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  1. #41
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    Predefinito Rif: Benedetto Della Vedova, n.1 dei liberali italiani

    06.01.10
    Se Rutelli riscopre la laicità…

    di Benedetto Della Vedova da Il Secolo d’Italia del 6 gennaio 2009 -

    Nella sua intervista di ieri al Giornale di Vittorio Feltri, Francesco Rutelli parla di islam e immigrazione, criticando la sinistra e Gianfranco Fini e riscoprendo il valore della laicità grazie all’etsi Deus non daretur di Ugo Grozio, filosofo assai caro a Umberto Bossi, che pure lo citava abbondantemente nelle sue aspre polemiche antipapiste di qualche anno fa.

    Per parte mia, sono d’accordo che – anche, ma non solo, rispetto al problema islamico – occorra partire da Grozio e dalla sapiente separazione tra religione e politica, grazie a cui l’Europa ha potuto superare le guerre di religione. 


    Leggendo la bella intervista di Laura Cesaretti, però, è chiaro ciò a cui Rutelli si oppone (la legge sulla cittadinanza Sarubbi-Granata, innanzitutto), ma non lo è altrettanto ciò che in positivo propone. L’idea di ancorare il percorso della cittadinanza ad una sorta di “patente a punti” (dove, però, i punti si perdono e non si acquisiscono, che è cosa assai diversa) potrebbe non divergere troppo dai meccanismi di verifica e di sanzione dell’integrazione degli immigrati, che tutti ritengano necessari ai fini del riconoscimento della cittadinanza.

    E sul resto, cosa chiede Rutelli di alternativo, essendo chiaro che non condivide, neppure velatamente, i propositi autolesionisti e velleitari di de-islamizzazione dell’Europa, su cui si esercitano, anche nel nostro paese, i parolai della destra xenofoba e anti-europea?

    Anche le comunità islamiche europee sono attraversate dalla tentazione del separatismo civile e della violenza religiosa. Ed è chiaro che oggi, come nei secoli passati, il problema dell’integrazione degli islamici e della convivenza con l’Islam all’interno di società multi-religiose si presenta arduo. Questo problema, che qualcuno ritiene irrisolvibile, è però inevitabile. E l’Italia non può realisticamente pensare di “rispedirlo” al di là del Mediterraneo. In futuro, non saranno comunque di meno, o sempre più vicini allo zero, gli islamici che calcheranno il suolo europeo. Saranno di più, molti di più, a decine e decine di milioni. Quindi, o vinciamo la sfida dell’integrazione, o perdiamo quella della convivenza. Tertium non datur.

    Da questo punto di vista, il pessimismo millenarista del professor Sartori sull’immigrazione islamica non aiuta granché il decisore politico, così come non lo soccorre il catastrofismo ambientale e demografico, che ha portato il politologo fiorentino a sposare tesi anti-sviluppiste e anti-nataliste.

    Per tornare a Rutelli, penso che il leader di Alleanza per l’Italia non faccia un errore, ma un falso, quando presenta come apertura al multiculturalismo la proposta di rendere più ragionevoli le regole per la cittadinanza, in particolare per coloro che nascono o crescono nel nostro paese. L’ancoraggio dell’integrazione alla lealtà costituzionale è l’esatto contrario di una tolleranza slabbrata e inerte verso fenomeni striscianti di “secessione” di immigrati o di gruppi islamici. La cittadinanza è l’accettazione e l’impegno al rispetto di valori repubblicani, che non conoscono zone franche di alcun tipo, né comunitarie né familiare.

    Il Sì alla cittadinanza è l’altra faccia della medaglia che reca, a caratteri cubitali, il no (anche per legge) al burqa come strumento inaccettabile di segregazione ed autosegregazione delle donne. E il Sì alle moschee – cosa sulla quale Rutelli, pur con una qualche reticenza, sembra concordare – è pronunciato per rispetto della libertà religiosa, non per indulgenza verso il fanatismo islamico, essendo peraltro chiaro che solo se si autorizzeranno moschee “ufficiali” l’Islam italiano avrà alternative visibili ai luoghi di culto semiclandestini e paracriminali, che invece i veti leghisti finiscono per rafforzare. 
La “convivenza repubblicana” è insomma l’opposto del “multiculturalismo”, che nelle esperienze europee più fallimentari è diventato un “multi-comunitarismo”, in cui si è concesso a gruppi sempre più estesi di vivere secondo regole diverse e contrastanti con quelle sancite dalla costituzione e dalle leggi dello stato.

    Quanti hanno aperto la discussione sulla cittadinanza cercano di impedire che l’immigrazione diventi una bolla destinata ad esplodere tra un paio di lustri, esattamente come accadde per il debito pubblico, la cui crescita fu per anni trascurata da politici troppo attenti al consenso immediato per comprendere che il bene del Paese richiedeva scelte coraggiose e lungimiranti. 
Anche sul tema dell’immigrazione, dal nuovo corso di Francesco Rutelli – alla cui evoluzione politica abbiamo sempre guardato con interesse, rispetto e non poco apprezzamento anche da avversari – ci aspettiamo sicuramente di più, nel costruire un futuro che non inizia né finisce con le regionali di primavera.

  2. #42
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    Predefinito Rif: Benedetto Della Vedova, n.1 dei liberali italiani

    07.01.10
    Tasse: Della Vedova, Il taglio delle tasse non è un rischio, ma una necessità

    Dichiarazione di Benedetto Della Vedova, deputato del Pdl:

    L’Italia non ha solo bisogno di una riforma del sistema fiscale, ma, innanzitutto, di una minore pressione fiscale. Non penso che questo problema possa essere a lungo accantonato, senza pregiudicare il dinamismo economico di un paese, che, negli ultimi anni, quando è cresciuto, lo ha fatto in misura inferiore a quella dei concorrenti europei, perché gravato da un mercato del lavoro disuguale, da un welfare inefficiente e da un potentissimo disincentivo fiscale al lavoro e all’investimento produttivo.

    Non si tratta di fare rivoluzioni o fughe in avanti, ma di iniziare a tagliare le tasse e la spesa pubblica. E, come scritto nel programma del PdL, ad aggredire il debito pubblico con un piano di valorizzazione e di cessione dell’attivo dello Stato.

    Nel cantiere delle riforme, affrontare la questione fiscale non è un rischio, ma una necessità.






    09.01.10
    Immigrati: Della Vedova, a Rosarno non è solo l'immigrazione , ma l'Italia ad essere illegale

    Dichiarazione di Benedetto Della Vedova, deputato del Pdl

    A Rosarno non è solo l’immigrazione, ma l’Italia a essere illegale. I fatti di Rosarno parlano di una schiavitù tollerata e visibile, dello sfruttamento criminale del lavoro da parte della criminalità organizzata, padrona delle istituzioni locali e dell’economia legale, di una situazione di degrado e di vera e propria schiavitù documentata, per anni, da organizzazioni umanitarie come Médecins Sans Frontières e testate giornalistiche nazionali e internazionali, a partire dalla BBC.

    Gli africani di Rosarno sono lavoratori, irregolari ma lavoratori. Se vogliamo le buone arance di Calabria allora dobbiamo trovare il modo di assicurare che la manodopera, pur a basso costo, sia fatta di lavoratori regolari e non di schiavi, sapendo che, in ogni caso, saranno per la gran parte stranieri.
    Il meno che si possa dire, dunque, è che sono del tutto pretestuose e strumentali le polemiche sulla cittadinanza per gli stranieri o sulla necessità (che è reale) di adeguare gli ingressi di lavoratori immigrati alle esigenze del sistema produttivo italiano.





    09.01.10
    Tasse: Della Vedova, Berlusconi lungimirante, riforma prioritaria

    Dichiarazione di Benedetto Della Vedova, deputato del PdL:

    Per ritrovare la via della crescita, dopo la crisi ma soprattutto dopo quindici anni di stagnazione, l’Italia ha bisogno di una robusta riduzione del carico fiscale, per eliminare un potente disincentivo al lavoro e all’investimento.

    E’ quindi molto positivo e lungimirante che Silvio Berlusconi abbia annunciato l’impegno del Governo ad un piano di riforma fiscale che possa portare alle due aliquote Irpef del 23 e del 33 per cento, come già prevedeva la riforma Tremonti del 2003. Questo può e deve essere l’obiettivo di questa legislatura, e bene ha fatto il premier a indicare la riforma fiscale come quella prioritaria.

    Abbattere la pressione fiscale senza danneggiare la tenuta dei conti dello Stato è possibile, perché nel bilancio pubblico vi sono i margini per una riduzione strutturale della spesa e perché – come prevede il programma elettorale del PdL – a questo si può accompagnare un piano di abbattimento del debito pubblico attraverso la valorizzazione e la collocazione sul mercato di una quota importante di patrimonio pubblico

  3. #43
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    Predefinito Rif: Benedetto Della Vedova, n.1 dei liberali italiani

    ‘L’anno che vorrei…’ – Una discussione sui dati di fatto. E un PdL più liberale

    di Benedetto Della Vedova per Libertiamo.it

    Anno nuovo, vita nuova! Politicamente parlando, s’intende, questo è lo scontato augurio che rivolgo all’Italia e ai lettori di Libertiamo.it (a proposito: complimenti al direttore, alla redazione e a tutti quanti hanno scritto e lavorato per il webmagazine, il cui successo nel 2009 è andato ben oltre le previsioni).


    Mi piacerebbe che si tentasse di ancorare la discussione pubblica ai dati di fatto, almeno un poco più di quanto non accada oggi. La tragedia di Rosarno, ad esempio. Cosa c’entrano il buonismo o la proposta di riformare la cittadinanza con quello che è accaduto? Chi sono stati i “troppo buoni”? Gli imprenditori agricoli che pagavano 25 euro al giorno i neri per raccogliere le arance? Le autorità che hanno chiuso gli occhi? Il problema serio è che quei clandestini stavano in Calabria per lavorare garantendo la sopravvivenza di un pezzo di economia italiana. Da qui nasce un dilemma: o si trova la via di una regolarizzazione di questi stranieri o si rinuncia agli aranceti. L’unica alternativa è quella di oggi, fatta di illegalità e quindi di clandestinità.
    Ma la vita nuova dobbiamo augurarla soprattutto al nostro partito, il PdL. E, anche qui, se si ancorasse la discussione interna ai dati di realtà forse le cose si incamminerebbero per il verso giusto. Il processo a Gianfranco Fini che ha caratterizzato la seconda metà dell’anno passato è sconfinato nel grottesco.

    Al di là dei personalismi, che pure ovviamente pesano, il punto politico è il giudizio nettamente negativo che in molti dentro il partito danno delle posizioni dell’ex leader di AN su bioetica e immigrazione. Ne abbiamo scritto e discusso su queste pagine, ma se continuerà l’ostilità dentro il PdL nei confronti delle posizioni più liberali il problema sarà forse dei “dissidenti” nel 2010, ma diventerà inevitabilmente del partito in futuro.
    Dalle regionali rischia di uscire un PdL elettoralmente ridimensionato al nord, il cuore del paese, rispetto alla Lega di Bossi. Se questo accadrà, bisognerà cominciare a discutere di quanto giovi al partito di Berlusconi subire l’offensiva politica dell’alleato sulle questioni rilevanti della sicurezza e dell’immigrazione, così come sulla difesa dei “valori tradizionali”. Qualcuno si affretterà a dire che il travaso di voti verso la Lega bisognerebbe imputarlo a coloro che hanno preso posizioni meno popolari di quelle leghiste, ma l’argomentazione non regge, visto che la maggioranza del partito si è sempre affrettata a sconfessarle come minoritarie. Se, pur differenziando un poco il tono, si suona la musica leghista, si spingono gli elettori direttamente nelle braccia di Bossi.

    Io penso che l’opinione pubblica oggi berlusconiana abbia – come quella che vota centrodestra in tutta Europa – uno sprint riformatore e liberale assai maggiore di quello attualmente in dotazione al PdL e che su questo si debba lavorare.
    Resta però da dire, in conclusione, che il 2010 si apre sotto il migliore degli auspici liberali: la (rinnovata) promessa della diminuzione delle tasse. Se il Berlusconi del nuovo anno mostrerà di voler finalmente giocare fino in fondo la partita fiscale, forse rinuncerà ad un po’ di amore gratuito, ma guadagnerà il sostegno di tanti tartassati leali alle leggi e alla Repubblica.

  4. #44
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    Predefinito Rif: Benedetto Della Vedova, n.1 dei liberali italiani

    11.01.10
    Fisco: Della Vedova, Epifani accetti la sfida

    Dichiarazione di Benedetto Della Vedova, deputato del PdL:

    L’obiettivo di una seria riforma del fisco deve essere quello di favorire l’offerta di lavoro e gli investimenti, di incentivare la creazione e la diffusione della ricchezza. Non ci si può limitare, come fa il leader della Cgil Guglielmo Epifani, ad una spartizione della miseria, come purtroppo avverrebbe se la riforma si riducesse ad uno sconto fiscale in busta-paga.

    La questione salariale è un problema importante dell’economia italiana, da affrontare anche attraverso il decentramento della contrattazione, di cui la riforma fiscale non può essere un surrogato.

    Il sindacato accetti di superare la logica antistorica della contrapposizione tra ricchi e poveri, tra dipendenti ed autonomi, ed accetti che una profonda riduzione delle tasse – ai redditi medio-bassi, ma anche a quelli alti – può restituire all’economia italiana il dinamismo e la crescita di cui ha bisogno”.

  5. #45
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    Predefinito Rif: Benedetto Della Vedova, n.1 dei liberali italiani

    Citazione Originariamente Scritto da Carmine Visualizza Messaggio
    11.01.10
    Fisco: Della Vedova, Epifani accetti la sfida

    Dichiarazione di Benedetto Della Vedova, deputato del PdL:

    L’obiettivo di una seria riforma del fisco deve essere quello di favorire l’offerta di lavoro e gli investimenti, di incentivare la creazione e la diffusione della ricchezza. Non ci si può limitare, come fa il leader della Cgil Guglielmo Epifani, ad una spartizione della miseria, come purtroppo avverrebbe se la riforma si riducesse ad uno sconto fiscale in busta-paga.

    La questione salariale è un problema importante dell’economia italiana, da affrontare anche attraverso il decentramento della contrattazione, di cui la riforma fiscale non può essere un surrogato.

    Il sindacato accetti di superare la logica antistorica della contrapposizione tra ricchi e poveri, tra dipendenti ed autonomi, ed accetti che una profonda riduzione delle tasse – ai redditi medio-bassi, ma anche a quelli alti – può restituire all’economia italiana il dinamismo e la crescita di cui ha bisogno”.
    Fatti vedere più spesso.

  6. #46
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    Predefinito Rif: Benedetto Della Vedova, n.1 dei liberali italiani

    Ridurre le tasse si può e si deve
    Inserito il 20 gennaio 2010
    Ridurre le tasse si può e si deve|Libertiamo.it
    Ridurre le tasse si può e si deve

    di Benedetto Della Vedova da l'Occidentale

    Il Ministro Tremonti, nell’intervista al Sole24Ore di domenica scorsa, ha ribadito che quella fiscale è “la riforma delle riforme” e che il tempo per farle inizierà dopo le regionali. Forse era meglio dirlo subito, evitando il fraintendimento su tempi più accelerati evocati dal Presidente del Consiglio. Ma tant’è: la questione resta centrale e ulteriori rinvii minerebbero la credibilità del PdL (a tutto vantaggio dell’alleato/competitore leghista).

    Il punto è questo: una semplificazione ed una drastica riduzione del numero e del livello delle aliquote della tassazione del reddito è considerata una scelta strategica per accompagnare l’Italia fuori dalla crisi e ridare slancio all’economia? Se sì, si tratta di lavorarci come ad una vera priorità, anche prendendo qualche rischio, abbandonando la strada dei “correttivi”.

    L’obiettivo della tenuta dei conti pubblici non è in discussione, naturalmente, ma di per sé non può esaurire l’orizzonte della politica economica e fiscale. Come prevedibile, la crisi non ha avuto alcun nuovo effetto palingenetico, e le grandi questioni della crescita e della competitività si ripropongono per il nostro paese esattamente come negli ultimi quindici anni: se non si è competitivi non si cresce, se non si cresce non si crea occupazione e non si produce nuovo gettito fiscale.

    Prima di tutto si deve procedere ad una drastica semplificazione del sistema tributario. Oggi le norme sono costruite al fine di tentare di impedire gli abusi, cioè l’elusione e l’evasione fiscale. Il fine non viene raggiunto e nel frattempo si finisce per rendere letteralmente impossibile la vita dei contribuenti leali.

    Penso che si debba ribaltare l’impostazione: il fisco va disegnato per essere amichevole nei confronti di chi paga. Chi non paga va sanzionato in altro modo, possibilmente più efficace. Lo spostamento dell’imposizione dalle “persone cose”, ergo dal lavoro al consumo, potrebbe servire anche in questa direzione.

    Si è detto spesso, al di là di ogni discussione sulla curva di Laffer, che aliquote e modalità di pagamento delle imposte più ragionevoli sono il primo passo per rendere credibile la lotta all’evasione fiscale: se ci si crede fino in fondo bisogna procedere senza indugi, giacché un’evasione fiscale così diffusa rappresenta un elemento di corruzione non solo dell’economia nazionale ma anche del tessuto civile ed istituzionale.

    In questi giorni in molti hanno sottolineato come in Germania i sondaggi mostrino un’opinione pubblica restia ad appoggiare riduzioni fiscali perché spaventata da possibili tagli allo stato sociale. Un segnale importante, ma che dice poco sul nostro paese, giacché le condizioni di partenza sono completamente diverse. In Germania la pressione fiscale negli ultimi lustri anni è diminuita ed è attualmente inferiore a quella italiana che invece nel frattempo è aumentata; la percezione dell’efficacia della spesa pubblica per i tedeschi è, a ragione, decisamente migliore di quella che hanno i contribuenti italiani della spesa pubblica nostrana; il livello di evasione fiscale è in Germania più basso che da noi. Ciò non di meno, alle ultime elezioni il successo del centrodestra tedesco è stato assicurato dalla vittoria dei liberali “antitasse”.

    Da ultimo i conti pubblici e il problema del debito. Nel programma del PdL (scritto, come è stato ripetuto, nella consapevolezza della crisi) è previsto un piano di aggressione del debito pubblico per via patrimoniale e non reddituale (cioè senza considerare diminuzioni di spesa e avanzi di bilancio), cioè con un grande piano di valorizzazione e alienazione di una parte del patrimonio pubblico: questa è la strada per rendere ancor più credibile, anche nel breve periodo, una grande riforma fiscale, mettendola al riparo da eventuali momentanei cali nel gettito.

    Un lavoratore dipendente che paghi tutte le tasse, non solo quelle sul reddito, oggi lascia allo Stato almeno due terzi del suo costo aziendale (compresi naturalmente i contributi previdenziali, la cui gestione rientra di fatto nella sovranità di Governo e parlamento). E’ troppo, e non solo in considerazione di cosa i contribuenti ottengono in cambio.

    Se qualcuno ha altre ricette si faccia avanti, ma resto convinto che ridurre le tasse si può, ma soprattutto si deve: per amore dell’Italia libera e del suo futuro.

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    Benedetto Della Vedova

  7. #47
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    Libertando ho letto il tuo pvt, occupati pure tu di questo thread, buon lavoro

  8. #48
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    Provvedo volentieri.

  9. #49
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    Predefinito Rif: Benedetto Della Vedova, n.1 dei liberali italiani

    Nel PdL è centrale la leadership e occorre parlarne anche al futuro
    Inserito il 01 febbraio 2010
    Nel PdL è centrale la leadership e occorre parlarne anche al futuro|Libertiamo.it
    Nel PdL è centrale la leadership e occorre parlarne anche al futuro

    Penso che Sandro Bondi, nel suo intervento pubblicato mercoledì scorso sul Giornale, abbia detto una cosa sacrosanta: è necessario legare il futuro del Pdl ad una leadership forte, valorizzando il contributo e la forza di novità che Berlusconi ha portato nella politica italiana.

    Condivido con Bondi la convinzione che il successo della nostra scommessa dipenda dalla capacità di consolidare il quadro bipolare: il solo che consenta e di fatto imponga, nei due versanti del sistema politico, l’esistenza di grandi country party animati dall’ambizione di rappresentare, in modo inclusivo, il complesso della società italiana e non invece, in modo divisivo, specifiche “nicchie di interesse” culturale, economico e civile. La debolezza del Pd e lo smottamento elettorale democratico verso le posizioni “resistenziali” suggerite dall’alleato dipietrista assegnano, da questo punto di vista, al PdL una responsabilità ancora più forte.

    Rispetto al problema della leadership, l’alternativa che il Pdl ha dinanzi non è quella tra il berlusconismo e l’anti-berlusconismo, ma tra i diversi modelli di “funzionamento” che dovranno supportare la vita politica del partito nel futuro post-berlusconiano del Paese. La scommessa del PdL, come hanno sottolineato da tempo numerosi analisti, non è dissimile da quella che vide impegnata la Francia gollista in vista del dopo-De Gaulle. Dopo avere vissuto la straordinarietà di una leadership fondativa, il PdL deve organizzare il passaggio alla normalità, che non significa affatto il “ritorno al passato”. Da partito “prodotto” da una leadership eccezionale, deve divenire partito capace di “produrre” una leadership riconoscibile e riconosciuta da parte di un popolo che, nei suoi caratteri politici di fondo, continuerà ad esistere ben oltre il termine di questa legislatura.

    Da questo punto di vista, il PdL sarà destinato a divenire un partito più simile alle grandi forze politiche del PPE, ma non per questo più scialbo e incolore di oggi. Il modello dovrà essere quello della CDU della Merkel, e dell’UMP di Sarkozy (o, per altro verso, dei Conservatori inglesi di Cameron), leader vincenti prodotti da partiti vitali, capaci di grandi scontri e di grandi compromessi, di grande senso della tradizione e di forte capacità di innovazione.

    Questo sforzo comporterà un cambiamento delle modalità di funzionamento e del profilo ideale e politico del PdL? E’ probabile e anche auspicabile. La scommessa del PdL si può perdere nel giro di poco tempo (la vicenda del Pd, da questo punto di vista, è un monito da tenere a mente). Ma si potrà vincere solo nel giro di qualche lustro, ed è questo l’orizzonte a cui la sua classe dirigente deve guardare.

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    Benedetto Della Vedova

  10. #50
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    Predefinito Rif: Benedetto Della Vedova, n.1 dei liberali italiani

    Nel PdL è centrale la leadership e occorre parlarne anche al futuro
    Inserito il 01 febbraio 2010
    Nel PdL è centrale la leadership e occorre parlarne anche al futuro|Libertiamo.it
    Nel PdL è centrale la leadership e occorre parlarne anche al futuro

    Penso che Sandro Bondi, nel suo intervento pubblicato mercoledì scorso sul Giornale, abbia detto una cosa sacrosanta: è necessario legare il futuro del Pdl ad una leadership forte, valorizzando il contributo e la forza di novità che Berlusconi ha portato nella politica italiana.

    Condivido con Bondi la convinzione che il successo della nostra scommessa dipenda dalla capacità di consolidare il quadro bipolare: il solo che consenta e di fatto imponga, nei due versanti del sistema politico, l’esistenza di grandi country party animati dall’ambizione di rappresentare, in modo inclusivo, il complesso della società italiana e non invece, in modo divisivo, specifiche “nicchie di interesse” culturale, economico e civile. La debolezza del Pd e lo smottamento elettorale democratico verso le posizioni “resistenziali” suggerite dall’alleato dipietrista assegnano, da questo punto di vista, al PdL una responsabilità ancora più forte.

    Rispetto al problema della leadership, l’alternativa che il Pdl ha dinanzi non è quella tra il berlusconismo e l’anti-berlusconismo, ma tra i diversi modelli di “funzionamento” che dovranno supportare la vita politica del partito nel futuro post-berlusconiano del Paese. La scommessa del PdL, come hanno sottolineato da tempo numerosi analisti, non è dissimile da quella che vide impegnata la Francia gollista in vista del dopo-De Gaulle. Dopo avere vissuto la straordinarietà di una leadership fondativa, il PdL deve organizzare il passaggio alla normalità, che non significa affatto il “ritorno al passato”. Da partito “prodotto” da una leadership eccezionale, deve divenire partito capace di “produrre” una leadership riconoscibile e riconosciuta da parte di un popolo che, nei suoi caratteri politici di fondo, continuerà ad esistere ben oltre il termine di questa legislatura.

    Da questo punto di vista, il PdL sarà destinato a divenire un partito più simile alle grandi forze politiche del PPE, ma non per questo più scialbo e incolore di oggi. Il modello dovrà essere quello della CDU della Merkel, e dell’UMP di Sarkozy (o, per altro verso, dei Conservatori inglesi di Cameron), leader vincenti prodotti da partiti vitali, capaci di grandi scontri e di grandi compromessi, di grande senso della tradizione e di forte capacità di innovazione.

    Questo sforzo comporterà un cambiamento delle modalità di funzionamento e del profilo ideale e politico del PdL? E’ probabile e anche auspicabile. La scommessa del PdL si può perdere nel giro di poco tempo (la vicenda del Pd, da questo punto di vista, è un monito da tenere a mente). Ma si potrà vincere solo nel giro di qualche lustro, ed è questo l’orizzonte a cui la sua classe dirigente deve guardare.

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