di alexander stille ........
Il vero scheletro nell’armadio di Berlusconi più imbarazzante e dannoso delle storie delle escort e delle tangenti dentro la sua amministrazione è l’andamento dell’economia italiana sotto la sua gestione. Le statistiche sono molto chiare ed eloquenti. L’economista inglese Charles Young, in un suo libro pubblicato recentemente, Inpunity
dedica un capitolo sulla macroeconomia degli anni del governo Berlusconi. Le statistiche non possono essere scartate o attribuite a fattori internazionali fuori dal controllo di Berlusconi come l’undici settembre e la recessione attuale perché sono statistiche comparative e la conclusione è sempre la stessa: che l’economia italiana va peggio di qualsiasi paese nella zona europea, per quanto riguarda la crescita del PIL, l’indice più riconosciuto e più obbiettivo dell’andamento dell’economia. Ecco un brano del libro di Young insieme a due grafici illustrativi:
Nei cinque anni precedenti il 2009 la crescita in Italia è stata di segno negativo – l’economia nel 2009 è stata più contratta rispetto al 2004 -, mentre nel resto dell’Eurozona si è registrata una crescita positiva. Entrambe le cifre – il calo in Italia e la crescita nel resto dell’Eurozona – sono molto basse, e non va attribuito un eccessivo significato al picco negativo del grafico relativo all’ultimo anno.
Non vi è dubbio che basterebbe questo grafico a dimostrare l’inadeguatezza della gestione economica durante gli anni dei governi Berlusconi. Questo è dimostrato, in modo forse ancora più immediato, dal grafico che segue.
Il grafico mostra l’Italia agli ultimi posti della tabella dei paesi del mondo per crescita del PIL pro capite dal 2001 al 2009 (otto anni durante i quali Berlusconi è stato per lo più al governo). Negli otto anni precedenti il primo duraturo governo Berlusconi, questo valore era stato molto più vicino alla media OCSE. Al contrario, nel periodo caratterizzato dai governi di Berlusconi, l’economia italiana è stata l’unica importante economia al mondo a subire negli ultimi otto anni un consistente calo (appena inferiore al 6%) del reddito reale pro capite. Ad alcuni piccoli paesi è andata ancora peggio – il crollo di un terzo del reddito pro capite nello Zimbabwe di Mugabe fa passare in secondo piano anche l’Italia di Berlusconi. Haiti e la Costa d’Avorio hanno subito rispettivamente una diminuzione del 7% e del 9%. Comunque, a parte questi tre paesi, a nessun altro paese al mondo è andata peggio che all’Italia.
Si potrebbe obbiettare che la crescita economica non è tutto, che non è l’unica misura di un buon governo, ma ultimamente gli economisti si stanno focalizzando sempre di più sulla crescita del PIL come misura utile per la salute di una società. L’economista di Harvard Benjamin Friedman ne ha dedicato un libro molto importante intitolato The moral consequences of growth. (le consequenze morali della crescita), in cui nota che periodi di bassa crescita sono marcati da fenomeni di chiusura, xenofobia e politica estremista. Se si considera la storia europea dopo la seconda guerra mondiale, abbiamo visto lo sviluppo a pari passo di una crescita economica molto florida e una società sempre più generosa di welfare, che offre benefici e servizi sociali su una base universale, mentre le crisi economiche dopo la prima guerra mondiale e poi la grande depressione hanno portato al potere governi totalitari, dall’Unione Sovietica al Fascimo e Nazismo. Nella società di oggi, il rallentamento dell’economia europea ha coinciso con il fiorire di fenomeni di xenofobia in vari paesi, per cui non si può guardare con indifferenza il tasso di crescita molto basso in Italia.
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