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    Lightbulb Il caso Montesi, Montanelli e l'eterna questione morale

    Nei giorni scorsi m'è capitato sotto gli occhi questo scarabocchio del signor Feltri.

    Ho subito pensato a Travaglio.
    Puntualmente, oggi alle pagg. 10 ed 11 de Il Fatto Quotidiano, viene pubblicato un suo lavoro che consiglio vivamente di leggere.


    DIECI ANNI FA, IL 22 LUGLIO 2001, moriva a Milano Indro Montanelli all’età di 92 anni. Era nato il 22 aprile 1911. Ed era il più grande giornalista italiano. Il Fatto Quotidiano lo ricorda con una lettera inedita, da lui scritta a metà degli anni ‘50, al collega e amico americano Edmund Stevens, vincitore del Premio Pulitzer, che in seguito avrebbe collaborato da Mosca a Il Giornale fondato da Montanelli nel 1974 e lasciato nel 1994 per creare La Voce.
    Chi era Stevens? In una delle sue “Stanze”, nella pagina dei lettori del Corriere della Sera, il 28 febbraio 2000, Montanelli lo descriveva così: “Stevens è una delle figure più singolari del cosmo giornalistico di questo secolo, ma anche una delle più misteriose. Io lo conobbi alla fine del '39 a Helsinki. C’era venuto per seguire la guerra di Finlandia, dove si cementò la nostra amicizia che non subì mai incrinature. Di sé, a me disse molte cose, probabilmente non tutte, ma quelle che mi disse erano vere. Disse che a Mosca era andato giovanissimo, e non come corrispondente di qualche giornale o agenzia americana, ma per una scelta ideologica.
    Conoscendone già la lingua (in questo era un fenomeno: ne parlava correntemente sei o sette, fra cui l’italiano), voleva viverci da russo, impiegato in una casa editrice moscovita.
    [...]
    Per ora, mi fermo qui.
    E' mio intento, in questa discussione, fare anche un confronto tra due uomini, i loro lavori ed i giornali che li pubblicano: Travaglio e Feltri.
    Ultima modifica di Zdenek; 21-07-11 alle 07:59
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  2. #2
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    Predefinito Rif: Il caso Montesi, Montanelli e l'eterna questione morale

    Visto lo scarso numero di lettori interessati, aggiungo ora direttamente la lettera di Montanelli. Non credo che a Il Fatto se ne abbiano troppo a male.
    Sarà online QUI, ad ore.

    “Gl’italiani, a proibir loro il Peccato, cadono nel Vizio
    di Indro Montanelli

    CARO EDMUND, il tuo richiamo agli scandali che da qualche anno rallegrano la vita italiana è per lo meno superfluo. Montagna, Anna Maria Caglio eccetera sono infatti, con la Lollobrigida e Sofia Loren, gli unici personaggi italiani su cui i tuoi compatrioti siano perfettamente informati e di cui parlino con competenza. Sanno tutto di loro: molto più di me, che non so quasi nulla. Ignorano un particolare soltanto: che questi scandali, nel nostro paese, sono una novità assoluta, e non ne rappresentano assolutamente il costume. E appunto per questo fanno tanto rumore. L’Italia non è un paese moralmente rigoroso. Al contrario, è un paese indulgente, dove il Peccato circola liberamente ed è accolto anche nelle famiglie più virtuose. Il Vizio, no. Ed è questo che nell’affare Montagna ha indignato gl’italiani, popolo di peccatori, sì, ma sani e gagliardi. Per meglio spiegarti il clima morale in cui noialtri, italiani medi, siamo stati educati, ti racconterò un piccolo aneddoto di famiglia. Sulla tomba di mio nonno, che fu per tanti anni sindaco di una piccola città toscana, Fucecchio, c’è un epitaffio che, come usa da noi, ne ricorda tutti i meriti e fra le altre cose lo presenta come “esempio di domestiche virtù”. Fu infatti un buon marito dell’unica moglie che ebbe e un eccellente padre dei suoi sette figli. E fu considerato un “esempio” non perché non cedette mai alla tentazione di qualche infedeltà coniugale, ma semplicemente perché nessuno seppe mai con chi le consumò. Solo dopo la sua morte si scoprì ch’egli aveva avuto una relazione con una di quelle che oggi si chiamano “ragazze-squillo” e vengono regolarmente perseguitate dalla polizia democristiana. Era una “cucitrice in bianco”, cioè una piccola sarta che, appena conosciuto mio nonno, emigrò da Fucecchio e comprò, con il denaro del suo nuovo amico, un piccolo negozio a Empoli. Era là, in una decorosa e discreta casetta, che l’esempio di domestiche virtù andava a visitarla con una frequenza che decrebbe col crescere dei suoi anni. Mio nonno era un laico, anzi un massone. Non voleva preti per casa, ma era contento che sua moglie e i suoi figli andassero ogni domenica a messa. Per Natale mandava sempre al Vescovo un paio di capponi accompagnati da una lettera di auguri e di ossequio, e quando lo incontrava per strada si toglieva per primo il cappello, ma non gli baciava l’anello. E massonico e laico era anche il concetto ch’egli aveva della virtù, che per lui consisteva non nel rifiuto pregiudiziale del Peccato, ma nell’obbligo di mantenerlo nella sua “sede”, che nella fattispecie consisteva nella decorosa e discreta casetta di Empoli, molto lontana da quella in cui stavano sua moglie e i figli. Tu sei americano, caro Edmund, e come tale, anche se non lo sai e non lo vuoi hai un fondo puritano che forse trasalirà d’indignazione all’idea che un simile marito sia passato, agli occhi dei suoi concittadini, come un “esempio di domestiche virtù”. Ma per noi, italiani cattolici e laici, che della moralità abbiamo un concetto scettico e umano, questa pratica di vita coniugale rappresenta proprio un “optimum” e costituisce un “esempio”, come sta scritto sull’epitaffio. Probabilmente sbagliamo, anzi sbagliamo certamente, a misurarci sul metro della Virtù Assoluta. Ma nella vita italiana già vecchia di millenni gli Assoluti sono stati messi in congedo permanente da parecchi secoli. Noi ci contentiamo del Relativo. E nel Relativo una moralità come quella di mio nonno faceva “esempio”. Poi son venuti i democristiani, con un’altra moralità di sigillo clericale e confessionale. Essi hanno chiuso i bordelli. Essi hanno perseguitato le ragazze-squillo. Essi sono rappresentati da Ministri e da Deputati con mogli virtuose e acide e con sterminate figliolanze che i preti educano nella paura dell’Inferno. Essi hanno proibito l’esposizione della “Venere” di Botticelli perché mette in mostra “le vergogne”. E il risultato di questa gran ventata moralistica eccolo qui: l’affare Montagna, Capocotta, la crescente inflazione di cocaina e la sostituzione delle “vergogne” di Sofia e di Gina a quelle della “Venere” di Botticelli. Gl’italiani, a proibir loro il Peccato, cadono nel Vizio. Io che sono cresciuto nell’età delle “cucitrici in bianco” e dei bordelli sotto un esempio come quello di mio nonno (e di mio padre che molto gli somiglia) non ho bisogno di questi surrogati. La mia educazione sessuale, identica a quella di tutti gli altri miei coetanei, non ha fatto certamente di me un uomo virtuoso; ma ne ha fatto un uomo sano, perfettamente normale, senza complessi, che in mezzo a tutti i Montagna da cui siamo afflitti ha il diritto di sentirsi “modello di domestiche virtù”. Io non so se nello scandalo di Anna Maria Caglio e Wilma Montesi ci siano delle omertà governative. Non so nemmeno se e fino a che punto siano colpevoli Montagna e Piccioni. So soltanto che nell’Italia laica scandali di questo genere non succedevano. Il tipico scandalo italiano era l’adulterio con la fuga dell’infedele e la sua uccisione da parte del marito offeso. Non dico che fossero belle cose. Non dico che fosse giusto il costume dei nostri tribunali di assolvere o di condannare a lievi pene l’uccisore. Dico soltanto che il vizio, la cocaina, il sospetto di complicità governative non c’entravano. Nei Paesi in cui non c’è il divorzio, l’adulterio è quasi obbligatorio. Ma oggi, nella moralità che cercano di introdurre questi nuovi Robinson Crusoè che sono i demo-cristiani, convinti di ricreare il mondo da capo, ecco a cosa siamo arrivati: ai cadaveri in cerca d’autore dimenticati sulle spiagge e a un’ondata di inversioni sessuali che in Italia fin qui erano sempre state un fenomeno di quasi esclusiva importazione forestiera. Il guaio, caro Edmund, è che questa nuova classe dirigente clericale è arrivata al potere quando era già vecchia. Per vent’anni il fascismo la obbligò a vivere in provincia, con pochi mezzi e in forzata austerità. Il peggiore di tutti i rimorsi, quello dei peccati non commessi, la ossessionava quando giunse a Roma, sulle baionette dei vostri soldati. Ora ch’eran padroni della barca, vollero riguadagnare il tempo perduto, ma purtroppo avevano già i reumatismi e il diabete. Per procurar loro quei paradisi che noi ci eravamo procurato a vent’anni nei bordelli e nella più assoluta normalità, occorrevano la cocaina, le minorenni, le pornografie, le partite a tre, a quattro, a cinque. Ecco com’è nata l’ondata di scandali, di cui Capocotta è diventata ormai il simbolo. Io non ho molta simpatia per i fascisti, lo sai. Ma debbo riconoscere che al loro tempo queste cose non succedevano. Essi giunsero a Roma quasi direttamente dalle trincee del Carso e avevano venticinque o trent’anni. Fecero tutto – guerra, rivoluzione e amore – al momento giusto. Sul piano morale, la Liberazione ha sostituito una classe dirigente di piccoli viziosi a una di grandi peccatori. Non ci abbiamo guadagnato. Tutte queste cose io non posso spiegarle ai tuoi concittadini, quando m’interrogano sull’affare Montagna, perché qui il clima morale è completamente diverso. Nella stessa New York, per quanto sia una grossa baracca cosmopolita, il “caso Jelke” (ricordi?) fece scandalo. Tu mi dirai che di Jelke probabilmente ce ne sono molti altri. È possibile. Ma nulla e nessuno riuscirà a farmi credere che la vita americana sia minacciata, come quella nostra, dall’immoralità. Per una ragione molto semplice, caro Edmund: che mio nonno, quello che ha insegnato a vivere a me, era quell’esempio di domestiche virtù che ti ho descritto, mentre il nonno tuo, quello che ha insegnato a vivere a te, era un pioniere che doveva seguire la regola stretta e austera dell’accampamento. Io non prendo per oro colato quello che i cineasti di Hollywood ci raccontano nei loro WESTERN (dei quali sono grande amatore). Ma un certo “clima morale”, come lo vediamo riprodotto in quei film, dev’esser vero. Voi, senza il puritanismo e senza la fede nel trionfo del Bene sul Male, non avreste fatto nemmeno un centesimo di quello che avete fatto. Senza una fede religiosa non si costruisce una cosa come l’America. Senza una fede religiosa non si compie nulla di grande: nemmeno i delitti. Questa fede religiosa in voialtri americani è viva; e lo si vede dal continuo sorgere di nuove sètte. Segno che la vostra discussione con Dio è sempre aperta. E chi discute con Dio ha il peccato difficile e seguito dal rimorso e dalle crisi di coscienza. Non tutti i frequentatori di Wall Street si fermano ad ascoltare predicatori – bianchi, neri, gialli – che, sul marciapiede, li mettono in guardia dai castighi che l’Inferno riserba ai seguaci di Mammone. Mammone, certo, seguita a fare gli affari suoi. Ma solo in una società a forte sustrato religioso è concepibile la pacifica coesistenza di Mammone col Vangelo. T’immagini cosa succederebbe se nella Borsa di Roma o di Milano si presentasse uno di quei predicatori. Cioè, non sforzarti a immaginarlo. Leggi la storia di Gerolamo Savonarola che, se rinascesse oggi in America, sarebbe lì anche lui, a Wall Street, a descrivere l’Inferno; ma nessuno lo brucerebbe. Come nipote di quel tale nonno, io, capirai, non posso avere molte simpatie per il puritanismo. Lo invidio al tuo Paese senza augurarlo al mio. Perché è inutile cercare di trapiantarlo, come stanno tentando di fare i democristiani, in un terreno dove non trova nutrimento. In America il puritanismo sta benissimo, anzi ne costituisce la vera forza. Si potrà deprecarne e moderarne gli eccessi. Ma esso è nell’anima e nel sangue degli americani, della cui Storia è la chiave. Da noi si risolve in una grossa menzogna, in una colossale ipocrisia, e serve a spiegare soltanto il Marchese Montagna, Capocotta, la farsa della “Venere” di Botticelli e tutti gli altri indecenti foruncoli in cui scoppia, regolarmente, il sangue di un popolo avvelenato da una moralità da sacristia che non gli è congeniale. Caro Edmund, noi cattolici italiani abbiamo faticato duemila anni per fabbricarci un Dio sulla nostra misura umana, cordiale, tollerante e pieno di indulgenza per i nostri peccati. Nel nostro Paradiso c’è perfino una stakanovista dell’adulterio, Maria Maddalena, e un professionista del furto, Ranieri, per dare speranza a chi cade in queste colpe e procurargli il perdono. Tutto ciò potrà fare a pugni con la Teologia, ma va benissimo d’accordo col nostro carattere. E ora, ecco qui, i preti ce lo stanno rovinando. Ma che cattolici sono, i preti cattolici, perdio?
    Sinceramente tuo.

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  3. #3
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    Predefinito Rif: Il caso Montesi, Montanelli e l'eterna questione morale

    c'è un articolo di un suo ex collaboratore di Milano un po' più ruvido su Montanelli, meno meschino di Feltri ma anche meno nostalgico di Travaglio.

    ps: Travaglio era nella redazione di Torino.
    Ultima modifica di stefaboy; 21-07-11 alle 20:26
    Ferrara era comunista poi il comunismo è morto, allora è diventato Craxiano e Craxi è morto, poi è diventato Berlusconiano. PORTA SFIGA
    (brunik - 25/09/2011)

  4. #4
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    Predefinito Rif: Il caso Montesi, Montanelli e l'eterna questione morale

    ecco quà l'articolo di Gilioli.


    Il Giornale, vent’anni fa (post amarcord)
    Guardavo il calendario – 15 luglio – e mi ricordava qualcosa, poi mi è venuto in mente.

    Sono vent’anni esatti (ammazza) che ho abbracciato gli amici in cronaca, sono uscito per l’ultima volta dal palazzo di via Gaetano Negri e sono andato a prendermi una sbronza con quella che allora era la mia fidanzata.
    Non avevo ancora trent’anni ed ero già al quarto cambio di lavoro – erano tempi diversi, tanto per il mercato editoriale quanto per la mia smania di fare esperienze diverse, di provarle un po’ tutte.
    Ed era stato proprio per ‘fare un’esperienza’ che nel 1989 avevo accettato di andare al Giornale. Non ero mai stato in un quotidiano, non avevo mai fatto cronaca. E naturalmente c’era quel mito vivente, Indro Montanelli – per ogni ’spina’ come me era un lusso solo potergli parlare.
    Le disillusioni arrivarono presto, anche se oggi non si deve dire, lo so, Montanelli è diventato un mezzo idolo per noi di sinistra dopo la ribellione al Cavaliere, La Voce e il resto.
    Ma qui sto parlando di diversi anni prima, l’editore e il direttore non avevano ancora litigato, anzi mi accorsi presto che sul Giornale c’era stata di fatto una spartizione, un tacito – suppongo – accordo. A Cilindro era lasciata ogni autonomia sulla prima pagina (soprattutto politica nazionale, quindi) sulla Terza, cioè la cultura, e vabbeh, sugli esteri di cui non fregava nulla a nessuno. Poi c’erano le pagine in cui invece comandava Fininvest, come spettacoli e tivù (ovvio), l’economia (altrettanto ovvio), lo sport (il Milan), e marchettame vario (a un certo punto si inventarono una pagina fissa sul golf, per via dei business del gruppo a Tolcinasco).
    Poi c’era la cronaca milanese, dove lavoravo io, che era un po’ una terra di mezzo. A Montanelli stavano sulle balle i socialisti, si sa, mentre all’editore no, lo si sa ancora di più. Il risultato era una peripezia abbastanza quotidiana, un ottovolante di attacchi e di lisciate di pelo per quelli che comandavano allora a Milano, i Pillitteri, gli Schemmari, gli Armanini e così via.
    Non è che l’editore intervenisse direttamente, è ovvio: a farlo per lui c’era il Grande Frenatore, come lo si chiamava in redazione mutuando un racconto di Benni, cioè il condirettore Gian Galeazzo Biazzi Vergani, che vedo ancora nel colophon di via Negri come presidente del consiglio di amministrazione.
    Biazzi era già allora un ‘vecchio’, uno dei fondatori, di quelli che avevano seguito Indro dal Corriere nel ‘74.
    Uomo di macchina e di coordinamento, non so come fosse diventato negli anni anche il link con la proprietà. Di certo, in quel periodo, il giornale lo faceva molto più lui di Montanelli. Era lui a dirigere la riunione delle 12 – seduto davanti alla scrivania del direttore, Indro dietro a leggiucchiare e talvolta ad assopirsi – era lui che dava il visto si stampi alla gran parte delle pagine quando già Montanelli era uscito, la sera.
    Era un uomo cortese e determinato, a tratti cinico come ogni ‘vecchio’ di redazione in quei tempi. Una sera, saranno state le otto, si era diffusa la voce che era venuto giù l’aereo di Berlusconi, con lui dentro. Non era vero e non so come il rumor fosse nato, ma Biazzi ci chiamò per una riunione straordinaria, durante la quale arrivò la telefonata di smentita. «Meno male», disse un caporedattore un po’ leccaculo. «Eh sì, a quest’ora sarebbe stato un problema», rispose pragmatico Biazzi, pensando al casino nel dover smontare la prima.
    Comunque, tutto sommato, si lavorava benino. Certo, c’erano gli intoccabili,gli ‘amici del Giornale’, come li chiamava Biazzi, la cui lista e la cui importanza ci erano resi noti ogni anno l’8 dicembre, quando si trattava di fare la cronaca della prima della Scala. Un articolo che Biazzi correggeva di persona, a penna, sul bozzone, inserendo i nomi di questi ‘amici’ in testa all’elenco dei citati nel pubblico, eliminando quelli che invece amici non erano, spostando in fondo quelli che così così.
    Poi, naturalmente, si poteva parlare solo bene del San Raffaele (fosse stato vero tutto quello che scriveva il Giornale, sarebbe stata una fucina di Nobel) e del Pio Albergo Trivulzio (case ad equo canone in abbondanza in via Santa Marta, e Mario Chiesa non era stato preso con le mani nella marmellata).
    Di Berlusconi si parlava poco, alla fin fine, ma quando si sposò con Veronica il pezzo di cronaca fu trattato come la saliera del Cellini, aggiustamenti e ceselli infiniti, e massima attenzione a non chiamare il figlio Dudi – come faceva tutta la stampa allora – perché era diventato grande e aveva deciso che sarebbe stato per tutti Pier Silvio.
    Sciocchezze, naturalmente, in confronto a quello che il Giornale è diventato poi, ma io ero ragazzo e avevo lo sdegno facile, specie per via delle troppo alte aspettative di libertà totale che Montanelli pubblicamente rivendicava come assoluta e che invece era comunque l’ovvio frutto di una mediazione, specie con la redazione romana: dove comandavano i Paglia e i Tajani, già allora molto impegnati ad acquisire crediti con quel potere politico che poi si sarebbe trasformato in Forza Italia, facendo di entrambi due potenti della Seconda Repubblica.
    A Milano, invece, sotto Biazzi si agitava un ambiziosissimo Paolo Granzotto – deve aver sofferto come un maiale squartato a vedersi passare davanti i Feltri, i Belpietro, i Giordano e i Sallusti. Un altro dei notabili era il più mansueto Mario Cervi (che veniva in riunione con un barboncino bianco, da cui l’ironia di noi ragazzi, ‘in riunione ci sono proprio cani e porci’), più svariati altri che sognavano vanamente la successione: del resto Cilindro aveva già più di ottant’anni.
    C’era poi Salvatore Scarpino, uno che girava per i corridoi gridando ‘S’alza il sole, canta il gallo, Mussolini salta a cavallo’; c’era Marcello Staglieno, che di Montanelli voleva diventare il biografo ufficiale, e il direttore sosteneva che portava sfiga per via di quel cognome cimiteriale. E c’era l’inviato più brillante di tutti, Beppe Severgnini, una boccata d’aria fresca quando scendeva da Londra.
    Di tanti altri non mi ricordo. Mi ricordo invece di tutti gli splendidi ragazzi che stavano in cronaca con me. Ne cito solo tre, per diversi motivi. Uno è Antioco Lostia, che faceva la nera, giocava a fare il fascistello anche lui ma dietro la scrivania aveva una foto di Che Guevara, ed è morto pochi anni dopo in mare mentre andava a caccia di spigole. Emanuela Mastropietro, di cui mi sono rapidamente innamorato. E Letizia Moizzi, così attenta ogni giorno a non far pesare a nessuno la sua stretta parentela con il direttore, cronista e persona di grande eleganza.
    Dopo due anni di ‘lunghe’ e di compromessi, fui felice di andarmene via, quel 15 luglio del ‘91. Il Giornale non era certo la cloaca di adesso, ma nemmeno quell’isola di libertà che Montanelli brandiva. E mi vergognavo quando lo vedevo sui banchetti alle feste del Msi.
    Il capo del personale, l’ultimo giorno, mi disse che la mia fuoriuscita era la conferma della mia inaffidabilità politica, che lui aveva sempre sospettato. Montanelli invece mi fece rapidamente gli auguri. Biazzi mi disse che mi sarei pentito di lasciare via Negri, e fu più informale di come era mai stato fino ad allora.
    Poi, è noto, lì arrivò la rottura tra il direttore e Silvio, ‘La Voce’ e tutto il resto, ma io ero già via. Ho seguito ogni giorno l’imbarbarimento graduale di quello che in fondo era stato il mio quotidiano, e ogni tanto vedo comparire in fondo a qualche articolo la firma di qualcuno dei ragazzi di allora, quelli della cronaca, immagino ormai incanutiti come me. Ho come una stretta al cuore, e vorrei dirgli che mi dispiace, poi butto il Giornale e mi dimentico.

    **
    Ultima modifica di stefaboy; 21-07-11 alle 20:29
    Ferrara era comunista poi il comunismo è morto, allora è diventato Craxiano e Craxi è morto, poi è diventato Berlusconiano. PORTA SFIGA
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  5. #5
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    Predefinito Rif: Il caso Montesi, Montanelli e l'eterna questione morale

    ma se era nato nell'aprile del 1911 e morto a luglio 2011 come faceva ad avere 92 anni???


    il punto e' che era nato nel 1909

  6. #6
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    Predefinito Rif: Il caso Montesi, Montanelli e l'eterna questione morale

    Citazione Originariamente Scritto da stefaboy Visualizza Messaggio
    ecco quà l'articolo di Gilioli.
    L'articolo di Gilioli è interessante ma si limita a confermare che cloaca sia diventato Il Giornale di oggi.

    Nessuno, finora, qui sembra aver mostrato interesse per la lettera di Montanelli: uno spaccato sul carattere degli italiani, attuale più che mai.

    Un disinteresse che mi sembra un peccato, e che spero non diventi un vizio.

    Travaglio non esegue un lavoro eccezionale ma, pur limitandosi a quello che sarebbe l'abc per chiunque abbia frequentato diligentemente la scuola dell'obbligo, dimostra di essere al servizio di una professione e non della meschinità.

    Ricorda il proprio maestro scegliendone un suo pezzo di vita: un testo scritto ad un amico che non sia fuori dal tempo ma capace di contribuire ancora oggi allo stimolo edificante di ogni lettore attento.
    Niente reputazioni ma opere di bene. Grazie.
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    Predefinito Rif: Il caso Montesi, Montanelli e l'eterna questione morale

    Non mi piace Travaglio quando farcisce i pezzi con i soprannomi.
    Li esaspera.
    Una penna può essere sfacciata anche se non ridicolizza palesemente l'oggetto della sua critica.
    Citofonare Serra.

    Non condivido neanche il fianco prestato a Grillo.
    Spalancare le porte ai Vaffanculo non mitiga l'inflazione, per dire.
    Dare la colpa a deputati e senatori ripulisce la coscienza di chi li ha votati e riempie le vele di chi a votare non va.
    Legittimandoli a non andarci mai.
    Tipo Berlusconi che dice andate al mare che c'è bel tempo.

    Feltri,
    come Sgarbi pre-ovulazione, è un brillante antipatico.
    Che però è appassionato di paleontologia degli armadi e Boffo lo sa per certo.
    Il suo artificio dialettico è sempre lo stesso.
    Prende una notizia che generalmente gli è scomoda (in realtà lo è per il suo editore, ma non c'è differenza) e la paragona ad un'altra, possibilmente scomoda per la parte avversa (al suo editore).
    La rimonta un pò come gli pare e arriva alla democratica ed equa conclusione che siccome gli altri l'hanno fatta, tu sei legittimato a rifarla.
    Se poi il paragone non lo si può fare perchè manca la materia prima dall'altro lato allora la minimizza, la ridimensiona riga dopo riga.
    Come ha fatto con Bisignani.
    Questo non è giornalismo d'assalto.
    E' d'accatto.

    Aprire il capitolo dei giornali per cui scrivono significa discutere degli editori che li pubblicano.
    Cioè Berlusconi e Travaglio stesso.
    E sai che la malta che tiene insieme i conci di certa stampa è il conflitto di interessi (bonjour monsieur de La Palice!).
    Tocca vedere se quando la malta si esaurirà i conci staranno ancora su o no.


    Per quanto riguarda la lettera di Montanelli è l'elogio del realismo travestito da ipocrisia.
    Che non è per niente una cosa negativa, ma naturale, purchè la si ammetta.
    Perchè ammetterlo vuol dire evitare che qualcuno ti propini la politica del sole in tasca.
    Ops.
    Sono partigiana. Nel senso che odio chi non parteggia. Odio gli indifferenti.

  8. #8
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    Predefinito Rif: Il caso Montesi, Montanelli e l'eterna questione morale

    Citazione Originariamente Scritto da Megara Visualizza Messaggio
    Non mi piace Travaglio quando farcisce i pezzi con i soprannomi.
    Li esaspera.
    Una penna può essere sfacciata anche se non ridicolizza palesemente l'oggetto della sua critica.
    Citofonare Serra.

    [...]
    Travaglio è un modesto artigiano, niente di più.
    Pure antipatico, nonostante si sforzi di fare il brillante.
    Anzi, lo è ancor di più per tale evidente innaturalezza.

    Il mestiere, però, lo conosce e lo esercita con onestà, o almeno ci prova.
    Si è specializzato sui fatti, soprattutto quelli che vengono fuori da documenti giudiziari. Roba noiosa ai più.

    L'Italia, in fondo, è un grande paesone: la gente digerisce meglio certi papponi se glieli condisci con qualche spezia.

    La guardia, il prete, il maestro, lo zio d'America o la zia zitella ... non sempre hanno una personalità propria. Allora devi dargliena una tu, con un nomignolo, inventando aneddoti ma che siano verosimili.
    Solo così la multa o la gabella, il sermone della domenica a cui non puoi mancare, la lezione sui Babilonesi, storie di spacconerie e di rimpianti... vanno giù.

    In attesa del gran finale, o dell'eredità.

    Serra e Merlo hanno uno stile diverso, perché sono persone diverse.
    Con culture diverse.

    Travaglio si accompagna, non a caso, con Grillo ed anche Di Pietro:
    due personaggi tristi per i quali non è riuscito ancora a trovare un soprannome adatto.

    Il Giornale, infine, ormai scava nella fogna.
    Oggi un pezzo resistibilissimo sulla Prestigiacomo.
    Ultima modifica di Zdenek; 22-07-11 alle 13:16
    Niente reputazioni ma opere di bene. Grazie.
    Che tristezza dev'essere ricevere un "ILike" da un cretino.

    -

    Cinguetto QUI

  9. #9
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    Predefinito Rif: Il caso Montesi, Montanelli e l'eterna questione morale

    Per la prestigiacomo, purtroppo per lei, passano gli anni, quello che era sodo comincia a perdere turgidezza, la "concorrenza" la incalza, e le si attaglia molto bene una definizione: "Minestra riscaldata"
    Cibo degnissimo, ma per chi è anziano e crede ancora di poter addentare "mele acerbe", anche con la dentiera, da la misura dell'insopportabile scorrere del tempo........
    .

    La parola "onore" non esiste nel mio lessico,pertanto non rispondo ai "fasci",amanti di quella parola.
    PS-Non rispondo alle "carogne" craxiane,agli "anarco-cazzari" e agli "adepti della setta del pluriomicida condannato in via definitiva"

  10. #10
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    Predefinito Rif: Il caso Montesi, Montanelli e l'eterna questione morale

    Citazione Originariamente Scritto da שְׁלֹמֹה Visualizza Messaggio
    Per la prestigiacomo, purtroppo per lei, passano gli anni, quello che era sodo comincia a perdere turgidezza, la "concorrenza" la incalza, e le si attaglia molto bene una definizione: "Minestra riscaldata"
    Cibo degnissimo, ma per chi è anziano e crede ancora di poter addentare "mele acerbe", anche con la dentiera, da la misura dell'insopportabile scorrere del tempo........
    Almeno si risparmierà frasi del tipo:
    "temperamento normanno mischiato a mestruo siciliano".

    La Zanicchi potrà essersele buona consigliera.
    Niente reputazioni ma opere di bene. Grazie.
    Che tristezza dev'essere ricevere un "ILike" da un cretino.

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