiddetta teologia della liberazione nasce proprio negli ambienti dell’Azione Cattolica latino-americana, come sbocco diretto delle tendenze da lui denunciate nel lontano 1943.

    * * *

    L’ostracismo dura tre anni. Nel 1951 Plinio Corrêa de Oliveira ispira il mensile di cultura Catolicismo, del quale fu l’anima fino alla morte. Come per il Legionário, anche intorno al nuovo periodico si coagula una corrente d’opinione che presto diventa un polo del pensiero nazionale. Nasce il “Gruppo di Catolicismo”, nel quale trovano naturale collocazione coloro che, in contrasto col corso sempre più rivoluzionario degli avvenimenti, vi vogliono opporre un’energica reazione. Lo stendardo della restaurazione cristiana torna di nuovo a sventolare con fierezza.

    Rinvigorito dalle polemiche dottrinali colla sinistra, sia politica che religiosa, Catolicismo si diffonde in tutto il territorio nazionale. I convegni del movimento si moltiplicano, fino a radunare centinaia di partecipanti. Tra gli aderenti si contano personaggi illustri come il Principe Dom Pedro Henrique de Orleans e Bragança, allora Capo della Casa Imperiale del Brasile, e i suoi figli ed eredi, Dom Luiz e Dom Bertrand. Ha inizio allora l’espansione internazionale. Lunghi soggiorni in Europa — nel 1950, 1952 e 1959 — offrono a Plinio Corrêa de Oliveira l’occasione di contattare le correnti tradizionaliste europee, creando legami di amicizia e collaborazione che tuttora persistono. In diversi Paesi dell’America Latina, germogliano nuclei di simpatizzanti.

    Allo scopo di dare una maggiore solidità dottrinale a questa crescente schiera di discepoli, Plinio Corrêa de Oliveira scrive, nel 1959, il suo capolavoro Rivoluzione e Contro-Rivoluzione.

    Un anno dopo nasce la Società Brasiliana per la Difesa della Tradizione, Famiglia e Proprietà (TFP).

    Ispirandosi al pensiero e all’esempio di vita di Plinio Corrêa de Oliveira, fioriscono altre TFP autonome e bureau TFP, oggi presenti in 27 Paesi: la più vasta rete di associazioni d’ispirazione cattolica dedite a contrastare gli errori del cosiddetto progressismo. Plinio Corrêa de Oliveira è ormai, a livello mondiale, maestro del pensiero contro-rivoluzionario. A differenza di tanti altri intellettuali, egli non rimane confinato nell’ambito dello studio, ma si fa apostolo delle sue idee, l’uomo coerente che vuole incarnarle cercandone l’attuazione con tutti i mezzi alla sua portata.

    Oggi possiamo dire che dal Brasile all’Australia, dalla Scozia all’Africa del Sud, dalla Francia alle Filippine, il sole non tramonta sull’opera di Plinio Corrêa de Oliveira.

    * * *

    Ormai identificata con la storia delle TFP, la vita di Plinio Corrêa de Oliveira si svolge in continua opposizione agli errori rivoluzionari. I suoi interventi negli avvenimenti brasiliani ed internazionali sono numerosi e significativi. Ne sottolineiamo due:

    In Francia nel 1981 François Mitterrand è eletto presidente. Il suo “socialismo autogestionario”, accolto con giubilo dai progressisti di ogni sfumatura, è subito messo alla ribalta dai mass media, che lo esaltano come unica via d’uscita dalla crisi del cosiddetto “socialismo reale”, ormai moribondo.

    Per sbarrare il passo a questo pericolo, Plinio Corrêa de Oliveira scrive il manifesto “Il socialismo autogestionario di fronte al comunismo: barriera o testa di ponte?”. Pubblicato su 155 giornali di 55 nazioni, con tiratura complessiva di 33.500.000 copie, questo manifesto costituisce uno dei motivi, forse fra i maggiori, che avviano al declino il socialismo autogestionario “dal volto umano”, come affermano opinionisti e storici.

    Nel 1990 Plinio Corrêa de Oliveira lancia la TFP brasiliana nella campagna “Pro Lituania Libera”, ricevendo immediatamente l’adesione delle altre TFP. In tre mesi si raccolgono 5.212.580 firme a favore dell’indipendenza della Lituania. Il Guiness dei Primati la registra come la maggiore raccolta di firme nella storia. Gli opinionisti la ritengono come uno dei fattori che ebbero una decisiva influenza nel processo di liberazione dei Paesi baltici dal giogo sovietico, con la conseguente disintegrazione dell’URSS.

    Questa intensa attività non ci deve però far dimenticare la profondità dottrinale di Plinio Corrêa de Oliveira. Diciotto libri, più di 2.500 saggi ed articoli, più di ventimila conferenze ed interventi in commissioni di studio, riportate in oltre un milione di pagine, attestano la sorprendente prolificità di questo pensatore ed uomo d’azione brasiliano.

    L’ultimo libro di Plinio Corrêa de Oliveira è Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII (1993). In quest’opera l’autore commenta le quattordici allocuzioni rivolte dal compianto Pontefice al patriziato e alla nobiltà romana, con l’appello a preservare, nei Paesi a tradizione nobiliare, le rispettive aristocrazie. Plinio Corrêa de Oliveira mette in rilievo l’importante compito che tocca alle élite, quelle antiche come pure quelle di origine più recente, anche al giorno di oggi, sottolineando il valore religioso e culturale delle tradizioni che incarnano, così come la loro ardua missione al servizio del bene comune spirituale e temporale nel turbolento mondo d’oggi.

    Plinio Corrêa de Oliveira muore a San Paolo del Brasile il 3 ottobre 1995, confortato dai sacramenti della Santa Chiesa e avendo ricevuto l’apostolica benedizione. Il suo corteo funebre è accompagnato da 5.000 persone giunte da ogni parte del mondo, compresa l’Italia, per rendere l’ultimo omaggio al compianto maestro.

  4. #4
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    GENESI DEL SUO PENSIERO



    Nel considerare le idee di Plinio Corrêa de Oliveira non di rado spunta la domanda: da quali pensatori le ha tratte? In alcuni casi, l’interrogativo ne implica un altro, magari non sempre esplicito: come mai è nata e si è sviluppata una scuola di pensiero contro-rivoluzionario proprio oltre-Atlantico?

    Benché chiaramente inserito nella grande scia del pensiero contro-rivoluzionario europeo — al quale fa esplicito riferimento — dobbiamo però registrare che Plinio Corrêa de Oliveira è venuto a conoscenza di questa corrente quando il suo pensiero era già praticamente formato. In altre parole, Plinio Corrêa de Oliveira è un pensatore originale.

    Qual è la genesi del pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira?

    Notevolmente precoce (oltre alla sua lingua materna, parla il francese all’età di quattro anni e il tedesco ai sette), Plinio Corrêa de Oliveira comincia a modellare il suo spirito sin dalla prima fanciullezza, avvolto dall’ambiente familiare profondamente sereno, casto ed aristocratico, con il quale sente naturale affinità. Le sue riflessioni originali — che poi costituiranno la struttura portante del suo pensiero — risalgono proprio a questa tenera età.

    Osservatore acuto, Plinio Corrêa de Oliveira non perde niente di ciò che gli cade sotto gli occhi. Ma non basta osservare. Occorre analizzare, distinguere. Alla base del suo pensiero troviamo, dunque, una chiarezza adamantina nel discernere le cose buone da quelle cattive, anche nelle loro più tenui sfumature.

    Connaturato all’atto cognitivo, al punto d’esserne inseparabile, vi è in Plinio Corrêa de Oliveira un ardente amore per tutto ciò che è vero, buono e bello, e un non meno ardente rifiuto di ciò che è falso, cattivo e brutto.

    Questa rettitudine o innocenza dell’anima, mai inficiata da mezzi termini né compromessi, è la matrice e il filo conduttore dello sviluppo intellettuale e spirituale di Plinio Corrêa de Oliveira.

    Nato, come abbiamo detto, in un ambiente aristocratico, Plinio Corrêa de Oliveira riteneva l’Europa, e particolarmente la Francia, un punto di riferimento. Un lungo soggiorno nel Vecchio Continente, fra gli anni 1912-1913, lo avvicina agli splendori della Belle Époque. La brillante raffinatezza della Francia, la fermezza militare della Germania imperiale, la geniale vivacità dell’Italia, insomma le ricchezze della civiltà cristiana, lo affascinano.

    La visita al castello di Versailles, e quindi il contatto con l’Ancien Régime, segna per lui una tappa importante. Nella fastosa dimora del Re Sole, Plinio Corrêa de Oliveira scopre una raffinatezza, uno stile di vita, un modo d’essere che lo inebriano. Ne rimane così rapito da non voler più andarsene. Esprime il suo entusiasmo con un gesto proprio all’età, aggrappandosi alla ruota d’una meravigliosa carrozza.

    Ma il suo agile spirito non si ferma all’osservazione di quanto si offre ai suoi occhi. Capisce che esso riflette perfezioni ancora più elevate, alla cui contemplazione si apre con slancio. Questo impulso verso l’alto è un’altra caratteristica del pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira.

    Dov’è quindi l’apice?

    Un giorno del 1915, durante la Messa alla chiesa del Sacro Cuore, prende forma nel suo animo, in modo naturale, una associazione d’immagini, una visione d’insieme della chiesa e dei membri dell’aristocrazia ivi presenti: le belle vetrate, il maestoso suono dell’organo, i modi signorili degli assistenti, il fulgore sacrale della liturgia, la squisita dignità delle signore...

    Il fanciullo percepisce che vi è una profonda armonia tra queste bellezze e il soprannaturale che, in certo modo, tutte le avviluppa. Il suo sguardo allora si fissa sul Sacro Cuore al di sopra dell’altare maggiore. Capisce che tutte quelle perfezioni sono un riflesso dello stesso Dio. Nel Sacro Cuore di Gesù trova l’archetipo divino e umano di tutto ciò che amava. Dal suo cuore allora scaturisce un atto di fede e di amore: “Ah! La Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana! Ella è perfetta! Niente può paragonarsi alle sue perfezioni!”

    Nel suo giovane intelletto prendono forma precisa le due grandi realtà intorno alle quali ordinerà le sue idee: Chiesa da una parte e Cristianità dall’altra, due ordini interdipendenti ed armonici fra loro. Il tutto illuminato dalla fede cattolica, apostolica, romana, fulcro del pensiero e della vita di Plinio Corrêa de Oliveira.

    Durante la Prima Guerra, Plinio Corrêa de Oliveira comincia a leggere attentamente libri e riviste di storia, fra cui spicca il Journal de l’Université des Annales. Nel contatto col passato, si aprono per lui nuovi orizzonti. Risalendo nei secoli, si accorge che la tanto ammirata Belle Époque è soltanto un resto, pallido e sfigurato, dell’Ancien Régime, pure questo, a sua volta, una debole eco del Medioevo cristiano.

    Il Medioevo appare, quindi, come la più alta realizzazione storica dell’ideale cattolico. Plinio Corrêa de Oliveira comprende, in tutta la loro profondità, le parole di Leone XIII su quella dolce primavera della Fede in cui “la filosofia del Vangelo governava gli Stati” (Enciclica Immortale Dei, dell’1-11-1885).

    Nel 1917 scoppia in Russia la rivoluzione bolscevica. Senza conoscere le dottrine dei rivoluzionari, Plinio Corrêa de Oliveira vi percepisce, però, la attuazione d’uno spirito di distruzione, in tutto somigliante a quello dei giacobini del 1789. Nella clamorosa uccisione della famiglia imperiale — i cui macabri dettagli fanno fremere la società di San Paolo — egli nota lo stesso odio anti-gerarchico che si era accanito contro Luigi XVI e Maria Antonietta più d’un secolo prima.

    Comincia allora a delinearsi nel suo spirito Rivoluzione e Contro-Rivoluzione.

    Come abbiamo visto, nel 1919 Plinio Corrêa de Oliveira entra nel Liceo San Luigi e, qualche anno dopo, comincia a frequentare la società. Finora abituato al focolare materno, egli subisce l’urto frontale col mondo moderno. Presto si rende conto che esso era animato da uno spirito diametralmente diverso da quello medievale. Al posto della raffinatezza, del decoro e dell’elevazione di spirito, egli vede il trionfo del democratismo ugualitario, della volgarità e della sfrenata immoralità.

    Non sfugge a Plinio Corrêa de Oliveira il cattivo ruolo che, nella genesi di questa situazione, svolge un certo americanismo, diffuso specialmente dal cinema di Hollywood, che man mano si sostituisce all’influenza europea, più tradizionale. Il jazz spazza via il valzer, come questo aveva prima spazzato via il minuetto.

    Plinio Corrêa de Oliveira misura tutta la gravità del quadro contemporaneo. Conclude che il mondo si trova nelle fasi finali d’una lotta fra l’Ordine — rappresentato dalla Tradizione — e un insidioso processo che punta a distruggere tutto ciò che di vero, buono e bello resta ancora nel mondo. Ora sanguinoso, come nel bolscevismo ed il terrore giacobino, ora sorridente, come nella musica jazz e nel cinema hollywoodiano, lo scopo di questo processo, però, è sempre lo stesso: la distruzione dello spirito cattolico, della civiltà cristiana e, in ultima analisi, della Chiesa stessa.

    A tale processo, Plinio Corrêa de Oliveira poi darà il nome di Rivoluzione. Per lui, questa non è una vicenda da osservare e da considerare “asetticamente”, come farebbe un filosofo da salotto. Sotto pena di farsi complice della Rivoluzione, sia pure per una colpevole neutralità, il cattolico deve prendere posizione contro di essa. Per Plinio Corrêa de Oliveira, c’è il grave obbligo morale di opporle una reazione, una Contro-Rivoluzione appunto. Ecco come lui descreve questo suo atteggiamento:

    “Qualunque cosa mi possa accadere, io sarò contro questo mondo. Questo mondo ed io siamo nemici inconciliabili. Difenderò la purezza, difenderò la Chiesa, difenderò la gerarchia politica e sociale; sarò in favore della dignità e del decoro! Anche se dovessi rimanere l’ultimo degli uomini, calpestato, triturato, distrutto, questi valori si identificano con la mia vita!”

    Quindi, all’età di 12 anni, dopo aver saldamente stabilito le fondamenta del suo pensiero contro-rivoluzionario, Plinio Corrêa de Oliveira abbandona tutte le promesse del brillante futuro che gli si andava schiudendo, e prende la ferma decisione di consacrare interamente la propria vita alla difesa della Chiesa e alla restaurazione della Civiltà Cristiana.

    Questa scelta egli la riassume in parole di alto e nobile impegno ideale:

    “Quand’ero ancora molto giovane,
    considerai rapito le rovine della Cristianità;
    ad esse affidai il mio cuore,
    voltai le spalle al mio futuro,
    e di quel passato carico di benedizioni
    feci il mio avvenire.”

    D’ora innanzi, la vita di Plinio Corrêa de Oliveira sarà quella d’un crociato del ventesimo secolo, una personificazione delle dottrine da lui professate. Definendo chi è contra-rivoluzionario, egli scriveva:

    Contro-rivoluzionario è chi:— Conosce la Rivoluzione, l’Ordine e la Contro-Rivoluzione nel loro spirito, nelle loro dottrine, nei loro rispettivi metodi;

    — Ama la Contro-Rivoluzione e l’Ordine cristiano, odia la Rivoluzione e l’“anti-ordine”;

    — Fa di questo amore e di questo odio l’asse intorno al quale gravitano tutti i suoi ideali, le sue preferenze e le sue attività.

    Ecco ciò che definisce la vita di Plinio Corrêa de Oliveira. Ecco l’esempio che egli offre al mondo contemporaneo. Un esempio oggi raccolto e perpetuato dai suoi discepoli riuniti nelle Società per la difesa della Tradizione, Famiglia e Proprietà (TFP), diffuse su tutta la terra, e da tutti coloro che si richiamano ai suoi ideali nella difesa dei valori della Civiltà Cristiana.

  5. #5
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    INTRODUZIONE




    Introduzione (1959)

    Catolicismo pubblica oggi il suo centesimo numero, e vuole sottolineare il fatto imprimendo alla presente edizione un carattere speciale, che favorisca un approfondimento della comunione spirituale, già così grande, che lo unisce ai suoi lettori.

    A questo scopo, niente è parso più opportuno della pubblicazione d’un saggio sul tema Rivoluzione e Contro-Rivoluzione.

    È facile spiegare la scelta dell’argomento. Catolicismo è un giornale di battaglia. Come tale, deve essere giudicato soprattutto in funzione del fine che la sua battaglia ha di mira. Ora, contro chi, precisamente, vuole combattere? La lettura delle sue pagine produce forse, a questo riguardo, un’impressione poco definita. Si possono trovare in esse, frequentemente, confutazioni del comunismo, del socialismo, del totalitarismo, del liberalismo, del liturgismo, del maritainismo, e di tanti altri “ismi”.

    Ciononostante, non si può dire che ci dedichiamo a uno di questi temi in modo tanto specifico, da poterne essere definiti. Per esempio, sarebbe esagerato affermare che Catolicismo è un giornale specificatamente antiprotestante o antisocialista. Si può dire, allora, che il giornale ha una pluralità di scopi. Ma ci si accorge che, nella prospettiva in cui Catolicismo si colloca, tutti questi bersagli hanno un denominatore comune, e che questo è il bersaglio costantemente tenuto di mira dal nostro giornale.

    Qual’è questo denominatore comune? Una dottrina? Una forza? Una corrente d’opinione? Evidentemente una spiegazione al riguardo può aiutare a capire più profondamente tutta l’opera di formazione dottrinale che Catolicismo ha svolto nel corso di questi cento mesi.

    * * *

    L’utilità che si ricava dallo studio della Rivoluzione e della Contro-Rivoluzione supera di molto questo obiettivo limitato.

    Per dimostrarlo, basta gettare uno sguardo sul panorama religioso del nostro paese. Statisticamente, la situazione dei cattolici è eccellente: secondo gli ultimi dati ufficiali, costituiamo il 94% della popolazione. Se tutti noi cattolici fossimo come dobbiamo essere, il Brasile sarebbe oggi una delle più mirabili potenze cattoliche nate nel corso di venti secoli di vita della Chiesa.

    Perché, allora, siamo così lontani da questo ideale? Chi potrebbe affermare che la causa principale della nostra situazione presente sia lo spiritismo, il protestantesimo, l’ateismo o il comunismo? No. La causa è un’altra, impalpabile, sottile, penetrante, come fosse una potente e temibile fonte radioattiva. Tutti ne sentono gli effetti, ma pochi saprebbero dirne il nome e l’essenza.

    Nel fare questa affermazione, il nostro pensiero si estende oltre le frontiere del Brasile a tutte le nazioni dell’America Latina, nostre così care sorelle, e da esse a tutte le nazioni cattoliche. Su tutte lo stesso male esercita il suo imperio indefinito e soggiogatore. E in tutte produce sintomi d’una tragica grandezza. Un esempio fra altri. Sua Eccellenza Rev.ma monsignor Angelo Dell’Acqua, sostituto alla segreteria di Stato, in una lettera diretta nel 1956 a Sua Eminenza il Signor cardinale Carlos Carmelo de Vasconcellos Motta, arcivescovo di San Paolo, in occasione della Giornata Nazionale di Ringraziamento, diceva che, “in conseguenza dell’agnosticismo religioso degli Stati”, risulta “quasi morto o pressoché perduto nella società moderna il senso della Chiesa”.

    Ora, quale nemico ha vibrato contro la Sposa di Cristo questo terribile colpo? Qual’è la causa comune a questo e a tanti altri mali concomitanti e affini? Quale nome dargli? Con quali mezzi agisce? Qual’è il segreto della sua vittoria? Come combatterlo con successo?

    Come si vede, difficilmente un tema potrebbe essere di più palpitante attualità.

    * * *

    Questo nemico terribile ha un nome: si chiama Rivoluzione. La sua causa profonda è una esplosione di orgoglio e di sensualità che ha ispirato, non diciamo un sistema, ma tutta una catena di sistemi ideologici. Dall’ampia accettazione data a questi nel mondo intero, sono derivate le tre grandi rivoluzioni della storia dell’Occidente: la Pseudo-Riforma, la Rivoluzione francese e il comunismo1.

    L’orgoglio conduce all’odio verso ogni superiorità, e porta quindi all’affermazione che la disuguaglianza è in sé stessa, su tutti i piani, anche e principalmente su quello metafisico e religioso, un male: è l’aspetto ugualitario della Rivoluzione.

    La sensualità, di per sè, tende ad abbattere tutte le barriere. Non accetta freni e porta alla rivolta contro ogni autorità e ogni legge, sia divina che umana, ecclesiastica o civile: è l’aspetto liberale della Rivoluzione.

    Entrambi gli aspetti, che hanno in ultima analisi un carattere metafisico, in molti casi sembrano contraddittori, ma si conciliano nell’utopia marxista d’un paradiso anarchico nel quale una umanità altamente evoluta ed emancipata da qualsiasi religione potrebbe vivere in profondo ordine senza autorità politica, e in una libertà totale dalla quale tuttavia non deriverebbe nessuna disuguaglianza.

    La Pseudo-Riforma fu una prima rivoluzione. Seminò lo spirito del dubbio, il liberalismo religioso e l’ugualitarismo ecclesiastico, sebbene in misura diversa, nelle varie sette a cui diede origine.

    Le fece seguito la Rivoluzione francese, che fu il trionfo dell’ugualitarismo in due campi. Nel campo religioso, sotto la forma di ateismo, seducentemente etichettato da laicismo. E nella sfera politica, con la falsa tesi che ogni disuguaglianza è una ingiustizia, ogni autorità un pericolo, e la libertà il bene supremo.

    Il comunismo è la trasposizione di queste tesi nel campo sociale ed economico.

    Queste tre rivoluzioni sono episodi d’una sola Rivoluzione, all’interno della quale il socialismo, il liturgismo, la politica della mano tesa, e così via, sono tappe di transizione o manifestazioni larvate. Sugli errori attraverso i quali si opera le penetrazione larvata dello spirito della Rivoluzione in ambienti cattolici, S.E. Rev.ma mons. Antonio de Castro Mayer ha pubblicato una lettera pastorale della massima importanza.

    * * *

    È chiaro che un processo di tanta profondità, di tale portata e di così lunga durata non può svilupparsi senza abbracciare tutti i domini dell’attività dell’uomo, come per esempio la cultura, l’arte, le leggi, i costumi e le istituzioni.

    Uno studio particolareggiato di questo processo in tutti i campi in cui si sta svolgendo, supererebbe di molto l‘ambito di questo saggio.

    In esso cerchiamo — limitandoci soltanto a un filone di questo vasto argomento — di tracciare in modo sommario i contorni di quell’immensa valanga che è la Rivoluzione, di dare a essa il nome adeguato, di indicare molto succintamente le sue cause profonde, gli agenti che la promuovono, gli elementi essenziali della sua dottrina, l’importanza rispettiva dei vari terreni su cui agisce, la forza del suo dinamismo, il meccanismo della sua espansione. Simmetricamente, trattiamo poi di punti analoghi che si riferiscono alla Contro-Rivoluzione, e studiamo alcune delle sue condizioni di vittoria.

    Anche così, abbiamo potuto chiarire di ciascuno di questi argomenti soltanto le parti che ci sono sembrate più utili, in questo momento, per illuminare i nostri lettori e facilitare loro la lotta contro la Rivoluzione. E abbiamo dovuto tralasciare molti punti di importanza veramente capitale, ma di un’attualità meno pressante.

    Il presente saggio, come abbiamo detto, costituisce un semplice insieme di tesi, attraverso le quali si può conoscere meglio lo spirito e il programma di Catolicismo. Esorbiterebbe dalle sue proporzioni naturali, se contenesse una dimostrazione esauriente di ogni affermazione. Ci siamo solamente limitati a svolgere il minimo di argomentazione necessario per mettere in evidenza il nesso esistente fra le diverse tesi, e la visione panoramica di tutto un versante delle nostre posizioni dottrinali.

    Questo studio può servire da inchiesta. Che cosa, in Brasile e altrove, pensano esattamente sulla Rivoluzione e sulla Contro-Rivoluzione le persone che leggono Catolicismo, che sono sicuramente fra le più ostili alla Rivoluzione? Le nostre proposizioni, sebbene abbraccino soltanto una parte del tema, possono offrire occasione a ciascuno di interrogarsi, e di mandarci la sua risposta, che accoglieremo con il massimo interesse.









    --------------------------------------------------------------------------------
    1 Cfr. Leone XIII, Lettera apostolica Pervenuti all’anno vigesimoquinto, del 19-3-1902, in ASS, vol. XXXIV, p. 517.

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    PARTE I LA RIVOLUZIONE




    Capitolo I Crisi dell’uomo contemporaneo



    Le molte crisi che scuotono il mondo odierno — dello Stato, della famiglia, dell’economia, della cultura e così via — costituiscono soltanto molteplici aspetti di un’unica crisi fondamentale, che ha come specifico campo d’azione l’uomo stesso. In altri termini, queste crisi hanno la loro radice nei problemi più profondi dell’anima, e da qui si estendono a tutti gli aspetti della personalità dell’uomo contemporaneo e a tutte le sue attività.

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    Capitolo II Crisi dell’uomo occidentale e cristiano



    Questa crisi tocca principalmente l’uomo occidentale e cristiano, cioè l’europeo e i suoi discendenti, l’americano e l’australiano. E come tale la studieremo più particolarmente. Essa colpisce anche gli altri popoli, nella misura in cui il mondo occidentale si estende a essi e in essi ha affondato le sue radici. Presso questi popoli tale crisi si aggrava sommandosi ai problemi propri delle rispettive culture e civiltà e si complica per l’urto fra queste e gli elementi positivi e negativi della cultura e della civiltà occidentali.

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    Capitolo III Caratteri di tale crisi



    Per quanto profondi siano i fattori di diversificazione di questa crisi nei vari paesi del mondo odierno, essa conserva sempre cinque caratteri essenziali:


    1. È UNIVERSALE

    Questa crisi è universale. Oggi non vi è popolo che non ne sia colpito, in misura maggiore o minore.

    2. È UNA

    Questa crisi è una. Non si tratta cioè d’un insieme di crisi che si sviluppano in modo parallelo e autonomo in ogni paese, legate fra loro da alcune analogie più o meno rilevanti.

    Quando divampa un incendio in una foresta, non è possibile considerare il fenomeno come se fosse costituito da mille incendi autonomi e paralleli, di mille alberi vicini gli uni agli altri. L’unità del fenomeno “combustione”, che si opera su quell’unità viva che è la foresta, e il fatto che la grande forza di espansione delle fiamme derivi da un calore nel quale si fondono e si moltiplicano le innumerevoli fiamme dei diversi alberi, tutto, insomma, contribuisce a far sì che l’incendio della foresta sia un fatto unitario, che ingloba in un’unica realtà i mille incendi parziali, per quanto diverso sia ciascuno di essi nei suoi elementi accidentali.

    La Cristianità occidentale costituì un tutto unico, che trascendeva i vari paesi cristiani, senza assorbirli. In questa unità viva si è prodotta una crisi che ha finito per colpirla nella sua totalità, per mezzo del calore sommato, anzi fuso, delle sempre più numerose crisi locali che da secoli, ininterrottamente, si vengono intrecciando e aiutando a vicenda. Di conseguenza, la Cristianità come famiglia di Stati ufficialmente cattolici, ha da molto tempo cessato di esistere. Di essa restano come vestigia i popoli occidentali e cristiani. E tutti si trovano nel momento presente in agonia sotto l’azione di questo stesso male.


    3. È TOTALE

    Considerata in un dato paese, questa crisi si svolge in una zona di problemi così profonda, che perviene e si estende, per l’ordine stesso delle cose, a tutte le potenze dell’anima, a tutti i campi della cultura, insomma, a tutti i domini dell’azione dell’uomo.


    4. È DOMINANTE

    Considerati superficialmente, gli avvenimenti dei nostri giorni sembrano un groviglio caotico e inestricabile, e di fatto, da molti punti di vista, lo sono.

    Tuttavia, si possono individuare risultanti, profondamente coerenti e vigorose, della congiunzione di tante forze impazzite, purchè queste forze siano considerate sotto l’angolazione della grande crisi di cui trattiamo.

    Infatti, sotto l’impulso di queste forze in delirio, le nazioni occidentali sono gradatamente spinte verso uno stato di cose che si va rivelando uguale in tutte, e diametralmente opposto alla civiltà cristiana.

    Da ciò si vede che questa crisi è come una regina a cui tutte le forze del caos servono come strumenti efficaci e docili.



    5. È UN PROCESSO

    Questa crisi non è un fatto straordinario e isolato. Costituisce, anzi, un processo critico già cinque volte secolare, un lungo sistema di cause ed effetti che, nati in un dato momento e con grande intensità nelle zone più profonde dell’anima e della cultura dell’uomo occidentale, vanno producendo, dal secolo XV ai nostri giorni, successive convulsioni. A questo processo si possono giustamente applicare le parole di Pio XII relative a un sottile e misterioso “nemico” della Chiesa:

    “Esso si trova dappertutto e in mezzo a tutti; sa essere violento e subdolo. In questi ultimi secoli ha tentato di operare la disgregazione intellettuale, morale, sociale dell’unità nell’organismo misterioso di Cristo. Ha voluto la natura senza la grazia; la ragione senza la fede; la libertà senza la autorità; talvolta l’autorità senza la libertà. È un “nemico” divenuto sempre più concreto, con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è morto; anzi: Dio non è mai stato. Ed ecco il tentativo di edificare la struttura del mondo sopra fondamenti che Noi non esitiamo ad additare come principali responsabili della minaccia che incombe sulla umanità: un’economia senza Dio, un diritto senza Dio, una politica senza Dio”2.

    Questo processo non deve essere visto come una successione assolutamente fortuita di cause ed effetti, che si sono susseguiti in modo inaspettato. Già al suo inizio questa crisi possedeva le energie necessarie per tradurre in atto tutte le sue potenzialità, e ai nostri giorni le conserva sufficientemente vive per causare, attraverso supreme convulsioni, le distruzioni ultime che sono il suo termine logico.

    Influenzata e condizionata, in sensi diversi, da fattori esterni di ogni tipo — culturali, sociali, economici, etnici, geografici e altri — e seguendo a volte vie molto sinuose, essa tuttavia continua a procedere incessantemente verso il suo tragico fine.









    --------------------------------------------------------------------------------
    2 Pio XII, Discorso Nel contemplare agli Uomini di Azione Cattolica d’Italia, del 12-10-1952, in Discorsi e Radiomessaggi, vol. XIV, p. 359.

  9. #9
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    A. Decadenza del Medioevo

    Nell’introduzione abbiamo già abbozzato le grandi linee di questo processo. È opportuno ora aggiungere alcuni particolari.

    Nel secolo XIV si può cominciare a osservare, nell’Europa cristiana, una trasformazione di mentalità che nel corso del secolo XV diventa sempre più chiara. Il desiderio dei piaceri terreni si va trasformando in bramosia. I divertimenti diventano sempre più frequenti e più sontuosi. Gli uomini se ne curano sempre più. Negli abiti, nei modi, nel linguaggio, nella letteratura e nell’arte, l’anelito crescente a una vita piena dei diletti della fantasia e dei sensi va producendo progressive manifestazioni di sensualità e di mollezza. Si verifica un lento deperimento della serietà e dell’austerità dei tempi antichi. Tutto tende al gaio, al grazioso, al frivolo. I cuori si distaccano a poco a poco dall’amore al sacrificio, dalla vera devozione alla Croce e dalle aspirazioni alla santità e alla vita eterna. La Cavalleria, in altri tempi una delle più alte espressioni dell’austerità cristiana, diventa amorosa e sentimentale, la letteratura d’amore invade tutti i paesi, gli eccessi del lusso e la conseguente avidità di guadagni si estendono a tutte le classi sociali.

    Questo clima morale, penetrando nelle sfere intellettuali, produsse chiare manifestazioni di orgoglio, come per esempio il gusto per le dispute pompose e vuote, per i ragionamenti sofistici e inconsistenti, per le esibizioni fatue di erudizione, ed elogiò oltre misura vecchie tendenze filosofiche, delle quali la Scolastica aveva trionfato, e che ormai, essendosi rilassato l’antico zelo per l’integrità della fede, rinascevano sotto nuove forme. L’assolutismo dei legisti, che si pavoneggiavano nella conoscenza vanitosa del diritto romano, trovò in prìncipi ambiziosi un’eco favorevole. E di pari passo si andò estinguendo nei grandi e nei piccoli la fibra d’altri tempi per contenere il potere regale nei legittimi limiti vigenti al tempo di san Luigi di Francia e di san Ferdinando di Castiglia.


    B. Pseudo-Riforma e Rinascimento

    Questo nuovo stato d’animo conteneva un desiderio possente, sebbene più o meno inconfessato, d’un ordine di cose fondamentalmente diverso da quello che era giunto al suo apogeo nei secoli XII e XIII.

    L’ammirazione esagerata, e non di rado delirante, per il mondo antico, servì da mezzo d’espressione a questo desiderio. Cercando molte volte di non urtare frontalmente la vecchia tradizione medioevale, l’Umanesimo e il Rinascimento tesero a relegare in secondo piano la Chiesa, il soprannaturale ed i valori morali della religione. Il tipo umano, ispirato ai moralisti pagani, che quei movimenti introdussero come ideale in Europa, e la cultura e la civiltà coerenti con questo tipo umano, erano soltanto i legittimi precursori dell’uomo avido di guadagni, sensuale, laico e pragmatista dei nostri giorni, della cultura e della civiltà materialistiche in cui ci andiamo immergendo sempre più. Gli sforzi per un Rinascimento cristiano non giunsero a distruggere nel loro germe i fattori dai quali derivò il lento trionfo del neopaganesimo.

    In alcune parti d’Europa esso si sviluppò senza portare all’apostasia formale. Notevoli resistenze gli si opposero. E anche quando s’insediava nelle anime, non osava chiedere loro — almeno all’inizio — una rottura formale con la fede.

    Ma in altri paesi attaccò apertamente la Chiesa. L’orgoglio e la sensualità, nel cui soddisfacimento consiste il piacere della vita pagana, suscitarono il protestantesimo.

    L’orgoglio diede origine allo spirito di dubbio, al libero esame, all’interpretazione naturalistica della Scrittura. Produsse la rivolta contro l’autorità ecclesiastica, espressa in tutte le sette con la negazione del carattere monarchico della Chiesa universale, cioè con la rivolta contro il papato. Alcune, più radicali, negarono anche quella che si potrebbe chiamare l’alta aristocrazia della Chiesa, ossia i vescovi, suoi prìncipi. Altre ancora negarono lo stesso sacerdozio gerarchico, riducendolo a una semplice delegazione da parte del popolo, unico vero detentore del potere sacerdotale.

    Sul piano morale, il trionfo della sensualità nel protestantesimo si affermò con la soppressione del celibato ecclesiastico e con l’introduzione del divorzio.

    C. Rivoluzione francese

    L’azione profonda dell’Umanesimo e del Rinascimento fra i cattolici non cessò di estendersi in tutta la Francia, in un crescente concatenamento di conseguenze. Favorita dall’indebolimento della pietà dei fedeli — prodotto dal giansenismo e dagli altri fermenti che il protestantesimo del secolo XVI aveva disgraziatamente lasciato nel Regno Cristianissimo — tale azione produsse nel secolo XVIII una dissoluzione quasi generale dei costumi, un modo frivolo e fatuo di considerare le cose, una deificazione della vita terrena, che preparò il campo alla vittoria graduale dell’irreligione. Dubbi relativi alla Chiesa, negazione della divinità di Cristo, deismo, ateismo incipiente furono le tappe di questa apostasia.

    Profondamente affine al protestantesimo, erede di esso e del neopaganesimo rinascimentale, la Rivoluzione francese fece un’opera in tutto e per tutto simmetrica a quella della Pseudo-Riforma. La Chiesa Costituzionale che essa, prima di naufragare nel deismo e nell’ateismo, tentò di fondare, era un adattamento della Chiesa di Francia allo spirito del protestantesimo. E l’opera politica della Rivoluzione francese fu soltanto la trasposizione, nell’ambito dello Stato, della “riforma” che le sette protestanti più radicali avevano adottato in materia di organizzazione ecclesiastica:

    — Rivolta contro il re, simmetrica alla rivolta contro il Papa;

    — Rivolta della plebe contro i nobili, simmetrica alla rivolta della “plebe” ecclesiastica, cioè dei fedeli, contro l’aristocrazia della Chiesa, cioè il clero;

    — Affermazione della sovranità popolare, simmetrica al governo di certe sette, esercitato in misura maggiore o minore dai fedeli.

    D. Comunismo

    Nel protestantesimo erano nate alcune sette che, trasponendo direttamente le loro tendenze religiose nel campo politico, avevano preparato l’avvento dello spirito repubblicano. San Francesco di Sales, nel secolo XVII, mise in guardia il duca di Savoia contro queste tendenze repubblicane3. Altre sette, spingendosi oltre, adottarono princìpi che, se non si possono chiamare comunisti in tutto il senso odierno del termine, sono almeno pre-comunisti.

    Dalla Rivoluzione francese nacque il movimento comunista di Babeuf. E più tardi, dallo spirito sempre più attivo della Rivoluzione, sorsero le scuole del comunismo utopistico del secolo XIX e il comunismo detto scientifico di Marx.

    E cosa vi può essere di più logico? Il deismo dà come frutto normale l’ateismo. La sensualità, in rivolta contro i fragili ostacoli del divorzio, tende di per sé stessa al libero amore. L’orgoglio, nemico di ogni superiorità, attaccherà necessariamente l’ultima disuguaglianza, cioè quella economica. E così, ebbro del sogno d’una Repubblica Universale, della soppressione di ogni autorità ecclesiastica e civile, dell’abolizione di qualsiasi Chiesa e, dopo una dittatura operaia di transizione, anche dello stesso Stato, ecco ora il neobarbaro del secolo XX, il più recente e più avanzato prodotto del processo rivoluzionario.




    --------------------------------------------------------------------------------
    3 Cfr. Saint-Beuve, Études des lundis, XVIIème siècle. Saint François de Sales, Librairie Garnier, Parigi 1928, p. 364.


    E. Monarchia, repubblica e religione

    Allo scopo di evitare qualsiasi equivoco, conviene sottolineare che questa esposizione non contiene l’affermazione che la repubblica sia un regime politico necessariamente rivoluzionario. Leone XIII ha messo in chiaro, parlando delle diverse forme di governo, che “ognuna di esse è buona, purchè sappia procedere rettamente verso il suo fine, ossia verso il bene comune, per il quale l’autorità sociale è costituita”4.

    Qualifichiamo certamente come rivoluzionaria l’ostilità professata, per principio, contro la monarchia e contro l’aristocrazia, come se fossero forme essenzialmente incompatibili con la dignità umana e l’ordine normale delle cose. È l’errore condannato da san Pio X nella lettera apostolica Notre charge apostolique, del 25 agosto 1910. In essa il grande e santo Pontefice condanna la tesi del Sillon, secondo la quale “solo la democrazia inaugurerà il regno della perfetta giustizia”, ed esclama: “Non è questa una ingiuria alle altre forme di governo, che sono in questo modo abbassate al rango di governi impotenti, accettabili solo in mancanza di meglio?”5.

    Ora, senza questo errore, connaturato al processo di cui parliamo, non si spiega in modo soddisfacente perché la monarchia, qualificata dal Papa Pio VI come, in tesi, la migliore forma di governo — “la monarchie, le meilleur des gouvernements”6 — sia stata oggetto, nei secoli XIX e XX, d’un movimento mondiale di ostilità che ha abbattuto i troni e le dinastie maggiormente degne di venerazione. La produzione in serie di repubbliche in tutto il mondo è, a nostro modo di vedere, un frutto tipico della Rivoluzione e un suo aspetto fondamentale.

    Non può essere qualificato come rivoluzionario chi, per la sua patria, per ragioni concrete e locali, salvi sempre i diritti dell’autorità legittima, preferisce la democrazia all’aristocrazia o alla monarchia. Ma lo è certamente chi, spinto dallo spirito ugualitario della Rivoluzione, odia per principio, e qualifica come essenzialmente ingiusta e inumana, l’aristocrazia o la monarchia.

    Da questo odio antimonarchico e antiaristocratico nascono le democrazie demagogiche, che combattono la tradizione, perseguitano le élite, degradano il tono generale della vita e creano un’atmosfera di volgarità, che costituisce quasi la nota dominante della cultura e della civiltà, ... se è possibile che i concetti di civiltà e di cultura si realizzino in tali condizioni.

    Ben diversa da questa democrazia rivoluzionaria la democrazia descritta da Pio XII:

    “Per testimonianza della storia, là ove vige una vera democrazia, la vita del popolo è come impregnata di sane tradizioni, che non è lecito di abbattere. Rappresentanti di queste tradizioni sono anzitutto le classi dirigenti, ossia i gruppi di uomini e donne o le associazioni, che danno, come suol dirsi, il tono nel villaggio e nella città, nella regione e nell’intero paese.

    “Di qui, in tutti i popoli civili, l’esistenza e l’influsso d’istituzioni, eminentemente aristocratiche nel senso più alto della parola, come sono talune accademie di vasta e ben meritata rinomanza. Anche la nobiltà è del numero”7.

    Come si vede, lo spirito della democrazia rivoluzionaria è ben diverso da quello che deve animare una democrazia conforme alla dottrina della Chiesa.







    --------------------------------------------------------------------------------
    4 Leone XIII, Enciclica Au Milieu des sollicitudes, del 16-2-1892, in ASS, vol. XXIV, p. 523.




    5 San Pio X, Lettera apostolica Notre charge apostolique, del 25-8-1910, in ASS, vol. II, p. 618.




    6 Pio VI, Allocuzione al Concistoro Segreto del 17-6-1793 sulla morte del re di Francia, in Pii VI Pont. Max. Acta, Typis S. Congreg. de Propaganda Fide, Romae, 1871, tomo II, p. 17.




    7 Pio XII, Allocuzione al Patriziato e alla Nobiltà Romana, del 16-1-1946, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. VII, p. 340.



    F. Rivoluzione, Contro-Rivoluzione e dittatura

    Le presenti considerazioni sulla posizione della Rivoluzione e del pensiero cattolico a proposito delle forme di governo susciteranno in vari lettori una domanda: la dittatura è un fattore di Rivoluzione o di Contro-Rivoluzione?

    Per rispondere con chiarezza a una domanda a cui sono state date tante risposte confuse e perfino tendenziose, è necessario stabilire una distinzione fra alcuni elementi che si confondono disordinatamente nell’idea di dittatura, secondo il concetto che ne ha l’opinione pubblica. Confondendo la dittatura in tesi con quanto essa è stata in concreto nel nostro secolo, l’opinione pubblica intende per dittatura uno stato di cose nel quale un capo dotato di poteri illimitati governa un paese. Per il bene di questo paese, dicono gli uni. Per il suo male, dicono gli altri. Ma, nell’uno e nell’altro caso, questo stato di cose è sempre una dittatura.

    Ora, questo concetto ingloba due elementi distinti:

    — Onnipotenza dello Stato;

    — Concentrazione del potere statale in una sola persona.

    Sembra che il secondo elemento attiri maggiormente l’attenzione dell’opinione pubblica. Tuttavia l’elemento fondamentale è il primo, almeno se intendiamo per dittatura uno stato di cose nel quale il potere pubblico, sospeso qualsiasi ordine giuridico, dispone a suo arbitrio di tutti i diritti. È assolutamente evidente che una dittatura può essere esercitata o da un re (la dittatura regale, cioè la sospensione di ogni ordine giuridico e l’esercizio illimitato del potere pubblico da parte del re, non si deve confondere con l’Ancien Régime, in cui queste garanzie esistevano in misura notevole, e ancor meno con la monarchia organica medioevale) o da un capo popolare, da un’aristocrazia ereditaria o da un gruppo di banchieri, o perfino dalla massa.

    In sé stessa una dittatura esercitata da un capo o da un gruppo di persone, non è né rivoluzionaria né contro-rivoluzionaria. Sarà l’una o l’altra in funzione delle circostanze da cui ha tratto origine e dell’opera che realizzerà. E questo vale sia quando la dittatura è nelle mani d’un uomo, sia quando è nelle mani d’un gruppo.

    Vi sono circostanze che esigono, per la salus populi, una sospensione provvisoria di tutti i diritti individuali e l’esercizio più ampio del potere pubblico. Perciò la dittatura può, in certi casi, essere legittima.

    Una dittatura contro-rivoluzionaria e, quindi, completamente orientata dal desiderio dell’Ordine, deve presentare tre requisiti essenziali:

    — Deve sospendere i diritti, non per sovvertire l’Ordine, ma per proteggerlo. E per Ordine non intendiamo soltanto la tranquillità materiale, ma la disposizione delle cose secondo il loro fine e secondo la rispettiva scala di valori. Si tratta, quindi, d’una sospensione di diritti più apparente che reale, del sacrificio delle garanzie giuridiche di cui i cattivi elementi abusavano a detrimento dell’ordine stesso e del bene comune, sacrificio in questo caso tutto volto alla protezione dei veri diritti dei buoni.

    — Per definizione, questa sospensione deve essere provvisoria, e deve preparare le condizioni perché, il più rapidamente possibile, si ritorni all’ordine e alla normalità. La dittatura, nella misura in cui è buona, si adopera a far cessare la sua stessa ragion d’essere. L’intervento del potere pubblico nei diversi settori della vita nazionale deve essere fatto in modo che, nel più breve tempo possibile, ogni settore possa vivere con la necessaria autonomia. Così, ogni famiglia deve poter fare tutto quanto per sua natura è capace, aiutata solo sussidiariamente da gruppi sociali superiori in ciò che oltrepassa il suo ambito. Questi gruppi, a loro volta, devono ricevere l’aiuto del municipio solo in quanto supera la loro capacità normale, e così pure deve essere nelle relazioni fra il municipio e la regione e tra questa e il paese.

    — Il fine essenziale della dittatura legittima, oggi, deve essere la Contro-Rivoluzione. Questo, peraltro, non implica l’affermazione che la dittatura sia normalmente un mezzo necessario per la sconfitta della Rivoluzione. Ma in certe situazioni lo può essere.

    Al contrario, la dittatura rivoluzionaria tende a perpetuarsi, viola i diritti autentici e penetra in tutte le sfere della società per annientarle, disarticolando la vita della famiglia, nuocendo alle élite naturali, sovvertendo la gerarchia sociale, nutrendo la moltitudine di utopie e di aspirazioni disordinate, estinguendo la vita reale dei gruppi sociali e assoggettando tutto allo Stato: in una parola, favorisce l’opera della Rivoluzione. Esempio tipico di tale dittatura è stato l’hitlerismo.

    Perciò la dittatura rivoluzionaria è fondamentalmente anticattolica. Infatti in un ambiente veramente cattolico non può esservi un clima propizio a una tale situazione.

    Questo non vuol dire che la dittatura rivoluzionaria, in questo o in quel paese, non abbia cercato di favorire la Chiesa. Ma si tratta d’un atteggiamento puramente tattico, che si trasforma in persecuzione aperta o velata appena l’autorità ecclesiastica comincia a sbarrare il passo alla Rivoluzione.

  10. #10
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    Predefinito Riferimento: "Rivoluzione e Contro-rivoluzione" di Plinio Corrêa de Oliveira

    Capitolo IV Le metamorfosi del processo rivoluzionario



    Come si deduce dall’analisi fatta nel capitolo precedente, il processo rivoluzionario è lo sviluppo per tappe di alcune tendenze sregolate dell’uomo occidentale e cristiano, e degli errori nati da esse.

    In ogni tappa, queste tendenze ed errori hanno un aspetto particolare. La Rivoluzione subisce, dunque, continue metamorfosi nel corso della storia.

    Le stesse metamorfosi che si osservano nelle grandi linee generali della Rivoluzione si ripetono, in scala ridotta, all’interno di ogni suo grande episodio.

    Così, lo spirito della Rivoluzione francese, nella sua prima fase, usò maschera e linguaggio aristocratici e perfino ecclesiastici. Frequentò la corte e sedette al tavolo del Consiglio del re.

    Poi divenne borghese e lavorò all’estinzione incruenta della monarchia e della nobiltà, e a una velata e pacifica soppressione della Chiesa cattolica.

    Appena gli fu possibile diventò giacobino e si ubriacò di sangue durante il Terrore.

    Ma gli eccessi a cui si abbandonò la fazione giacobina suscitarono reazioni. Lo spirito rivoluzionario tornò indietro, percorrendo le stesse tappe. Da giacobino si trasformò in borghese durante il Direttorio, con Napoleone tese la mano alla Chiesa e aprì le porte alla nobiltà esiliata e, infine, applaudì il ritorno dei Borboni. Terminata la Rivoluzione francese, non termina con ciò il processo rivoluzionario. Eccolo tornare a esplodere con la caduta di Carlo X e l’ascesa al trono di Luigi Filippo e così, con successive metamorfosi, sfruttando i suoi successi e anche i suoi insuccessi, è giunto fino al parossismo dei nostri giorni.

    La Rivoluzione, quindi, si serve delle sue metamorfosi non solo per avanzare, ma anche per operare quelle ritirate tattiche che così frequentemente le sono state necessarie.

    Talora, pur essendo un movimento sempre vivo, ha simulato di essere morta. E questa è una delle sue metamorfosi più interessanti. In apparenza, la situazione d’un determinato paese si presenta come assolutamente tranquilla. La reazione contro-rivoluzionaria si rilassa e si addormenta. Ma nelle profondità della vita religiosa, culturale, sociale ed economica, la fermentazione rivoluzionaria continua a guadagnare terreno. E, al termine di questo apparente intervallo, esplode una convulsione inaspettata, spesso maggiore di quelle precedenti.

 

 
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