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Discussione: Il Paleolibertarismo

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    Predefinito Il Paleolibertarismo

    Il Manifesto del Paleolibertarismo

    di Llewelyn H. Rockwell, jr.


    Dopo la fine del comunismo, la rottura tra i conservatori vecchia maniera (i paleoconservatori isolazionisti e avversi al New Deal) e i neoconservatori (interventisti e statalisti) può rappresentare un’opportunità storica per i libertari. La guerra fredda aveva separato, all’interno della Destra, i libertarians dagli old conservatives, ma oggi è venuto il momento di ricucire lo strappo, dato che entrambi condividono l’assioma di Lord Acton secondo cui “la libertà è il fine più alto dell’uomo”. Molte questioni dividono ancora i buoni conservatori dai buoni libertari, ma il loro numero è in via di riduzione, e nessuna di esse è così ampia da impedire intelligenti forme di scambio e di cooperazione. Le dispute non sono state solo ideologiche, ma soprattutto culturali. E non c’è niente che unisca o divida di più della cultura. Sotto questo punto di vista, i libertari e i conservatori antistatalisti sono stati così divisi da aver dimenticato come parlarsi tra loro. Per amore dei nostri ideali comuni, dobbiamo restaurare la vecchia concordia. E’ possibile? A mio avviso, non prima di aver fatto chiarezza nel libertarismo.

    I conservatori hanno ragione: la libertà non è sufficiente

    I conservatori hanno sempre sostenuto, con ragione, che la libertà politica è una condizione necessaria ma non sufficiente per avere una buona società. La libertà politica non è sufficiente neanche per avere una società libera. Abbiamo bisogno anche di istituzioni sociali e standard morali che incoraggino le virtù pubbliche, e proteggano l’individuo dallo Stato. Sfortunatamente molti libertari – specialmente quelli del Libertarian Party – vedono la libertà come una condizione necessaria e sufficiente per tutti gli scopi. Ancora peggio, costoro assimilano la libertà dall’oppressione statale alla libertà dalle norme culturali, dalla religione, dalla morale borghese, e dall’autorità sociale. Nei suoi 17 anni di storia, il Libertarian Party non ha mai raggiunto l’uno percento in un’elezione nazionale, ma ha rovinato la più gloriosa idea politica della storia umana confondendolo col libertinismo. Per amore di quel glorioso ideale, è venuta l’ora di dargli una bella ripulita.
    In grande maggioranza gli americani sono d’accordo nel considerare ingiusta l’aggressione agli innocenti e alle loro proprietà. Questi milioni di libertari potenziali sono tuttavia allontanati dall’immagine woodstockiana del movimento. Hair non è più in scena a Broadway da anni, ma l’Età dell’Acquario sopravvive nel Libertarian Party. Le anti-norme culturali che caratterizzano l’immagine libertaria sono ripugnanti, e non hanno nulla a che fare con il libertarismo in sè per sè. Costituiscono solo un peso morto. Se non ci libereremo di questa zavorra, perderemo le maggiori opportunità dei prossimi decenni. Molti americani respingono il Partito Democratico perchè lo vedono disprezzare i valori borghesi. Se mai hanno sentito parlare del Libertarian Party, lo respingeranno per le medesime ragioni.
    Il Partito Libertario è probabilmente irriformabile, e comunque irrilevante. Ma il libertarismo non lo è. Tuttavia, a meno che non correggiamo la sua immagine culturale, il nostro movimento fallirà miseramente come il Libertarian Party. Continueremo ad essere visti come una setta che “si oppone all’autorità” e non allo statalismo, che sostiene la diffusione dei comportamenti che vorrebbe legalizzare, e che respinge gli standard della civiltà occidentale. Gli argomenti contro la guerra alla droga, per quanto siano intellettualmente stringenti, vengono svalutati se provengono dal partito degli sballati. Quando il Libertarian Party candida una prostituta come vicegovernatore della California, la quale diventa una celebrità molto ammirata nel partito, è naturale che l’americano medio pensi che il libertarismo sia ostile alle norme sociali, o che la richiesta di legalizzazione di attività come la prostituzione significhi approvazione morale. Non ci potrebbe essere politica più suicida, ma è quello che il Libertarian Party ha fatto. Con le loro credenze controculturali, molti libertari non sono stati in grado di affrontare questioni di importanza crescente per il ceto medio americano, come i diritti civili, la criminalità, l’ambiente. L’unico modo per spezzare il legame tra libertarismo e libertinismo è un dibattito chiarificatore. Io intendo iniziare questa discussione, e sulle giuste basi. Come disse G.K. Chesterton, “Siamo tutti d’accordo su ciò che è male; è su ciò che è bene che dovremmo strapparci gli occhi”.

    Un libertarismo culturalmente efficace per l’America

    Se vogliamo avere una qualche chance di vittoria, dobbiamo disfarci dell’impalcatura culturale difettosa del libertarismo. Io suggerisco di chiamare questo sostituto, con i suoi principi etici culturali, “paleolibertarismo”, cioè vecchio libertarismo. Io uso il termine nello stesso modo con cui i conservatori usano il termine paleoconservatorismo: non come un nuovo credo, ma come un recupero delle proprie radici, in modo da distinguersi dai neoconservatori. Noi non abbiamo un parallelo con i neoconservatori, ma è opportuno e urgente distinguere il libertarismo dal libertinismo.

    In breve, il paleolibertarimo, profondamente radicato nella Old Right, vede:

    I. Il Leviatano statale come la storica fonte istituzionale del male;

    II. Il mercato completamente libero come un imperativo morale e pratico;

    III. La proprietà privata come una necessità economica e morale della società;

    IV. Lo Stato militarizzato come una delle principali minacce alla libertà e al benessere;

    V. Il Welfare State come furto organizzato che vittimizza i produttori e alla fine anche i propri beneficiari;

    VI. Le libertà civili basate sui diritti di proprietà come essenziali per una società giusta;

    VII. L’etica egualitaria come moralmente condannabile e distruttiva della proprietà privata e dell’autorità sociale;

    VIII. L’autorità sociale – incarnata nella famiglia, nelle chiesa, nella comunità, e nelle altre istituzioni intermedie – come utile per proteggere gli individui dallo Stato e necessaria per avere una società libera e virtuosa;

    IX. La cultura occidentale come un valore che merita di essere strenuamente preservato e difeso;

    X. Gli obiettivi standard di moralità, specialmente quelli scaturiti dalla tradizione giudaico-cristiana, come essenziali per un ordine sociale libero e civile.

    Il Paleolibertarismo è libertario?

    Un libertario deve necessariamente concordare con i primi sei punti, ma la maggior parte degli attivisti sarebbero oltraggiati dagli ultimi quattro punti. Eppure in essi non vi è nulla di non libertario. Un critico potrebbe affermare che il libertarismo è una dottrina politica che non ha niente da dire su tali questioni. In un certo senso, questa critica è corretta. Il catechista libertario ha bisogno di conoscere una sola risposta a una sola domanda: qual’è il più alto fine dell’uomo? La risposta è: la Libertà. Nessuna filosofia politica però esiste in un vuoto culturale, e per la maggior parte delle persone l’identità politica rappresenta solo l’astrazione di una più ampia visione culturale. Le due cose sono separate solo a livello teorico; in pratica, sono inestricabilmente collegate. Per questo è comprensibile e desiderabile che il libertarismo si caratterizzi culturalmente, ma non in senso antireligioso, modernista, moralmente relativista, ed egualitario. Questi atteggiamenti giustamente respingono la vasta maggioranza degli americani, contribuendo a far rimanere il libertarismo un piccolo movimento.

    L’attacco conservatore al libertarismo.

    Nessuna delle critiche conservatrici al libertarismo è persuasiva. Lo stesso non vale, purtroppo, per le critiche culturali. Russel Kirk è il critico conservatore che i libertari trovano più offensivo. Egli sostiene che il libertario, “come Satana, non accetta nessuna autorità, temporale o spirituale. Egli desidera essere diverso, nella morale come nella politica”, per ragioni di principio. Per questo, “la distanza prefissata tra libertarismo e libertinismo non è molto grande”. Un conservatore che i libertari trovano più congeniale è Robert Nisbet. Anche lui però si lamenta che “tra i libertari si sta sviluppando una mentalità secondo cui la coercizione della famiglia, della chiesa, della comunità locale, e della scuola appare ostile quasi quanto quella esercitata dal governo politico. Se è così, si scaverà un solco ancor più profondo tra libertari e conservatori”. Kirk e Nisbet hanno ragione in riferimento ai tanti individui che si professano libertari, ma non riguardo alla dottrina formale, come Machan, Rothbard, e altri hanno spiegato. Tuttavia la distinzione tra la dottrina e i suoi praticanti è difficile da cogliere per i non-intellettuali.

    Anticristianesimo contro Libertà

    Il 94% degli americani crede in Dio, ma un sondaggio di Green e Guth ha mostrato che solo il 27% degli attivisti libertari è credente. Questi due scienziati della politica commentano: “Benchè alcuni pensatori libertari [come Murray N. Rothbard] insistano che il credo cristiano ortodosso sia compatibile [con le loro idee politiche], il partito non è certamente stato capace di attrarre questi sostenitori”. Infatti, “molti libertari non solo sono antireligiosi, ma antireligiosi militanti, come indicato nei loro estesi commenti scritti”. Un successivo sondaggio della rivista libertaria Liberty mostra che il 74% di coloro che hanno risposto nega l’esistenza di Dio; questo fatto non ha sorpreso la redazione, che segnala la “comune percezione che i libertari siano quasi tutti atei”. Io naturalmente non sostengo che la fede religiosa sia indispensabile per il libertarismo. Alcune delle nostre più grandi personalità sono non credenti. La vasta maggioranza degli americani però è religiosa, e troppi libertari sono atei aggressivi che cercano di ritrarre la religione e il libertarismo come nemici. Questo comportamento, se non controllato, è sufficiente a condannarci alla perpetua marginalità.
    La famiglia, il libero mercato, la dignità dell’individuo, i diritti di proprietà privata, lo stesso concetto di libertà – sono tutti prodotti della nostra cultura religiosa. Il cristianesimo diede origine all’individualismo enfatizzando l’importanza di ogni singola anima. La Chiesa insegna che Dio avrebbe mandato Suo Figlio a morire sulla croce anche se un solo essere umano avesse avuto bisogno della sua intercessione. Con la sua enfasi sulla ragione, la legge morale oggettiva, e la proprietà privata, il Cristianesimo rese possibile lo sviluppo del capitalismo. Esso affermò che tutti gli uomini sono egualmente figli di Dio (benché non uguali in ogni altro senso), e che perciò dovrebbero essere uguali davanti alla legge. Fu la Chiesa transnazionale che combattè il nazionalismo, il militarismo, la tassazione elevata, e l’oppressione politica. Furono i suoi teologi a proclamare la legittimità del tirannicidio. Acton scrisse che “la libertà non si è mantenuta in vita fuori dal Cristianesimo”, ed esortò a “tenere la libertà il più vicino possibile alla moralità”, poiché “nessun paese può essere libero senza religione”. Pur essendo d’accordo sul fatto che il libertarismo non è religioso, Machan dice che però che esso “non si affida alla fede per comprendere l’etica e la politica”. I Paleolibertari preferiscono le visione di due altri non credenti: Rothbard, secondo cui “tutto quello che c’è di buono nella civiltà occidentale, dalla libertà individuale alle arti, è dovuto al Cristianesimo”, e von Hayek, il quale aggiunse che dalla religione provengono “gli insegnamenti morali e le tradizioni che ci hanno dato non solo la nostra civiltà, ma anche le nostre stesse vite”.

    Autorità contro coercizione

    “Contestiamo l’autorità!”, recita uno slogan di sinistra popolare nei circoli libertari. Ma i libertari sbagliano a oscurare la distinzione tra l’autorità statale e l’autorità sociale, dato che una società libera è sostenuta dall’autorità sociale. Ogni impresa richiede una gerarchia di comando, e ogni datore di lavoro ha il diritto di pretendere obbedienza entro la propria sfera d’autorità. Lo stesso vale all’interno della famiglia, della chiesa, della classe scolastica, e perfino nel Rotary o nei boy-scout. Dare ai sindacati la licenza di commettere crimini violenti sovverte l’autorità dell’imprenditore. Le leggi sulla droga, sull’assistenza pubblica, sulla sicurezza sociale, e sulla scuola pubblica indeboliscono l’autorità della famiglia. Mettere al bando la religione dal dibattito pubblico mina l’autorità della chiesa. In un recente articolo, Jerome Tuccille afferma che egli sta combattendo per la libertà contro “l’ortodossia della Chiesa Cattolica”. Ma non c’è nulla di libertario nel combattere l’ortodossia, Cattolica o d’altro tipo, e confondendo deliberatamente i propri pregiudizi col libertarismo, egli contribuisce a perpetuare il mito che il libertarismo sia libertino. L’autorità sarà sempre necessaria in ogni società. L’autorità naturale nasce nelle strutture sociali volontarie; l’autorità innaturale è imposta dallo Stato. I Paleolibertari concordano con Nisbet che “l’esistenza dell’autorità nell’ordine sociale evita le usurpazioni di potere da parte della sfera politica”. Solo “gli effetti di freno e di guida dell’autorità sociale” rendono possibile “un governo politico così liberale come quello progettato dai Padri Fondatori. Rimuovi i legami sociali, dice Nisbet, e avrai un popolo non libero ma caotico, e individui non creativi ma impotenti”.

    Il ruolo della famiglia

    I libertari tendono ad ignorare il compito essenziale svolto dalla famiglia nella formazione di un individuo responsabile. La famiglia tradizionale, prodotto della legge naturale, è l’unità di base di una società civile e libera. La famiglia promuove i valori necessari alla preservazione di una società libera come l’amore coniugale, l’autodisciplina, la pazienza, la cooperazione, il rispetto per gli anziani, e l’autosacrificio. Le famiglie incoraggiano il comportamento morale e forniscono ai figli l’educazione appropriata, permettendo così la continuazione della specie. Chesterton disse che la famiglia “potrebbe essere approssimativamente definita anarchica”, dato che le origini della sua autorità sono puramente volontarie; lo Stato non l’ha inventata e non può abolirla. Lo Stato tuttavia aggredisce la famiglia favorendo incentivi economici perversi. Come ha sottolineato Charles Murray, le politiche assistenziali del governo federale sono stata in larga misura responsabili dell’aumento del 450% delle nascite illegittime negli ultimi 30 anni. “La funzione più vitale realizzata dalla famiglia è l’educazione”, pensava Chesterton. Ma a partire dalla creazione delle scuole pubbliche nel XIX secolo, che secondo Horace Mann dovevano trasformare i cittadini locali in cittadini nazionali, lo Stato ha attaccato la funzione educativa della famiglia. Se il ruolo delle scuole statali, come ha affermato un funzionario, è quello di “modellare questi piccoli pezzi di pasta sullo stampo sociale”, allora un punto chiave del programma statale deve essere la sovversione della famiglia, che invece i libertari dovrebbero sostenere con cuore. Noi non siamo, come molti commentatori sostengono, promotori dell’individualismo atomistico, e dovremmo lodare il ruolo indispensabile delle famiglie e dell’autorità sociale.

    Odio della cultura occidentale

    “Cultura”, ha detto Matthew Arnold, “è conoscere il meglio che è stato detto e pensato nel mondo”. Per la nostra civiltà, questo significa concentrarsi sull’Occidente. Ma la sinistra, da Stanford a New York, denuncia la cultura occidentale come razzista, sessista, elitista – e la giudica meritevole più di estinzione che di difesa. Coloro che difendono la cultura occidentale vengono chiamati etnocentrici dai sinistrorsi che mettono sullo stesso piano Dizzie Gillespie e Bach, Alice Walzer e Dostoevsky, Georgia O’Keefe e Caravaggio, e che insegnano ai nostri figli queste sciocchezze. Costoro cercano di costruire un canone culturale che sia sessualmente e razzialmente “bilanciato”, cioè sbilanciato nell’altro senso. Su queste questioni culturali, tuttavia, troppi libertari concordano con la sinistra.
    I libertari devono recuperare gli americani comuni, i quali sono bombardati quotidianamente da quel modernismo nell’arte, nella letteratura, e nei comportamenti, che altro non è se non un vero e proprio attacco all’Occidente. Consideriamo solo il caso della protesta contro la pornografia sacrilega sussidiata dal governo di Robert Mapplethorpe e Andrei Serrano. La gente comprendeva istintivamente che l’establishment che gestisce i fondi statali per le arti è impegnato a offendere la sensibilità borghese. Tuttavia le tipica rivista libertaria è molto più scandalizzata dalla corretta posizione di Jesse Helms su questo oltraggio, che dal fatto che i contribuenti siano costretti a finanziare le oscenità blasfeme promosse dal Fondo Nazionale per l’Arte. “L’arte, come la moralità, consiste nel tracciare una linea da qualche parte”, disse Chesterton. I Paleolibertari concordano, e non si vergognano affatto di preferire la civiltà occidentale. La fotografia pornografica, il “libero” pensiero, la pittura caotica, la musica atonale, la letteratura decostruzionista, l’architettura Bauhaus, e le pellicole moderniste non hanno niente in comune con il programma libertario – a prescindere da quanto i libertari come individui possano divertirsi con queste cose. In aggiunta al loro nullo valore estetico o morale, queste “forme d’arte” sono politicamente dannose fuori da Berkeley o dal Greenwich Village.
    Noi obbediamo, e dovremmo obbedire, ai comportamenti e ai gusti tradizionali. Come spiega Rothbard, “ci sono numerose aree della vita dove il rispetto dei costumi allenta le tensioni della vita sociale e crea una società più confortevole e armoniosa”. Albert Jay Nock disse che in una società libera, “il tribunale del gusto e delle maniere” dovrebbe essere l’istituzione più forte. Egli lo chiamò “l’unico tribunale la cui competenza giurisdizionale è indiscutibile”. Davanti a questo tribunale, molti libertari sarebbero condannati.

    Egualitarismo e diritti civili

    La Maggior parte degli Americani detesta i diritti civili, e a ragione. Una volta, i diritti civili erano i diritti dei cittadini contro lo Stato, dice Sobran. Oggi invece sono i trattamenti di favore per i neri, o altre minoranze, a spese di tutti gli altri. Molti libertari, essendo loro stessi egualitari, sono ciechi di fronte a questa problematica, oppure la ignorano scientemente. I Paleolibertari non hanno questo problema, e respingono non solo le azioni affermative e le quote, ma anche il Civil Rights Act del 1964 e tutte le leggi successive che costringono i proprietari ad agire contro la propria volontà. La segregazione imposta dallo Stato, che pure violava i diritti di proprietà, era inaccettabile. Ma è sbagliata anche l’integrazione forzata. Se la segregazione forzata era errata, non per questo è sbagliata la semplice separazione. Desiderare di associarsi con i membri della propria razza, nazionalità, religione, classe, sesso, o perfino partito politico è un impulso umano normale e naturale. Una società volontaria avrà pertanto club maschili, quartieri polacchi, chiese nere, organizzazioni ebraiche, e confraternite bianche. Quando lo Stato abolisce il diritto alla libera associazione, non crea la pace sociale ma la discordia. Come scrisse Frank S. Mayer, “Le multiformi relazioni tra gli esseri umani – sensibili e delicate, e soprattutto individuali nella loro essenza – non possono mai essere regolamentate dal potere del governo senza portare al disastro una società libera”. L’esistenza di queste istituzioni per gli egualitari rappresenta però uno scandalo. Il membro del Congresso Ron Paul, candidato nel 1988 alle presidenziali per il Libertarian Party, venne attaccato da alcuni libertari perché si era opposto ai festeggiamenti per Martin Luther King finanziati dallo Stato. King era un socialista che attaccava la proprietà privata e sosteneva l’integrazione forzata. Come potrebbe essere un eroe libertario? Eppure lo è, per ragioni egualitarie.
    Inoltre troppi libertari si uniscono ai liberal nell’uso dell’etichetta di razzista per bollare i non-conformisti. Può essere scientificamente falso credere, ad esempio, che gli asiatici siano più intelligenti dei bianchi, ma può essere anche immorale? Da un punto di vista libertario, l’unica immoralità dovrebbe essere quella di pretendere il riconoscimento statale di questa credenza, corretta o sbagliata che sia. Da un punto di vista cristiano, è certamente sbagliato trattare qualcuno ingiustamente o in maniera non caritatevole sulla base di convinzioni razziali. Ma è anche sbagliato trattare qualcuno ingiustamente o non caritatevolmente perché calvo, capellone, magro, o grasso. Ma può essere considerato immorale preferire la compagnia dell’uno agli altri?
    Il liberal nero William Raspberry ha recentemente parlato di uno dei nuovi slogan popolari a Washington: “E’ una cosa da Neri. Non potresti capirla”. Questa è sana coscienza razziale – dice Raspberry – Ma mostrami un bianco che afferma “E’ una cosa da Bianchi…” e il mio atteggiamento cambia. Un congresso dei membri neri di un partito è legittimo, ma un congresso dei membri bianchi di un partito sarebbe impensabile. Per Raspberry “Nero è bello” è permesso, ma “Bianco è bello” è uno slogan da fanatici. Oh, è così? Non c’è niente di male che i neri preferiscano le “cose da neri”. I paleolibertari però direbbero la stessa cosa riguardo i bianchi che preferiscono “cose da bianchi”, e gli asiatici che preferiscono “cosa de asiatici”. I paleolibertari non sostengono alcuna visione utopistica delle relazioni sociali; vogliamo solo che lo Stato la smetta di interferire con le azioni volontarie.

    Crimine e coercizione

    Il libertarismo è da visto da molti come una dottrina che si oppone all’uso della forza. Ma la forza sarà sempre necessaria per difendersi dai malfattori e per amministrare la giustizia. Il libertarismo si oppone alle aggressioni contro gli innocenti, non alla coercizione in generale. Lo Stato è sempre stato l’aggressore principale, ma esiste anche il crimine privato. A favorire lo statalismo non è solo il collasso dell’autorità sociale, ma anche la rinuncia ad usare la coercizione contro i crimini reali. Se il crimine rimane poco o per nulla punito, come oggi, il comportamento immorale viene remunerato e incoraggiato, e pertanto si diffonde. I liberal e alcuni libertari affermano che non dobbiamo essere duri contro il crimine, perché per la maggior parte è causato dal razzismo bianco. Ma se fosse così, dato che abbiamo chiuso i giapponesi nei campi di concentramento, li abbiamo espropriati delle loro proprietà, e abbiamo avuto forti pregiudizi verso di loro, dovremmo tutti sentirci minacciati dai giapponesi.
    In realtà il crimine è il risultato di un vizio morale, di una cosciente decisione di attaccare vite innocenti e proprietà per motivi immorali. Per questa ragione, più che per ragioni di deterrenza, il crimine deve essere punito rapidamente e duramente, anche se un sistema di giustizia libertario si concentrerebbe soprattutto sulla riparazione della vittima. L’attuale monopolio statale nella produzione della sicurezza interna è un fallimento. Le strade delle nostre metropoli sono diventate il regno dei barbari (senza offesa per i Visigoti). A New York, le denuncie di appartamenti scassinati vengono archiviate e dimenticate. A Washington i delitti violenti strappano solo sbadigli alla polizia e ai pubblici ministeri. Come tutti i burocrati, la polizia, i pubblici ministeri, e i giudici non hanno nessun incentivo a rispondere alla domanda dei consumatori, che in questo caso sono i potenziali consumatori di protezione o coloro che chiedono giustizia in tribunale. Non c’è sovranità del consumatore quando lo Stato ha il monopolio della lotta la crimine, e quando gli unici crimini che affronta seriamente sono quelli contro se stesso: contraffazione, evasione fiscale, ecc.
    Conosco una donna che viveva in un’enclave italiana dentro i quartieri poveri di Cleveland abitata dalla working-class. Intorno a questo rifugio il crimine era fuori controllo, ma al suo interno le strade e le case erano sicure. Chiunque attraversasse l’area italiana e commettesse un crimine veniva quasi sempre catturato, grazie alla sorveglianza privata. Ma raramente il delinquente veniva condotto alla polizia, che l’avrebbe liberato in poche ore e lasciato libero di scatenarsi nuovamente. Veniva invece punito sul posto, e come risultato il crimine era rarissimo in quel rione. Per quanto non fosse un sistema ideale, era tutto sommato giusto e decisamente libertario. Tuttavia molti libertari si opporrebbero a questo sistema – benché rappresenti una risposta al fallimento statale – perché i criminali sono spesso di colore. I paleolibertari non hanno questi scrupoli. La punizione dovrebbe essere uguale per tutti.

    Il ritorno del paganesimo

    Il paleolibertarismo è per l’Uomo senza remore. Sostiene – e come potrebbe essere controverso?! – che solo l’uomo ha diritti, e che le politiche pubbliche basate su mitici diritti degli animali o delle piante producono necessariamente risultati perversi. Gli ambientalisti, d’altra parte, sostengono che gli uccelli, le piante, e perfino le acque abbiano il diritto di essere protette dalla produzione d’energia e da altre attività umane. Dalla chiocciola al pidocchio alla natura selvaggia nel suo insieme, tutto merita di essere protetto dalla produzione di beni e servizi per l’umanità. Gli ambientalisti sostengono che la natura si trovava in perfetto equilibrio prima dell’era moderna, e che occorre porre rimedio al deleterio sviluppo economico umano ritornando ad un livello di vita più primitivo. I leader del Green Party inglese idealizzano il grado di sviluppo economico che esisteva nel periodo compreso tra la caduta dell’Impero romano e l’incoronazione di Carlo Magno – in altre parole, dell’età buia. Friends of the Earth descrive la Rivoluzione Industriale, e l’enorme aumento degli standard di vita che ha apportato, come una “pianta malefica che si è estesa su tutta la terra”. Earth-First! ha come slogan “Torniamo al Pleistocene!”.
    La decristianizzazione della politica ha prodotto un movimento ambientalista che non è solo anticapitalista, ma anche neo-pagano. Per il paganesimo l’uomo è solo una parte della natura – non più importante delle balene o dei lupi (e, in pratica, molto meno importante). Il Cristianesimo e il Giudaismo, invece, insegnano che Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza e gli ha dato il dominio su tutta la Terra, che è stata creata per l’uso dell’uomo e non come un’entità con un autonomo valore morale. L’ordine naturale esiste per l’uomo e non viceversa; nessuna diversa concezione è compatibile con un libero mercato fondato sulla proprietà privata, e perciò con il libertarismo. L’adorazione degli ambientalisti davanti all’altare di Madre Natura diventa talvolta letterale, come nel caso di Gaia. Troppi libertari si uniscono a loro, dimostrando ancora una volta il detto di Chesterton che “la gente che non crede in nulla finirà per credere a tutto”.
    I paleolibertari non si vergognano di preferire la civiltà alla natura selvaggia, ed è probabile che concordino con Nock quando diceva: “Io riesco a vedere la natura solo come un nemico: un nemico altamente rispettabile, ma pur sempre un nemico”. Politicamente non c’è motivo di essere timidi nella nostra posizione a favore dell’Uomo. Sono pochi gli Americani disposti a sacrificare la loro proprietà e prosperità per soddisfare delusioni pagane.

    La sfida

    Se gli Americani continuano a collegare il libertarismo con norme culturali repellenti, falliremo sicuramente. Ma se il paleolibertarismo riesce a spezzare questo legame, allora tutto è possibile. Perfino ai non paleolibertari dovrebbe dispiacere che il nostro movimento abbia una sola immagine culturale. Dovrebbero dare il benvenuto, nella classe media conservatrice americana, ai libertari tradizionalisti sul piano morale e culturale. Ma prevedo che non lo faranno, e ci saranno duri contrasti. Per quanto mi riguarda, questo scontro è benvenuto. Vogliamo rimanere una piccola e irrilevante associazione come il Libertarian Party? O dobbiamo realizzare la promessa di libertà e fare del nostro un movimento di massa com’era nel diciannovesimo secolo?
    Il libertarismo è nato dopo i grandi sommovimenti nella destra degli anni ’40. Oggi i libertari possono e devono dialogare di nuovo con i risorgenti paleoconservatori, che sono in procinto di allontanarsi dai neoconservatori. Potremmo addirittura formare un’alleanza con loro. Insieme, paleolibertari e paleoconservatori possono ricostruire la grande coalizione anti-welfare state e antinterventista che era fiorita prima della seconda guerra mondiale e che era sopravvissuta alla guerra di Corea. Insieme, abbiamo la possibilità di ottenere la vittoria. Ma prima dobbiamo buttar via l’attuale immagine ripugnante, autodistruttiva, e inutile alla causa della libertà. Dobbiamo invece adottare un nuovo orientamento, che felicemente è proprio quello di una volta. Nel nuovo movimento, i libertari che personificano la corruzione presente si ridurranno numericamente al loro livello naturale, proprio come succederà al Partito Libertario, il loro pulpito. Alcuni troveranno doloroso tutto questo, ma io guardo oltre. Che il processo di chiarificazione inizi: da tempo ce n’era bisogno.


    Llewellyn H. Rockwell, “The Case for Paleolibertarianism” in Liberty, n. 3, 1990

    Enclave, numero 17 ottobre 2002

  2. #2
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    Predefinito Riferimento: Il Paleolibertarismo

    Grazie dell'incredibile lavoro culturale che fai.
    Non si puo' inquadrare tutto perfettamente e schematicamente negli scritti di una unica persona e la realta',la storia umana ,gli ideali e le tendenze d'opinione non sono mai matematica.
    Un'equazione non e' mai un sostituto per i moti ideali dei vari individui con le loro differenze,in questo senso io preferisco il piu' generico pezzo storico di Rothbard su "la vecchia destra" ,che ho tradotto alcuni anni fa,perche' meno "matematico-numerato-schematico" e piu' storico e tendenziale,oltre che piu'
    aperto a variabili posizioni "destre",anche ,per cosi dire ,"estreme".
    Ma forse questo qui,tra tutti gli schemini-definizione dell'area culturale "paleo" e' il migliore.
    Grazie ancora.

    P.S.
    La sezione sul paganesimo e' totalmente sballata,o meglio ,si basa sulla definizilone corrente ,popolare di paganesimo,ma chi scrive non pare saper nulla su quelli che erano i pagani quelli veri ,storici in carne ed ossa e quali fossero le loro posizioni.
    Il pganesimo era ,allora,in un certo senso la destra,il cristianesimo la sinistra.
    " Democracy is currently defined in Europe as: " A country run by Jews " . E.P.

  3. #3
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    Predefinito Riferimento: Il Paleolibertarismo

    Citazione Originariamente Scritto da Steppenwolf Visualizza Messaggio
    Grazie dell'incredibile lavoro culturale che fai.
    Non si puo' inquadrare tutto perfettamente e schematicamente negli scritti di una unica persona e la realta',la storia umana ,gli ideali e le tendenze d'opinione non sono mai matematica.
    Un'equazione non e' mai un sostituto per i moti ideali dei vari individui con le loro differenze,in questo senso io preferisco il piu' generico pezzo storico di Rothbard su "la vecchia destra" ,che ho tradotto alcuni anni fa,perche' meno "matematico-numerato-schematico" e piu' storico e tendenziale,oltre che piu' aperto a variabili posizioni "destre",anche ,per cosi dire ,"estreme".
    Ma forse questo qui,tra tutti gli schemini-definizione dell'area culturale "paleo" e' il migliore.
    Grazie ancora.

    P.S.
    La sezione sul paganesimo e' totalmente sballata,o meglio ,si basa sulla definizilone corrente ,popolare di paganesimo,ma chi scrive non pare saper nulla su quelli che erano i pagani quelli veri ,storici in carne ed ossa e quali fossero le loro posizioni.
    Il paganesimo era ,allora,in un certo senso la destra,il cristianesimo la sinistra.
    Grazie a te Steppen, che hai cercato più di altri di promuovere le ragioni del paleolism e della vecchia destra nell'ambito libertario.
    Riguardo quell'articolo di Rothbard a cui fai riferimento, perchè non lo riposti anche qui?

  4. #4
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    Predefinito Riferimento: Il Paleolibertarismo

    Mi sono riletto questa mattina l'articolo di Rockwell e devo dire che l'ho trovato eccezionale.

    Eccezionale perchè è una sincera ed onesta critica dello sbandamento "a sinistra" che ha caratterizzato il libertarismo a partire dallo sfaldamento della Old Right goldwateriana e la nascita del Libertarian Party. Mi pare che fu Ayn Rand a sottolineare allora come i libertari del LP fossero diventati gli "hippies della destra", una considerazione un po' velenosetta ma senz'altro veritiera. Per molti, troppi libertari fuoriusciti dal '68 è sembrato quasi che il vero nemico non fosse più il liberalism, ma il conservatorismo.

    Da parte loro i conservatori non sono stati immuni da sbandamenti ed errori anche gravi. Tuttavia bisogna riconoscere che la loro azione, almeno sul piano culturale, si è sempre svolta lungo le due coordinate dell'antistatalismo e del tradizionalismo culturale, l'alfa e l'omega del programma politico paleolibertario di Rockwell.

    Ai libertari che volessero rinfacciare al conservatorismo la supina accettazione del neoconservatorismo statalista ricordiamo che uno dei maggiori atti d'accusa contro il big government Bushista è venuto da Richard Viguerie, ovvero uno dei principali artefici della New Right Reaganiana. E che il "padre" riconosciuto del conservatorismo intellettuale, ovvero William Buckley, ha fatto marcia indietro prima di morire sulla guerra in Iraq, dicendo apertamente che se avesse saputo preventivamente come stavano realmente le cose non avrebbe mai dato il suo assenso. Anni prima Russell Kirk era stato molto scettico sulla necessità di muovere guerra a Saddam, pur con una coalizione internazionale dell'ONU, per "qualche barile di petrolio". Questo per dire che il conservatorismo autentico, quello che ancora si ricollega al Draft Goldwater, non è mai slittato verso il liberalism camuffato in neoconservatorismo.

    Il saggio di Rockwell è a mio avviso così condivisibile e nella sua parte critica e in quella propositiva che ho difficoltà, da conservatore, ad aggiungere qualcosa di mio. L'autentica destra americana si riconosce nel paleolismo perchè solo questo movimento accetta di buon grado la convergenza dell'antistatalismo libertario con il conservatorismo culturale.

    Libertarian Party e l'ufficiale moderatismo più o meno neoconservatore del Republican Party hanno accettato sempre più le istanze rivoluzionarie della sinistra Democrat e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

    Purtroppo la furbizia neocon e lo sbracamento libertario hanno permesso che buona parte della destra americana sovrapponesse una posizione acriticamente pro-war(fare) con un sano patriottismo. Ragion per cui, dinanzi alla calata di braghe antioccidentale della sinistra (e del LP) la destra è costretta suo malgrado a rincorrere le fantasie liberal-imperialistiche dei neoconservatori.

    A questo punto mi sovviene il ricordo di Whittaker Chambers, splendido esemplare della "Vecchia Destra", che diceva di temere di più il liberalism che si imponeva in America della minaccia internazionale del comunismo. Chambers aveva ragione. Nel tentativo di stroncare l'orso sovietico il conservatorismo USA è venuto a patti con la sinistra interna e politicamente ha perso molta della sua ragion d'essere.

    Il comunismo aveva le ore contate e sarebbe più tardi imploso per via delle sue contraddizioni interne, mentre il liberalism è oggi più forte che mai avendo conquistato praticamente tutti i partiti, maggiori e minori, della politica USA, così come era già accaduto per quella europea.

    Spetta ancor oggi ai veri conservatori e ai veri libertari, ovvero i paleos, smascherare l'inganno del liberal, il nemico dell'uomo.

  5. #5
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    Predefinito Rif: Il Paleolibertarismo

    INTERVISTA SUL PALEOLIBERTARISMO
    A GUGLIELMO PIOMBINI


    di Marco Massignan

    Libreria del Ponte

    Tra i pionieri del libertarismo in Italia ed esponente dell'ala anarco-capitalista, Guglielmo Piombini è autore di numerosi saggi e contributi su tale filone di pensiero. Come e quale è stata la ricezione nel Belpaese del pensiero libertario?

    Il libertarismo è ancora un pensiero non molto conosciuto nel nostro paese, ma rispetto a dieci anni fa sono stati fatti enormi passi in avanti. Il primo a far circolare le idee libertarie in Italia è stato Riccardo La Conca, che alla fine degli anni Settanta pubblicò cinque numeri della rivista Claustrofobia e poi un originale libro, con la Sugarco, intitolato Democrazia, mercato e concorrenza. Quella di La Conca è stata purtroppo una breve meteora, e per più di dieci anni le idee libertarie sono scomparse dalla scena culturale italiana. Alla metà degli anni Novanta i libertari in Italia si contavano letteralmente sulle dita di una mano: erano cinque giovani entusiasti (Luigi Marco Bassani, Nicola Iannello, Carlo Lottieri, Alessandro Vitale e il sottoscritto, ai quali poco tempo dopo si aggiunse anche Fabio Massimo Nicosia) che iniziarono a riunirsi, a Milano o a Brescia, per studiare i modi di riportare nel dibattito le idee che li appassionavano. Il risultato di questa attività, favorita anche dal clima ideologico generale (erano gli anni di un diffuso sentimento antistatalista, che partiti come la Lega Nord di allora e quotidiani come L’Indipendente di Feltri avevano canalizzato in maniera efficace) è stata la traduzione e la pubblicazione delle opere di un buon numero di autori libertari: Murray N. Rothbard, David Friedman, Ayn Rand, Walter Block, Bruno Leoni, Albert Jay Nock, Lysander Spooner, Gustave de Molinari, Fréderic Bastiat, Hans-Hermann Hoppe, da parte di piccoli ma intraprendenti editori come Aldo Canovari della Liberilibri di Macerata e Leonardo Facco di Treviglio. Particolarmente importante nell’attività editoriale promossa da Leonardo Facco, che è anche un attivo giornalista, è la rivista trimestrale Enclave, che è già giunta al 24° numero e ha progressivamente ampliato il numero di pagine e degli abbonati. Dopo questa “prima ondata”, negli anni successivi si sono avvicinati al libertarismo altri validi studiosi, per la maggior parte giovani, come Alberto Mingardi, Carlo Stagnaro, Giorgio Bianco, Paolo Pamini, Fabio Lazzarin, Paolo Zanotto, Fabio Gallazzi, Novello Papafava, Massimiliano Neri, Carlo Zucchi, Alberto Masala, Mauro Tosco, Piero Vernaglione. Nel frattempo anche la Scuola Austriaca d’economia di Carl Menger, Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek, alla quale la maggior parte dei libertari si rifà sul piano scientifico, conosceva una grande riscoperta a livello accademico grazie agli studi di Sergio Ricossa, Dario Antiseri, Lorenzo Infantino, Raimondo Cubeddu, Enrico Colombatto, Roberta Modugno. Una grande quantità di testi della biblioteca austriaca sono stati così resi disponibili al pubblico italiano dall’editore Rubbettino di Soveria Mannelli. Oggi i libertari sono spesso presenti con la loro firma su importanti quotidiani e riviste nazionali, mentre le numerose presenze nelle mailing-list e nei forum libertari su internet dimostrano che vi è una nuova generazione molto interessata a queste idee. L’attivissimo Istituto Bruno Leoni di Torino (IBL) è solo l’ultima delle iniziative nate per diffondere le idee libertarie. Tutta questa vitalità solo dieci anni fa sarebbe stata considerata un sogno impensabile.

    Il principale teorico del libertarianism è stato Murray N. Rothbard. In che cosa consiste la sintesi da lui operata è quale è stato il suo background ideologico?

    Durante gli anni della guerra fredda l’Old Right, la vecchia Destra antirooseveltiana e antinterventista, si era sfaldata, e la Destra americana (dalla New Right di William Buckley ai neoconservatori) per paura della minaccia sovietica aveva finito per accettare la presenza di uno “Stato forte”. Il mortale pericolo comunista non sembrava porre altre alternative. All’interno della Destra gli unici a sfidare questa convinzione furono Murray N. Rothbard e pochi altri intellettuali, i quali negli anni Sessanta e Settanta diedero vita al movimento libertario. Rispetto ai conservatori i libertari erano decisamente più antistatalisti sul piano economico e fortemente isolazionisti nei rapporti internazionali. Grazie soprattutto all’elaborazione teorica di Murray N. Rothbard, la dottrina libertaria venne sviluppata in maniera sistematica, fondandosi sulla rigorosa difesa dei diritti naturali alla vita, alla libertà e alla proprietà degli individui; sulla celebrazione del libero mercato; e sulla radicale critica dello Stato. Venne così delineato un modello ideale di società libertaria, definito talora anarco-capitalista, che condannava ogni monopolio legale anche nei campi della sicurezza e della giustizia, e prevedeva al suo posto la libera concorrenza tra agenzie di protezione, arbitrali o assicurative. In definitiva, realizzando una sofisticata sintesi di realismo filosofico tomista, giusnaturalismo liberale alla Locke, anarchismo politico alla Tucker o alla Spooner e soggettivismo della Scuola Austriaca dell’economia, Rothbard rinnovò in una veste più coerente e radicale la lezione dei liberali classici dell’Ottocento.

    Oggi, anche tu, non esiti a definirti “paleolibertario”. Secondo te, si tratta di una svolta necessaria per uscire dalla marginalizzazione e far breccia nella cultura mainstream, o, come molti lamentano, è solamente una involuzione verso la destra cattolica, conservatrice e financo reazionaria?

    Negli Stati Uniti il “paleolibertarismo” nasce nei primi anni Novanta, quando Rothbard si decide a rompere definitivamente con il Partito Libertario, che aveva contribuito a fondare e per il quale aveva profuso notevoli energie, a causa della forte insofferenza che gli procurava l’atteggiamento “alternativo” e “controculturale” esibito da molti attivisti libertari. Il termine “paleolibertario”, o libertario all’antica, venne coniato da Lew Rockwell, il principale collaboratore di Rothbard negli ultimi anni della sua vita, per evidenziare la continuità con la Old Right di un tempo e per differenziare le proprie posizioni da quelle, giudicate decadenti, edoniste, relativiste e libertine dei left-libertarians (che in Italia potrebbero essere assimilati, per alcuni versi, ai radicali), in uno sforzo di combinare un radicale liberalismo nel campo politico ed economico con un altrettanto deciso tradizionalismo nel campo culturale. Rothbard si era infatti convinto che le libertà americane fossero germogliate non dal relativismo e dal nichilismo degli anni Sessanta, ma dai tradizionali valori giudaico-cristiani, considerati come dei veri e propri prerequisiti sociologici del libertarismo. Non direi quindi che il tradizionalismo culturale dei paleolibertari sia stato un espediente per far breccia nella cultura mainstream: forse si possono attrarre alcune parti del mondo cattolico e conservatore, ma la cultura dominante rimane largamente secolarizzata, relativista e materialista, per cui la battaglia risulta ancora più difficile. Però è assolutamente necessaria: come ha osservato Rothbard, questa guerra culturale ha un’importanza ben maggiore di quella per ridurre le tasse sui guadagni di borsa, perché da essa dipende l’anima e il futuro dell’America (e dell’Occidente).

    La sfida che i paleolibertari si pongono - mi pare di capire - è sul terreno della cultura. E' possibile, a tuo avviso, una seria collaborazione con il mondo cattolico senza cadere in compromessi dannosi per entrambi? Insomma, quali sono i punti in comune e quelli che ancora vi dividono?

    È significativo che Rothbard, libertario ebreo e agnostico, pur senza convertirsi e senza cambiare nessuna delle sue idee politiche sia arrivato al termine del suo percorso intellettuale a considerarsi “un ardente sostenitore del Cristianesimo” e ad aderire ad una visione culturale in senso lato cattolica. Su gran parte delle questioni morali e culturali, soprattutto negli ultimi tempi, egli si trovava molto più vicino ai cattolici che a certe frange libertarie, ad esempio a proposito dell’eutanasia o della presenza dei segni religiosi negli spazi pubblici (anche sull’aborto attenuò la sua posizione pro-choice, pur non abbandonandola). Io credo che il Cattolicesimo possa rinforzare la teoria libertaria fornendogli un sostegno culturale e anche metafisico, dato che l’uomo è per natura un animale religioso che non rinuncerà mai alle domande ultime sul senso della vita. Da parte sua, il libertarismo di scuola austriaca può dare un contributo alla dottrina sociale della Chiesa, rendendola meno vaga e più cosciente del rapporto indissolubile tra libertà economica e dignità umana. Il sistema prasseologico misesiano, che parte da alcuni assiomi empirici autoevidenti e si sviluppa per deduzioni, è molto più compatibile dell’economia neoclassica o positivista con la forma mentis cattolica, presentando forti analogie metodologiche con il sistema della Scolastica di San Tommaso. Non è un caso che qualcuno ha definito il sistema di Rothbard come una “filosofia tomista senza teologia”.

    L'erede intellettuale di Rothbard, Hans-Hermann Hoppe, viene spesso accusato dai left-libertarians di essere razzista e xenofobo; nonché nella sua rivalutazione dei sistemi politici tipici dell'ancien régime viene additato di atteggiamento antimoderno. Che ne pensi?


    Hans-Hermann Hoppe ha sviluppato la teoria libertaria in un libro pieno di idee intelligenti e provocatorie, che possono risultare scandalose per l’opinione comune: Democracy: The God That Failed (in corso di traduzione in Italia da parte della Liberilibri di Macerata, a cura di Alberto Mingardi). Con un taglio revisionista, Hoppe rivaluta alcuni aspetti di moderazione delle monarchie tradizionali rispetto alle democrazie moderne, e indica nello statalismo welfarista il vero distruttore dei legami comunitari e dei valori tradizionali. Un altro aspetto delle tesi di Hoppe, decisamente irritante per il pensiero politicamente corretto, è il suo giudizio favorevole ad ogni forma di secessione che porti a decomposizione gli attuali Stati nazionali. L’utopia sarebbe quella di tornare ad un sistema pluralistico come quello medievale, del quale oggi rimane qualche traccia solo in quelle autentiche reliquie che sono il Principato di Monaco, Andorra, San Marino, il Liechtenstein, i cantoni svizzeri. Dalla moltiplicazioni dei governi deriverebbe una pressione concorrenziale tale da renderli meno esosi e più favorevoli alla libertà individuale, come nel modello “anarco-capitalista”. Invece di usare questa espressione, Hoppe preferisce però definire “ordine naturale” il tipo di società nella quale gli uomini tendono spontaneamente a convivere, quando per qualsiasi motivo è assente un potere politico centralizzatore: in questo modo egli si ricollega idealmente alla filosofia scolastica del Medioevo. Hoppe ha inoltre messo in chiaro che non vi è un collegamento necessario tra l’ideologia libertaria e la libertà d’immigrazione. Anzi, poiché un “ordine naturale” libertario si fonda sulla proprietà privata, l’immigrazione sarebbe possibile solo quando vi è il consenso dei proprietari riceventi (da qui l’assurdità delle accuse di razzismo).

    Se non ho capito male la distanza tra taluni libertari (mi riferisco agli anarchici "paleo") e i vari teorici del liberalismo (in particolar modo di quel liberalismo sceso a patti con la democrazia, così come la intendiamo oggi in Occidente) è più marcata di quanto si pensi: vi è quasi una rottura radicale. In tal senso, come si deve valutare la riscoperta dei pensatori controrivoluzionari ottocenteschi, dei quali anche tu ti stai occupando?


    Sono giunto alla convinzione, leggendo le opere degli autori controrivoluzionari e soprattutto di Carl Ludwig von Haller, che la distanza tra il pensiero libertario e quello liberaldemocratico è forse più ampia di quanto si pensi. Infatti, mentre gli anarco-capitalisti ammirano il pluralismo competitivo medievale e concordano con il realismo della filosofia controrivoluzionaria, i liberaldemocratici sono gli eredi di quel “liberalismo” illuminista e rivoluzionario che, dopo aver contribuito a demolire i retaggi medievali e ad edificare il monopolio legislativo del Leviatano, si sono poi cullati nell’illusione che fosse possibile limitarne il potere mediante artifizi e congegni interni (lo “Stato di diritto”, il costituzionalismo, la divisione dei poteri, le elezioni, la generalità e astrattezza della legge e così via) rivelatisi poi in buona misura inefficaci. Al pari di un grande anarco-individualista come Lysander Spooner, il reazionario von Haller giudicava del tutto assurda l’idea di contratto sociale che tanto piace ai liberaldemocratici: in realtà nessuno l’ha mai firmato, per la semplice ragione che nessuno sarebbe mai così pazzo da firmare, a favore di un gruppo ristretto di uomini, una procura che contempli un “mandato non imperativo” a disporre della propria vita, libertà e proprietà. Le società non sono sorte in un colpo solo con un contratto sociale unico e uguale per tutti, ma gradualmente grazie ad una miriade di contratti tra persona e persona: così si è sviluppata l’Europa durante l’età feudale e comunale, fino ad assumere le fattezze che aveva nell’ancien régime, malgrado il nefasto processo di centralizzazione assolutistica iniziato in età moderna. Anche coloro che non accettano questa visione della storia non possono negare che, secondo ogni standard libertario, le società prerivoluzionarie fossero infinitamente meno statalizzate di quelle venute dopo.

    Parafrasando Albert J. Nock, il nemico "classico" dei libertari è lo Stato: qui varie istanze molto diverse tra loro combattono una battaglia comune. E i Paleo, come te, oltre ai sempiterni Leviatani - a chi lanciano il guanto di sfida?


    I paleolibertari riconoscono che, malgrado la sconfitta finale del comunismo, le società occidentali stanno vivendo un periodo di profonda crisi culturale, che si riflette nel trionfo del nichilismo, cioè nell’abbandono di ogni idea di Verità e di ogni prospettiva trascendente. In base alle filosofie scettiche e relativiste oggi imperanti (diffuse anche all’interno del mondo libertario) non esisterebbe alcun criterio per stabilire se una determinata idea o istituzione sociale sia migliore di un'altra. Di fatto, questa prospettiva finisce per celebrare ogni tipo di “diversità”, anche la più ripugnante, e per respingere come autoritaria, eurocentrica o razzista, la tradizione culturale e religiosa dell’Occidente cristiano: tutte le culture andrebbero protette e preservate (anche quelle degli antropofagi o dei tagliatori di teste…) salvo quella occidentale che merita di estinguersi per le sue supposte colpe passate. Gli intellettuali e gli opinionisti progressisti hanno iniziato da almeno vent’anni a prepararci psicologicamente alla nostra estinzione, convincendoci che la società multietnica e multiculturale rappresenta il nostro radioso futuro. Questo vero e proprio odio di sé che caratterizza l’attuale Occidente si manifesta anche nell’epocale crisi demografica che ha colpito i paesi occidentali negli ultimi decenni, rivelatrice del fatto che gli europei non hanno più alcun desiderio di futuro e di trasmettere ai discendenti la propria cultura. A ciò si aggiunga che l’espansione indiscriminata del welfare state (diritto al consumo per tutti: il tipico frutto della mentalità materialista, edonista e relativista dominante!) ha esautorato completamente le famiglie e i figli dalle tradizionali funzioni previdenziali e assistenziali, rendendoli inutili. Se le cose non cambiano il destino inevitabile è quello segnalato da Patrick Buchanan nel suo libro The Death of the West, le cui proiezioni statistiche nessuno finora ha contestato: l’estinzione demografica dell’Occidente entro la fine del XXI secolo, sommerso da popolazioni più vitali, credenti, motivate e con un’alta stima della propria cultura come quelle islamiche. Non mi pare che gli europei, nella loro intera storia (salvo forse durante la peste nera del Trecento), si siano ritrovati così vicini a fare i conti con la propria scomparsa. Sorprende soprattutto l’indifferenza, la rassegnazione e la stanchezza con cui si accetta di veder scomparire tutta la propria gloriosa eredità culturale e religiosa. Per rispondere quindi alla tua domanda, direi che i paleo lanciano la sfida al nichilismo, al relativismo e al pensiero “debole”, con l’obiettivo (per dirla con Hoppe) di “ridare vita all’Occidente”.

    Un'ultima domanda: vorrei che pensassi ad un aforisma che condensi i tuoi più profondi convincimenti. Grazie.


    “La libertà non è figlia, ma madre dell’ordine”. Sembrerà strano, ma è un aforisma coniato da quell’anarchico socialista famoso per aver definito la proprietà un furto (anche se successivamente cambiò completamente opinione): Pierre-Joseph Proudhon. Contro i pianificatori sociali d’ogni risma, che vogliono convincerci che solo grazie all’ordine da essi instaurato possiamo godere un po’ di libertà, i libertari oppongono il convincimento che l’ordine sociale nasca spontaneamente dalle libere interrelazioni tra gli uomini, e che ogni tentativo di imporre l’ordine dall’alto porta al caos, alla guerra di tutti contro tutti e alla distruzione delle istituzioni della società civile, come le famiglie e le comunità.
    Dato che questa è una Magnum 44, cioè la pistola più precisa del mondo, che con un colpo ti spappolerebbe il cranio, devi decidere se è il caso. Dì, ne vale la pena? ("Dirty" Harry Callahan)

  6. #6
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    Predefinito Rif: Il Paleolibertarismo

    HANS HERMANN HOPPE - DEMOCRAZIA: IL DIO CHE HA FALLITO

    Hoppe, anche se non può fornire risposte definitive, ha l’indubbio merito di avviare una riflessione perché inizia a porre seriamente la questione se si possa fare a meno dello Stato, del potere e della politica, e di come sostituirli.

    di Raimondo Cubeddu

    ilpungolo.com - HANS-HERMANN HOPPE : DEMOCRAZIA: IL DIO CHE HA FALLITO

    Dopo essersi addottorato nella natia Germania con Jürgen Habermas, Hans-Hermann Hoppe si è imbattuto, negli Usa, in Murray N. Rothbard, l’alfiere di quel Libertarianism che ha innestato la teoria delle scienze sociali e dell’azione umana del liberalismo classico di derivazione “austriaca” con la tradizione anarchico-individualistica americana, e la dottrina della Natural Law aristotelica con quella dei Natural Rights lockeana. Dalla rilettura parimenti critica e creativa di tali filoni di pensiero, la tradizione dell’individualismo politico – secondo il quale se la coercizione non è giustificabile da parte dei privati, in quanto lesione dei diritti naturali, essa non può essere giustificata neanche se compiuta dallo Stato – ha ricevuto nuova vita.
    È vero che nell’ambito delle varie componenti del Libertarianism non tutti si richiamano a quella rothbardiana e che molti le sono anche fieramente avversi, ma è ugualmente innegabile che il rilancio di tale corrente della filosofia politica nel XX secolo è strettamente connesso a Rothbard – il quale, insieme ad Ayn Rand, è il nome più noto –, e che tale notorietà è dovuta all’apporto teorico da loro dato al revival di tale tradizione.

    Hoppe, se da una parte può essere visto come l’erede e il continuatore del pensiero di Rothbard, per molti versi ne è anche un innovatore e certamente non può essere visto come un pensatore incline a cercare compromessi teorici, ma come un pensatore che lucidamente rimarca e accentua le differenze. E non soltanto perché si confronta con una crisi della filosofia politica democratica che pure il suo maestro avvertì e denunciò con estrema chiarezza, ma anche perché si cimenta con tutta quella complessa serie di problemi che vanno sotto il nome di globalizzazione, destinati a mutare radicalmente la prospettiva della filosofia politica e della teoria delle istituzioni; e infine perché, talora senza eccessive cautele, apre un confronto, spesso aspramente polemico, con tutte quelle correnti di pensiero politico ed economico che, a loro volta, si richiamano agli ideali dell’individualismo liberale e libertario.

    Il risultato, che in questo volume appare con estrema e forse irritante chiarezza, è di mettere ancor più in discussione non soltanto l’insieme dei presupposti del liberalismo, ma anche quelli della stessa filosofia politica. Già dalla lettura dell’Introduzione ci si avvede infatti di non essere di fronte ad una di quelle opere consolatorie che mirano a rinsaldare convinzioni, ma ad un’opera che mette in discussione certezze e modi di pensare, a partire dagli stessi presupposti del Classical Liberalism contemporaneo, cioè di quello codificatosi nelle opere di Ludwig von Mises e di Friedrich A. von Hayek.

    Di essi, e di quel liberalismo, – con una sorta di impeto demolitore che a chi scrive riporta alla mente il disagio urticante che provò quando, vent’anni addietro, si imbatté nella lettura di Leo Strass – Hoppe, da conoscitore profondo, individua i limiti e soprattutto le implicite e residuali illusioni connesse alla percezione dei limiti di quel compromesso tra diritti individuali e Stato che non si riusciva a superare, o che forse si temeva di realizzare. Anche perché l’esito sarebbe stato immancabilmente quello di rigettare quasi per intero la filosofia politica del moderno liberalismo che aveva creduto nella possibilità di una costituzione che si ponesse come limite invalicabile al dilagare del potere governativo e della democrazia, e che riuscisse a conciliare la libertà individuale con un complesso, sia pure limitato, di scelte collettive.

    A ottant’anni inoltrati, Hayek, nell’Introduzione all’edizione di Law, Legislation and Liberty, del 1982 – che includeva The Political Order of a Free People, del 1979, in cui fa i conti con la teoria politica che ha dominato il XX secolo, cioè quella democrazia che non è riuscita a mantenere le proprie promesse, e della quale tenta in qualche modo di salvare lo spirito vitale – confessava il proprio disagio in termini non dissimili dall’ammissione di un fallimento suo e dell’intero liberalismo:

    Quando Montesquieu e i padri della Costituzione americana formularono esplicitamente l’idea di una costituzione come insieme di limiti all’esercizio del potere, in base ad una concezione che si era sviluppata in Inghilterra, fondarono un modello che, da allora in poi, il costituzionalismo liberale ha sempre seguito. Il loro scopo principale era di provvedere delle garanzie istituzionali per la libertà individuale, e lo strumento in cui riposero la loro fiducia fu quello della separazione dei poteri. Nella forma in cui noi la conosciamo, tale divisione tra il potere legislativo, giudiziario ed esecutivo, non ha raggiunto gli scopi per cui era stata progettata. Dovunque, per via di mezzi costituzionali, i governi hanno ottenuto poteri che quei pensatori non intendevano affidar loro. Il primo tentativo di assicurare la libertà individuale per mezzo di forme costituzionali è evidentemente fallito.

    Al termine di una vita dedicata alla rivalutazione del Classical Liberalism, ad Hayek, come a Bruno Leoni, mancarono il tempo e le energie per rifondarlo. Forse si avvidero che quel compromesso tra libertà individuale e scelte collettive era da abbandonare, ma non riuscirono a farlo. Al di là delle riserve, se si guarda alla storia del liberalismo come ad una tradizione viva e vitale, quel compito è stato assunto da Hoppe. Compito così arduo e impegnativo, che sarebbe ingeneroso soffermarsi soltanto sugli aspetti che del suo titanico progetto possono non convincere. In buona sostanza, va preso atto che quel “primo tentativo” è fallito; e i nomi dei personaggi coinvolti in tale evento danno l’idea immediata, senza bisogno di troppe parole, di quanto possa essere difficile il secondo.

    Si tratta quindi di un’opera che potrebbe essere definita come un susseguirsi di impietose pugnalate alle convinzioni più profonde e care ai liberali contemporanei e che, da questo punto di vista, manifesta il furore iconoclasta del suo autore nel negare ad Hayek un posto tra gli esponenti della Scuola austriaca. E questo non è ancora nulla rispetto a ciò che Hoppe riserva all’intera tradizione della filosofia politica occidentale. Le critiche che ad essa rivolge fanno infatti apparire come paludati eufemismi quelle, già pesantissime, che le aveva riservato Rothbard. Non per nulla, in un volume dedicato al fallimento della democrazia, Mises e Rothbard – gli autori ai quali Hoppe si dichiara più vicino – vengono definiti dei democratici.

    È indubbiamente vero che da secoli i pensatori tedeschi ci hanno abituati a rivoluzioni filosofiche dirompenti, ma per chi abbia a mente le critiche che la Scuola austriaca aveva rivolto alla tradizione filosofica, economica e politica tedesca, suona decisamente inaspettato che oggi sia proprio un pensatore di origine tedesca a portare alle estreme conseguenze speculative e politiche l’eredità ideale della Scuola austriaca. Un rovesciamento di prospettive che si abbatte come un devastante uragano sulla filosofia politica occidentale prendendo di mira proprio quel concetto di democrazia politica che viene quasi unanimamente considerato come il suo frutto migliore ed universale.

    La democrazia, per Hoppe, non è che un dio che ha fallito non soltanto se la si considera dal punto di vista delle promesse teoriche che si sono mostrate irrealizzabili, ma anche se la si guarda dal punto di vista dei suoi risultati storici (la transizione dalla monarchia alla democrazia, ad esempio, viene vista come un caso di declino della civiltà). Si tratta allora di un errore dal quale occorre quanto prima liberarsi non soltanto come ideale politico, ma anche come ideale di vita. Ciò, per Hoppe, comporta il dovere di riconoscere che l’intera tradizione della filosofia politica occidentale è da ripensare non solo perché i suoi risultati sono infausti, ma anche perché le sue premesse teoriche sono sbagliate. Di qui il suo insistere sulla necessità di una teoria a priori, vale a dire di proposizioni che asseriscono qualcosa di valido sulla realtà indipendentemente dal risultato di qualsiasi esperienza presente e futura, e della quale Hoppe fornisce degli esempi.

    In questo modo, con presupposti teorici e con argomentazioni in larga misura originali se non altro nel loro assemblaggio, Hoppe si ricollega a quella tradizione della filosofia politica, certamente minoritaria ma non certo marginale, che si chiede non tanto come giustificare il potere o come effettivamente ridurlo e controllarlo, ma, più radicalmente, se se ne possa fare a meno. La vena utopistica che sembra sorreggerne il pensiero politico diventa più plausibile se si prendono in considerazione le argomentazioni tese a mostrare sia il fallimento della filosofia politica nella sua ricerca di giustificazioni etiche o realistiche del potere, sia quella che appare a Hoppe come la loro insostenibilità teorica che, tuttavia, rende ineludibile la necessità di vagliare alternative allo Stato. Soprattutto se si considera che nessuna forma di Stato (vale a dire di organizzazione fondata essenzialmente sulla tassazione e sulla coercizione) può essere moralmente o economicamente giustificata per il fatto che ogni monopolio è un male per quanti sono costretti ad avvalersi dei suoi servizi.
    Dunque, non la descrizione di un possibile mondo risultante da un processo di perfezionamento e di elevazione etica degli uomini, ma la necessità di ritornare a prendere le mosse dagli enunciati di una prasseologia realistica. La democrazia, da questo punto di vista, altro non sarebbe se non il tentativo, fallimentare, di creare un ordine politico innaturale che si ostina a non prendere atto del fatto che gli individui attribuiscono minor valore ai beni lontani nel tempo rispetto a quelli temporalmente più vicini.

    Una considerazione, quindi, pienamente realistica, che Hoppe deriva dalla Scuola austriaca e che, diversamente dalla quasi totalità dei suoi esponenti, sviluppa senza curarsi di pagare un prezzo alle idee dominanti sulla bontà della democrazia, anche di quella temperata da istituzioni liberali; e nella quale possiamo anche trovare una risposta a quella geniale definizione e denuncia dello Stato fatta da Bastiat quando aveva sostenuto che esso non era altro che «la grande fiction à travers laquelle tout le monde s’efforce de vivre aux dépens de tout le monde». Una definizione tanto spesso citata quanto poco analizzata nella sua capacità esplicativa di mettere in luce l’insanabile irrazionalità che produceva da un lato il dilagare di aspettative individuali e sociali irrealizzabili, e dall’altro i meccanismi decisionali che caratterizzano la teoria democratica dello Stato contemporaneo.

    Ma se a prima vista la credenza che occorra rifare tutto può apparire temeraria, di fronte alle argomentazioni di Hoppe è difficile che un barlume di dubbio non riesca a farsi strada nella mente dei suoi lettori. E questo, anche se certamente quel dubbio non induce a dichiararsi convinti di analisi e di proposte, in fondo non è niente di diverso da quanto il filosofo politico cerca di fare fin dal sorgere stesso della filosofia: insinuare il dubbio sull’esistente, anche quando può risultare urtante ed esporre al ludibrio l’avventato denunciatore.

    Rimangono tuttavia dei problemi di fondo che non è il caso di eludere anche se fanno sorgere dubbi sulla validità di quel Libertarianism a cui Hoppe si ispira e che valuta la realtà sulla base di principî a priori indifferenti alle conseguenze delle loro applicazioni.

    Il primo è che nonostante tutto non si riesce bene a capire come mai un’impresa tanto fallimentare come quella dello Stato moderno non abbia trovato un competitore adeguato nel campo della produzione della sicurezza e della certezza. Dai tempi di Bastiat e di de Molinari i libertari hanno coltivato la speranza che il mercato potesse rivelarsi un produttore di certezza e di sicurezza migliore e meno costoso dello Stato. E tuttavia, sia perché il bisogno di quei beni sorge e si rafforza nei momenti in cui l’incertezza e l’insicurezza si presentano e crescono, sia perché lo Stato è sempre riuscito a far credere (anche se a costi sempre più alti e con una sempre maggiore compressione delle libertà individuali) che non esistono altri modi per produrli, le idee libertarie non sono mai riuscite a conquistare definitivamente le menti dei cittadini. I tentativi del libertarismo di mercato di accreditarsi come un migliore e più tempestivo produttore di certezza e di sicurezza sono pertanto falliti, per lo meno fino ad ora, ed è forse giunto il tempo di chiedersene la ragione.

    Cosa ci possa essere oltre lo Stato, non è però del tutto chiaro. Infatti il mercato, per quanto un ottimo e tempestivo produttore di beni, non è un altrettanto buono e tempestivo produttore di quella certezza e di quella sicurezza di cui si avverte la necessità al pari della soddisfazione di bisogni primari. Inoltre quello del Libertarianism è un mondo senza politica e quindi un mondo incline ad escludere che – quando cresce l’incertezza – i processi sociali debbano essere accelerati in una direzione imprimibile soltanto tramite scelte collettive. La prasseologia realistica è innegabilmente un faro, ma la sua luce non si diffonde in maniera uniforme né contemporanea. In altre parole, dal fatto che non si sia ancora riusciti a trovare di meglio, lo Stato trae un enorme vantaggio.

    Il secondo problema, connesso a quanto finora detto, è che bisogna anche chiedersi perché il potere continui ad avere la meglio sulle libertà individuali. Si potrebbe rispondere osservando che uno dei grandi difetti del liberalismo e del Libertarianism è stato quello di trascurare la realtà e anche la naturale esigenza, se non necessità, di una qualsiasi forma di potere. Ma anche a questo riguardo le tesi e le argomentazioni di Hoppe meritano attenzione.

    Si tratta di interrogativi fatali ai quali è difficile rispondere, ma coi quali bisogna pure confrontarsi. E il libro di Hoppe, anche se da questo punto di vista non può certo fornire risposte definitive, ha l’indubbio merito di avviare una riflessione perché inizia a porre seriamente la questione se si possa fare a meno dello Stato, del potere e della politica, e di come sostituirli. È certamente possibile osservare che il momento storico non è quello più adatto, ma un filosofo che non cercasse di andare oltre il proprio tempo non potrebbe seriamente rivendicare il diritto di definirsi tale e neanche quello di essere preso in considerazione.
    Dato che questa è una Magnum 44, cioè la pistola più precisa del mondo, che con un colpo ti spappolerebbe il cranio, devi decidere se è il caso. Dì, ne vale la pena? ("Dirty" Harry Callahan)

  7. #7
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    Predefinito Rif: Il Paleolibertarismo



    http://passaggioalbosco.blogspot.com/2007/...bertarismo.html

    «Morale tradizionale e libertà economica si rafforzano reciprocamente in una sequenza in cui inizialmente viene posto un rapporto di causalità fra la prima e la seconda, ma in cui successivamente opera un effetto di feedback, con la libertà economica a sua volta utile per rafforzare e consolidare l’ordine morale tradizionale».

    Agile lavoro di 119 pagine, edito da Rubbettino (12 euro), Paleolibertarismo è la monografia dello studioso Piero Vernaglione sulla corrente di pensiero che ha saputo coniugare nel modo più rigoroso libertà economica e cultura conservatrice, con particolare riferimento all’opera di Hans-Hermann Hoppe.

    Brevemente, il libertarismo (o anarco-capitalismo) è la “teoria della giustizia” che promuove una società libera, senza stato, incardinata sulla proprietà privata, gli scambi consensuali e il principio di non aggressione. In particolare, tutti i diritti individuali (oggi inflazionati anche con l’uso di locuzioni quali “diritti umani”, “diritti civili”, etc.) sono concepiti come diritti di proprietà: così, per esempio, “libertà di parola” non può significare pretendere di dire quello che si vuole a casa d’altri.

    La teoria libertaria, specialmente nella sistematizzazione data da Murray N. Rothbard, prevede ed auspica una società senza stato, il Leviatano responsabile dell’aggressione – in primis fiscale – alle proprietà (dunque alle libertà) individuali. In forza di una dottrina coerente, molto articolata ed indubbiamente affascinante, si ritiene che tutte le funzioni oggi svolte dallo stato, comprese l’amministrazione della giustizia e la pubblica sicurezza, in una società libera potrebbero essere realizzate da attori privati.

    Scrive Vernaglione nell’Introduzione: «Il libertarismo è la teoria che, nell’ultimo mezzo secolo, ha rappresentato probabilmente la sfida più seria alla cultura politica dominante». Certamente è la dottrina che ha fornito gli strumenti migliori per riconoscere la “nudità del Re”: i meccanismi violenti, astratti, coercitivi, eversivi, ingiusti del potere statale e della modernità politica. Essendosi sviluppato compiutamente negli Stati Uniti a partire dagli anni Sessanta/Settanta del secolo scorso, il libertarianism fu presto strumentalizzato dai movimenti della contestazione, che hanno avuto gioco facile nel piegare parole e concetti di una rigorosa teoria che esaltava il merito, il mercato, la responsabilità personale, l’impegno serio per raggiungere obiettivi importanti per la propria vita, l’antiegalitarismo etc., per le proprie finalità controculturali, multiculturali, antireligiose, libertine.

    Tale forzatura dei left-libertarian (e del Libertarian Party), che riducono la teoria libertaria ad un socialisteggiante e generalizzato antiproibizionismo e alla rivendicazione di sempre “nuovi diritti”, e la società libertaria a una specie di eterno droga party della felicità che libera l’uomo dal lavoro per consegnarlo al paradiso dell’irresponsabilità, ha avuto il merito di provocare, a partire dagli anni Ottanta, un maggior approfondimento del libertarismo, che in quanto teoria della giustizia si era fino ad allora concentrato principalmente sull’analisi delle distorsioni del potere politico, ignorando aspetti culturali decisivi nella promozione di una società libera.

    Lo stesso Rothbard fu protagonista di questo lavoro, ma il termine “paleolibertarismo” fu coniato negli anni Novanta da Llewellyn H. Rockwell jr: «Noi dobbiamo disfarci dell’impalcatura culturale difettosa del libertarismo. Io suggerisco di chiamare questo sostituto, con i suoi principi etici e culturali, “paleolibertarismo”, cioè vecchio libertarismo. Io uso il termine nello stesso modo in cui i conservatori usano il termine “paleoconservatorismo”: non come un nuovo credo, ma come un recupero delle proprie radici, in modo da distinguersi dai neoconservatori. Noi non abbiamo un equivalente dei neoconservatori, ma è opportuno e urgente distinguere il libertarismo dal libertinismo».

    Ne “Il Manifesto del paleolibertarismo”, scrive sempre Rockwell: «I conservatori hanno sempre sostenuto, con ragione, che la libertà politica è una condizione necessaria ma non sufficiente per avere una buona società. La libertà politica non è sufficiente neanche per avere una società libera. Abbiamo bisogno anche di istituzioni sociali e standard morali che incoraggino le virtù pubbliche, e proteggano l’individuo dallo stato. Sfortunatamente molti libertari – specialmente quelli del Libertarian Party – vedono la libertà come una condizione necessaria e sufficiente per tutti gli scopi. Ancora peggio, costoro assimilano la libertà dall’oppressione statale alla libertà dalle norme culturali, dalla religione, dalla morale borghese, e dall’autorità sociale. Nei suoi 17 anni di storia, il Libertarian Party non ha mai raggiunto l’uno percento in un’elezione nazionale, ma ha rovinato la più gloriosa idea politica della storia umana confondendolo col libertinismo. Per amore di quel glorioso ideale, è venuta l’ora di dargli una bella ripulita».

    Questa naturale simpatia tra (paleo)libertarismo e ideali conservatori, che riflette al meglio le radici della storia politica americana, portò Rothbard all’inizio degli anni Novanta a sostenere, nello scandalo dei left-libertarian, la destra religiosa americana. Anche Rockwell ed altri libertari proposero alleanze con i “paleoconservatori”, di Pat Buchanan. Il “dialogo” fu poi in gran parte interrotto, per la morte di Rothbard e le puntualizzazioni di Hans-Hermann Hoppe (si veda l’articolo: «L’incoerenza intellettuale del conservatorismo», ripreso anche da Enclave. Rivista libertaria, nr. 35, marzo 2007).

    I paleolibertari osteggiano sia il conservatorismo politico, definito come la pretesa di coniugare conservatorismo culturale e welfare state, sia le posizioni left-libertarian o “modal libertarian”, che confondono la lotta allo stato con l’attacco alla famiglia, all’autorità, alla religione (i paleolibertari sono convinti che la culla della società libera sia da rintracciare nella tradizione ebraico-cristiana), alle gerarchie spontanee di un ordine naturale e di una società di mercato.

    Da una parte, infatti, si ritiene che ogni buon conservatore deve essere nemico dello stato, la cui storia e le cui crescenti articolazioni hanno scardinato le istituzioni tradizionali delle libere società occidentali, innescando quello che Hoppe definisce processo di decivilizzazione. Lo stato infatti erode le libertà individuali e dei corpi intermedi, mirando a costruirsi un unico interlocutore: il cittadino/suddito/elettore/consumatore: «Lo stato, per imporre il proprio ruolo di giudice ultimo, deve eliminare tutte le giurisdizioni e tutti i giudici indipendenti, e questo richiede l’erosione o anche la distruzione dell’autorità dei capi delle famiglie, delle comunità e delle chiese. E’ questa la ragione principale della maggior parte delle politiche statali. L’istruzione pubblica e l’assistenza servono a questo scopo distruttivo, e così anche la promozione del femminismo, delle politiche di non-discriminazione, della politica delle quote, del relativismo e del multiculturalismo. Tutto ciò mina la famiglia, la comunità e la chiesa. “Libera” l’individuo dalla disciplina verso queste istituzioni, per renderlo “uguale”, isolato, indifeso e debole di fronte allo stato» (H.-H. Hoppe, Reviving the West).

    Così, per esempio, i mastodontici sistemi obbligatori di previdenza e assistenza pubblica, pervertono le relazioni naturali tra padri e figli, rimuovono l’importanza naturale delle relazioni famigliari, attaccano alla radice i principi della responsabilità personale e del risparmio, promuovendo comportamenti economici e sociali irrazionali: «Sollevando gli individui dall’obbligo di provvedere personalmente al reddito, alla propria salute, alla propria sicurezza economica, alla propria vecchiaia e all’istruzione dei propri figli, l’“assicurazione” statale obbligatoria rappresenta un attacco sistematico alla responsabilità personale e a istituzioni come la famiglia, la parentela, la comunità locale e la chiesa. La dimensione e le prospettive della fornitura privata di queste attività vengono ridotte, e diminuisce così l’importanza della famiglia, delle relazioni di parentela, dei figli, della comunità e della chiesa» (Ivi).

    Dall’altra parte, il paleolibertarismo, non solo ritiene che la diffusione della libertà individuale non porterebbe al trionfo dell’egoismo, bensì afferma con decisione l’incompatibilità di una società libera con la diffusione di culture edoniste, relativiste, nichiliste, pensieri deboli, comportamenti antisociali (per esempio il consumo di droghe), multiculturalismo, egualitarismo, etc. Il costo individuale dei comportamenti devianti, per esempio, venendo meno i programmi assistenzialisti, sarebbe interamente sopportato dagli stessi soggetti antisociali, rendendoli del tutto marginali (la carità privata riacquisterebbe finalmente il suo glorioso e perduto ruolo, con l’attenzione all’efficienza e al merito personale che ha sempre avuto). L’ordine naturale di un mondo senza stato si costituisce di autorità sociali liberamente riconosciute, capaci di garantirne il funzionamento e la preservazione dall’aggressione della politica. La rimozione di tali legami sociali segna la sconfitta della società libera.

    Sulla famiglia, scrive per esempio Rockwell: «La famiglia tradizionale, prodotto della legge naturale, è l’unità di base di una società civile e libera. La famiglia promuove i valori necessari alla preservazione di una società libera come l’amore coniugale, l’autodisciplina, la pazienza, la cooperazione, il rispetto per gli anziani, e l’autosacrificio. Le famiglie incoraggiano il comportamento morale e forniscono ai figli l’educazione appropriata, permettendo così la continuazione della specie. Chesterton disse che la famiglia “potrebbe essere approssimativamente definita anarchica”, dato che le origini della sua autorità sono puramente volontarie; lo stato non l’ha inventata e non può abolirla».

    Mi sembra che Piero Vernaglione centri bene il cuore del pensiero paleolibertario (di cui altri punti importanti sono il rifiuto totale dell’interventismo militare, e la condanna decisa di ogni compromesso “neolibertario” con la politica), con queste parole: «Morale tradizionale e libertà economica si rafforzano reciprocamente in una sequenza in cui inizialmente viene posto un rapporto di causalità fra la prima e la seconda, ma in cui successivamente opera un effetto di feedback, con la libertà economica a sua volta utile per rafforzare e consolidare l’ordine morale tradizionale». La proposta paleolibertaria è di uscire dalla prigione statalista per l’unica via possibile: quella del circolo virtuoso tra libertà economica e cultura conservatrice.
    Dato che questa è una Magnum 44, cioè la pistola più precisa del mondo, che con un colpo ti spappolerebbe il cranio, devi decidere se è il caso. Dì, ne vale la pena? ("Dirty" Harry Callahan)

  8. #8
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  9. #9
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    Predefinito Rif: Il Paleolibertarismo

    Ho messo il link sopra solo perche' li' ,in quella pagina di thread,c'e' l'articolo su La Vecchia Destra,che avevo tradotto circa 5 anni fa.
    Riportato da Teo che deve averlo ritrovato da qualche parte o lo aveva conservata e va ringraziato per questo.
    Liberamente lo aveva gia' messo sul forum conservatori di POL di qualche anno fa ,pensando,come me,che alcuni conservatori ,sotto la pressione culturale neo-con,avessero un problema,un profondo limite,quello di non conoscere a fondo la propria storia.
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  10. #10
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    Predefinito Rif: Il Paleolibertarismo

    Citazione Originariamente Scritto da Steppenwolf Visualizza Messaggio
    Ho messo il link sopra solo perche' li' ,in quella pagina di thread,c'e' l'articolo su La Vecchia Destra,che avevo tradotto circa 5 anni fa.
    Riportato da Teo che deve averlo ritrovato da qualche parte o lo aveva conservata e va ringraziato per questo.
    Liberamente lo aveva gia' messo sul forum conservatori di POL di qualche anno fa ,pensando,come me,che alcuni conservatori ,sotto la pressione culturale neo-con,avessero un problema,un profondo limite,quello di non conoscere a fondo la propria storia.
    Ti ringrazio. Adesso l'articolo ha un suo thread autonomo:

    http://forum.politicainrete.net/righ...ma-destra.html
    SADNESS IS REBELLION

 

 
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