La guerra è finita, almeno per loro. Con un comunicato ufficiale audio e video, lo scorso 20 Ottobre, l’ETA, feroce gruppo terroristico basco, ha infatti annunciato il suo definitivo “addio alle armi”, dopo circa 50 anni di attività e centinaia di morti. La notizia, che segna l’ultimo grande successo dell’era Zapatero in un bilancio per la verità piuttosto avaro nella seconda legislatura, era nell’aria già da qualche mese. Il mondo politico, seppure con i normali distinguo, ha reagito con compostezza e unità, salutando con soddisfazione la fine della lotta armata, commemorando le vittime e ricordando che in ogni caso l’Eta dovrà ora far seguire i fatti alle parole. Tutto questo, in un Paese che si confronta con la crisi economica più grave della sua ancora giovane democrazia. Un Paese in campagna elettorale, una campagna elettorale sobria e misurata che porterà il prossimo 20 Novembre gli spagnoli a scegliere a chi affidare il proprio governo per i prossimi 4 anni.
Come scritto poco più su, la decisione dell’ETA di abbandonare la lotta armata per trasformarsi in una forza politica che lotta pacificamente per l’indipendenza del Paese Basco non è del tutto inaspettata. Negli ultimi anni la politica repressiva del governo spagnolo e la sua collaborazione con quello francese ha portato a numerosi arresti di capi terroristici nei due Paesi. In più l’illegalizzazione di Batasuna, braccio politico dell’ETA, avvenuta nel 2004, e la cattura di uno dei suoi leader, Arnaldo Otegi,ancora oggi in carcere e convintamente passato alla non-violenza, avevano fatto mancare la “cinghia di trasmissione” tradizionale del gruppo terroristico con la società basca, relegandolo in un isolamento letale e trasformandolo quasi in una banda di delinquenti comuni.
La fine dell’ETA, annunciata ma ancora da verificare, è comunque un successo personale di José Luis Rodríguez Zapatero e di colui che è stato per più di cinque anni il suo Ministro dell’Interno, quell’Alfonso Pérez Rubalcaba che si presenta alle elezioni di Novembre come candidato socialista. Rubalcaba ha infatti guidato la lotta all’ETA da fautore della linea dura, tentando però di fare gioco di squadra con le correnti che all’interno della società basca chiedevano la fine della violenza. In questo quadro ha avuto un ruolo fondamentale la giunta regionale unitaria guidata dal socialista Patxi Lóez e sostenuta anche dai popolari baschi: i due grandi partiti nazionali, pur dividendosi ufficialmente tra “sostenitori del dialogo” (i socialisti) e “inflessibili” (i popolari) hanno in realtà lavorato insieme per prosciugare ogni forma di complicità nel campo politico e sociale nei confronti dell’ETA.
A nostro parere è stato poi determinante un altro fattore: la partecipazione alle elezioni, che per la verità socialisti e popolari avversavano, arrivata grazie a una sentenza della massima magistratura costituzionale spagnola, del partito di sinistra indipendentista Bildu, che alle amministrative dello scorso 22 Maggio ha registrato un buon risultato. In bilico fino all’ultimo per presunte complicità con Batasuna (e quindi in definitiva con l’ETA), Bildu ha respinto l’opzione armata, seppure tra alcune ambiguità non del tutto fugate, proponendosi come un partito sì indipendentista ma non-violento. Questo ha dimostrato come i terroristi non abbiano da soli il monopolio della lotta indipendentista e come, se vuole raggiungere il risultato di diventare un nuovo Stato (cosa secondo noi piuttosto remota, per usare un eufemismo), il popolo basco possa contare su un’opzione pacifica e democratica. Per la verità, in tutti questi anni, i baschi hanno potuto scegliere anche il Pnv (Partito Nazionalista Basco), una forza moderata a lungo al governo regionale che comprende al suo interno indipendentisti e autonomisti. Tuttavia una parte dell’ “arco costituzionale”, per via dei suoi legami con il terrorismo, non era giustamente rappresentato, e questo toglieva forza alle rivendicazioni basche. Ora le cose potrebbero cambiare anche per il Pnv che in un’ottica di alleanze elettorali future potrebbe puntare più decisamente e senza titubanze a un polo autonomista, se non apertamente indipendentista.
C’è però più di una ragione per dubitare delle reali intenzioni dell’ETA. Per capire il perché di questi timori basta tornare indietro solo di pochi anni, fino al 2006: nella primavera di quell’anno il gruppo terroristico annunciò una tregua unilaterale e senza scadenza. Tregua che il successivo 30 Dicembre violò con una bomba all’aeroporto di Barajas (Madrid), a causa della quale morirono 2 persone. Zapatero fu accusato di essersi fidato troppo dell’ETA, abbassando la guardia e permettendo alla banda terroristica di riorganizzarsi.
In ogni caso, rispetto ad allora sono cambiate alcune cose. La prima: ci troviamo in due situazioni molto differenti. Una tregua, come quella dichiarata nel 2006, non significa la rinuncia definitiva a ogni tipo di lotta armata, come affermato due settimane fa. E ancora: è del settembre 2010 l’annuncio di un ulteriore cessate il fuoco, confermato lo scorso 10 Gennaio aggiungendogli gli aggettivi di “permanente, generale e verificabile dagli osservatori internazionali”.
Nessuno ha la sfera di cristallo, ed è impossibile sapere se anche stavolta l’ETA bluffa oppure si può considerare definitivamente chiusa la stagione del dolore che negli ultimi 50 anni ha insanguinato non solo il Paese Basco, ma anche il resto della Spagna, causando circa un migliaio di vittime.
L’ottimismo della volontà spingerebbe ad accogliere la notizia della fine della lotta armata come l’apertura di un vero e duraturo processo di pace, sulla falsariga di quanto accaduto in Irlanda non più di qualche anno fa. Il pessimismo della ragione impone però di non lasciarsi cullare dai facili entusiasmi e di augurarsi che continui la politica di contrasto rigoroso nei confronti dell’ETA, qualunque sia il governo che uscirà dalle urne il prossimo 20 Novembre.
La felicità della società spagnola per un incubo che finisce è dunque trattenuta e condizionata. Vuoi per la crisi economica che non accenna a calare (è notizia di venerdì l’ultimo dato sul tasso di disoccupazione, il 21,5% dell’intera forza-lavoro, con un mostruoso quasi 50% tra i giovani) e monopolizza i pensieri di tutti, vuoi per il dolore ancora fortissimo e presente per le vite che 50 anni di ETA si è portata via: non solo quelle di chi è morto, ma anche quelle di parenti e amici che hanno visto cadere i propri cari a causa di una guerra senza senso, non cercata e non voluta.
Il sollievo è solo per le vite che questa decisione dell’ETA permetterà di risparmiare in futuro; verso chi se n’è andato i sentimenti rimarranno altri, sentimenti che niente potrà mai cambiare: commozione, rabbia, rimpianto, malinconia. Dolore.