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    Predefinito Rif: Carlo Rosselli, il padre del socialismo liberale

    dal Circolo Rosselli di Milano


    CENNI BIOGRAFICI SU CARLO ROSSELLI
    1899
    16 novembre Carlo Rosselli nasce a Roma. Il padre Giuseppe Emanuele era compositore e musicologo. La madre, Amelia Pincherle, una scrittrice e autrice affermata di teatro. Sia la famiglia Rosselli che la famiglia Pincherle avevano preso parte al movimento per l'indipendenza e l'unità nazionale.
    1911 Muore il padre.
    1916
    27 marzo Il fratello Aldo muore in combattimento nella prima guerra mondiale sui monti della Carnia. Riceverà la medaglia d'argento alla memoria.
    1918 Carlo é nominato sottotenente e inviato in zona di guerra.
    1920 Conosce Claudio Treves, Filippo Turati e Gaetano Salvemini.
    1921 Si laurea in scienze politiche con la tesi "Il sindacalismo".
    1922 A Roma il XIX congresso del partito socialista decreta l'espulsione dei riformisti di Treves, Turati e Matteotti. Rosselli si schiera con la corrente riformista che dà luogo al partito socialista unitario.
    Conosce Piero Gobetti e il gruppo di giovani intellettuali che pubblicano il settimanale "La Rivoluzione Liberale". Conosce inoltre Luigi Einaudi, Pasquale Jannacone e Achille Loria.
    Prende parte alla ristretta attività del Circolo di Cultura fiorentina, promosso da Gaetano Salvemini, Piero Calamandrei, Ernesto Rossi, Ludovico Limentani, Piero Jahier e l'avv. Alfredo Nicoli, nel cui studio si tenevano le riunioni.
    1923 Conosce Gaetano Mosca.Si laurea in legge discutendo la tesi "Prime linee di una teoria economica dei sindacati".Si trasferisce a Londra qualche mese per approfondire il problema trattato nella tesi di laurea.
    1924 All'indomani del delitto Matteotti si iscrive al partito socialista unitario.
    E' chiamato ad insegnare all'Istituto superiore del Commercio di Genova ad insegnare Istituzioni di Economia Politica.
    I fascisti devastano la sede del circolo di cultura fiorentino.
    1925 Fonda con il fratello Nello, Salvemini ed Ernesto Rossi il bollettino clandestino "Non Mollare". Casa Rosselli é devastata dai fascisti.
    1926 Carlo é aggredito dagli squadristi genovesi. A luglio é costretto a lasciare l'insegnamento. Sposa l'inglese Marion Cave a cui era legato da molti anni. "Il Quarto Stato" é soppresso. I dirigenti socialisti si convincono della necessità di costituire un'organizzazione per l'espatrio. Carlo Rosselli, Ferruccio Parri e Riccardo Bauer, preparano la fuga di decine di socialisti, tra i quali Treves, Saragat e Turati.
    1927 Carlo Rosselli e Parri vengono arrestati per l'espatrio di Turati. Rosselli viene condannato a 5 anni di confino a Lipari per l'intervento diretto di Mussolini.
    1930 Viene fondato a Parigi il movimento rivoluzionario antifascista 'Giustizia e Libertà'.
    Volo Bassanesi. L'episodio ebbe il Cantone Ticino come centro della vicenda é all'origine di una splendida ŒLettera aperta all'onorevole Motta' che Alberto Tarchiani e Carlo Rosselli pubblicarono su ŒLibera Stampa'. Esce a Parigi l'edizione francese di Socialismo liberale.
    1930-32 Numerose attività antifasciste tra cui la pubblicazione dei "Quaderni di Giustizia e Libertà".
    1932
    29 marzo Muore Filippo Turati.
    1933
    11 giugno Muore Claudio Treves.
    1934 A Parigi la Concentrazione antifascista si scioglie a causa del profondo dissidio operativo e ideologico tra Giustizia e Libertà e il Partito socialista, ormai orientato ad un'alleanza con i comunisti.
    1935 La questione abissina é uno dei temi centrali degli scritti di Rosselli.
    ("Perché siamo contro la guerra d'Africa?")
    1936 Carlo arriva in Spagna per combattere a fianco delle truppe repubblicane.
    1937
    9 giugno Carlo e Nello Rosselli sono assassinati a Bagnoles-de-l'Orne, ad opera di affiliati dell'organizzazione terroristica di destra "La Cagoule", su preciso mandato dei vertici supremi del regime.
    Liberalismo e socialismo, considerati nella loro sostanza migliore, non sono ideali contrastanti né concetti disparati

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    Predefinito Rif: Carlo Rosselli, il padre del socialismo liberale

    Scritti di Carlo Rosselli
    Eroe tutto prosa
    I miei conti col marxismo Socialismo liberale
    Socialisme liberal, Librairie Valois, Parigi, 1930) Librairie Valois, Parigi 1930
    Le ragioni della sconfitta dell'opposizione e della vittoria di Mussolini Giustizia e libertà 8 giugno 1934
    Oggi in Spagna, domani in Italia, prefazione di Gaetano Salvemini, Edizioni di "Giustizia e Libertà" Parigi, 1938; nuova edizione con una introduzione di Aldo Garosci, Einaudi, Torino 1967, pp.162 ("Nuova Universale Einaudi", 86) Einaudi, Torino 1967
    Socialismo liberale, a cura di John Rosselli, prefazione di Aldo Garosci, Einaudi, Torino 1973, pp.532 ("Opere scelte di Carlo Rosselli, volume primo). ("Reprints Einaudi", 133 col titolo Socialismo liberale e altri scritti, a cura di John Rosselli, Torino 1973, pp.532) Einaudi, Torino 1973
    Il "Quarto Stato" di Nenni e Rosselli, a cura di Domenico Zucàro, SugarCo, Milano 1977, pp.337 ("Nuova Bibiblioteca Storica", 22) SugarCo, Milano 1977
    Socialismo liberale, a cura di John Rosselli, introduzione di Norberto Bobbio, Einaudi, Torino 1979, pp.144 ("Nuova Universale Einaudi", 168) Einaudi, Torino 1979
    Scritti politici, a cura di Zeffiro Ciuffoletti e Paolo Bagnoli, Guida, Napoli 1988, pp. 414. Con una Nota bibliografica di Vincenzo Caciulli Guida, Napoli 1988
    Scritti dell'esilio. I. "Giustizia e Libertà" e la Concentrazione antifascista (1929-1934), a cura di Costanzo Casucci, Einaudi, Torino 1988, pp.338 ("Opere scelte di Carlo Rosselli", volume secondo.) Con una Cronologia e una Bibliografia di Carlo Rosselli (1929-1934) Einaudi, Torino 1988
    Scritti dell'esilio. II. Dallo scioglimento della Concentrazione antifascista alla guerra di Spagna (1934-1937), a cura di Costanzo Casucci, Einaudi, Torino 1992, pp.661 ("Opere scelte di Carlo Rosselli", volume secondo). Con una Cronologia e una Bibliografia di Carlo Rosselli (1934-1937) Einaudi, Torino 1992

    Liberalismo socialista e socialismo liberale, a cura di Nicola Terracciano, Galzerano Editore, Casalvelino Scalo (Salerno) 1992, pp. 91 ("GL/Socialismo Liberale", I)
    Galzerano Editore, Salerno 1992
    Scritti politici e autobiografici, prefazione di Gaetano Salvemini, Polis editrice, Napoli 1944, pp.201; nuova edizione a cura di Zeffiro Ciuffoletti e Vincenzo Caciulli, Lacaita, Manduria 1992, pp.190 ("Testi e documenti", 5) Lacaita, Manduria 1992

    Carlo e Nello Rosselli, Giustizia e Libertà, a cura di Giuliana Limiti e Mario di Napoli, prefazione di Pietro Larizza, UIL, Roma 1993, pp.432. In appendice: La tesi di laurea di Carlo Rosselli sul "sindacalismo" (Firenze 1921)
    UIL, Roma 1993
    Liberal Socialism, edito da Nadia Urbinati (prima edizione inglese di Socialismo Liberale). Biblioteca - Libreria Princeton University Press, Princeton 1994
    Socialismo liberale
    (per una nota editoriale sul testo principale di Carlo Rosselli e le sue edizioni, clicca qui). Libreria Einaudi, Torino 1997
    Epistolari
    Lettere a Carlo Rosselli e altri scritti di "Giustizia e Libertà", di Emilio Lussu, a cura di Manlio Brigaglia. Biblioteca Studi Ed. Libreria Dessì, Sassari 1979
    Epistolario familiare. Carlo, Nello Rosselli e la madre (1914-1937), introduzione di Leo Valiani, prefazione a cura di Zeffiro Ciuffoletti, SugarCo, Milano 1979, pp.590 SugarCo, Milano 1979
    I Rosselli. Epistolario familiare, a cura di Zeffiro Ciuffoletti (nota editoriale) Libreria Mondadori, Milano 1997
    Politica e affetti familiari. Lettere dei Rosselli ai Ferrero (1917-1943), a cura di Marina Calloni e Lorella Cedroni. Libreria Feltrinelli, Milano 1997
    Dall'esilio. Lettere alla moglie 1929-1937, a cura di Costanzo Casucci. Passigli, Firenze 1997
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    Predefinito Rif: Carlo Rosselli, il padre del socialismo liberale

    Bibliografia rosselliana
    Data Autore Titolo
    1944 Gaetano Salvemini Carlo e Nello Rosselli
    1968 Nicola Tranfaglia Carlo Rosselli, dall'interventismo a "Giustizia e Libertà
    (Bari 1968, Laterza)
    1973 Aldo Garosci Vita di Carlo Rosselli, 2 vol.
    (Firenze 1973, Vallecchi.)
    1988 Zeffiro Ciuffoletti e Paolo Bagnoli (a cura di) Il pensiero politico di Carlo Rosselli
    (Napoli 1988, Guida. Biblioteca)
    1990 Giovanni Spadolini Carlo e Nello Rosselli. Le radici mazziniane del loro pensiero
    (Passigli 1990. Biblioteca)
    1991 Valdo Spini Per una storia del socialismo liberale a Firenze
    1991 Valdo Spini (a cura di) Nel nome dei Rosselli, 1920-1990
    (Quaderni del Circolo Rosselli, QCR 1/91, Franco Angeli Editore, 1991)
    1996 Ariane Landuyt (a cura di) Carlo Rosselli e la Catalogna antifascista
    (Quaderni del Circolo Rosselli, QCR 2/96, Giunti Editore 1996)
    1996 Paolo Bagnoli Rosselli, Gobetti e la rivoluzione democratica. Uomini e idee tra liberalismo e socialismo
    (Firenze 1996, La Nuova Italia. Libreria)
    1997 Zeffiro Ciuffoletti (a cura di) I Rosselli. Epistolario familiare 1914-1937
    (A. Mondadori Editore, 1997)
    1997 Marina Calloni e Lorella Cedroni (a cura di) Politica e affetti familiari. Lettere dei Rosselli ai Ferrero (1917-1943)
    (Edizioni Feltrinelli, 1997)
    1998 Ariane Landuyt (a cura di) Carlo e Nello Rosselli. Socialismo liberale e cultura europea (1937-1997)
    (Quaderni del Circolo Rosselli, QCR 11/98, Giunti Editore, 1998)
    1998 Ariane Landuyt (a cura di) Per la Storia della Sinistra Democratica in Italia
    (Quaderni del Circolo Rosselli, QCR 13/98, Giunti Editore, 1998)
    27-02-1998 Giorgio Napolitano Socialismo e Libertà nel futuro della sinistra europea
    (Socialismo e libertà - Ricordando Carlo Rosselli)
    27-02-1998 Federico Coen Socialismo e libertà nel revisionismo socialista degli anni settanta
    (Socialismo e libertà - Ricordando Carlo Rosselli)
    1999 Salvo Mastellone Carlo Rosselli e "la rivoluzione liberale del socialismo". Con scritti e documenti inediti
    (Firenze 1999, Leo S.Olschki. Libreria)
    1999 Salvo Mastellone Carlo Rosselli e "La Rivoluzione liberale del Socialismo"
    (Leo Olschki, Firenze, 1999)
    1999 Zeffiro Ciuffoletti Contro lo statalismo. Il "Socialismo federalista liberale" di Carlo Rosselli
    (Manduria-Roma-Bari, Piero Lacaita, 1999)
    1999 Giuseppe Fiori Casa Rosselli
    (Einaudi, 1999)
    1999 Gaetano Salvemini Carlo e Nello Rosselli, un ricordo
    (Galzerano editore, Salerno, 1999)
    1999 Stanislao Pugliese Carlo Rosselli: Socialist Heretic and Antifascist Exile
    (Harvard University Press, 1999)
    1999 Maurizio degli Innocenti (a cura di) Carlo Rosselli e il Socialismo liberale
    (Manduria-Roma-Bari, Piero Lacaita, 1999)
    1999 Giovanna Angelini L'altro socialismo - L' eredita' democratico-risorgimentale da Bignami a Rosselli
    (Franco Angeli Editore, 1999)
    1999 Emilio R. Papa Rileggendo Carlo Rosselli - Dal socialismo liberale al federalismo europeo
    (Guerini e Associati, Torino, 1999)
    1999 Gian Biagio Furiozzi Carlo Rosselli e Sorel
    (Il Pensiero Politico, XXXII, 1999, n.2)
    1999 Ariane Landuyt Carlo Rosselli e la cultura europea di "Terza via"
    (La Nuova Antologia, Gennaio-Marzo 1999)
    1999 Ekaterina Naumova Carlo Rosselli e la sinistra in Europa
    (Mosca, 1999)
    1999 Giueppe Fiori Casa Rosselli. Vita di Carlo e Nello, Amelia, Marion e Maria
    (Einaudi, Torino 1999, pp. 220, £ 25.000)
    1999 Franco Sbarberi L'utopia della libertà eguale. Il liberalismo sociale da Rosselli a Bobbio - Galli della Loggia, Ernesto (tratto dal sito Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea: Home)
    1999 Maurizio Degli Innocenti (a cura di) Carlo Rosselli e il socialismo liberale - Battini, Michele (tratto dal sito Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea: Home)
    25-02-1999 Francesco Erbani Se Carlo Rosselli diventa un compagno
    (La Repubblica)
    16-06-1999 Federico Fabrizi CARLO ROSSELLI, profeta del Socialismo Liberale
    (Il Giornale di Vicenza)
    10-10-1999 Gaetano Arfè Congresso di Salice Terme
    (dal sito F.I.A.P. - Federazione Italiana Associazioni Partigiane - Home Page)
    10-10-1999 Pietro Graglia Congresso di Salice Terme - Socialismo liberale ed Europa: lo strano caso del Prof. Rosselli
    (dal sito F.I.A.P. - Federazione Italiana Associazioni Partigiane - Home Page)
    10-10-1999 Ariane Landuyt Congresso di Salice Terme - Interventi al Convegno - Ariane Landuyt
    (dal sito F.I.A.P. - Federazione Italiana Associazioni Partigiane - Home Page)
    2000 Stanislao Pugliese Carlo Rosselli. Socialista eretico e esule antifascista
    (Bollati Boringhieri, 2000)
    2000 AA.VV. Rosselli. Socialismo liberale e Terza via
    (Quaderni del Circolo Rosselli, QCR 01/2000, Alinea Editore, 2000)
    2000 Sergio Bucchi Carlo Rosselli - Dizionario delle idee
    (Editori Riuniti, Roma, 2000)
    2000 Francesco Stolfa Il socialismo liberale del XXI secolo - Prefazione di Gian Biagio Furiozzi
    (Piero Lacaita Editore, Manduria - Roma, 2000)
    Gian Biagio Furiozzi (a cura di) Carlo Rosselli - Scritti scelti - Prefazione di Valdo Spini
    Gennaio 2000 Giovanni Scirocco Carlo Rosselli ed il socialismo liberale
    (Ricerche di storia politica)
    24-01-2000 Nello Ajello Che cosa resta di Carlo Rosselli
    (La Repubblica)
    9-11-2000 Piero S. Graglia Una parolina su Rosselli
    20-12-2000 Gianpasquale Santomassimo A storie incrociate
    (Il Manifesto)
    Marzo 2001 Alberto Rosselli Il soggiorno "genovese" di Carlo Rosselli
    (tratto dal sito kore.it)
    11-10-2001 Corrado Stajano Carlo Rosselli vero uomo d'azione
    (Corriere della Sera)
    2001 Antonio Bechelloni (a cura di) Carlo e Nello Rosselli e l'antifascismo europeo - Bidussa, David (tratto dal sito Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea: Home)
    2001 Stanislao G. Pugliese Carlo Rosselli. Socialista eretico ed esule antifascista. 1899-1937 - D'Orsi, Angelo (tratto dal sito Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea: Home)
    2002 Fabio Vander Che cos'è socialismo liberale? Rosselli, Gramsci e la rivoluzione in Occidente - Scirocco, Giovanni (tratto dal sito Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea: Home)
    2003 Lauro Rossi (a cura di) Politica, valori, idealità. Carlo e Nello Rosselli maestri dell'Italia civile
    (Carocci, Roma 2003, pp. 245, euro 19)
    Ottobre-Dicembre 2008 Nicola Del Corno Carlo Rosselli a Milano
    (tratto da "Nuova Antologia", fasc. 2244, ottobre-dicembre 2008, pp. 279-288)
    14-06-2008 Nicola Tranfaglia L'eredità dei Rosselli: Libertà e democrazia (tratto dal blog di Nicola Tranfaglia)
    14-11-2009 Nicola Del Corno La Milano di Carlo Rosselli
    (tratto dal sito Le Ragioni.it)
    18-11-2009 Marco Tosi Nove Giugno 1937
    26-01-2010 Luigi Rocca “L’attualità del socialismo liberale di Carlo Rosselli”
    Piero Lacaita Editore, 2006. (pag. 219)
    Prezzo € 15,00
    Autore: Luigi Rocca
    Prefazione di Antonio Landolfi
    Liberalismo e socialismo, considerati nella loro sostanza migliore, non sono ideali contrastanti né concetti disparati

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    Predefinito Rif: Carlo Rosselli, il padre del socialismo liberale

    EROE TUTTO PROSA
    di Carlo Rosselli
    L'assassinio di Giacomo Matteotti (10 giugno 1924) determinò la partecipazione piena e intensa di Carlo
    Rosselli (che già prima aveva dimostrato interesse per le lotte politiche e sociali) alla battaglia antifascista.
    Su Matteotti scrisse e parlò più volte; tra i vari saggi scegliamo questo che non solo è il più completo, ma
    accenna alle sue relazioni personali col martire socialista. (Dall'Almanacco Socialista 1934)
    Matteotti è diventato il simbolo dell'antifascismo e dell'eroismo antifascista. In qualunque riunione si faccia il
    suo nome, il pubblico balza in piedi o applaude.
    Comitati Matteotti, Fondi Matteotti, Circoli Matteotti,Case Matteotti. Matteotti, come l'ombra di Banco,
    accompagna Mussolini. E Mussolini lo sa.
    Eppure, nessun uomo fu meno simbolo,meno "eroe", nel senso usuale dell'espressione, di Matteotti.
    Gli mancavano per questo le doti di popolarità,di oratoria, di facilità che creano nel popolo il feticcio; e la sua
    vita breve non registra neppure uno di quei gesti drammatici che colpiscono la fantasia e promuovono ad
    "eroe" il semplice mortale.
    Matteotti possedeva però in grado eminente una qualità rara tra gli italiani e rarissima tra i parlamentari: il
    carattere. Era tutto d'un pezzo. Alle sue idee ci credeva con ostinazione, e con ostinazione le applicava.
    Quando lo conobbi a Torino insieme a Godetti ricordo che entrambi rimanemmo colpiti dalla sua serietà e
    dal suo stile antiretorico e ci comunicammo la nostra impressione. Era magro, smilzo nella persona,non
    assumeva pose gladiatorie,rideva volentieri, ma da tutto il suo atteggiamento e soprattutto da certe sue
    dichiarazioni brevi si sprigionava una grande energia.
    L'antifascismo era in Matteotti un fatto istintivo, intimo, d'ordine morale prima che politico. Tra lui e i fascisti
    correva una differenza di razza e di clima.
    Due mondi, due concezioni opposte della vita. In questo senso egli poteva dirsi veramente l'anti-Mussolini.
    Le astuzie tattiche e oratorie di Mussolini restavano senza presa su Matteotti. Quando Mussolini parlava alla
    Camera entrando in quello stato di eccitazione morbosa che pare contraddistingua la sua oratoria e possa
    esercitare un fascino magnetico, Matteotti, pessimo medium,restava impenetrabile e ai passaggi goffi rideva
    col suo riso un po' stridulo e nervoso.
    Quando invece era Matteotti a parlare, Mussolini gettava fiamme dagli occhi.
    Eppure Matteotti non era eloquente; o per lo meno la sua eloquenza era tutto l'opposto dell'oratoria
    tradizionale socialista. Ragionava a base di fatti, freddo,preciso, tagliente. Metodo salveminiano. Quando
    affermava, provava.
    Niente esasperò più i fascisti del metodo di analisi di Matteotti che sgonfiava un dopo l'altro tutti i loro palloni
    retorici.
    Abbiamo lasciato 3.000 morti per le strade d' Italia, tuonava Mussolini - Pardon, 144, secondo il vostro
    giornale, replicava Matteotti.
    - Il fascismo ha messo fine agli scioperi, Le ferrovie camminano. L'autorità dello Stato è stata restaurata.
    Matteotti, tra la stupefazione dei fascisti, interrompeva per rinfacciare al duce gli articoli del '19-20
    inneggianti agli scioperi, alla invasione delle fabbriche,delle terre, dei negozi.
    Dopo la famosa requisitoria di Matteotti contro i metodi elettorali fascisti (maggio 1924) gridata alla Camera
    tra altissime minacce e interruzioni, Mussolini pubblicò il 3 giugno sul "Popolo d' Italia" il seguente corsivo:
    "Mussolini ha trovato fin troppo longanime la condotta della maggioranza, perché l'On.Matteotti ha tenuto un
    discorso mostruosamente provocatorio che avrebbe meritato qualche cosa di più tangibile che l'epiteto
    "masnada" lanciato dall'On. Giunta".
    L'8 giugno il giornale dichiarava che "Matteotti è una molecola di questa masnada che una mossa che una
    mossa energica del Duce penserà a spazzare".
    Il 10 giugno Dumini, Volpi e Putato spazzavano....
    3 gennaio 1925 Mussolini dichiarava : "Come potevo pensare, senza essere colpito da morbosa follia, di far
    commettere non dico un delitto, ma nemmeno il più tenue, il più ridicolo sfregio a quell'avversario che io
    stimavo perché aveva una certa cranerie un certo coraggio, che rassomigliavano al mio coraggio e alla mia
    ostinatezza nel sostenere la tesi? ".
    Due cose colpiscono in questa disperata difesa: il " morbosa follia" che tocca uno degli aspetti della
    personalità mussoliniana (Mussolini è intelligentissimo, ma la sua intelligenza si innesta su un fondo
    psicopatico, ed il "mi rassomigliava". Dopo l' assassinio,Mussolini è stato costretto ad ammirare Matteotti. Ma
    Matteotti ha sempre disprezzato Mussolini.
    Il socialismo di Matteotti fu una cosa estremamente seria. Non l' avventura del giovane borghese eretico che
    è rivoluzionario a venti anni, radicale a trenta (matrimonio + carriera), forcaiolo a quaranta. No. Fu una
    consapevole e maschia elezione del destino.
    Nato ricco, dovette superare le difficoltà che ai socialisti ricchi giustamente si oppongono. Non lo superò con
    le sparate demagogiche, con le rinunce mistiche, o profondendo denari in banchetti elettorali o in
    paternalismi cooperativi e sindacali. Ma partecipando in persona prima al moto di emancipazione proletaria,
    costituendo libere istituzioni operaie, organizzando i contadini delle sue terre ai quali dirigeva manifesti di
    una sobrietà che era poco in uso attorno al '19.
    Solo a un temperamento del suo stampo poteva venire in mente, nel corso delle elezioni del 1924, di
    scendere in Piazza Colonna con un pentolino di colla ad appiccicare sotto il naso dei fascisti i manifesti
    elettorali del partito che erano stati tutti stracciati. Matteotti, l'economista, il giurista, il ricco Matteotti
    appiccicava manifesti, scorazzava l'Italia per mettere in piedi le traballanti organizzazioni. Saltava dai treni,si
    travestiva per sottrarsi agli inseguimenti fascisti, prendeva con disinvoltura le bastonate e, nel pieno della
    lotta, faceva una punta a Asolo per i funerali della Duse rientrando poi in camion coi fascisti, perché cosi
    spiegò, gli pareva giusto che il proletariato italiano fosse rappresentato ai funerali della Duse.
    Quanto al camion fascista era stato necessario servirsene per essere presente a una adunanza del partito.
    Se i fascisti lo avessero riconosciuto sarebbe stata la fine. Ma Matteotti scherzava ormai con la morte, con
    grande orrore dei compagni posapiano.
    Era fatale quindi che morisse l'antifascista-tipo Matteotti, eroe tutto prosa. Come dovevano morire nello
    stesso torno di tempo Amendola e Gobetti. Come dovranno morire, se non li salveremo, Rossi, Gramsci,
    Bauer e molti altri Matteotti che si sono formati in questi anni. Tutti caratteri, psicologie, che sono l'opposto
    del carattere e della sensibilità mussoliniana.
    Mussolini sente, sa quali sono i suoi autentici avversari. Ha il fiuto dell'oppositore. Imbattibile con uomini del
    suo stampo. singolarmente impotente con uomini che sfuggono al suo orizzonte mentale. Perciò li sopprime.
    Uccidendo Matteotti ha indicato all'antifascismo quali debbono essere le sue preoccupazioni costanti e
    supreme : il carattere;l'antirettorica; l'azione.
    Ultima modifica di zulux; 08-03-10 alle 00:45
    Liberalismo e socialismo, considerati nella loro sostanza migliore, non sono ideali contrastanti né concetti disparati

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    Predefinito Rif: Carlo Rosselli, il padre del socialismo liberale

    I MIEI CONTI COL MARXISMO
    di Carlo Rosselli
    [da "Socialismo liberale"]
    Li vado facendo da parecchi anni sotto la scorta di molti nemici e carabinieri dottrinali in compagnia di pochi eretici amici. Voglio
    renderne conto qui prima di tutti a me stesso, poi a quei miei compagni di destino che non credono terminate alle Alpi le frontiere del
    mondo -
    Sarò chiaro, semplice, sincero e, poi che i libri mi mancano, procedendo per chiaroscuri senza i famosi "abiti professionali" e i non
    meno famosi "sussidi di note".
    Intanto, chi sono. Sono un socialista.
    Un socialista che, malgrado sia stato dichiarato morto da un pezzo, sente ancora il sangue circolare nelle arterie e affluire al cervello.
    Un socialista che non si liquida né con la critica dei vecchi programmi, né col ricordo della sconfitta, né col richiamo alle
    responsabilità del passato, né con le polemiche sulla guerra combattuta. Un socialista giovane, di una marca nuova e pericolosa, che
    ha studiato, sofferto, meditato e qualcosa capito della storia italiana lontana e vicina. E precisamente ha capito:
    i.Che il socialismo è in primo luogo rivoluzione morale, e in secondo luogo trasformazione materiale.
    ii. Che, come tale, si attua sin da oggi nelle coscienze dei migliori, senza bisogno di aspettare il sole dell'avvenire.
    iii.Che tra socialismo e marxismo non vi è parentela necessaria.
    iv.Che anzi, ai giorni nostri, la filosofia marxista minaccia di compromettere la marcia socialista.
    iv.Che socialismo senza democrazia è come volere la botte piena (uomini, non servi; coscienze, non numeri; produttori, non prodotti)
    e la moglie ubriaca (dittatura).
    vi.Che il socialismo, in quanto alfiere dinamico della classe più numerosa, misera, oppressa, è l'erede del liberalismo.
    vii. Che la libertà, presupposto della vita morale così del singolo come delle collettività, è il più efficace mezzo e l'ultimo fine del
    socialismo.
    viii. Che la socializzazione è un mezzo, sia pure importantissimo.
    ix. Che lo spauracchio della rivoluzione sociale violenta spaventa ormai solo i passerotti e gli esercenti, e mena acqua al mulino
    reazionario.
    x.Che il socialismo non si decreta dall'alto, ma si costruisce tutti i giorni dal basso, nelle coscienze, nei sindacati, nella cultura.
    xi.Che ha bisogno di idee poche e chiare, di gente nuova, di amore ai problemi concreti.
    xii. Che il nuovo movimento socialista italiano non dovrà esser frutto di appiccicature di partiti e partitelli ormai sepolti, ma organismo
    nuovo dai piedi al capo, sintesi federativa di tutte le forze che si battono per la causa della libertà e del lavoro.
    xiii.Che è assurdo imporre a così gigantesco moto di masse una unica filosofia, un unico schema, una sola divisa intellettuale.
    Il primo liberalismo ha da attuarsi all'interno.
    Le tesi sono tredici.
    Il tredici porta fortuna.
    Chi vivrà vedrà.
    [ Socialismo senza democrazia significa fatalmente dittatura, e dittatura significa uomini servi, numeri e non coscienze, prodotti e non
    produttori, e significa quindi negare i fini primi del socialismo].
    Ultima modifica di zulux; 08-03-10 alle 00:44
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  6. #46
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    Predefinito Rif: Carlo Rosselli, il padre del socialismo liberale

    Le ragioni della sconfitta dell'opposizione e della vittoria di Mussolini
    di Carlo Rosselli

    "Fino al giugno del 1924 i partiti di opposizione erano vissuti su una situazione falsa, iperbolica, come certi falliti
    che continuano a godere di credito e a condurre vita lussuosa fino a quando l'iniziativa di uno qualunque dei
    creditori determina il crollo totale. L'opposizione era stata battuta nelle strade, ma a causa del compromesso
    iniziale cui Mussolini aveva dovuto piegarsi per salire al potere, aveva conservato a "Palazzo" una situazione di
    privilegio.
    La Camera, eletta nel 1921, era in maggioranza antifascista; la stampa, idem; in tutti i corpi dello Stato il fascismo
    era appena tollerato. Questa situazione maggioritaria doveva riuscire fatale all'opposizione, mentre avvantaggiava
    singolarmente Mussolini che proprio da questa debolezza formale ricavava il massimo di dinamismo. Mussolini
    non avendo i valori legali, apparenti, badava ai sostanziali e soprattutto alla forza, alla giovinezza, all'iniziativa,
    all'attacco; le opposizioni, avendo conservato per concessione del dittatore ("avrei potuto fare di quest'aula sorda e
    grigia...") le posizioni legali, si battevano sul terreno formale e morale, contestando la validità giuridica dei decreti
    mussoliniani, e rivendicando la rappresentanza di un'Italia che viveva ormai solo nelle memorie.
    Scambiando i reali rapporti di forza sociale con i vecchi risultati elettorali, vedevano nel fascismo un semplice
    colpo di mano contro il suffragio universale, un'avventura di stile sudamericano destinata a concludersi fatalmente
    nel giro di qualche mese: e non si preoccupavano di rovesciare il rapporto di forze che aveva permesso al
    fascismo di spazzare il movimento operaio e non si preparavano in nessun modo a resistere e a contrattaccare
    nelle piazze. E come avrebbero potuto farlo?
    Per condurre la lotta con stile offensivo nel paese, avrebbero dovuto essere in posizione di minoranza e di
    illegalità: ora l'opposizione era la legalità, la vecchia legalità, mentre il governo era l'illegalità. Il governo, non
    l'opposizione, era rivoluzionario. Il governo era un gruppo deciso, senza scrupoli, che messosi con un colpo di
    mano al centro della vecchia legalità, la scomponeva a pezzo a pezzo. Quella legalità non era che un residuo
    sospeso ad un filo, al filo della continuità costituzionale che il sovrano aveva voluto che si rispettasse (violare, ma
    con le forme). L'opposizione si attaccò disperatamente a quel filo. Il giorno che il filo sarà tagliato, l'opposizione -
    quella opposizione - sarà liquidata. Essa sconterà così per anni il passivismo mostrato durante la marcia su Roma.
    Abbiamo preso molto in giro Mussolini perché, mentre i fascisti marciavano allegramente su Roma, se ne stava a
    Milano. Ma che cosa stavano a fare i deputati della sinistra a Roma? Tra il girare nei corridoi attendendo il decreto
    di stato d'assedio e l'andare nel paese a organizzare la resistenza, era meglio andare nel paese. E a Roma, oltre
    Montecitorio, c'era San Lorenzo, dove il popolo si batteva; ma nessuno o quasi se ne ricordò in quei giorni. Come
    nessuno sentì che l'opporre in parlamento superbi squarci oratori alle parole sprezzanti del "duce", era fare il suo
    giuoco. Le elezioni dell'aprile 1924 avevano in parte corretto questo stato di cose.
    L'opposizione diventava per la prima volta opposizione, minoranza; come minoranza, avrebbe potuto darsi una
    psicologia virile, d'attacco. Ma aveva troppi ex nelle sue file, era troppo appesantita da uomini che avevano gustato
    le gioie del potere e della popolarità, che si erano fatti in tutt'altra atmosfera. Gli oratori più celebri, usi al successo
    in un parlamento in cui si trovavano come in famiglia, non resistevano all'ambiente nuovo e ostile creato dai
    fascisti. Erano depressi, stanchi, preoccupati; non avevano la psicologia dell'attacco ma della ritirata.
    Tornando ai collegi dopo dure battaglie parlamentari, si sorprendevano di trovare i giovani (ahimè, i rari giovani) in
    stato di eccitazione. Matteotti era un isolato. Quando terminò la sua improvvisata requisitoria alla Camera, un suo
    compagno (Baldesi) - morto poche settimane or sono in dignitoso silenzio - lo interpellò bruscamente: "Sicché tu ci
    vuoi tutti morti?". Quando la crisi scoppiò, la depressione era al colmo. La decisione di ritirarsi dai lavori della
    Camera non fu un atto volontario diretto a portare battaglia nel paese, ma un atto necessario di chi, non potendone
    più, si ritira. Ma poiché la retorica vuole la sua parte, così l'Aventino fu presentato alle masse come la decisione
    energica di gente che passa all'attacco. Di questo equivoco morrà l'Aventino.
    L'appello al re fu un altro riflesso di questo stato depressivo. Solo lui può far traboccare le forze materiali dalla
    nostra parte, pensavano i deputati aventiniani. Quanto alle masse popolari, che si mostravano nei primi giorni in
    stato di effervescenza, guai a chi avesse tentato metterle in movimento! Solo i comunisti e le minoranze giovani
    chiesero lo sciopero generale. Ma le opposizioni non vollero, per non spaventare la borghesia e il sovrano Σ Fu
    questo il miracolismo dell'Aventino. Credere di poter vincere con le armi legali l'avversario che ha già vinto sul
    terreno della forza. Pregustare le gioie del trionfo mentre si riceve la botta più dura. Evitare tutti i problemi (Gobetti
    diceva: "l'Aventino ha un mito, il mito della cautela") sperando che la borghesia dimentichi il '19. Attendere che il re
    e i generali tolgano le castagne dal fuoco col solo intento di consegnarle, a sei mesi dalla data, a lor signori
    dell'opposizione non appena scottino meno. Supporre che i valori morali possano da soli rovesciare i "rapporti
    obiettivi di classe".
    Giustizia e libertà 8 giugno 1934
    Liberalismo e socialismo, considerati nella loro sostanza migliore, non sono ideali contrastanti né concetti disparati

  7. #47
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    Predefinito Rif: Carlo Rosselli, il padre del socialismo liberale

    OGGI IN SPAGNA, DOMANI IN ITALIA
    Carlo Rosselli: discorso pronunciato alla radio di Barcellona il 13 novembre 1936.

    Compagni, fratelli, italiani, ascoltate.
    Un volontario italiano vi parla dalla Radio di Barcellona per portarvi il saluto delle migliaia di antifascisti italiani esuli
    che si battono nelle file dell'armata rivoluzionaria.
    Una colonna italiana combatte da tre mesi sul fronte di Aragona. Undici morti, venti feriti, la stima dei compagni
    spagnuoli : ecco la testimonianza del suo sacrificio.
    Una seconda colonna italiana. formatasi in questi giorni, difende eroicamente Madrid. In tutti i reparti si trovano
    volontari italiani, uomini che avendo perduto la libertà nella propria terra, cominciano col riconquistarla in Ispagna,
    fucile alla mano.
    Giornalmente arrivano volontari italiani: dalla Francia, dal Belgio. dalla Svizzera, dalle lontane Americhe.
    Dovunque sono comunità italiane, si formano comitati per la Spagna proletaria.Anche dall'Italia oppressa partono
    volontari.
    Nelle nostre file contiamo a decine i compagni che,a prezzo di mille pericoli, hanno varcato clandestinamente la
    frontiera. Accanto ai veterani dell'antifascismo lottano i Giovanissimi che hanno abbandonato l'università, la fabbrica e
    perfino la caserma. Hanno disertato la Guerra borghese per partecipare alla guerra rivoluzionaria.
    Ascoltate, italiani. E' un volontario italiano che vi parla dalla Radio di Barcellona. Un secolo fa, l'Italia schiava taceva e
    fremeva sotto il tallone dell'Austria,del Borbone, dei Savoia,dei preti. Ogni sforzo di liberazione veniva spietatamente
    represso. Coloro che non erano in prigione, venivano costretti all'esilio. Ma in esilio non rinunciarono alla lotta.
    Santarosa in Grecia,Garibaldi in America, Mazzini in Inghilterra, Pisacane in Francia, insieme a tanti altri, non potendo
    più lottare nel paese, lottarono per la libertà degli altri popoli, dimostrando al mondo che gli italiani erano degni di
    vivere liberi. Da quei sacrifici,da quegli esempi uscì consacrata la causa italiana. Gli italiani riacquistarono fiducia nelle
    loro forze.
    Oggi una nuova tirannia, assai più feroce ed umiliante dell'antica, ci opprime. Non è più lo straniero che domina. Siamo
    noi che ci siamo lasciati mettere il piede sul collo da una minoranza faziosa, che utilizzando tutte le forze del privilegio
    tiene in ceppi la classe lavoratrice ed il pensiero italiani.
    Ogni sforzo sembra vano contro la massiccia armata dittatoriale. Ma noi non perdiamo la fede. Sappiamo che le
    dittature passano e che i popoli restano. La Spagna ce ne fornisce la palpitante riprova. Nessuno parla più di de
    Rivera. Nessuna parlerà più domani di Mussolini. E' come nel Risorgimento, nell' epoca più buia, quando quasi
    nessuno osava sperare, dall'estero vennero l'esempio e l'incitamento, cosi oggi noi siamo convinti che da questo
    sforzo modesto, ma virile dei volontari italiani, troverà alimento domani una possente volontà di riscatto.
    E' con questa speranza segreta che siamo accorsi in Ispagna. 0ggi qui, domani in Italia.
    Fratelli, compagni italiani, ascoltate. E' un volontario italiano che vi parla dalla Radio di Barcellona.
    Non prestate fede alle notizie bugiarde della stampa fascista, che dipinge i rivoluzionari spagnuoli come orde di pazzi
    sanguinari alla vigilia della sconfitta.
    La rivoluzione in Ispagna è trionfante. Penetra ogni giorno di più nel profondo della vita del popolo rinnovando istituiti,
    raddrizzando secolari ingiustizie. Madrid non è caduta e non cadrà. Quando pareva in procinto di soccombere, una
    meravigliosa riscossa di popolo arginava l'invasione ed iniziava la controffensiva. Il motto della milizia rivoluzionaria
    che fino ad ora era "No pasaran" è diventato " Pasaremos",cioè non i fascisti, ma noi, i rivoluzionari, passeremo.
    La Catalogna, Valencia, tutto il litorale mediterraneo, Bilbao e cento altre città, la zona più ricca, più evoluta e
    industriosa di Spagna sta solidamente in mano alle forze rivoluzionarie.
    Un ordine nuovo è nato, basato sulla libertà e la giustizia sociale. Nelle officine non comanda più il padrone, ma la
    collettività, attraverso consigli di fabbrica e sindacati. Sui campi non trovate più il salariato costretto ad un estenuante
    lavoro nell'interesse altrui. Il contadino è padrone della terra che lavora, sotto il controllo dei municipii.Negli uffici,gli
    impiegati,i tecnici, non obbediscono più a una gerarchia di figli di papà, ma ad una nuova gerarchia fondata sulla
    capacità e la libera scelta. Obbediscono, o meglio collaborano, perché≠ nella Spagna rivoluzionaria, e soprattutto nella
    Catalogna libertaria, le più audaci conquiste sociali si fanno rispettando la personalità dell'uomo e l'autonomia dei
    gruppi umani.
    Comunismo, si, ma libertario. Socializzazione delle grandi industrie e del grande commercio, ma non statolatria: la
    socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio è concepita come mezzo per liberare l'uomo da tutte le schiavitù.
    L'esperienza in corso in Ispagna è di straordinario interesse per tutti. Qui, non dittatura, non economia da caserma, non
    rinnegamento dei valori culturali dell'Occidente, ma conciliazione delle più ardite riforme sociali con la libertà. Non un
    solo partito che, pretendendosi infallibile, sequestra la rivoluzione su un programma concreto e realista : anarchici,
    comunisti, socialisti, repubblicani collaborano alla direzione della cosa pubblica,al fronte, nella vita sociale. Quale
    insegnamento per noi italiani!
    Fratelli,, compagni italiani, ascoltate. Un volontario italiano vi parla dalla Radio di Barcellona per recarvi il saluto dei
    volontari italiani. Sull'altra sponda del Mediterraneo un mondo nuovo sta nascendo. E' la riscossa antifascista che si
    inizia in Occidente. Dalla Spagna guadagnerà l'Europa. Arriverà innanzi tutto in Italia, cosi vicina alla Spagna per
    lingua, tradizioni, clima, costumi e tiranni. Arriverà perchè la storia non si ferma, il progresso continua, le dittature sono
    delle parentesi nella vita dei popoli, quasi una sferza per imporre loro, dopo un periodo d' inerzia e di abbandono, di
    riprendere in in mano il loro destino.
    Fratelli italiani che vivete nella prigione fascista,io vorrei che voi poteste, per un attimo almeno, tuffarvi nell' atmosfera
    inebriante in cui vive da mesi,nonostante tutte le difficoltà, questo popolo meraviglioso. Vorrei che poteste andare nelle
    officine per vedere con quale entusiasmo si produce per i compagni combattenti;vorrei che poteste percorrere le
    campagne e leggere sul viso dei contadini la fierezza di questa dignità nuova e soprattutto percorrere il
    fronte e parlare con i militi volontari. Il fascismo,non potendosi fidare dei soldati che passano in blocco alle nostre file,
    deve ricorrere ai mercenarii di tutti i colori. Invece,le caserme proletarie brulicano di una folla di giovani reclamanti le
    armi. Vale più un mese di questa vita,spesa per degli ideali umani,che dieci anni di vegetazione e di falsi miraggi
    imperiali nell'Italia mussoliniana.
    E neppure crederete alla stampa fascista che dipinge la Catalogna,in maggioranza sindacalista anarchica, in preda al
    terrore e al disordine. L'anarchismo catalano è un socialismo costruttivo sensibile ai problemi di libertà e di cultura.
    Ogni giorno esso fornisce prove delle sue qualità realistiche. Le riforme vengono compiute con metodo, senza seguire
    schemi preconcetti e tenendo sempre in conto l'esperienza.
    La migliore prova ci è data da Barcellona, dove, nonostante le difficoltà della guerra, la vita continua a svolgersi
    regolarmente e i servizi pubblici funzionano come e meglio di prima.
    Italiani che ascoltate la radio di Barcellona attenzione. I volontari italiani combattenti in Ispagna, nell'interesse, per
    l'ideale di un popolo intero che lotta per la sua libertà, vi chiedono di impedire che il fascismo prosegua nella sua
    opera criminale a favore di Franco e dei generali faziosi. Tutti i Giorni areoplani forniti dal fascismo italiano e guidati da
    aviatori mercenari che disonorano il nostro paese, lanciano bombe contro città inermi, straziando donne e bambini.
    Tutti i giorni, proiettili italiani costruiti con mani italiane, trasportati da navi italiane, lanciati da cannoni italiani cadono
    nelle trincee dei lavoratori.
    Franco avrebbe già da tempo fallito, se non fosse stato per il possente aiuto fascista.Quale vergogna per gli italiani
    sapere che il proprio governo,il governo di un popolo che fu un tempo all'avanguardia delle lotte per la libertà,tenta di
    assassinare la libertà del popolo spagnolo.
    Che l'Italia proletaria si risvegli. Che la vergogna cessi. Dalle fabbriche, dai porti italiani non debbono più partire le
    armi omicide. Dove non sia possibile il boicottaggio aperto, si ricorra al boicottaggio segreto. Il popolo italiano non
    deve diventare il poliziotto d'Europa.
    Fratelli, compagni italiani, un volontario italiano vi parla dalla Radio di Barcellona, in nome di migliaia di combattenti
    italiani.
    Qui si combatte, si muore, ma anche si vince per la libertà e l'emancipazione di tutti i popoli. Aiutate, italiani, la
    rivoluzione spagnuola. Impedite al fascismo di appoggiare i generali faziosi e fascisti. Raccogliete denari.E se per
    persecuzioni ripetute o per difficoltà insormontabili, non potete nel vostro centro combattere efficacemente la dittatura,
    accorrete a rinforzare le colonne dei volontari italiani in Ispagna.
    Quanto più presto vincerà la Spagna proletaria, e tanto più presto sorgerà per il popolo italiano il tempo della riscossa
    Liberalismo e socialismo, considerati nella loro sostanza migliore, non sono ideali contrastanti né concetti disparati

  8. #48
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    Predefinito Rif: Carlo Rosselli, il padre del socialismo liberale

    sabato 13 marzo 2010
    Per un nuovo socialismo di Carlo Rosselli
    Fondamentale scritto di Carlo Rosselli [NDR]

    1. L’ideologia
    Nel precedente capitolo (La lotta per la libertà ndr) abbiamo per sommi capi delineata quella che dovrebbe essere l’impostazione della battaglia antifascista da parte di un socialismo penetrato da una più alta esigenza di moralità e di libertà. In questo cercheremo di stabilire qualche punto di orientamento per il movimento socialista di domani.
    La questione è tutt’altro che bizantina. Il domani vaticinato può non essere lontano e giungerà comunque improvviso; e la storia non ammette previsioni e dilazioni. Se i problemi della ripresa socialista non verranno sin d’ora virilmente affrontati, il movimento socialista correrà il rischio, come dopo la guerra, di restar travolto dal ciclone demagogico improvvisatore.
    Ma prima ancora di scendere all’esame di codesti problemi, è utile chiedersi quale carattere assumerà questo ritorno alla vita del socialismo. Ripresa pura e semplice nei solchi tradizionali, oppure fresca e originale rinascita?
    Coloro che la vita intera spesero sempre nel movimento non si rendono conto della gravità della crisi che stiamo attraversando e si illudono che nulla di sostanziale sia mutato. Consapevoli della profonda penetrazione operata dal socialismo in Italia, e dei vasti residui sentimentali che sono nelle masse, non vedono soluzione di continuità. Pare loro che i problemi di ieri saranno ancora quelli di domani, che la continuità, assicurata dalle loro persone, sarà confermata dalle cose …
    A questa conclusione sono tratti dalla stessa considerazione del fenomeno fascista – che definiscono parentesi irrazionale dovuta a fattori estrinseci e superficiali – e da una vena scettica e fatalistica. Ciò che è avvenuto, essi dicono, doveva avvenire. Il movimento socialista è stato quello che è stato non per volontà di uomini, ma per forza di cose e di imperscrutabili eventi. Le “cose” non si processano. Se lungo il suo glorioso cammino il socialismo ha subito questo brusco colpo d’arresto, ciò non significa che lo si potesse evitare o che i socialisti ne portino la colpa. E’ l’alterna vicenda della lotta tra proletariato e borghesia. Se la reazione ha vinto non è per gli errori commessi dai suoi avversari, ma per gli immensi progressi compiuti e consolidati; progressi che han determinato la reazione con la stessa fatalità con cui la condensazione atmosferica determina la pioggia. Nulla perciò di sostanziale da rivedere. Attendere, sperare e riprendere coraggiosamente il cammino a via di nuovo aperta. Il fascismo non è che un episodio. I vinti di oggi saranno i vittoriosi di domani.
    Non così la pensa la nuova generazione. I giovani non amano le comode autoassoluzioni col ricorso ad un determinismo a posteriori. Essi pretendono un virile esame delle cause della sconfitta, un serio processo di revisione e di autocritica. Credenti nel ruolo della volontà umana nella storia, non son disposti ad attribuire la sconfitta alla inimicizia degli dei o al ritmo delle forze produttive. Essi sentono chiaramente che il fascismo è ormai una esperienza che lascerà il suo solco nella vita italiana; non può trattarsi alla stregua di un mero accidente o di una semplice parentesi sospensiva. Combatterlo non significa annullarlo. Anzi, tanto meglio lo si combatte e lo si supera, quanto meglio lo si è compreso. Comprendere è superare. Il fascismo è quasi del tutto sfornito di valori costruttivi; ma ha un valore di esperienza, di rivelazione degli italiani agli italiani, che non può trascurarsi. Pur non risolvendoli o risolvendoli male, il fascismo inoltre ha sollevato problemi che non si possono ignorare. Il problema dei rapporti tra socialismo e nazione, il problema del governo in regime di democrazia, il problema dell’autonomia politica, si porranno, a fascismo caduto, con una intensità e uno stile affatto nuovi.
    Ma più ancora che l’esperienza fascista – tremendamente negativa, ma pur sempre incisiva – il deciso rinnovamento sarà imposto al movimento socialista dall’esistenza delle nuove generazioni con le quali sarà necessario prepararsi a fare i conti. Lo stesso prolungarsi del fenomeno fascista – che vieta sotto qualsiasi forma un allacciamento al passato – e le fondamentali esperienze della guerra e dopoguerra, hanno creato nei giovani una mentalità nuova e un penoso distacco cogli elementi della nuova generazione. Questo distacco è di tutti i tempi e di tutti i luoghi; ma la guerra lo ha reso in Europa più acuto; e in Italia – per le ragioni accennate nel capitolo sul socialismo italico – addirittura drammatico. (Per chi alla guerra partecipò nel fiore degli anni, o nella sua arroventata atmosfera si formò, la guerra è il tragico punto di partenza , la cresima, la impronta indelebile. Per noi, innanzi il ’14, non v’è storia vissuta, ma solo storia appresa sui libri, che non suscita in noi echi profondi. Per i nostri vecchi, invece – tolto qualche raro spirito eternamente giovane – il fulcro della loro vita utilmente vissuta è tutto compreso nel venticinquennio 1890-1915. dopo vengono le tenebre. La violenta negazione successiva, culminata nel fascismo, si presenta necessariamente come un’offesa recata al meglio di loro stessi e all’opera tenace e paziente in cui cercarono di estrinsecarsi. Il domani si presenta loro non come lo sboccare fremente verso un avvenire ricolmo di azzardo e di ignoto, ma come un ritorno, dopo tanto deviare, alle esperienze della loro giovinezza. Il loro sguardo accorato si volge così nostalgicamente a un passato che non può tornare e che è fatalmente muto pei giovani. La rottura è stata troppo brusca. Il cozzo delle mentalità vieta ogni stretto rapporto. Vecchi e giovani socialisti possono amarsi, stimarsi, lavorare assieme; ma non si comprendono più. E’ fatale che non si comprendano più. Parlano due lingue diverse. In questo stato d’animo dei giovani c’è probabilmente anche molta ingiustizia verso la vecchia generazione; e quando verrà il tempo di fare la storia, la correzione di imporrà e l’allacciamento per qualche via si compierà. Ma per intanto non è male che li assista questa aspra volontà di rinnovamento e di purificazione; la fede – fosse pure illusoria – di fare per l’avvenire meglio di quel che si fece per il passato, ricavando dalla dura lezione di questi anni tutto l’insegnamento ch’essa contiene).
    Definiamoci dunque in funzione dell’avvenire.
    Il problema ideologico. Sul problema ideologico abbiamo già detto nel capitolo sul socialismo liberale, perché occorra qui ripetersi. Il socialismo europeo si avvia decisamente verso una concezione e una pratica laburista liberale e verso responsabilità di governo. In Italia seguirà altrettanto. E’ desiderabile che questo movimento sia consapevole, cioè preveduto e voluto, e non appaia dettato dalle circostanze; e si accompagni ad un serio sforzo di rinnovamento ideologico. Il marxismo non può più aspirare a conservare il ruolo che ebbe per il passato. Se continuasse ad esercitarlo ciò avverrebbe per pigrizia e insincerità. Nessuno, più, tra i capi socialisti, aderisce intimamente al marxismo; o, se vi aderisce, lo fa con tali riserve e distinzioni da togliergli gran parte del valore pedagogico e normativo. Queste cose vanno dette, alte e forti, senza tema di provocare disincantamenti. E chi non si sente di dirle tolleri in buona pace che altri le dica, senza per questo espellerlo dal socialismo. Bisogna farla finita coll’assurdo timore reverenziale verso tutto ciò che si riferisce a Marx. Dissociare – o per lo meno concedere che si possa dissociare – socialismo e marxismo, riconoscendo nel marxismo una delle molteplici transeunti teorizzazioni del moto socialista; di un moto che si afferma spontaneamente e indipendentemente da ogni teoria, e che riposa su motivi e bisogni elementari dell’uomo.
    Tocco un punto che reputo fondamentale. Si parla di libertà, ci si batte per la libertà. Ma la prima libertà che occorre instaurare è quella all’interno del movimento, rompendo le incrostazioni dogmatiche e i grotteschi monopoli. Il moto socialista deve avere la coerenza di applicare prima di tutto a se stesso le regole ideali che lo ispirano nella riforma della società tutta quanta. La disciplina è propria dell’azione, ma guai a imporla nel dominio delle idee e delle ideologie. La pretesa di voler imporre, attraverso il partito, un abito intellettuale a serie, è quanto di più mortificante e pericoloso si possa immaginare. Ho già avuto occasione di dire quale gelo, quale paralisi avesse arrecato al partito socialista italiano il monopolio marxista. Questo monopolio – sì d’accordo, sovente più formale e fraseologico che sostanziale, perché i più restano, in fatto di marxismo, al di là del bene e del male – ha bisogno urgente di essere spezzato, per favorire il più libero estrinsecarsi di tutte le correnti onde si è alimentato per il passato il gran moto di emancipazione sociale. Tra i socialisti italiani si sono andate perpetuando divisioni e incomprensioni che non hanno più ragione di esistere quando l’adesione ai principi marxistici non sia più considerata come testo di fede, e quando accanto alla concezione tradizionale del socialismo si ammetta la vitalità o per lo meno la utilità di altre correnti particolarmente sensibili ai problemi morali (socialisti mazziniani, etici, cristiani), o ai problemi di autonomia e di forma politica (repubblicani, autonomisti), o ai problemi di libertà e di dignità individuale (socialisti liberali e non pochi sedicenti socialisti anarchici), ecc.ecc. Negli ultimi trent’anni il movimento socialista italiano si è come cristallizzato e ha perduto progressivamente ogni virtù di assorbimento e di interna ricomposizione. Esso si è ritagliato una fetta, certo cospicua, nel panorama sociale italiano; ma ha finito per accontentarsi di lavorare su quella, rinunziando implicitamente ad estendere la propria influenza e a rinnovarsi; e ha così favorito singolarmente il trionfo di altri movimenti, come tipicamente quello democratico cristiano, o ha allontanato da sé ogni fervore di vita culturale. Un movimento socialista italiano che sapesse imporsi la fatica di una profonda revisione di valori, son certo riuscirebbe a convogliare seco – nonostante le diversità di origine – tutte le forze giovani che aderiscono e ancor più aderiranno, in una Italia libera alfine, alla causa dei lavoratori; e a determinare nello stesso suo seno un impetuoso rigoglio di vita e di discussioni, necessità ineliminabile dei giovani che, entrando nel mondo delle idee, hanno il dovere di fare i conti coi problemi del loro tempo.
    Il discorso sulla necessità di un rinnovamento ideologico e di un maggiore liberalismo all’interno del movimento, si allarga a tutto quanto il problema della cultura. I socialisti in genere, e quelli italiani in particolare, sono terribilmente in ritardo in fatto di cultura; in ritardo – intendo – sulle posizioni in cui trovasi il meglio della nuova generazione. Ciò deriva in parte dalla pesantezza dei movimenti di massa, assai conservatori in fatto d’ideologia e di cultura; ma in parte, in somma parte – almeno in Italia – dall’attaccamento feticistico alle posizioni del materialismo positivista che contrassegnava la élite socialista trent’anni fa. Essa ha sempre violentemente combattuto ogni deviazione dal socialismo ateo, materialista, positivista; e ha dispregiato come borghesi tutte le correnti giovanili che non aderivano allo schema abituale. Nel suo misoneismo c’era, in verità, oltre a una notevole incomprensione, una discreta dose di presunzione. Perché essa non solo non aveva innovato, al tempo della sua formazione, le posizioni culturali della borghesia tutte dominate dai pontefici positivisti; ma le aveva anzi abbracciate entusiasticamente, seguendo a molti decenni di distanza l’esempio di quelle correnti democratiche borghesi che si accingeva a soppiantare in sede politica. Non avrebbe quindi dovuto meravigliarsi che le nuove couches giovanili socialiste evolvessero in rapporto ai tempi. Ma no, Si trasportò in sede culturale lo stesso abito dogmatico che si portava in politica, e si pretese d’esser giunti in filosofia a verità assolute, definitive, senza possibilità di ritorni e di contraddizioni. La dialettica, tanto celebrata nel moto sociale, si negò nel mondo delle idee, o vi si rimbalzò in una forma meccanica. Il socialista doveva essere e non poteva che essere, positivista! L’idealismo e lo spiritualismo erano degenerazioni “borghesi”!
    Ebbene, bisogna che i socialisti, vecchi e nuovi, si convincano che alcune posizioni dello spirito umano, per contraddittorie che siano, sono insuperabili, eterne come il pensiero, connaturate alla nostra intelligenza, e sfuggono a ogni qualsiasi rapporto di classe. Non è vero che il socialismo stia in una relazione necessaria con le filosofie materialiste e positiviste. E’ ridicolo pensare che verrà giorno in cui gli uomini, concordi sui massimi problemi della vita e dell’essere, abbatteranno religioni e metafisiche per vivere solo e sempre nel regno dell’esperienza sensibile. Quel giorno, che per fortuna non verrà mai, sarebbe un gran brutto giorno. Da che mondo è mondo, questa varietà, questo alternarsi, questo perenne procedere per contraddizioni e per sintesi, è sempre esistito, e non c’è uomo non volgare che non l’abbia provato in sé medesimo.
    I socialisti troppo audacemente trasportano in sede culturale e spirituale la terminologia politica e le divisioni di classe. Altro frutto del determinismo marxista, altro grossolanissimo errore. La cultura non è borghese né proletaria; solo la non cultura è tale, o taluni aspetti estrinseci o secondari della vita culturale. Si possono avere dei riflessi di classe sull’arte, ma non un’arte di classe. La cultura di un’epoca, di una nazione, è un patrimonio di valori che trascende il fenomeno economico della classe, per affermarsi come universale. E anche per quanto attiene a quegli aspetti estrinseci e secondari, a quei riflessi di classe nella cultura, ai socialisti si impone molta prudenza. Perché, è doloroso dirlo, in fatto di attaccamento alla tradizione, al costume, ai gusti, alla morale corrente, il proletario medio non si distingue dal borghese medio. Il proletariato, come tale, si è dimostrato sinora incapace di dar vita a seri movimenti rinnovatori nella sfera della cultura; esso non fa che seguire, a distanza di una o due generazioni, le mode letterarie, artistiche, filosofiche della borghesia colta. Per trovare dei movimenti o dei tentativi seriamente emancipatori nella sfera intellettuale, è piuttosto alle avanguardie di provenienza borghese che bisogna rivolgersi. Di provenienza borghese, non borghesi esse stesse; giacchè esse, meno di chiunque altro, aderiscono alla mentalità e ai pregiudizi propri della borghesia. Tanto è vero che è dal loro seno che proviene quasi tutta la élite socialista.
    Il lungo discorso comporta una precisa conclusione. Questa: il movimento politico socialista deve adottare, per quanto si attiene all’indirizzo filosofico e culturale, un principio di larga intelligente tolleranza; se per il singolo è comprensibile, anzi doveroso, ogni sforzo per collegare teoria e pratica, pensiero azione, lo stesso proposito, riferito al movimento nel suo complesso, è un fatale errore. Guai a legare un moto dallo svolgimento secolare e dalla molteplicità insopprimibile dei motivi, a un dato credo filosofico. Guai a voler fissare, come altra volta si fece, una filosofia “ufficiale” del socialismo. Significa o far sorgere tanti socialismi quante sono le correnti o, ipotesi più verosimile, inceppare, inaridire, isolare il movimento. Significa non rendersi conto della straordinaria complessità e intensità di vita del mondo moderno, dove continuo è l’alternarsi delle posizioni, delle scuole, dei metodi, dove rapidissimo è il logoramento di credenze ritenute incontrovertibili, dove neppure si concepiscono posizioni di riposo. Significa soprattutto dimenticare che l’onda del pensiero, della scuola, dei gusti culturali è assai più corta e frastagliata dell’onda del moto sociale e socialista; o che per lo meno l’una non coincide con l’altra. Le premesse da cui scaturisce il moto socialista sono così elementari ed universali da non implicare nessuno specifico e necessario rapporto con questa o quella filosofia. Una vera filosofia, appunto perché filosofia, potrà sempre giustificare, secondo i casi, e la conservazione e la rivoluzione e la restaurazione. Il caso Hegel prova per tutti.
    La impossibilità, oltre che l’errore, di legare il grande moto socialista a un determinato indirizzo teoretico e, in particolar modo, all’indirizzo marxista, si rivela chiaramente attraverso l’analisi del socialismo contemporaneo. Esso non solo si va emancipando dalla servitù marxista, ma, col crescere in estensione e profondità, si viene colorando in modo diverso nei rispettivi ambienti nazionali. Anche i più ciechi credenti nell’internazionalismo assoluto della classe proletaria – tipico dei bohémiens e dei perseguitati, proprio di una fase romantica iniziale – sono costretti a riconoscere le sostanziali differenze tra i principali movimenti socialisti del mondo. Differenze che non si spiegano davvero col diverso grado di sviluppo economico dei vari paesi – secondo quanto vorrebbe il marxismo – ma col ricorso a complesse serie causali, la cui sintesi trovasi nella fisionomia delle singole collettività nazionali.
    Di tutti i grandi movimenti socialisti, solo la socialdemocrazia austro-germanica si dichiara ancora formalmente aderente al marxismo, nonostante la netta correzione in senso democratico apportata dalla rivoluzione del 1918 e il diffondersi dell’eresia nel movimento giovanile.
    La tradizione socialista francese – romantica, umanistica, libertaria – è sempre rimasta estranea all’influenza marxista. La conciliazione fallì sempre, anche nei più grandi, come Jaurès, che sol nell’impeto oratorio riuscì a superare il dualismo dei motivi. Nei socialisti francesi non si smarrirono mai il culto dell’individualità, la fede nella libera iniziativa operaia, la adesione alla realtà nazionale, il riconoscimento dei fattori morali, il rispetto per la piccola proprietà rurale e artigiana. Proudhon, Sorel, Jaurès, e non Lafargue e non Guesde, sono i legittimi rappresentanti della mentalità socialista francese.
    Ancora più spiccata la originalità del socialismo britannico, decisamente antimarxista, antideologo, antilaico, insensibile o quasi alle lotte di tendenze, amante, per la mentalità empirica così tipica negli inglesi, dei problemi concreti. Il partito laburista – geniale sintesi federativa di tutte le forze che si battono per la causa della giustizia e del lavoro – pratica la lotta di classe, ma si è sempre rifiutato di elevarla a supremo canone tattico. Esso mira alla riforma graduale e pacifica della società tutta quanta, senza tragiche opposizioni e soluzioni di continuità. Non intende il socialismo britannico e il fiasco che vi hanno incontrato tutte le correnti a tipo continentale – da Rousseau a Lenin – chi non ponga mente, oltre all’insularità, al cemento religioso che lega tutti i britanni. L’interesse che tutti portano ai problemi dello spirito favorisce la mutua comprensione e tolleranza, e delimita strettamente la divisione e l’urto di classe nella sfera materiale, ammortizzandola. La Camera dei Comuni vede spezzarsi i partiti e ricomporsene dei nuovi, indipendenti dal criterio economico, non appena debba discutere di questioni religiose …
    Ultima modifica di zulux; 17-03-10 alle 02:27
    Liberalismo e socialismo, considerati nella loro sostanza migliore, non sono ideali contrastanti né concetti disparati

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    Predefinito Rif: Carlo Rosselli, il padre del socialismo liberale

    I socialisti italiani – parlo specialmente dei leaders politici – nel loro zelo internazionalistico e nella loro pedissequa accettazione dei canoni marxistici (il marxismo ignora le frontiere e conosce solo la classe), hanno invece troppo spesso forzate le caratteristiche inconfondibili dell’ambiente e della storia italiana. (La sia pur scarna tradizione socialista italiana [Pisacane, Cafiero, Ferrari, Mazzini] fu quasi del tutto trascurata. Se non fosse per il movimento sindacale e cooperativo che viene arricchendosi, specie nelle campagne, di magnifiche originali esperienze, bisognerebbe quasi negare al socialismo politico italiano ogni seria aderenza alla vita italiana).
    Il socialismo italiano dovrà in avvenire preoccuparsi assai di più degli specifici problemi nazionali, rompendo l’assurdo monopolio patriottardo dei partiti cosiddetti nazionali. Nel progressivo specificarsi e individualizzarsi dei vari movimenti socialisti europei, non si deve scorgere il sintomo del fallimento dell’ideale universalistico del socialismo. Al contrario, vi si deve riconoscere il segno del trapasso dall’astratto al reale, un momento fondamentale ed ineliminabile nel cammino ascensionale delle masse, le quali non sono in grado di passare di colpo dallo spirito di categoria e di campanile, alla comprensione piena e vissuta di una solidarietà mondiale. La comunità dei popoli postula i popoli come entità a sé stanti, coi loro originali motivi di sviluppo: solo una sintesi organica delle varie comunità nazionali porterà un giorno alla federazione delle nazioni. Tutto il resto è utopia. La negazione iniziale dei valori nazionali da parte dei precursori socialisti fu la naturale reazione allo stato di profonda inferiorità e oppressione fatta alle masse. Il loro internazionalismo fu soprattutto polemico e non costruttivo. La classe lavoratrice, accostumata a vedere nello Stato lo strumento di una oppressione di classe, coinvolse fatalmente nella condanna e nell’odio anche quella patria che è invece espressione simbolica di una comunanza innegabile di storia e di destino. Oggi che le masse, nei paesi più progrediti, si vedono riconosciuta piena parità di diritti politici, e sono venute in possesso di mezzi potentissimi per permeare di sé, dei propri bisogni materiali e ideali, lo Stato; oggi il vieto internazionalismo che nega o rinnega la patria è un controsenso, un errore, una delle tante palle di piombo che il feticcio marxista ha appeso al piede dei partiti socialisti. La guerra ha dimostrato di quale forza il mito nazionale sia dotato. Popoli nolenti sono stati lanciati contro popoli nolenti in una guerra atroce durata degli anni, senza che nei paesi democraticamente organizzati si sia verificato un solo serio tentativo di ribellione. E più che il mito vale troppo spesso il pregiudizio nazionale. Basta una partita di foot-ball o uno scontro pugilistico, ahimè, per dimostrare quanto può sulle masse, anche le più disincantate, l’istinto patriottardo. Esse si trovano in una fase ancora primitiva e pericolosissima di patriottismo che le rende facili prede d’ogni avventura che si ammanti del falso orpello dell’onore nazionale et similia. Se i socialisti, pur di combattere queste forme primitive o degenerate o interessate di attaccamento al paese, si ostineranno a ignorare i valori più alti della vita nazionale, non faranno che facilitare il giuoco delle altre correnti che sullo sfruttamento del mito nazionale basano le loro fortune.

    2. La pratica
    Il socialismo italiano ha bisogno – che dico? – necessità estrema di un bagno di realismo, di una più intima presa di contatto col paese, rinunziando alla mediazione per troppi lati deformatrice dello schema marxista. Indubbiamente la teoria materialistica della storia rese inizialmente preziosi servigi col reagire alle considerazioni troppo formalistiche e unilaterali del processo storico; ma esaurito il suo compito critico, e costretta a servire troppo pedissequamente una tesi preconcetta, finì per condurre a sua volta ad esagerazioni funeste.
    Assai più spesso che non si creda il realismo dei marxisti è un falso realismo. Esso inganna sul peso delle varie forze in giuoco, sui loro rapporti relativi e soprattutto sullo svolgimento storico cui assegna un tema e uno sbocco fissi. Il socialismo marxista ha superato l’utopismo nel fine, rinunciando ai piani di società perfette: ma lo ha trasportato nello svolgimento. Lo svolgimento deve essere sempre necessariamente verso forme di economia collettiva, attraverso una esasperazione progressiva dei contrasti di classe. Variazioni sostanziali nel programma non se ne contempla o, se si verificano, tutto lo sforzo è diretto a svalutarle riducendole al rango d’eccezione. La storia è un gigantesco dramma a tesi, a ruoli obbligati. L’attenzione del socialista marxista è sempre polarizzata sui problemi del capitalismo industriale. Le uniche forme veramente legittime di produzione sono quelle sono quelle della grande industria razionalizzata e della grande agricoltura razionalizzata. L’unica categoria lavoratrice all’altezza dei tempi è il salariato. Popolo e salariato sono sinonimi nel pensiero marxista. Le altre forme di produzione e le altre categorie lavoratrici sono forme e categorie anfibie, transitorie, retaggio di un mondo economico destinato a scomparire rapidamente; il marxista le considera già sin d’ora come acquisite, assorbite dal grande capitalismo e dall’esercito proletario. Solo il salariato dell’industria è il degno milite della battaglia socialista, perché egli solo può assurgere a una perfetta coscienza di classe e dei suoi compiti rivoluzionari. Il grado del progresso è fornito dal grado di proletarizzazione.
    Da questa visione pregiudiziale e sommaria della evoluzione economica sorgono gravi inconvenienti per il moto socialista, specie in paesi agrario-industriali a lenta trasformazione economica, come tipicamente l’Italia. Il più grave è l’incapacità di darsi un programma costruttivo in questa fase cosiddetta di trapasso, che pure chiede anch’essa di essere vissuta in tutta la sua pienezza. Quel che sorridendo si dice dei grandi pensatori negati ai piccoli problemi della vita d’ogni giorno, si può ripetere per il socialista marxista: abituato a commerciare con le “categorie economiche”, i “modi di produzione”, il “capitalismo” e il “socialismo” non riesce più a comprendere i meschini, ma pur vitali problemi concreti che gli presenta la pratica; e in particolar modo i problemi che si riferiscono alla piccola industria, piccola proprietà agraria, mezzadria, artigianato, fittanza.
    E’ un nuovo aspetto del suo il liberalismo, questa volta diretto non più contro le ideologie, am contro le cose; e non è certo l’ultima causa della rapida fortuna che riuscirono ad avere in Italia altri movimenti politici – come ad esempio il cristiano-sociale – assai meno legati a rigide formule aprioristiche.
    Sombart ha posto in luce l’errore di coloro che prevedono nel futuro l’esclusivo dominio di un unico sistema economico. Tutta l’esperienza dela passato e la natura stessa della evoluzione economica vi contrasta. Nel corso della storia il numero delle forze economiche simultaneamente viventi è andato costantemente aumentando, anche se si è modificata la posizione rispettiva. Sombart prevede che nell’avvenire coesisteranno, accanto a economie di tipo capitalistico, economie cooperative, collettiviste, individuali, artigiane, e la piccola proprietà rurale. Egli pensa – e qui si può discutere – che il capitalismo dominerà ancora a lungo importanti rami della vita economica, specie quelli che ancora si trovano in uno stadio di rivoluzione tecnica, e quelli che sono rivolti alla fabbricazione di prodotti complicati. Ma egli per primo prevede notevoli modificazioni. E’ probabile che il capitalismo debba rinunciare alla sua egemonia, sottomettendosi sempre più a limitazioni e interventi da parte dei pubblici poteri; mentre si andranno estendendo le forme di economia regolata, nelle quali il principio del soddisfacimento del bisogno prevale sul principio del lucro. Queste grandi imprese non dominate dai capitalisti si affermeranno soprattutto là dove il bisogno è stabilizzato, la tecnica della fabbricazione è uscita dallo stadio rivoluzionario iniziale, e quindi la vendita e la produzione si aggirano su vie ben note; onde sempre più superfluo diviene lo spirito d’iniziativa.
    Questa concezione così variegata della vita economica del prossimo avvenire, è assai meno brillante di quella di Marx, ma è assai più rispondente alle linee su cui si sviluppa effettivamente la realtà attuale. Si potrà discutere sulla rapidità della evoluzione, sul peso delle forme rispettive, e sul grado dell’intervento; ma non sui fenomeni in sé. I socialisti che vogliono incidere sul serio la realtà del loro tempo e influire su questa evoluzione, non possono continuare a isterilirsi in una critica a priori lineare, contrapponendo alla evoluzione di fatto una evoluzione ideale che in nessun luogo, Russia compresa, si realizza. La ignoranza, voluta o non voluta, dei fatti può ammettersi ancora per coloro che credono a una rivoluzione prossima di tutto intero l’ordinamento produttivo: non per coloro che hanno una visione organica dello sviluppo, e per coloro cui spettano ormai responsabilità positive.
    Questo ragionamento, dicevamo, si applica particolarmente all’Italia. Se v’è un paese in cui le formule facili ed univoche si spuntano contro la insormontabile varietà dei climi, delle culture, delle forme e delle forze economiche, questo paese è l’Italia, madre di almeno due Italie: di un’Italia moderna, cittadina, industriale, e di un’Italia antica e rurale, ancora straniata alla civiltà occidentale, dalle masse ancor vergini e serve, che vive fuori, ostinatamente fuori da quelle condizioni di esistenza che sono premessa indispensabile per il sorgere e l’affermarsi di un solido movimento socialista a carattere marxista. Anche a prescindere da ogni intrinseca valutazione del marxismo, è indubbio che esso si presta a fornire la base solo a un movimento politico che faccia perno sulle categorie operaie della grande e media industria e su una parte del bracciantato rurale. Cioè, per tornare all’Italia, a un movimento politico che per lungo tempo ancora interesserà solo una frazione, una minoranza della classe lavoratrice italiana, per di più concentrata in un terzo del territorio. Secondo i dati del censimento del ’21, tuttora valevoli, risulta: a) che il 56% della popolazione classificata come lavoratrice, era addetta all’agricoltura, e solo il 33% all’industria e commercio; b) che più della metà degli occupati nell’agricoltura costituiscono l’esercito imponente dei piccoli proprietari, fittavoli e mezzadri; c) che almeno un terzo degli occupati nell’industria e commercio sono proprietari, conduttori o gerenti – proporzione altissima, che attesta le piccole dimensioni della maggior parte delle industrie; d) che la trasformazione dell’Italia da paese prevalentemente agricolo in paese agricolo industriale si è svolta senza sensibile aumento della quota della popolazione occupata nell’industria e nei commerci (227/000 nel 1882, 219/000 nel 1901, 200-210/000 attualmente).
    Risulta cioè che, sulla base del programma e della tattica marxista, non si conquista una maggioranza in Italia. O rassegnarsi allo stato di minorità per un numero indefinito di anni e fors’anco di generazioni, o invocare la dittatura. I comunisti italiani, attaccati alla lettera del marxismo, sono logici al pari dei russi nel reclamare la dittatura dell’avanguardia del proletariato e la fine della libertà. Dove sono meno logici è quando pretendono di dare ad intendere che la loro dittatura risponda all’interesse di tutta la classe lavoratrice. Il mito socializzatore e il fato proletarizzatore non sorridono infatti a due terzi dei concreti lavoratori italiani. In questi settori l’appello comunista, e anche il socialista vieux style è fatale che risuoni a vuoto, salvo per periodi di crisi e di orgasmo. Soprattutto in materia agraria i socialisti marxisti non sono mai riusciti ad interpretare le aspirazioni profonde della gran massa dei contadini italiani. Dominati da pregiudiziali politiche e da pregiudizi economici, essi finirono per infeudare tutto il movimento socialista agli interessi delle categorie operaie del Nord, sollevando le proteste vivacissime dei socialisti meridionali.
    Ora i socialisti italiani debbono decidersi. Vogliono rimanere in eterno i rappresentanti specifici di una frazione del proletariato italiano, attendendo buddisticamente che l’evoluzione economica trasformi l’Italia in una Germania o in un’Inghilterra con l’80% dei salariati industriali? Oppure vogliono mettersi in grado sin da ora, con un programma adeguato e realistico, di cattivarsi la fiducia di tutti, o per lo meno di una grande maggioranza dei concreti lavoratori italiani, onde attuare finalmente loro stessi una politica decisamente favorevole agli interessi del lavoro, della pace e della libertà? Se essi tengono più ai programmi che ai fatti, ai fini astratti che al moto, alle promesse mitiche che alle realizzazioni, non hanno che da proseguire per la vecchia strada: stiano pur certi che l’ora delle responsabilità positive di governo non suonerà mai per loro, o, almeno, per il partito. Anche se saliranno al governo sarà più per compiervi opera negativa che costruttiva, più per controllare e prevenire che fare; e, senza volerlo, finiranno al rimorchio dei gruppi borghesi progressisti, non legati da formule rigide e da pregiudiziali estemporanee. In ogni caso essi tradiranno per questa via la loro più vera missione: perché il movimento socialista deve, per definizione, investirsi degli interessi e dei problemi della intera classe lavoratrice e non di una frazione, grande o piccola che sia. Se viceversa sentono che anch’essi non potranno sottrarsi nel vicino domani a quella che è ormai una necessità per tutti i partiti socialisti del mondo – vale a dire la responsabilità del potere – si preparino sin d’ora ad una profonda revisione del loro programma, della loro tattica, della struttura stessa del movimento, in guisa da crearsi la possibilità di conquistare una salda maggioranza. Col dir ciò non si chiede ai socialisti di rinunziare ai loro ideali, di gettare tra i ferrivecchi della propaganda il sogno di una società regolata su un principio di giustizia e di libertà. Tutt’altro. Si chiede anzi di non compromettere la possibilità di reali progressi in quel senso con l’attaccamento morboso a formule, a programmi, a metodi superati; si chiede insomma di mettersi al passo con la realtà economica e psicologica del loro paese, di non baloccarsi coi sogni delle apocalittiche trasformazioni e di non contare su improvvise quanto inconcepibili conversioni di masse. Sostituire al vecchio programma marxista un programma anche dal lato finalistico più ampio, meno storicamente e socialmente condizionato, che facendo appello a motivi e ideali universali sia capace di avvincere non questa o quella frazione di lavoratori, ma tutti indistintamente i lavoratori italiani.
    Al mutamento del programma dovrà corrispondere un mutamento nelle forme organizzative. L’antico dualismo tra partito e movimento operaio non potrà prolungarsi. Quanto più si porranno al primo piano i problemi del moto, e tanto più dovrà farsi sentire il peso anche politico delle organizzazioni operaie. La democrazia operaia vive nei sindacati, non nel partito: il partito tende sempre in una certa misura alla dittatura in nome di una ideologia e di fini lontani che si vogliono imporre non per loro concordanza col sentimento dei più, ma per la loro presunta bontà intrinseca. Io sono esplicitamente favorevole ad una riorganizzazione del movimento socialista su basi affini a quelle del partito del lavoro britannico: far centro cioè sul moto operaio, tendente per legge fisiologica all’unità ed efficacissimo smorzatore degli urti interni, specie se di origine ideologica; e accompagnar quello con una costellazione di gruppi politici, di associazioni culturali, di organismi cooperativi, mutualistici, ecc. Concepire cioè il partito di domani con uno spirito ben più largo e generoso di quel che ieri non fosse, come sintesi federativa di tutte le forze che si battono per la causa del lavoro sulla base di un programma costruttivo di lavoro. Esso dovrebbe aver riguardo soprattutto ai compiti immediati, ai fini conseguibili in uno spazio ragionevolmente breve di anni. Un solo punto dovrebbe restar fermo: e cioè l’accettazione nel fatto (sui libri si sbizzarriscano pure i filosofi della storia) del metodo liberale di lotta politica. Qui non saprebbero ammettersi equivoci e contraddizioni. Non si può organizzare la rivoluzione e pretendere contemporaneamente dagli avversari che si rassegnino a una graduale penetrazione dello Stato sino alla pacifica conquista del potere.
    Una organizzazione del movimento socialista italiano sulle linee più sopra accennate – riorganizzazione che vive già in potenza nella alleanza delle sinistre italiane nella lotta per la libertà e la repubblica del lavoro – contribuirebbe immensamente a risolvere quello che sarà il più delicato problema del domani postfascista: assicurare un saldo governo all’Italia. Non c’è dubbio che una delle cause del trionfo fascista fu dovuta alla degenerazione della vita parlamentare, alla impossibilità di raggruppare attorno ad un programma costruttivo un nucleo omogeneo di forze. I socialisti, che saranno inevitabilmente al centro del governo di domani, dovranno mettersi in grado di valorizzare con un programma realista e una organizzazione elastica i vasti consensi che certamente avranno in larghi strati della popolazione. Dico di più: il passaggio alle responsabilità di governo imporrà ai socialisti di attenuare il troppo rigido concetto di classe, incompatibile con un normale funzionamento delle istituzioni democratiche. I partiti, quando salgono al potere, non debbono governare per sé, ma per tutti, acquistando un valore di universalità. Sulla base di un programma di classe il socialismo in Italia né avrà una maggioranza, né avrà il potere. Esso dovrà prepararsi a dilatare il suo fronte a tutta quanta la classe lavoratrice, e a governare in nome di un valore – il lavoro – che a buon diritto può dirsi interessi tutti gli uomini, poiché tutti gli uomini, o quasi, concorrono, in un modo o nell’altro, all’opera di produzione.
    Anche da questo punto di vista sarebbe augurabile il sorgere di una nuova formazione politica. Non essendo più legata formalmente al passato, essa sarebbe assai più sciolta da ogni obbligo di coerenza coi programmi e metodi antichi, e potrebbe più liberamente elaborare, sulla base delle straordinarie esperienze del quindicennio, un programma rinnovatore.


    capitolo intitolato "Per un nuovo socialismo"
    da Socialismo Liberale
    di Carlo Rosselli (prima edizione, in francese, del 1930)
    Liberalismo e socialismo, considerati nella loro sostanza migliore, non sono ideali contrastanti né concetti disparati

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    Predefinito Rif: Carlo Rosselli, il padre del socialismo liberale

    LA LEZIONE DI CARLO ROSSELLI: SOCIALISMO LIBERALE CONTRO IL LIBERISMO SELVAGGIO
    By pdemocratico

    La premessa da cui partiamo è che in un paese come l’Italia che appartiene a pieno diritto all’Europa, lo spazio della sinistra alternativa alla desta non può essere che quello del socialismo democratico e, va da sé, liberale. Però è già stato osservato, a mio parere giustamente, che nella frantumazione, per non parlare dello spappolamento, del nostro sistema politico, sembra che ci sia posto ormai soltanto per partiti sempre più piccoli, che in continua rissa fra di loro si fanno e si disfano da un giorno all’altro nella quasi totale indifferenza di coloro che dovrebbero esserne i destinatari. L’unico partito per il quale sembra non ci sia più posto è un partito socialista unitario e a vocazione maggioritaria, come c’è negli altri paesi dell’Europa di Maastricht. Quali siano le ragioni per cui in Italia un grande partito socialista non ha mai avuto diritto di cittadinanza in questi ultimi cinquant’anni, è stato un argomento sul quale si potrebbe raccogliere una intera biblioteca. Ma da questa ineccepibile constatazione non si può trarre che una sola conseguenza: se di un grande partito socialista che occupi tutto o quasi tutto lo spazio della sinistra non c’è mai stata traccia nel nostro paese, e i partiti socialisti sono sempre stati incredibilmente più di uno in concorrenza fra loro, l’impresa cui ci accingiamo non è facile, anzi, diciamolo pure con tutta franchezza e col dovuto senso di responsabilità, difficilissima. Il che non vuol dire che non debba esser tentata, specie nel momento in cui un socialismo troppo rigido e uno, all’estremo opposto, troppo flessibile, dovrebbero aver imparato una severa lezione dalla loro sconfitta.

    L’omaggio a Carlo Rosselli è già di per se stesso la testimonianza che il socialismo illiberale, che per anni ha ristretto lo spazio del socialismo democratico in Italia, contro il quale Rosselli aveva lungamente combattuto, è stato ormai definitivamente abbandonato. Però occorre riflettere sul fatto che la situazione oggi è rispetto a quella di Rosselli completamente cambiata, per non dire rovesciata.

    Il fronte contro il quale il socialismo democratico di oggi deve schierarsi non è più quello del socialismo pervertito da restituire ai suoi principi in nome della libertà, ma, in nome della giustizia sociale, quello del liberalismo trionfante. Se il socialismo liberale era nato per rivendicare i diritti di libertà contro un socialismo diventato dispotico, il socialismo liberale di oggi deve difendere i diritti sociali, come condizione necessaria per la migliore protezione dei diritti di libertà, contro il liberismo anarchico. Come si legge nell’Introduzione al Manifesto del Partito del socialismo europeo: “Diciamo si all’economia di mercato, ma no alla società di mercato.

    Tu hai pubblicato in questi giorni un libro in cui hai revocato il dibattito ospitato dalla rivista da te diretta e lo hai intitolato “Le Cassandre di Modoperaio”. Permetti a uno dei partecipandi a quel dibattito, quale sono stato io, di continuare a fare la parte ingrata della Cassandra, una parte che del resto è sempre stata la mia vocazione.

    Per dare nuova forma e nuovo contenuto a un grande partito socialista, oggi non basta ricostituire la sinistra. Occorre prendere atto che nel nostro paese sta attraversando una crisi gravissima lo stesso istituto del partito politico. Come è capitato spesso nella storia del nostro paese, è avvenuto in breve tempo il passaggio da un estremo all’altro, dalla cosiddetta partitocrazia a una situazione che con un neologismo si potrebbe chiamare “partitopenia”.

    I partiti che si vengono formando oggi in Italia non hanno più nulla del partito nel senso originario della parola. Sono raggruppamenti personali e occasionali che stanno avendo un unico effetto, quello di far aumentare l’astensione elettorale, cioè il partito dell’antipartito. Il nuovo partito di sinistra deve affrontare dunque una duplice crisi, non solo quella del socialismo da ricostituire, ma anche quella della istituzione “partito”, la cui crisi inceppa addirittura il regolare funzionamento della nostra democrazia.

    Però, un problema alla volta.
    Coi più cordiali saluti a tutti e auguri di buon lavoro.
    NORBERTO BOBBIO

    LA LEZIONE DI CARLO ROSSELLI: SOCIALISMO LIBERALE CONTRO IL LIBERISMO SELVAGGIO « Costruiamo il partito democratico
    Liberalismo e socialismo, considerati nella loro sostanza migliore, non sono ideali contrastanti né concetti disparati

 

 
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