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  1. #11
    Ritorno a Strapaese
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    Predefinito Riferimento: Come evocare e ottenere benevolenza e protezione dagli Dei?

    Citazione Originariamente Scritto da sideros Visualizza Messaggio
    Molti si propongono, ma pochissimi sono seri. Tutte le associazioni iniziatiche(serie) tendono nel loro cammino ad evocare. Anche i cristiani (in teoria) dovrebbero evocano-gli angel,i gli arcangeli, i troni ecc. -e invocano i santi e i profeti. Non puoi trovare un libro che ti insegni le evocazioni, e anche tante congreghe si spacciano per associazioni iniziatiche in guardia contro le fregature.
    Il cristianesimo non passa nulla di tutto ciò al suo popolo bue e così, come moti altri, cercano di spillare soldi e addirittura vengono impiegate le energie di catena per motivi oscuri o personale . Non posso fare nomi dato che in uno stesso ambito agiscono persone corrette, ma anche personaggi opportunisti.
    Provate, cercate e sicuramente troverete. Posso dare delle informazioni solo in maniera riservata.
    Si, sono al corrente della pericolosità, infatti credo che senza la certezza matematica ( se certezza matematica vi può essere in queste cose) e senza essere inserito in una catena iniziatica almeno tipo quella di Gruppo di Ur e affini , non mi metterei mai e poi mai ad invocare entità, spiriti, Dei, demoni o quant'altro ( avrei certamente paura nel farlo)...comunque sarebbe alquanto interessante avere notizie in merito...

    ps: X Sideros, ti ho mandato una richiesta di amicizia.
    "Non posso lasciarti né obliarti: / il mondo perderebbe i colori / ammutolirebbero per sempre nel buio della notte / le canzoni pazze, le favole pazze". (V. Solov'ev)

  2. #12
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    Predefinito Riferimento: Come evocare e ottenere benevolenza e protezione dagli Dei?

    Per restare in tema Gabriele d'Annunzio apparteneva a varie congreghe iniziatiche, e la sua ricerca letteraria ma sopratutto umana fu sempre mossa da dalla capacità di imbonirsi gli dei. Un po' come Ermst Junger che con particolari pratiche riteneva di superare anche la morte certa, era sicuro che riusciva a deviare le pallottole.
    Uomo e letterato di grande valore per tutta la sua esistenza combatté contro Hitler (anche se in un primo momento lo appoggiò). Adolf non pote mai toccarlo per il prestigio che questo uomo aveva verso l'opinione pubblica tedesca il più grande eroe della Prima Guerra Mondiale amico di Hofman. Sicuramente un feroce antiborghese che morì centenario.

  3. #13
    Ritorno a Strapaese
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    Predefinito Riferimento: Come evocare e ottenere benevolenza e protezione dagli Dei?

    Citazione Originariamente Scritto da sideros Visualizza Messaggio
    Per restare in tema Gabriele d'Annunzio apparteneva a varie congreghe iniziatiche, e la sua ricerca letteraria ma sopratutto umana fu sempre mossa da dalla capacità di imbonirsi gli dei. Un po' come Ermst Junger che con particolari pratiche riteneva di superare anche la morte certa, era sicuro che riusciva a deviare le pallottole.
    Uomo e letterato di grande valore per tutta la sua esistenza combatté contro Hitler (anche se in un primo momento lo appoggiò). Adolf non pote mai toccarlo per il prestigio che questo uomo aveva verso l'opinione pubblica tedesca il più grande eroe della Prima Guerra Mondiale amico di Hofman. Sicuramente un feroce antiborghese che morì centenario.
    Si, avevo sentito qualcosa su Gabriele D'Annunzio, anche per quanto riguarda il simbolismo esoterico presente nelle sue opere, non per niente è uno dei personaggi per cui nutro profonda stima e considerazione. So che era affiliato all' Ordine Martinista di Papus ma non vorrei sbagliarmi....
    "Non posso lasciarti né obliarti: / il mondo perderebbe i colori / ammutolirebbero per sempre nel buio della notte / le canzoni pazze, le favole pazze". (V. Solov'ev)

  4. #14
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    Predefinito Riferimento: Come evocare e ottenere benevolenza e protezione dagli Dei?

    Tra la fine dell'ottocento e i primi del novecento,diciamo fino al terzo decennio del 1900 ci fù tutto un fiorire,un pullulare di letterati che parevano immersi in realtà esoteriche,nella maggior parte dei casi era svaghi anti positivisti tipici di certo decadence francese e italiana,il valore letterario non si discute su quello esoterico uno dei migliori è stato Arthur Machen,tra i simbolisti il nostro Dino Buzzati rimane un GIGANTE.

    IL SEGRETO DEL BOSCO VECCHIO per esempio.

  5. #15
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    Predefinito Riferimento: Come evocare e ottenere benevolenza e protezione dagli Dei?

    Citazione Originariamente Scritto da Dr. Caligari Visualizza Messaggio
    Come ottenere evocare e ottenere benevolenza dagli Dei? Ma si manifestano solo mediante catene iniziatiche? ( tipo l'episodio dei Dioscuri, manifestatisi prima della vittoria italiana nella prima guerra mondiale) Avete qualche esperienza 'esoterica' in riguardo?
    Di che si tratta questo episodio dei Dioscuri?

  6. #16
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    Predefinito Riferimento: Come evocare e ottenere benevolenza e protezione dagli Dei?

    Citazione Originariamente Scritto da Traumer Visualizza Messaggio
    Di che si tratta questo episodio dei Dioscuri?
    Vi prego di rispondere ho scritto solo per curiosità e non ho pregiudizi di alcun tipo sul paganesimo se è questo il motivo del vostro silenzio.

  7. #17
    Ritorno a Strapaese
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    Predefinito Riferimento: Come evocare e ottenere benevolenza e protezione dagli Dei?

    Citazione Originariamente Scritto da Traumer Visualizza Messaggio
    Vi prego di rispondere ho scritto solo per curiosità e non ho pregiudizi di alcun tipo sul paganesimo se è questo il motivo del vostro silenzio.
    EKATLOS E IL LAPIS NIGER
    A Roma esiste un monumento archeologico noto come Lapis
    Niger (marmo nero). Si trova nel Foro. Venne scoperto il 10
    gennaio 1899 da un famoso archeologo del tempo, Giacomo Boni,
    “fanatico” del paganesimo romano; un caso raro, nel panorama
    degli studiosi accademici del mondo antico. Sulla figura
    dell’archeologo veneziano ha scritto un articolo S. Consolato,
    direttore de La Cittadella, per il n° 46 del mensile Hera, nel
    supplemento monografico dedicato a Esoterismo e Fascismo,
    p.44-47, nonché sull’ultimo numero della rivista Politica Romana.
    Se è pur vero che il paganesimo romano c’entra assai poco con il
    Fascismo – la storia ha dimostrato che il Mussolinianesimo1[1]
    strumentalizzò il mito di Roma per dare corpo al regime fascista e
    che elemento aggregatore fu solo una comune volontà di
    imperium, un “imperialismo” che più che pagano si sarebbe potuto
    e dovuto definire “nazionalista”, la famosa boria delle nazioni di
    cui parlò anche Evola -, fu grazie a questa convergenza di interessi
    tra il Boni e il desiderio mussoliniano di dare un abito diverso ed
    efficace al suo regime che si potettero riesumare dal passato
    insigni vestigia, le quali sarebbero certamente rimaste in buona
    parte sottoterra se al potere ci fosse stato un governo diverso.
    Contrariamente all’uso comune del termine latino lapis (pietra),
    nel caso specifico la parola significa “marmo, pavimentazione”.
    Ciò è già sufficiente a sfatare quell’idea – non priva di
    reminiscenze guenoniane2[2] - che in alcune persone porta a
    credere che anche a Roma ci sia un equivalente della famosa
    1[1]
    J. Evola, nella sua opera Gli Uomini e le Rovine, ha giustamente inquadrato Mussolini come un
    “bonapartista”, nel senso che come ideale supremo aveva l’idealizzazione di se stesso.
    2[2]
    L’influsso dello scrittore franco-islamico Renè Guénon sugli ambienti della cosiddetta “scuola
    italica” è in genere sottaciuto ma ben evidente nell’opera e negli scritti di un Guido de Giorgio, per
    fare un esempio, fino a continuarsi ai nostri giorni con personaggi ancor meno noti.
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    Kaaba islamica della citta di La Mecca. E’ questa una pietra nera
    meteoritica venerata dai maomettani con un rituale che di
    monoteistico ha molto poco. A Roma non esistette nessuna pietra
    nera di tal genere. Gli scrittori Dionisio di Alicarnasso e Pompeo
    Festo ricordarono per la prima volta, nei loro scritti, l’esistenza di
    un lapis niger posto nel Foro. Si trattava (e si tratta, perché esiste
    ancora) di una pavimentazione in marmo nero di pochi metri
    quadrati, edificata a bella posta forse al tempo di Augusto, per
    differenziare il sito da tutto il resto della pavimentazione
    adiacente, di ben più vaste dimensioni. Ecco, in sostanza, cos’è il
    lapis niger.
    Ma per quale motivo i Romani dell’epoca vollero enucleare un
    pezzetto di suolo e distinguerlo a futura memoria da tutto il
    circostante? Gli scrittori appena citati lo spiegarono allusivamente,
    forse perché a loro stessi ne sfuggiva il motivo. Fu Giacomo Boni
    che lo scoprì. Scavando infatti sotto la pavimentazione in
    questione, il Boni rinvenne a circa 1,5 metri di profondità, tutta
    una struttura che finì per rivelarsi essere stata un sacrario, del
    quale permane incerta l’attribuzione: secondo alcuni si tratta della
    tomba di Faustolo (il pastore che trovò i gemelli Romolo e Remo)
    o del padre di Tullo Ostilio, o il posto dove scomparve Romolo,
    oppure una parte del Volcanal, il tempio antichissimo del Dio
    Vulcano. Parte essenziale della struttura è una stele di tufo – ed è
    questa che volgarmente viene spacciata per lapis niger – sui cui
    lati è incisa una scrittura latina arcaica (550 a.C. circa) cosiddetta
    bustrofedica verticale, le cui righe quindi si leggono dall’alto in
    basso e dal basso in alto, da sinistra a destra e da destra a sinistra.
    La frammentarietà dell’iscrizione ha permesso solo di farne una
    vaga traduzione ma quanto basta per capire che doveva trattarsi di
    una legge, di un decreto, il quale dichiarava sacro e inviolabile il
    luogo sotto pena di sanzioni. A causa di eventi bellici
    (l’occupazione della città da parte dei Celti di Brenno) o per la
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    ristrutturazione del Foro occorsa in più periodi della storia
    romana, questo sacrario venne fortemente danneggiato e forse si
    perse anche il ricordo del suo vero significato, cosicchè, alla fine,
    si volle conservarne la memoria ricoprendo quelle arcaiche e sante
    vestigia e rivestendone la superficie con una pavimentazione di
    marmo nero che la distinguesse per sempre dall’anonimità dello
    spiazzo circostante.
    Alla luce di questi riscontri e specialmente alla luce del fatto che
    nel lapis niger si potrebbe identificare il luogo di un evento
    fondamentale nella storia di Roma – luogo che il lapis niger stesso
    non tramanda che indirettamente, facendo presagire in tale sito lo
    svolgimento di un evento ancor più arcaico del VI secolo a.C. –
    noi ci spieghiamo alcuni fatti recenti della nostra storia
    “esoterica”, che videro come protagonisti appunto Giacomo Boni
    (si leggano gli articoli di Consolato che ne illustra la personalità) e
    più tardi Julius Evola.
    Nel 1929 infatti la rivista Krur (ex Ur), diretta da Julius Evola e
    dopo la rottura con Reghini, pubblicò un singolare documento
    retrospettivo (Ekatlos: “La Grande Orma”: la scena e le quinte) nel
    quale in forma sfumata e allusiva, si faceva cenno al manifestarsi
    di “segni che qualcosa di nuovo richiamava le grandi forze della
    tradizione nostra” e ad un rituale pagano celebrato nel 1913 e
    volto a propiziare, grazie all’apparizione preternaturale “degli Eroi
    della razza nostra romana”, l’intervento vittorioso dell’Italia in
    guerra3[3]. Del resto il titolo, La Grande Orma, era un trasparente
    anagramma per La Grande Roma. Inoltre si parlava di come fosse
    consegnato a Mussolini un fascio etrusco originale e di come si
    3[3]
    Tra virgolette riportiamo le parole originali della rivista Krur e non il testo che Evola rielaborò
    per la successiva edizione in tre volumi, alcuni decenni dopo. Le modifiche dell’Evola sembrano
    orientate verso una presa di distanza dalle posizioni di Ekatlos, e non in senso solo ideale ma anche
    pragmatico. Nella sua autobiografia scrisse infatti che molte esperienze vantate dal Gruppo di Ur
    dovevano essere prese con il beneficio dell’inventario. A maggior ragione, quindi, aggiungiamo noi,
    le esperienze di estranei al Gruppo incluse nelle monografie!
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    continuasse nella celebrazione di rituali – peraltro di sapore
    commemorativo e analogico - anche negli anni seguenti.
    Sull’argomento esprime con competenza ricostruttiva le sue
    interessanti considerazioni G. Lo Monaco, nell’articolo della
    rivista Atrium (Anno VI, 1-2). Noi affronteremo solo la questione
    riguardante il Lapis Niger.
    Articoli pubblicati da diversi autori in più occasioni, ci permettono
    di avanzare il fondato sospetto che il documento in questione fosse
    espressione di un gruppo abbastanza occulto, attivo già nella
    seconda metà dell’800 (ne avrebbe fatto parte l’archeologa Ersilia
    Caetani Lovatelli e l’artista R. Musmeci Ferrari-Bravo), che a
    cavallo del secolo seguente avrebbe avuto come suo membro
    autorevole l’archeologo Giacomo Boni, e sintetizzasse appunti
    suoi personali, che una discepola (Cesarina Ribulsi) dopo la sua
    morte, avvenuta nel 1925, passò ad Evola nel 1929. Comunque
    Evola, come abbiamo già detto alla nota precedente, poco avvezzo
    ai voli pindarici, non deve aver nutrito molta fiducia nelle
    affermazioni di Ekatlos se avvertì la necessità, nella edizione in tre
    volumi che fece successivamente della rivista, di scrivere
    scetticamente a piè di pagina “relazione trasmessaci nel 1929 e
    che qui si pubblica a semplice titolo di documento”.
    Una delle quattro facce della stele rinvenuta dal Boni sotto al lapis
    niger comincia con una riga riportante le seguenti lettere, ma
    scritte in caratteri arcaici: “M....KALATO” che però solo
    successivamente e non dal Boni, vennero riassemblate e tradotte
    assieme al resto dell’iscrizione in maniera corretta. Quelle che
    infatti apparvero al Boni e a chi vide per la prima volta il reperto
    erano i caratteri vetusti di un alfabeto greco calcidese (euboico)
    adattato al primitivo latino. Ebbene all’epoca tutto ciò non si
    sapeva così come non si sapevano tradurre quelle parole. A causa
    della particolare conformazione di quei caratteri, che non sono
    affatto uguali – anche per assetto geometrico (una M rovesciata
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    può apparire come una E) – ai caratteri dell’alfabeto latino
    classico, si può essere indotti a leggere...EKATLO! Che Boni non
    leggesse quell’alfabeto arcaico lo si deduce dal fatto che quando
    fu incaricato di disegnare i caratteri arcaici che figurano sulla
    copertina dell’edizione ufficiale della tragedia Rumon (evento che
    all’epoca ebbe una notevole risonanza4[4]) non riprese affatto gli
    autentici caratteri arcaici romani del lapis niger ma, tranne la
    lettera E, ne stilizzò di più semplici.
    Ora, ci sono validi indizi sia nel documento che nei fatti della vita
    del Boni riferiti negli articoli di Sandro Consolato – che si rifà alla
    biografia dell’archeologo – per attribuirgli la paternità originaria
    dei riti di cui si parla: “Quando fu scoperto il lapis niger, il suo
    volto ardeva di gioia, perché aveva ricevuto una rivelazione
    divina, la notte avanti, in sogno”. E di esperienze trascendentali si
    parla appunto anche nel documento, in relazione
    all’identificazione di un luogo archeologico dove poi egli avrebbe
    trovato degli antichi reperti e celebrato dei riti. Ciò avvalendosi
    anche delle facoltà medianiche forse sempre di quella Cesarina
    Ribulsi. Questa donna sarebbe la stessa che, molti anni dopo,
    scrisse un curioso romanzo nel quale si parlava di un personaggio
    chiamato “Ekatlo Lartio5[5]”, senza la S finale. Una
    sgrammaticatura? Forse, ma sicuramente è uno strafalcione vero e
    proprio quello che appare nel documento e che nemmeno l’attenta
    revisione di Evola riscontrò: infatti, quando si accenna alla
    celebrazione del rito si scrive che questo avvenne “nel periodo
    sacro alla forza che rialza il sole nel corso annuale, dopo che ha
    toccato la magica casa di Ariete: nel periodo del Natalis Solis
    Invicti”. Ora, il periodo del natale del sole invitto è il 25
    Dicembre, ma il sole tocca la costellazione dell’ariete il 21 Marzo!
    4[4]
    Ignis [R. Musmeci Ferrari-Bravo]: RUMON - Sacrae Romae Origines. Libri del Graal, Roma
    1997. Si tratta di un lavoro nel quale trapela al massimo grado la plebea “boria delle nazioni”.
    5[5]
    Lartio è la contrazione del nome Laerte, così come si chiamava anche il padre di Ulisse.
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    Come spiegare ciò? Dobbiamo ascriverlo al Boni o più facilmente
    alla sua distratta discepola?
    In ogni caso pare di capire, se l’identificazione di ekatlos con
    kalato è vera, che “l’arcaico sepolcro” dove fu celebrato il rito e
    trovato il reperto – che poi sarebbe divenuto una specie di pignum
    imperii – era proprio il lapis niger. Del resto solo la posizione del
    Boni avrebbe permesso di celebrare in quel posto “per mesi e
    mesi, ogni notte, senza sosta” un rito così sfacciatamente non
    cristiano. Boni abitava, unico essere umano, dal 1910 sul Palatino
    ed era il Direttore degli scavi del Foro.... Invece il Prof. R. del
    Ponte, sempre nel citato supplemento della rivista Hera (p.27),
    parla di “un antico sepolcro sulla via Appia Antica”. Da dove
    tragga questa certezza non è dato sapere6[6].
    Il documento è suddiviso in quattro brani; si capisce che è di Boni
    che si tratta. La visione dell’aquila e dei Dioscuri sul Palatino e lo
    stato d’animo provato gli appartiene in pieno. Ma anche questa
    frase è indicativa: “1917. Vicende varie. E poi il crollo.
    Caporetto”. E’ quel vicende varie che è significativo; sembra fuori
    luogo, a meno di non vedere in esse la grave malattia che colpì
    Boni e lo costrinse ad abbandonare il fronte di guerra dove si era
    recato come volontario. Si accenna poi a vicende successive cui le
    stesse forze e persone avrebbero partecipato per influenzare
    Mussolini a favore della Romanità pagana. Si parla di un’ascia
    bipenne etrusca, presa da una tomba e donata al Duce. Si scrive
    “oggi si lavora al Vittoriale nella cui nicchia centrale sarà
    6[6]
    Anche il Lo Monaco segnala il sepolcro sulla via Appia ma soltanto, come ci ha gentilmente
    detto, sulla scorta dell’affermazione di R. del Ponte. A titolo di curiosità segnaliamo quanto si legge
    nel libro di T. Antongini, Vita segreta di Gabriele d’Annunzio (Mondadori, Milano 1938, p.406):
    “Il sortilegio ebbe luogo a Roma la notte del 20 Giugno 1915. Vi presero parte attiva d’Annunzio e
    la marchesa Luisa C. [Casati] ... La curiosa cerimonia si svolse alla tomba degli Orazi e dei Curiazi
    sulla Via Appia, allo scoccare della mezzanotte”.... A testimonianza dell’episodio rimase un
    curiosissimo e audacissimo poemetto in prosa che d’Annunzio scrisse in francese e intitolò: “La
    figure de cire”. Di questa rarissima composizione non esistono che due copie, delle quali una è nelle
    mani della Marchesa C. [Casati]. L’originale fu distrutto dall’autore”.
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    collocata la statua di Roma arcaica”. Si tratta del Vittoriano7[7],
    iniziato nel 1885 e terminato nella sua struttura nel 1911 e nelle
    ultime decorazioni nel 1935. La statua della Dea Roma vi fu
    collocata solo nel 1925, anno in cui morì lo stesso Giacomo Boni.
    Il documento intitolato “La Grande Orma” venne redatto dunque
    in origine non oltre il 1925 (terminus post quem). Il terminus ante
    quem può essere identificato nel 1922, poiché in un passo si scrive
    “...chi oggi regge il governo” (alludendo a Mussolini). Pertanto
    non fu un documento di Boni, ma un insieme di estratti a lui
    riferibili.
    Boni fu attivo fino al momento della morte ed il suo gruppo
    occulto continuava ad agire ritualmente per propiziare in seno al
    Fascismo una rinascita dell’antico spirito di Roma. Vogliamo anzi
    aggiungere che secondo noi tutta la messinscena della consegna a
    Mussolini del fascio antico ed altre iniziative analoghe provennero
    proprio dal gruppo segreto di Boni e Musmeci Ferrari-Bravo! In
    una data imprecisata ma comunque tra il 1922 e il 1925, recatisi in
    un sito romano posto “in una propinqua via”, cioè nelle vicinanze
    del Vittoriano, avrebbero infatti apposto “nella più recondita parte
    di questa costruzione” un segno, affatto romano ma molto
    ermetico: una fenice; con il che si può ipotizzare essere quello del
    Boni un gruppo con non troppo velati richiami al mondo osirideo
    egizio, fatto che del resto stona con una romanità genuina e pura,
    facendo invece pensare ad inquinamenti più o meno evidenti - e
    molto meno arcaici - di carattere massonico-martinista8[8]. Ekatlos
    infatti precisa che al luogo prescelto “corrispondeva il luogo del
    culto isiaco” al tempo dell’antica Roma. Il tempio di Iside e
    Osiride sorgeva nell’antico quartiere della Suburra (oggi rione
    Monti), dove nacque anche Giulio Cesare. Non dovrebbe essere
    7[7]
    Il Vittoriano è il monumento funebre di Vittorio Emanuele II. Divenne Vittoriale e Altare della
    Patria quando prevalse l’idea di commemorarvi i morti della Grande Guerra. Da notare che Evola
    cancellò “Vittoriale” e sostituì con “un grande monumento”. Perché questa spersonalizzazione?
    8[8]
    Noi stessi abbiamo contribuito a smascherare un’analoga confusione traducendo La Threicie di
    Quintus Aucler, opera del 1799 nella quale le influenze martiniste sono preponderanti
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    difficile per chi lo voglia identificare il posto esatto, cioè “uno
    strano piccolo edifizio”.
    Questo gruppo misterioso se non misterico, esiste ancora oggi? Da
    notizie che abbiamo raccolto pare che la “base” abbia subito la
    frattura con i vertici e che cerchi per conto suo un ricollegamento
    che evidentemente non può essere ristabilito dal basso.
    Certamente qualcosa è ancora vivo (ci riferiamo alla presunta
    continuazione della trasmissione del nome arcano di Roma e ai
    legami con la città di Gubbio) e la legge di analogia continua a
    mandare i suoi misteriosi messaggi. Non si spiega diversamente
    una curiosa nota di carattere ermetico-alchemico che abbiamo
    trovato nel sito di un personaggio non estraneo ai temi di un certo
    esoterismo, Mario Farneti, la quale riecheggia proprio le ultime
    righe de La Grande Orma: “... Nel mezzo della stupenda
    decorazione grottesca, troneggia la Fenice risorgente dalle proprie
    ceneri calcinate dal fuoco di spirituale natura e, immediatamente
    sotto, il sigillo della Romanità, tra due pesci allegorici in
    circonvoluzione fino a formare una metaforica Lira, geroglifico
    del Vetriolo filosofico e della sua universale virtù dissolvente e
    armonizzante (ROMANITA’! anagrammato in ARMONIA T,
    ovvero la concordia e la pace del fine)”.
    "Non posso lasciarti né obliarti: / il mondo perderebbe i colori / ammutolirebbero per sempre nel buio della notte / le canzoni pazze, le favole pazze". (V. Solov'ev)

  8. #18
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    Citazione Originariamente Scritto da Dr. Caligari Visualizza Messaggio
    EKATLOS E IL LAPIS NIGER
    A Roma esiste un monumento archeologico noto come Lapis
    Niger (marmo nero). Si trova nel Foro. Venne scoperto il 10
    gennaio 1899 da un famoso archeologo del tempo, Giacomo Boni,
    “fanatico” del paganesimo romano; un caso raro, nel panorama
    degli studiosi accademici del mondo antico. Sulla figura
    dell’archeologo veneziano ha scritto un articolo S. Consolato,
    direttore de La Cittadella, per il n° 46 del mensile Hera, nel
    supplemento monografico dedicato a Esoterismo e Fascismo,
    p.44-47, nonché sull’ultimo numero della rivista Politica Romana.
    Se è pur vero che il paganesimo romano c’entra assai poco con il
    Fascismo – la storia ha dimostrato che il Mussolinianesimo1[1]
    strumentalizzò il mito di Roma per dare corpo al regime fascista e
    che elemento aggregatore fu solo una comune volontà di
    imperium, un “imperialismo” che più che pagano si sarebbe potuto
    e dovuto definire “nazionalista”, la famosa boria delle nazioni di
    cui parlò anche Evola -, fu grazie a questa convergenza di interessi
    tra il Boni e il desiderio mussoliniano di dare un abito diverso ed
    efficace al suo regime che si potettero riesumare dal passato
    insigni vestigia, le quali sarebbero certamente rimaste in buona
    parte sottoterra se al potere ci fosse stato un governo diverso.
    Contrariamente all’uso comune del termine latino lapis (pietra),
    nel caso specifico la parola significa “marmo, pavimentazione”.
    Ciò è già sufficiente a sfatare quell’idea – non priva di
    reminiscenze guenoniane2[2] - che in alcune persone porta a
    credere che anche a Roma ci sia un equivalente della famosa
    1[1]
    J. Evola, nella sua opera Gli Uomini e le Rovine, ha giustamente inquadrato Mussolini come un
    “bonapartista”, nel senso che come ideale supremo aveva l’idealizzazione di se stesso.
    2[2]
    L’influsso dello scrittore franco-islamico Renè Guénon sugli ambienti della cosiddetta “scuola
    italica” è in genere sottaciuto ma ben evidente nell’opera e negli scritti di un Guido de Giorgio, per
    fare un esempio, fino a continuarsi ai nostri giorni con personaggi ancor meno noti.
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    Kaaba islamica della citta di La Mecca. E’ questa una pietra nera
    meteoritica venerata dai maomettani con un rituale che di
    monoteistico ha molto poco. A Roma non esistette nessuna pietra
    nera di tal genere. Gli scrittori Dionisio di Alicarnasso e Pompeo
    Festo ricordarono per la prima volta, nei loro scritti, l’esistenza di
    un lapis niger posto nel Foro. Si trattava (e si tratta, perché esiste
    ancora) di una pavimentazione in marmo nero di pochi metri
    quadrati, edificata a bella posta forse al tempo di Augusto, per
    differenziare il sito da tutto il resto della pavimentazione
    adiacente, di ben più vaste dimensioni. Ecco, in sostanza, cos’è il
    lapis niger.
    Ma per quale motivo i Romani dell’epoca vollero enucleare un
    pezzetto di suolo e distinguerlo a futura memoria da tutto il
    circostante? Gli scrittori appena citati lo spiegarono allusivamente,
    forse perché a loro stessi ne sfuggiva il motivo. Fu Giacomo Boni
    che lo scoprì. Scavando infatti sotto la pavimentazione in
    questione, il Boni rinvenne a circa 1,5 metri di profondità, tutta
    una struttura che finì per rivelarsi essere stata un sacrario, del
    quale permane incerta l’attribuzione: secondo alcuni si tratta della
    tomba di Faustolo (il pastore che trovò i gemelli Romolo e Remo)
    o del padre di Tullo Ostilio, o il posto dove scomparve Romolo,
    oppure una parte del Volcanal, il tempio antichissimo del Dio
    Vulcano. Parte essenziale della struttura è una stele di tufo – ed è
    questa che volgarmente viene spacciata per lapis niger – sui cui
    lati è incisa una scrittura latina arcaica (550 a.C. circa) cosiddetta
    bustrofedica verticale, le cui righe quindi si leggono dall’alto in
    basso e dal basso in alto, da sinistra a destra e da destra a sinistra.
    La frammentarietà dell’iscrizione ha permesso solo di farne una
    vaga traduzione ma quanto basta per capire che doveva trattarsi di
    una legge, di un decreto, il quale dichiarava sacro e inviolabile il
    luogo sotto pena di sanzioni. A causa di eventi bellici
    (l’occupazione della città da parte dei Celti di Brenno) o per la
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    ristrutturazione del Foro occorsa in più periodi della storia
    romana, questo sacrario venne fortemente danneggiato e forse si
    perse anche il ricordo del suo vero significato, cosicchè, alla fine,
    si volle conservarne la memoria ricoprendo quelle arcaiche e sante
    vestigia e rivestendone la superficie con una pavimentazione di
    marmo nero che la distinguesse per sempre dall’anonimità dello
    spiazzo circostante.
    Alla luce di questi riscontri e specialmente alla luce del fatto che
    nel lapis niger si potrebbe identificare il luogo di un evento
    fondamentale nella storia di Roma – luogo che il lapis niger stesso
    non tramanda che indirettamente, facendo presagire in tale sito lo
    svolgimento di un evento ancor più arcaico del VI secolo a.C. –
    noi ci spieghiamo alcuni fatti recenti della nostra storia
    “esoterica”, che videro come protagonisti appunto Giacomo Boni
    (si leggano gli articoli di Consolato che ne illustra la personalità) e
    più tardi Julius Evola.
    Nel 1929 infatti la rivista Krur (ex Ur), diretta da Julius Evola e
    dopo la rottura con Reghini, pubblicò un singolare documento
    retrospettivo (Ekatlos: “La Grande Orma”: la scena e le quinte) nel
    quale in forma sfumata e allusiva, si faceva cenno al manifestarsi
    di “segni che qualcosa di nuovo richiamava le grandi forze della
    tradizione nostra” e ad un rituale pagano celebrato nel 1913 e
    volto a propiziare, grazie all’apparizione preternaturale “degli Eroi
    della razza nostra romana”, l’intervento vittorioso dell’Italia in
    guerra3[3]. Del resto il titolo, La Grande Orma, era un trasparente
    anagramma per La Grande Roma. Inoltre si parlava di come fosse
    consegnato a Mussolini un fascio etrusco originale e di come si
    3[3]
    Tra virgolette riportiamo le parole originali della rivista Krur e non il testo che Evola rielaborò
    per la successiva edizione in tre volumi, alcuni decenni dopo. Le modifiche dell’Evola sembrano
    orientate verso una presa di distanza dalle posizioni di Ekatlos, e non in senso solo ideale ma anche
    pragmatico. Nella sua autobiografia scrisse infatti che molte esperienze vantate dal Gruppo di Ur
    dovevano essere prese con il beneficio dell’inventario. A maggior ragione, quindi, aggiungiamo noi,
    le esperienze di estranei al Gruppo incluse nelle monografie!
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    continuasse nella celebrazione di rituali – peraltro di sapore
    commemorativo e analogico - anche negli anni seguenti.
    Sull’argomento esprime con competenza ricostruttiva le sue
    interessanti considerazioni G. Lo Monaco, nell’articolo della
    rivista Atrium (Anno VI, 1-2). Noi affronteremo solo la questione
    riguardante il Lapis Niger.
    Articoli pubblicati da diversi autori in più occasioni, ci permettono
    di avanzare il fondato sospetto che il documento in questione fosse
    espressione di un gruppo abbastanza occulto, attivo già nella
    seconda metà dell’800 (ne avrebbe fatto parte l’archeologa Ersilia
    Caetani Lovatelli e l’artista R. Musmeci Ferrari-Bravo), che a
    cavallo del secolo seguente avrebbe avuto come suo membro
    autorevole l’archeologo Giacomo Boni, e sintetizzasse appunti
    suoi personali, che una discepola (Cesarina Ribulsi) dopo la sua
    morte, avvenuta nel 1925, passò ad Evola nel 1929. Comunque
    Evola, come abbiamo già detto alla nota precedente, poco avvezzo
    ai voli pindarici, non deve aver nutrito molta fiducia nelle
    affermazioni di Ekatlos se avvertì la necessità, nella edizione in tre
    volumi che fece successivamente della rivista, di scrivere
    scetticamente a piè di pagina “relazione trasmessaci nel 1929 e
    che qui si pubblica a semplice titolo di documento”.
    Una delle quattro facce della stele rinvenuta dal Boni sotto al lapis
    niger comincia con una riga riportante le seguenti lettere, ma
    scritte in caratteri arcaici: “M....KALATO” che però solo
    successivamente e non dal Boni, vennero riassemblate e tradotte
    assieme al resto dell’iscrizione in maniera corretta. Quelle che
    infatti apparvero al Boni e a chi vide per la prima volta il reperto
    erano i caratteri vetusti di un alfabeto greco calcidese (euboico)
    adattato al primitivo latino. Ebbene all’epoca tutto ciò non si
    sapeva così come non si sapevano tradurre quelle parole. A causa
    della particolare conformazione di quei caratteri, che non sono
    affatto uguali – anche per assetto geometrico (una M rovesciata
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    può apparire come una E) – ai caratteri dell’alfabeto latino
    classico, si può essere indotti a leggere...EKATLO! Che Boni non
    leggesse quell’alfabeto arcaico lo si deduce dal fatto che quando
    fu incaricato di disegnare i caratteri arcaici che figurano sulla
    copertina dell’edizione ufficiale della tragedia Rumon (evento che
    all’epoca ebbe una notevole risonanza4[4]) non riprese affatto gli
    autentici caratteri arcaici romani del lapis niger ma, tranne la
    lettera E, ne stilizzò di più semplici.
    Ora, ci sono validi indizi sia nel documento che nei fatti della vita
    del Boni riferiti negli articoli di Sandro Consolato – che si rifà alla
    biografia dell’archeologo – per attribuirgli la paternità originaria
    dei riti di cui si parla: “Quando fu scoperto il lapis niger, il suo
    volto ardeva di gioia, perché aveva ricevuto una rivelazione
    divina, la notte avanti, in sogno”. E di esperienze trascendentali si
    parla appunto anche nel documento, in relazione
    all’identificazione di un luogo archeologico dove poi egli avrebbe
    trovato degli antichi reperti e celebrato dei riti. Ciò avvalendosi
    anche delle facoltà medianiche forse sempre di quella Cesarina
    Ribulsi. Questa donna sarebbe la stessa che, molti anni dopo,
    scrisse un curioso romanzo nel quale si parlava di un personaggio
    chiamato “Ekatlo Lartio5[5]”, senza la S finale. Una
    sgrammaticatura? Forse, ma sicuramente è uno strafalcione vero e
    proprio quello che appare nel documento e che nemmeno l’attenta
    revisione di Evola riscontrò: infatti, quando si accenna alla
    celebrazione del rito si scrive che questo avvenne “nel periodo
    sacro alla forza che rialza il sole nel corso annuale, dopo che ha
    toccato la magica casa di Ariete: nel periodo del Natalis Solis
    Invicti”. Ora, il periodo del natale del sole invitto è il 25
    Dicembre, ma il sole tocca la costellazione dell’ariete il 21 Marzo!
    4[4]
    Ignis [R. Musmeci Ferrari-Bravo]: RUMON - Sacrae Romae Origines. Libri del Graal, Roma
    1997. Si tratta di un lavoro nel quale trapela al massimo grado la plebea “boria delle nazioni”.
    5[5]
    Lartio è la contrazione del nome Laerte, così come si chiamava anche il padre di Ulisse.
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    Come spiegare ciò? Dobbiamo ascriverlo al Boni o più facilmente
    alla sua distratta discepola?
    In ogni caso pare di capire, se l’identificazione di ekatlos con
    kalato è vera, che “l’arcaico sepolcro” dove fu celebrato il rito e
    trovato il reperto – che poi sarebbe divenuto una specie di pignum
    imperii – era proprio il lapis niger. Del resto solo la posizione del
    Boni avrebbe permesso di celebrare in quel posto “per mesi e
    mesi, ogni notte, senza sosta” un rito così sfacciatamente non
    cristiano. Boni abitava, unico essere umano, dal 1910 sul Palatino
    ed era il Direttore degli scavi del Foro.... Invece il Prof. R. del
    Ponte, sempre nel citato supplemento della rivista Hera (p.27),
    parla di “un antico sepolcro sulla via Appia Antica”. Da dove
    tragga questa certezza non è dato sapere6[6].
    Il documento è suddiviso in quattro brani; si capisce che è di Boni
    che si tratta. La visione dell’aquila e dei Dioscuri sul Palatino e lo
    stato d’animo provato gli appartiene in pieno. Ma anche questa
    frase è indicativa: “1917. Vicende varie. E poi il crollo.
    Caporetto”. E’ quel vicende varie che è significativo; sembra fuori
    luogo, a meno di non vedere in esse la grave malattia che colpì
    Boni e lo costrinse ad abbandonare il fronte di guerra dove si era
    recato come volontario. Si accenna poi a vicende successive cui le
    stesse forze e persone avrebbero partecipato per influenzare
    Mussolini a favore della Romanità pagana. Si parla di un’ascia
    bipenne etrusca, presa da una tomba e donata al Duce. Si scrive
    “oggi si lavora al Vittoriale nella cui nicchia centrale sarà
    6[6]
    Anche il Lo Monaco segnala il sepolcro sulla via Appia ma soltanto, come ci ha gentilmente
    detto, sulla scorta dell’affermazione di R. del Ponte. A titolo di curiosità segnaliamo quanto si legge
    nel libro di T. Antongini, Vita segreta di Gabriele d’Annunzio (Mondadori, Milano 1938, p.406):
    “Il sortilegio ebbe luogo a Roma la notte del 20 Giugno 1915. Vi presero parte attiva d’Annunzio e
    la marchesa Luisa C. [Casati] ... La curiosa cerimonia si svolse alla tomba degli Orazi e dei Curiazi
    sulla Via Appia, allo scoccare della mezzanotte”.... A testimonianza dell’episodio rimase un
    curiosissimo e audacissimo poemetto in prosa che d’Annunzio scrisse in francese e intitolò: “La
    figure de cire”. Di questa rarissima composizione non esistono che due copie, delle quali una è nelle
    mani della Marchesa C. [Casati]. L’originale fu distrutto dall’autore”.
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    collocata la statua di Roma arcaica”. Si tratta del Vittoriano7[7],
    iniziato nel 1885 e terminato nella sua struttura nel 1911 e nelle
    ultime decorazioni nel 1935. La statua della Dea Roma vi fu
    collocata solo nel 1925, anno in cui morì lo stesso Giacomo Boni.
    Il documento intitolato “La Grande Orma” venne redatto dunque
    in origine non oltre il 1925 (terminus post quem). Il terminus ante
    quem può essere identificato nel 1922, poiché in un passo si scrive
    “...chi oggi regge il governo” (alludendo a Mussolini). Pertanto
    non fu un documento di Boni, ma un insieme di estratti a lui
    riferibili.
    Boni fu attivo fino al momento della morte ed il suo gruppo
    occulto continuava ad agire ritualmente per propiziare in seno al
    Fascismo una rinascita dell’antico spirito di Roma. Vogliamo anzi
    aggiungere che secondo noi tutta la messinscena della consegna a
    Mussolini del fascio antico ed altre iniziative analoghe provennero
    proprio dal gruppo segreto di Boni e Musmeci Ferrari-Bravo! In
    una data imprecisata ma comunque tra il 1922 e il 1925, recatisi in
    un sito romano posto “in una propinqua via”, cioè nelle vicinanze
    del Vittoriano, avrebbero infatti apposto “nella più recondita parte
    di questa costruzione” un segno, affatto romano ma molto
    ermetico: una fenice; con il che si può ipotizzare essere quello del
    Boni un gruppo con non troppo velati richiami al mondo osirideo
    egizio, fatto che del resto stona con una romanità genuina e pura,
    facendo invece pensare ad inquinamenti più o meno evidenti - e
    molto meno arcaici - di carattere massonico-martinista8[8]. Ekatlos
    infatti precisa che al luogo prescelto “corrispondeva il luogo del
    culto isiaco” al tempo dell’antica Roma. Il tempio di Iside e
    Osiride sorgeva nell’antico quartiere della Suburra (oggi rione
    Monti), dove nacque anche Giulio Cesare. Non dovrebbe essere
    7[7]
    Il Vittoriano è il monumento funebre di Vittorio Emanuele II. Divenne Vittoriale e Altare della
    Patria quando prevalse l’idea di commemorarvi i morti della Grande Guerra. Da notare che Evola
    cancellò “Vittoriale” e sostituì con “un grande monumento”. Perché questa spersonalizzazione?
    8[8]
    Noi stessi abbiamo contribuito a smascherare un’analoga confusione traducendo La Threicie di
    Quintus Aucler, opera del 1799 nella quale le influenze martiniste sono preponderanti
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    difficile per chi lo voglia identificare il posto esatto, cioè “uno
    strano piccolo edifizio”.
    Questo gruppo misterioso se non misterico, esiste ancora oggi? Da
    notizie che abbiamo raccolto pare che la “base” abbia subito la
    frattura con i vertici e che cerchi per conto suo un ricollegamento
    che evidentemente non può essere ristabilito dal basso.
    Certamente qualcosa è ancora vivo (ci riferiamo alla presunta
    continuazione della trasmissione del nome arcano di Roma e ai
    legami con la città di Gubbio) e la legge di analogia continua a
    mandare i suoi misteriosi messaggi. Non si spiega diversamente
    una curiosa nota di carattere ermetico-alchemico che abbiamo
    trovato nel sito di un personaggio non estraneo ai temi di un certo
    esoterismo, Mario Farneti, la quale riecheggia proprio le ultime
    righe de La Grande Orma: “... Nel mezzo della stupenda
    decorazione grottesca, troneggia la Fenice risorgente dalle proprie
    ceneri calcinate dal fuoco di spirituale natura e, immediatamente
    sotto, il sigillo della Romanità, tra due pesci allegorici in
    circonvoluzione fino a formare una metaforica Lira, geroglifico
    del Vetriolo filosofico e della sua universale virtù dissolvente e
    armonizzante (ROMANITA’! anagrammato in ARMONIA T,
    ovvero la concordia e la pace del fine)”.
    E' stata una bella lettura ti ringrazio per la delucidazione.

  9. #19
    Ritorno a Strapaese
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    Predefinito Riferimento: Come evocare e ottenere benevolenza e protezione dagli Dei?

    Citazione Originariamente Scritto da Traumer Visualizza Messaggio
    E' stata una bella lettura ti ringrazio per la delucidazione.
    Figurati, di niente.
    "Non posso lasciarti né obliarti: / il mondo perderebbe i colori / ammutolirebbero per sempre nel buio della notte / le canzoni pazze, le favole pazze". (V. Solov'ev)

  10. #20
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    Predefinito Riferimento: Come evocare e ottenere benevolenza e protezione dagli Dei?

    Vicino al Lapis Niger non dimentichiamo che esiste il mondus, la porta fra i vivi e gli antenati.

 

 
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