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orpheus
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O PER TUTTI O PER NESSUNO
Napolitano ha condannato duramente i manifesti di Milano (che erano sbagliati). Non ricordiamo però nessun richiamo sugli eccessi delle toghe. Sui trucchetti del Tribunale di Milano per condannare Berlusconi. Sugli eccessi di Di Pietro. O di certa stampa. O quel “assassino” riferito a Maroni. Dov’era, in questi e altri casi, il Capo dello Stato Garante di tutti?
Il giudice con il quale per primo Gianfranco Fini si espresse, in termini molto duri sul premier, è Nicola Trifuoggi, Capo della Procura di Pescara, poi concorrente (trombato dal Csm) alla poltrona di procuratore generale della Corte d’Appello di Roma.
“Silvio – disse Fini, il 6 novembre del 2009, non accorgendosi dei microfoni accesi di Striscia la notizia – confonde la leadership con la monarchia assoluta, il consenso popolare, che lo legittima a governare, con una sorta di immunità nei confronti di qualsiasi altra autorità…”.
Il presidente della Camera – che era stato garantista con il suo portavoce, Sottile (l’accusa: sesso con soubrettes in cambio di assunzioni o comparsate in Rai) – parlò, male, di Berlusconi, anche in relazione alle inchieste giudiziarie anti-Cavaliere e alle rivelazioni del killer mafioso, poi “pentito”, Gaspare Spatuzza. Nell’estate del 2009, Trifuoggi fu il titolare dell’inchiesta, che portò all’arresto e a una lunga custodia cautelare, non sostenuta da prove evidenti di corruzione, dell’allora governatore della Regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco, ex craxiano, poi dirigente nazionale del PD, subito gelidamente scaricato dal coraggioso segretario del suo partito, “Uolter” Veltroni, meglio noto come il “Clinton della Garbatella”.
Giorgio Napolitano ha riscosso unanimi, forse un po’ eccessivi, elogi per la sua esternazione in risposta al manifesto, apparso a Milano, che denunciava inopportunamente la presenza di “nuclei delle Brigate rosse” nel tribunale del capoluogo lombardo, notoriamente diretto da due campioni di obiettività e terzietà, come Edmondo Bruti Liberati e “Ilda la rossa” Boccassini.
Al contrario, non ricordo nessun richiamo, dal Capo dello Stato, che è anche il Presidente del Consiglio superiore della magistratura, sugli “eccessi” delle toghe anti-premier, sulle intercettazioni illegittime delle conversazioni telefoniche di un parlamentare lombardo, Silvio Berlusconi, sullo spostamento dell’inizio della prescrizione del reato di corruzione, nella vicenda Mills, al momento non della presunta dazione del denaro, ma all’inizio della spesa di quei soldi.
E, inoltre, mentre il responsabile dell’affissione del manifesto, l’avvocato Robero Lassini, candidato del PdL al Consiglio comunale di Milano, è indagato per “vilipendio dell’Ordine giudiziario”, nessun provvedimento le toghe hanno mai assunto, e nessuna esternazione dal Quirinale è stata diffusa, contro chi accusa il premier di essere “un terrorista”. Lo ha fatto, domenica scorsa, “Il Fatto Quotidiano”, che ha pubblicato un editoriale di Marco Travaglio, che invocava l’arresto immediato del Cavaliere, definito soavemente “un delinquentone”, mentre nell’edizione di martedì il giornale manettaro ha definito Silvio un “porcone”.
E nessuna censura dal Colle più alto di Roma è venuta nei confronti dell’ex deputato comunista, il”compagno” Alberto Asor Rosa, certo un po’ arteriosclerotico ma che tuttavia, sul “Manifesto”, e non in un’anonima osteria di Testaccio, ha auspicato un “golpe”, allo scopo di sfrattare il legittimo inquilino di Palazzo Chigi.
Nell’intervento del Capo dello Stato, con preoccupazione, si intravede anche un retroterra del vecchio PCI staliniano di Palmiro Togliatti. Io ritengo che le idee, anche quelle sbagliate, contenute nel manifesto di Lassini – che negli anni 90 aveva patito un lungo periodo di ingiusta custodia cautelare- vadano dibattute e avversate, politicamente e in civili dibattiti. E non spente e criminalizzate, perseguendo, penalmente, i responsabili, come avveniva nei cupi periodi delle dittature, fasciste e comuniste. Queste ultime sono state condannate, con qualche lustro di ritardo, dall’attuale primo cittadino del nostro Paese.
O per tutti, o per nessuno