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Discussione: Cavour rivalutato?

  1. #1
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    Predefinito Cavour rivalutato?



    Cavour, bicentenario della nascita: Borghezio (Lega Nord) celebra il grande statista piemontese

    Cavour, bicentenario della nascita: Borghezio (Lega Nord) celebra il grande statista piemontese | Direttanews.it

    10 AGO – «Celebrare il bicentenario cavouriano è un non senso nell’Italia di oggi che, con le sue cricche romane, rappresenta un’alternativa totale al grande statista piemontese». Lo afferma in una dichiarazione il parlamentare europeo della Lega Nord Mario Borghezio. «Cavour e la piemontesità – aggiunge – non piacciono a Roma ladrona e non è certo un caso che il Conte non volle mai recarsi a Roma, già allora così lontana al modo di pensare dei piemontesi. Per questo, anche se 150 anni di vita unitaria hanno determinato un giudizio storico politico negativo sulle conseguenze di quelle scelte unitarie, Cavour, per la sua sorprendente visione regionalista se non federalista, resta per noi un grande».

  2. #2
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    Predefinito Rif: Cavour rivalutato?

    Italia federale o Italia nazionale? L'interrogativo, oggi di attualità, fu posto già agli albori del Risorgimento. Anzi, alla vigilia dell'Unità nazionale, la Federazione italiana sembrava cosa fatta.
    Cavour aveva in progetto, infatti, di "piemontesizzare" il Nord Italia e suddividere la penisola in tre Stati federali: il Regno di Sardegna, lo Stato della Chiesa e il Regno delle due Sicilie




    Arrigo Petacco

    Il Regno del Nord

    1859: il sogno di Cavour infranto da Garibaldi


    LiberOnWeb - Mondadori - Arrigo Petacco - Regno del Nord (Il)

    Italia federale o Italia nazionale? Questo interrogativo, di scottante attualità, già agli albori del Risorgimento fu al centro del dibattito politico e culturale. Forse non tutti sanno, però, che alla vigilia dell'unità nazionale la confederazione italiana era quasi sul punto di realizzarsi. E l'iniziativa partì proprio da Cavour, considerato oggi un paladino dell'Italia unita, che il 21 luglio 1858 si incontrò in gran segreto con Napoleone III nella stazione termale di Plombières-les-Bains. In quell'occasione l'allora primo ministro del Regno di Sardegna e l'imperatore di Francia decisero, con freddo cinismo, di scatenare una guerra contro l'Austria per rivoluzionare la carta geopolitica dell'Europa e di dividere la penisola italiana, una volta liberata dalla dominazione austriaca, in tre Stati: il Regno del Nord sotto l'egida dei Savoia, un Regno del Centro ancora da definire e il Regno delle Due Sicilie, cui si sarebbero aggiunte l'Umbria e le Marche, appartenenti agli Stati pontifici. Tutto pareva organizzato, mancava soltanto l'approvazione di Francesco II, re di Napoli, che però, quando seppe che i suoi territori si sarebbero arricchiti delle due regioni papaline, da devoto e timorato di Dio qual era, gridò al sacrilegio e mandò in fumo il piano. Poi, com'è noto, Garibaldi, con l'appoggio della flotta britannica, sbarcò a Marsala.
    Cavour vedeva così il suo sogno infrangersi e, pur non essendo un fautore dell'unità nazionale - che riteneva una "corbelleria" -, si rassegnò pragmaticamente all'idea di "piemontesizzare" l'Italia intera, cercando di contrapporre con tempestività una sollevazione antiborbonica moderata alla rivoluzione garibaldina che infiammava il Meridione. A Costantino Nigra, suo ambasciatore a Parigi, che gli aveva scritto: "Meglio aspettare. Lasciamo prima arrivare Garibaldi a Napoli. Lasciamo cuocere i maccheroni ", rispose infatti: "I maccheroni non sono ancora cotti, ma le arance sono già sulla tavola e non possiamo rifiutarle".
    Arrigo Petacco ricostruisce il clima e le premesse che portarono al progetto federalista sulle cui ceneri sorse lo stato italiano: dai moti del 1821 e 1831 al pensiero di Cattaneo, Gioberti e Mazzini, dall'elezione di Pio IX al vento rivoluzionario che nel 1848 sconvolse l'Europa, fino alle guerre d'indipendenza e alla prima seduta del Parlamento italiano. Nel suo racconto intessuto di retroscena, accordi segreti pubblici e privati dedica ampio spazio ai protagonisti e alle loro vicende personali. Assistiamo così al matrimonio tra Clotilde di Savoia e il principe Girolamo, cugino di Napoleone III, combinato dal "tessitore" Cavour per rinsaldare l'alleanza con i francesi, alle strategie seduttive e spionistiche di Virginia Oldoini, contessa di Castiglione, alle nozze "lampo" di Garibaldi, alle prodezze dell'impavida diciottenne Maria Sofia, la "regina del Sud" moglie di Francesco II, che combatté sugli spalti di Gaeta come un soldato fra i soldati.
    Il Regno del Nord offre una rilettura originale di un periodo storico fondamentale facendo emergere come l'identità italiana sia tenacemente legata a una vocazione federalista che proviene da lontano e percorre in modo sotterraneo la nostra storia nazionale.



    Indice - Sommario

    Indice

    I. I cospiratori di Plombières

    II. Fra rivoluzioni e "insorgenze"

    III. Sul piese di guerra

    IV. "Per la patria questo e altro"

    V. Il grido di dolore

    VI. "Arrestate Garibaldi"

    VII. Le arance e i maccheroni di Cavour

    Bibliografia

    Fonti iconografiche

    Indice dei nomi
    Ultima modifica di Leghista; 10-08-10 alle 19:09

  3. #3
    roma kaputt!
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    Predefinito Rif: Cavour rivalutato?

    Il federalismo fiscale? L'ha inventato Cavour

    di Eugenio Di Rienzo

    Stato minimo, macroregioni, autonomia amministrativa: ecco il progetto di legge voluto dal Conte prima di morire. La proposta fu affossata dalla vecchia burocrazia piemontese e dalla sinistra mazziniana

    Il federalismo fiscale? L'ha inventato Cavour - Cultura - ilGiornale.it del 27-04-2010

    Mentre l’attività del Comitato dei garanti per le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia si consuma sterilmente tra mugugni, battibecchi, minacce di dimissioni, pare proprio che il compito di ricordare degnamente questo evento resti affidato all'iniziativa di qualche valido studioso e di qualche editore coraggioso. Così accade con la biografia di Cavour di Adriano Viarengo, in uscita in questi giorni da Salerno (pagg. 568, euro 28), nella quale l’autore ha saputo ricostruire la carriera pubblica del maggiore protagonista del Risorgimento, mai dimenticando di mettere in evidenza le tensioni familiari, il temperamento autoritario, la tenace aspirazione al cambiamento, ma anche le fragilità umane e le incertezze di questo personaggio. Senza cedere alla tentazione di ingessare Cavour nella «galleria dei busti» della nostra storia patria, Viarengo ha creato un ritratto esemplare che ripercorre la storia umana del latifondista di Grinzane, sospesa tra «vizi privati e pubbliche virtù», dando posto alle accalorate discussioni con i contadini delle sue terre, alla sua attività di intellettuale europeo, all’agitata vita sentimentale, ai flirt con le dame dell’aristocrazia piemontese, all’impetuosa passione per una nobildonna genovese, all’«affettuosa amicizia» che lo legò a una intellettuale francese e a una attrice italiana.

    Eguale attenzione dedica Viarengo all’analisi del progetto politico dello statista sabaudo che seppe dare sostanza al nostro processo di formazione nazionale, puntando sulle forze di quell’«Italia moderata», che, nel futuro prossimo e lontano, avrebbe saputo superare le difficili sfide interne e internazionali con gli uomini della Destra storica, uscire dalla difficilissima crisi della fine del secolo XIX, grazie a Giolitti, rialzarsi dalla disastrosa sconfitta della seconda guerra mondiale in virtù dell’azione di Alcide De Gasperi. Era a questa «Italia di centro» che Cavour guardava con lungimiranza, quando già nel 1846 affermava che «nel nostro paese una rivoluzione democratica non avrebbe nessuna probabilità di successo, dato che il partito favorevole alle novità politiche non riscuote alcuna simpatia nelle masse, mentre la sua forza risiede nelle classi medie così interessate al mantenimento dell’ordine sociale da rifiutare con fermezza le dottrine sovversive di Mazzini e di altri agitatori».

    Da questo punto di vista è certamente possibile dire, rovesciando il senso di una famosa frase di Massimo d’Azeglio, che se Cavour «fece gli Italiani», il più grave problema da affrontare restava per lui quello di «fare l’Italia» e cioè quello di creare un modello di Stato, capace di unire e non semplicemente di unificare popolazioni divise da realtà storiche, politiche, culturali, produttive.

    L’Italia sarebbe stata una «corbelleria», sosteneva Cavour, senza realizzare questa unione dal basso e se a essa si fosse voluto dare corpo sovrapponendo al tessuto policentrico della Penisola le normative statali piemontesi o procedendo a una centralizzazione autoritaria di tipo bonapartista.

    Questa profonda intuizione, che il volume di Viarengo tende però a sottovalutare, spiega perché Cavour, alla vigilia della proclamazione del Regno d’Italia del 17 marzo 1861, conferì mandato al ministro dell’Interno Marco Minghetti di elaborare un progetto di riordino amministrativo ispirato a un ampio decentramento. Su questa linea, Minghetti elaborò un’articolata proposta, tendente a conciliare le esigenze del nuovo Stato con le esperienze e le tradizioni di governo locali.

    Il ministro ipotizzava sei grandi unità territoriali (delle vere e proprie macro-Regioni) da costituire come corpi intermedi tra centro e periferia. Queste aggregazioni avrebbero riunito, sulla base di un consorzio di carattere volontario e permanente, le province affini per vicinanza territoriale, per storia, per interessi, per modelli culturali e tradizioni. Grazie alla dislocazione amministrativa, le Regioni avrebbero introdotto con gradualità e senza forzature gli ordinamenti dello Stato unitario con l’obiettivo di armonizzarli con le antiche prerogative dei territori e delle comunità. Minghetti proponeva dunque un disegno realmente innovativo, del tutto inedito nel contesto europeo, che si basava sull’idea di uno «Stato minimo» in grado di enfatizzare il principio del self-government, nel settore cruciale della spesa pubblica, ma anche di preservare il diritto naturale dei cittadini di associarsi in entità fortemente coese, per contrastare quella che Cavour aveva definito la «tirannia centralizzatrice».

    Il progetto Minghetti, presentato il 13 marzo del 1861, si scontrò però con l’opposizione frontale di una classe politica incapace di prendere in seria considerazione questa soluzione. Dopo un acceso dibattito parlamentare, l’analisi del disegno di legge venne rimandato a una Commissione dove contro di esso si formò un largo schieramento di opposizione composto dagli esponenti della vecchia burocrazia piemontese ma anche della sinistra fuoriuscita dai ranghi della fazione mazziniana che ne decretò la bocciatura in ragione di una malintesa difesa del carattere unitario del nuovo Regno.

    Una vecchia leggenda risorgimentale narra che Cavour, poco prima della sua scomparsa, avvenuta il 6 giugno 1861, avrebbe affermato di poter morire sereno, avendo ormai fatta l’Italia. Personalmente, penso che gli ultimi momenti della sua vita siano stati connotati da minore soddisfazione. Con la bocciatura della riforma Minghetti, il nostro Paese avrebbe rinunciato infatti, fino ai nostri giorni, a un’architettura istituzionale connotata da un federalismo amministrativo che poteva meglio garantire, insieme all’unità, la crescita di tutte le sue componenti territoriali senza eternare antichi contrasti e creare nuovi squilibri.

  4. #4
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    Predefinito Rif: Cavour rivalutato?



    04/05/2010, ore 10:48 - Intervista del leader leghista a La Repubblica.it

    Bossi: "Completeremo il federalismo iniziato da Cavour"

    Bossi: "Completeremo il federalismo iniziato da Cavour"

    ROMA - Dopo le dichiarazioni rese domenica da Calderoli a Lucia Annunziata, durante la trasmissione "In Mezz'ora" su Rai3, in cui il Ministro per la Semplificazione legislativa Roberto Calderoli snobbava platealmente le celebrazioni per il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia, che avverranno a partire dal 5 maggio (data tradizionale della partenza dei cosiddetti "Mille" da Quarto, in LIguria) e si concluderanno l'anno prossimo, ora tocca a Umberto Bossi fare lo stesso.

    Ed in una intervista a Repubblica.it conferma che a lui dell'Unità d'Italia non interessa nulla: " A naso (le celebrazioni, ndr) mi sembrano le solite cose un po' inutili e un po' retoriche, ma devo ancora vedere e capire".

    Ma la parte più interessante è quando parla del federalismo, attribuendolo addirittura al conte Camillo Benso Conte di Cavour: "Cavour era federalista, la promessa e l'impronta federalista sono state fondamentali nel percorso di unificazione del Paese. Senza questa premessa e senza questa impronta i Lombardi non ci sarebbero mai stati a finire sotto il Piemonte. Poi il re in qualche modo ha tradito perché ha imposto il centralismo. Oggi è arrivato il momento di riprendere quella promessa e mantenerla compiendo davvero la storia".

    E naturalmente il federalismo per il "Senatur" è la panacea di ogni male: " Perché il federalismo significa dare delle regole, finalmente. E un po' di federalismo e un po' di regole faranno bene sia al Nord che al Sud. Perché il Nord del dopo crisi non può più dare i soldi che dava prima, dovrà vivere con regole nuove. E il Sud i soldi non potrà più buttarli".

  5. #5
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    La Padania rivaluta Cavour? hefico:

  6. #6
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    Predefinito Rif: Cavour rivalutato?

    Rivalutare Cavour mi sembra eccessivo, però è giusto inquadrare storicamente la verità perennemente distorta dalle fandonie di 150 anni di propaganda: in effetti, nelle sue intenzioni iniziali non c'era quella mostruosità criminale di nazione che è sortita come risutato finale del "risorgimento". E appunto l'unione doveva interessare solo le terre padane, con possibilità di accordi commerciali, amministrativi ecc. con il resto della penisola. Poi gli eventi, ma soprattutto gli interessi dei poteri forti di allora, massoneria & c., hanno preso il sopravvento insieme con l'ingordigia del figlio del macellaio.
    Va detto che Cavour si è comunque adattato subito al nuovo giro di cose con buona dose di opportunismo, e ha condiviso i metodi, truffaldini e intriganti, tipici della politica savoiarda.

  7. #7
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    Predefinito Rif: Cavour rivalutato?

    Citazione Originariamente Scritto da halexandra Visualizza Messaggio
    Rivalutare Cavour mi sembra eccessivo, però è giusto inquadrare storicamente la verità perennemente distorta dalle fandonie di 150 anni di propaganda: in effetti, nelle sue intenzioni iniziali non c'era quella mostruosità criminale di nazione che è sortita come risutato finale del "risorgimento". E appunto l'unione doveva interessare solo le terre padane, con possibilità di accordi commerciali, amministrativi ecc. con il resto della penisola. Poi gli eventi, ma soprattutto gli interessi dei poteri forti di allora, massoneria & c., hanno preso il sopravvento insieme con l'ingordigia del figlio del macellaio.
    Va detto che Cavour si è comunque adattato subito al nuovo giro di cose con buona dose di opportunismo, e ha condiviso i metodi, truffaldini e intriganti, tipici della politica savoiarda.
    quoto ... probabilmente l'idea iniziale del Conte era veramente una conferazione delle terre PadanoAlpine (si era opposto infatti alle operazioni di garibbaldo) poi però si adattato al corso degli eventi avallando la polica dei sabboia & "compagni di merende" al contrario di Cattaneo rimasto fermo sulle sue posizioni tanto da riparate in Svizzera per le delusioni ricevute

  8. #8
    roma kaputt!
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    Predefinito Rif: Cavour rivalutato?



    Il primo "leghista" della storia fu Cavour

    Il primo "leghista" della storia fu Cavour - Cultura - ilGiornale.it del 05-10-2009

    È noto che alcuni fra i principali padri della patria - Gioberti, Rosmini, d’Azeglio - pensavano a un Regno d’Italia che si estendesse soltanto a Piemonte, Lombardia, Veneto e ducati emiliani: in pratica quella che oggi viene chiamata Padania. Dello stesso avviso era il vero creatore dell’Unità italiana, Camillo Benso conte di Cavour: come ha ricordato l’altroieri su queste pagine Gilberto Oneto, nel 1858 il conte concluse con Napoleone III, a Plombières-les-Bains, un patto in tal senso. Proprio da quell’incontro inizia il nuovo libro di Arrigo Petacco Il Regno del Nord. 1859: il sogno di Cavour infranto da Garibaldi (Mondadori, pagg. 192, euro 19). Un libro eccezionale per scrittura e capacità di sintesi, che dà un altro colpo ben assestato alla tradizionale, enfatica, retorica risorgimentale.

    Si decise che il Regno di Sardegna, ovvero il Piemonte sabaudo, avrebbe aiutato la Francia in una guerra contro l’Impero austroungarico, per avere in cambio il resto dell’Italia settentrionale, ancora sotto il dominio asburgico. Cavour era arrivato a Plombières con una nota semplice semplice: «Il papa non andrebbe toccato lasciandogli Roma e il terreno circostante. Raggiunta la pace dovrebbe poi farsi una Lega delle tre Italie. La Superiore dal Piemonte alle coste dell’Istria e della Dalmazia con le Bocche del Cattaro sotto il re Sabaudo. La Inferiore sotto il re Borbonico se non si potesse mettere altri. La Centrale sotto il re che più conviene». Insomma, una confederazione di tre regni, sotto la presidenza onoraria del papa, per compensarlo dei territori perduti in Italia centrale.

    Cavour non era mai stato più a sud di Firenze. Gli interessava soltanto l’espansione del Regno di Sardegna lungo la ricca linea del Po. Per lui la faccenda dell’unità nazionale era roba per intellettuali romantici, una «tragica corbelleria». Inoltre, era pieno di pregiudizi antimeridionali. Si era dimostrato abilissimo imprenditore nelle sue proprietà e fu un eccezionale statista, benché lontano dall’immagine solenne che ci è stata tramandata. Vittorio Emanuele II non lo ebbe mai in simpatia, e certo non perché libertino. Quando gli venne suggerita la nomina di Cavour sbottò in piemontese, la lingua che conosceva meglio: «E va bin. Coma ch’al veulo lor! Ma ch’a stago sicur che col lì an poch temp an lo fica an’t el pronio a tuti».
    «Cavour, d’altronde, non era un rivoluzionario», nota Petacco: «Refrattario agli entusiasmi e ai sublimi sacrifici, non credeva nelle insurrezioni popolari e neppure nel volontarismo eroico ma confusionario. Preferiva i battaglioni bene armati e disciplinati». Così nel 1855 spedì quindicimila bersaglieri a combattere in Crimea, contro la Russia, in una guerra che non riguardava l’Italia ma che stava molto a cuore a Napoleone III. Né rinunciò ad altre armi, come scatenare su Napoleone l’attenzione della giovane, bella, spregiudicata contessa Virginia di Castiglione.

    Non per essere iconoclasti a tutti i costi, ma è il caso di aggiungere che il famoso «grido di dolore» pronunciato in Parlamento da Vittorio Emanuele II fu una correzione di pugno fatta da Napoleone al testo del discorso, preventivamente sottopostogli. La Seconda guerra d’indipendenza, nel 1859, fu vinta, ma un accordo fra Napoleone e Francesco Giuseppe prevedeva solo la cessione della Lombardia, niente Veneto. L’imperatore dei francesi si era irritato - anche - perché il rivoluzionario Garibaldi era stato arruolato con i suoi volontari nel regio corpo dei cacciatori delle Alpi con uniforme piemontese.

    Garibaldi non fu contento di come erano andate le cose. In compenso, s’innamorò della marchesina diciottenne Giuseppina Raimondi. Lui aveva passato i cinquanta, ma era «l’Eroe dei due Mondi». E, soprattutto, lei era rimasta incinta di uno dei due amanti che aveva all’epoca. Le nozze furono celebrate in gran fretta il 6 gennaio 1860, con un colpo di scena: uno dei due amanti consegnò una lettera a Garibaldi, dicendogli la verità. Lei non negò e lui, in pubblico, la abbandonò con una frase non entrata nei libri per le scuole: «Signora, voi siete una puttana!». Poi scomparve dalla vita politica proprio mentre Cavour riusciva, grazie a plebisciti abilmente manovrati, ad annettere Toscana, Modena, Parma. A quel punto propose al re delle Due Sicilie, il giovane Francesco, il suo progetto federale, disposto anche a cedergli Marche e Abruzzo. Quando a Francesco venne mostrato il piano commentò: «Chella è robba d’o papa! La robba d’o papa nun se tocca!». Perse così l’occasione storica per salvare il regno e modificare in senso meridionalista il Risorgimento.

    A quel punto Francesco Crispi, siciliano di forte tempra e di ambizioni ancora più forti, pensò di rivolgersi a Garibaldi, convincendolo a organizzare una spedizione in Sicilia. Al generale non sembrò vero di dimenticare la disavventura coniugale, anche se capì subito che Cavour gli avrebbe procurato guai, con «quella rete di insidie e di miserabili contrarietà che perseguiteranno la spedizione fino all’ultimo», come scrisse nelle sue memorie. A Vittorio Emanuele II, invece, brillavano gli occhi al pensiero che qualcuno gli potesse conquistare, gratis, il Regno delle Due Sicilie. Alcuni giorni prima dello sbarco, Cavour prese di petto il suo re: «Bisogna arrestare Garibaldi prima che metta nei guai il nostro governo». Non la pensava così, ma voleva vedere come sarebbe andata a finire. E poteva finire davvero male: i garibaldini sarebbero stati respinti se di fronte a sé non avessero trovato il generale Francesco Landi, 72 anni, che seguiva le truppe in calesse a causa della prostata. Appena ricevuto il comando aveva scritto al figlio: «Vendi pure i nostri cavalli: ora abbiamo quelli dell’esercito».

    I governi di tutta Europa erano allarmati per l’avanzata dell’esercito rivoluzionario in camicia rossa e anche alcuni liberali, come Domenico Guerrazzi, volevano fosse respinta la proposta - stavolta accolta da Francesco - della Lega con il nord: «Non sarebbe una Lega», scrisse Guerrazzi, «ma il supplizio di Massenzio: un cadavere legato a un corpo vivo!».

    Cavour, ormai deciso a fermare Garibaldi, indusse Vittorio Emanuele a ordinargli di rinunciare all’avanzata. Garibaldi rifiutò di obbedire e l’8 agosto iniziò l’invasione della Calabria: «Tradimento!», dichiarò Cavour. Ma Garibaldi aveva obbedito agli ordini segreti di Vittorio Emanuele. Il 7 settembre 1860 entrò a Napoli, deciso a proseguire la marcia verso Roma. Cavour, a quel punto, capovolse la sua strategia e si trasformò - da federalista - in paladino dell’unità nazionale. Ora doveva solo impedire a Garibaldi di marciare su Roma e realizzare la congiunzione fra l’Italia centrosettentrionale e quella meridionale. Per occupare il Regno delle due Sicilie, l’esercito avrebbe dovuto violare i confini dello Stato della Chiesa; come avrebbe reagito Napoleone III? Un capolavoro di Cavour fu convincerlo che, dietro Garibaldi, c’erano Mazzini e altri rivoluzionari e che, se non si fosse fermato Garibaldi, la rivoluzione si sarebbe estesa allo Stato della Chiesa. Ottenuto il via libera, Cavour organizzò la spedizione militare, nell’entusiasmo di Vittorio Emanuele. Fu però un gioco di equilibri internazionali a permettere l’operazione, soprattutto l’appoggio inglese, che voleva un contrappeso alla Francia nel Mediterraneo.

    Per maggiore sicurezza, Cavour inviò a Napoli Luigi Carlo Farini, l’uomo che, dopo di lui, Garibaldi odiava di più. Farini, appena giunto a Napoli, aveva scritto al primo ministro: «Altro che Italia, signor conte! Questa è Africa. I beduini, a riscontro di questi cafoni, sono un fior di virtù civile!». Come dare torto al commento finale di Petacco? «Era con tali sentimenti che i fratelli del Nord si preparavano all’integrazione con i fratelli del Sud».
    Ultima modifica di Leghista; 16-08-10 alle 00:40

  9. #9
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    Predefinito Rif: Cavour rivalutato?

    « In Europa allo stato attuale esiste un solo vero uomo politico, ma disgraziatamente è contro di noi. È il conte di Cavour. »

    (Klemens von Metternich)

 

 

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