LA BUFALA DEL TEOREMA DELLA STRUTTURA DELTA
Il teorema della struttura Delta è una bufala, e cerco di spiegare perché.
I fatti risalgono al 2005, quando io fui intercettata per un mese e mezzo nell'ambito di un'inchiesta relativa alla bancarotta di una società milanese, la HDC, inchiesta alla quale io ero del tutto estranea. Ancora oggi non conosco la ragione per cui fui posta sotto intercettazione, e in base a quali criteri. Nel 2007 Repubblica pubblicò illecitamente una selezione di riassunti di quelle intercettazioni, che sebbene irrilevanti per il processo Hdc e irrilevanti penalmente, erano finite "per sbaglio" fra gli atti di quell'inchiesta. Quelle intercettazioni avrebbero dovuto essere distrutte, ma nessuno lo fece. Di quello "sbaglio" ad oggi non conosco i responsabili. A seguito di quelle pubblicazioni su Repubblica scoppiò un polverone mediatico che mi vide vittima, e sulla base di quei riassunti Repubblica ipotizzò l'esistenza di una fantomatica struttura Delta che avrebbe manovrato nell'ombra per aiutare il premier sul piano mediatico. Era un parto della fantasia di alcuni giornalisti, poiché nessuna struttura del genere è mai esistita. Io fui accusata, sempre da Repubblica, di lavorare per la concorrenza e di aver ritardato la diffusione di alcuni dati elettorali. In relazione alla prima accusa, partì una minuziosa inchiesta interna alla Rai (e ricordo che all'epoca era al governo Prodi e il direttore generale della Rai era Claudio Cappon, indicato dal governo di sinistra) che si concluse col riconoscimento non solo della mia professionalità, ma anche della mia totale buona fede. Quanto alla seconda accusa, vi furono due indagini della magistratura, entrambe risoltesi con l'archiviazione. Insomma, il grande polverone mediatico si risolse in un nulla. Io decisi di lasciare la Rai (e non ne fui allontanata, come hanno scritto i giornali). Avendo sempre lavorato con grande correttezza per la mia azienda, ho scelto di non rimanere a tutti i costi in un posto in cui ero stata accusata di lavorare per la concorrenza. Sono stata eletta in Parlamento nel 2008, e da allora mi sono sempre impegnata con serietà per ricostruire un sistema di tutele di diritti fondamentali che purtroppo sono andate perdute nel nostro Paese.
Oggi, a parecchi anni di distanza, questa vicenda viene riproposta con la pubblicazione audio di quelle intercettazioni, e con le stesse accuse e gli stessi teoremi, già smentiti da sentenze di tribunale e inchieste interne alla Rai, ma utili a perseguire disegni di demonizzazione politica che mi sono oscuri, e che prescindono dai miei comportamenti professionali e personali. Si possono processare le chiacchiere al telefono quanto vogliamo, ma esse restano chiacchiere, per quanto selezionate con cura per dimostrare una tesi, se non sono sostanziate dai fatti. E i fatti sono che nei cinque anni in cui ho lavorato in Rai, l'azienda di servizio pubblico ha sempre sbaragliato la concorrenza negli ascolti, ha saputo innovare la sua programmazione e ha registrato livelli record di raccolta pubblicitaria. In quei quattro giorni cui le intercettazioni pubblicate si riferiscono, la Rai è riuscita a fare un ottimo lavoro. Ricordo che quei giorni furono molto delicati per l'azienda di servizio pubblico, perché erano quelli dell'agonia e della morte di papa Giovanni Paolo II e furono quasi coincidenti con una delicata e incerta tornata elettorale (le elezioni regionali 2005). La programmazione delle reti Rai fu ripetutamente sconvolta dalla concomitanza di questi eventi, tanto che l’allora direttore generale Flavio Cattaneo istituì un comitato editoriale speciale composto da oltre dieci direttori (fra cui io) per fare fronte all'emergenza palinsesti, ben sapendo che tutte le televisioni del mondo facevano riferimento alla Rai per seguire lo sviluppo degli eventi in Vaticano. Se tutti quei direttori fossero stati intercettati in quei giorni, si avrebbe avuto certo una visione più completa e meno distorta non solo della presunta centralità del mio ruolo in un'azienda di straordinaria complessità che impiega 10mila persone, ma anche dell'evidente intento comune da parte della Rai di fronteggiare l'emergenza nel modo migliore possibile. Molte e delicate furono infatti le questioni da affrontare, per esempio se continuare a mandare in onda spot pubblicitari in quei giorni luttuosi oppure quale genere di programmazione (film, fiction, intrattenimento, informazione) fosse più o meno appropriato. Mi spiego meglio: se la Rai avesse deciso, per sensibilità, di non mandare in onda gli spot pubblicitari, avrebbe comunque determinato un danno economico (perdita di ricavi). Ma se contestualmente Mediaset avesse invece continuato a mandare i suoi spot pubblicitari, Rai sarebbe stata accusata di aver favorito il competitor nel fare ricavi. Ecco perché era necessario concordare una linea comune su questo. Questo non è un crimine, è una prassi a salvaguardia dell'azienda. Faccio un altro esempio, sulle scelte relative alla programmazione: in quei giorni, per rispetto del clima creatosi nel Paese, non era il caso di mandare programmi leggeri o frivoli, ma al contempo era necessario rispettare le esigenze di tutti gli spettatori, e fornire quindi un'offerta televisiva completa e diversificata. Anche su questo ci fu, su espresso mandato del Direttore Generale, un confronto in merito alla qualità dei programmi da mandare in onda, e anche questa è una prassi a salvaguardia dell'azienda. Aggiungo che peraltro non si trattava certo di scambi su dati segreti o sensibili, dal momento che poche cose sono più pubbliche di una programmazione televisiva. Ogni giorno essa è diffusa ovunque, su giornali, siti internet e sulle televisioni stesse, ed ogni variazione viene immediatamente resa pubblica proprio per informare i telespettatori. Devo inoltre ricordare che in quello specifico frangente l'obiettivo della Rai non era certo quello di vincere gli ascolti o di proteggere chissà chi, ma piuttosto di evitare errori dovuti alla frenesia e all'incertezza di quei giorni ed offrire al mondo una programmazione completa degna della sua reputazione di grande broadcaster. Aggiungo un altro elemento: nel mese e mezzo in cui sono stata intercettata, le mie comunicazioni con il competitor si sono concentrate esclusivamente in quei giorni di emergenza, non ce ne sono state altre, né prima né dopo, a riprova che lo scopo di quelle telefonate era specificamente quello di fare un buon lavoro in una situazione di eccezionalità. Eppure, in malafede, si è affermato che gli scambi sono stati continui. E’ falso. Così come è falso che io avessi il potere di influenzare i palinsesti Rai, che erano al di fuori della mia competenza e che sono determinati da un complesso iter di verifiche pertinente ad un apposito comitato editoriale.
E vengo ai dati elettorali: non ci fu alcun ritardo nella diffusione dei dati. Quella tornata seguiva la tornata precedente, quella delle elezioni europee 2004, che era stata seguita da molte polemiche. Il dato proiettivo, diffuso molto presto per la smania di conoscere il prima possibile l'esito del voto, si rivelò sbagliato, distorcendo completamente nelle prime ore il quadro elettorale, creando una grande confusione e facendo infuriare tutte le forze politiche, a cominciare dal Pd. Le polemiche, e gli attacchi alla Rai, furono forti. Nel 2005 la Direzione Generale volle pertanto usare il principio di prudenza, allo scopo di evitare il ripetersi di errori marchiani. E fece bene. Infatti il dato relativo alla regione Lazio, che pesava molto sul quadro elettorale totale del 2005, si mantenne incerto fino al tardo pomeriggio e poi si invertì. Fu giusta quindi la prudenza usata, e la Rai uscì ancora una volta molto bene e senza sbavature. Infatti non ci fu la minima polemica. Mi viene da sorridere quando mi si attribuisce il tentativo di "occultare i risultati delle elezioni". Come si può occultare l'esito di un voto democratico?
Un'ultima conclusione, purtroppo amara. Questa vicenda ha condizionato per sempre la mia vita, e quella dei miei familiari. Ciò non deve interessare a nessuno e certo non me ne lamento, perché fa parte del gioco. Ma si tratta di un caso scuola sulla malattia di un sistema mediatico che intimidisce e colpisce senza pietà chi non è gradito, e protegge con sfrontatezza chi è amico. Un sistema che si sostituisce a quello giudiziario, che condanna senza appello sulla base di sospetti e teoremi. E che può colpire chiunque. Contro questo sistema mi batto, senza alcuna vergogna, ben sapendo che si tratta di una battaglia impari, perché la realtà imposta dai media è più forte della realtà stessa. E certo, ho delle convinzioni politiche che non ho mai nascosto. Ma non ho mai lavorato per il nemico e non ho mai mancato di rispetto alla mia azienda, nei miei cinque anni in Rai. Non ho mai danneggiato la Rai per il bene di qualcosa o qualcun altro. Tutti i colleghi che in quegli anni hanno lavorato con me, gomito a gomito, lo sanno.