Tratto da: Gilberto Oneto, La questione settentrionale. La Padania fra mito, storia e realtà, Editoriale Libero S.r.l., 2008, pagg. 30-38
Le prime denominazioni
I Greci e i Romani […] chiamano [la Padania] Gallia cisalpina in relazione al fatto che è abitata da Galli e che si trova al di qua delle Alpi: è la sola parte del grande universo celtico a sud della catena di montagne, che sono anche chiamate “monti celtici”. Essa è distinta in Transpadana e Cispadana in relazione al fiume che la attraversa; più rara ma piuttosto significativa è la denominazione di Gallia circumpadana. Più tardi viene anche detta Gallia togata, in contrapposizione con la Gallia bracata, e cioè quella posta al di là delle montagne, perché i suoi abitanti hanno – primi nel mondo celtico – adottato costumi romani, e cioè la toga, mentre gli altri mantengono l’uso delle bracae tradizionali. I Romani prima ne ufficializzano l’antica denominazione costituendo nell’82 a.C. la provincia della Gallia cisalpina e poi, nella partizione amministrativa augustea, la dividono in parecchie regioni, le maggiori delle quali sono la Liguria e il Veneto.
L’espansione romana a nord ha portato con sé la risalita lungo la penisola del nome Italia, che era nel VI secolo a.C. originariamente attribuito alla sola Calabria meridionale. Era pronunciato alla greca, Italìa, e derivava dall’osco vitelìu, era cioè la “terra dei vitelli”. Nel III secolo serve a denominare la penisola fino al torrente Fine (sotto Pisa) e all’Esino, sopra Ancona. Nel I sec. a.C. l’Italia “arriva” all’Arno e al Rubicone e, solo con Augusto, ingloba anche la Padania. Con la divisione di Diocleziano dell’Impero in dodici “diocesi”, nel 297, quella “italiciana” arriva addirittura, tracimando le Alpi, a comprendere parte della Pannonia (fino alla Sava) e del Norico (fino al Danubio).
Nel 326 con la ripartizione amministrativa della Diocesi italiciana, l’area padana viene chiamata Italia annonaria, per distinguerla da quella suburbicaria peninsulare, che ha per capitale Roma. Si tratta di una denominazione derivata dal fatto che questa è la parte di penisola che paga l’annona, e cioè la tassa per il mantenimento della corte imperiale. È una costante, quella di essere sottoposta al pagamento di balzelli, che ricompare assiduamente nella storia millenaria di questa terra, una sorta di iattura – allora evidenziata addirittura dalla denominazione – da cui evidentemente non riesce a liberarsi. Il fatto che si tratti di terra fertile e ricca, abitata da genti operose è una antica caratteristica che ha rappresentato la fortuna economica e di civiltà della Padania, ma anche la sua maledizione storica perché ha da sempre attirato la cupidigia di vicini prepotenti che l’hanno spesso privata della sua indipendenza relegandola al ruolo di pagatrice di tasse.
È in questa occasione che inizia a prendere corpo il primo “transfert terminologico”: si comincia infatti a usare soprattutto nei documenti ufficiali il termine Italia solo per indicare quella annonaria, dando così origine alle tante confusioni successive. L’altra parte viene più semplicemente chiamata Roma.
Con l’arrivo dei Longobardi e con il loro stabile insediamento, l’area prende a essere denominata anche Longobardia o Longobardia Maior, per non essere confusa con quella Minor, e cioè i Ducati longobardi di Spoleto e di Benevento. Il primo documento storico che riporta espressamente tale denominazione sono i Capitolari di Carlo Magno, del 805, nei quali si afferma che a Pipino è assegnata la parte d’Italia “quae et Longobardia dicitur”.
Diverse sono le versioni sull’origine del nome dei Longobardi (dal tedesco Langobarden). Una prima e più fantastica spiegazione si riferisce alle “lunghe barbe” simulate dai capelli appiccicati al viso dalle donne longobarde per aumentare l’apparente numero dei guerrieri prima di un vittorioso scontro con i Vandali. La seconda è collegata al termine hellebarde che indica un’ascia da combattimento dal lungo manico, in verità più comune fra i Vichinghi che fra i Longobardi. L’ultima interpretazione si riferisce alla speciale devozione di quel popolo per Odino, cui ha affidato il suo destino. Questi è indicato nella mitologia nordica come “il Dio dalla lunga barba” (Lang-bardr).
Longobardia si trasforma nella forma sincopata Lombardia, che compare la prima volta nella Pauli Continuatio, e poi nel 1049 nel Chronicon Barense.
Che il termine sia usato per esprimere con chiarezza anche la distinzione etnica e culturale degli abitanti della Padania è dimostrato dal noto episodio della disputa avvenuta fra il vescovo di Cremona Liutprando, ambasciatore di Ottone I a Costantinopoli nel 968, e l’imperatore bizantino Niceforo Foca. All’imperatore, che gli fa notare con arroganza che: “Vos non Romani, sed Langobardi estis” (“Voi non siete romani ma longobardi!”), Liutprando risponde piccato che tutti i popoli dell’Occidente (“Langobardi, Saxones, Franci, Lotharingi, Bagovarii, Suevi, Burgundiones”), non solo sono felici di non essere chiamati romani, ma che lo considerano un insulto, perché nel nome di romani concentrano “quicquid ignobilitatis, quicquid avaritiae, quicquid luxuriae, quicquid mendacii, immo quicquid vitiorum est” (“tutto ciò che vi è di ignobile, vile, lussurioso, mendace: insomma ogni vizio”).
Da allora e per molti secoli il termine Lombardia viene normalmente utilizzato per indicare l’intera area padano-alpina, i cui abitanti sono appunto detti Lombardi. È significativo a questo proposito che nelle lingue dei principali paesi europei i Longobardi si chiamino ancora oggi Lombard, e che per molti secoli siano così designati non solo i mercanti di Milano, Genova o Venezia, ma anche quelli di Firenze e di Siena. Sono i Lombardi a “inventare” e praticare le prime operazioni finanziarie nel XIII secolo (collegate soprattutto al commercio della lana e dei tessuti). Probabilmente sono i Piacentini i primi ad aprire filiali “bancarie” nelle grandi città dell’epoca o nelle sedi delle principali fiere, ben presto seguiti da senesi, lucchesi e fiorentini. Il termine “lombardo” diventa così quasi sinonimo di “banchiere”. Traccia di ciò rimane non solo nelle varie “Vie dei Lombardi” (Rue des Lombards, Lombard Street) che ancora sopravvivono nella toponomastica di città come Parigi e Londra, ma anche nel lessico tecnico delle operazioni bancarie e finanziarie. In Germania, Gran Bretagna e Paesi Bassi, il “credito Lombard” designa un’operazione di anticipazione su titoli e merci, e il “tasso Lombard” è quello stabilito dalle Banche Centrali.
Per secoli Genova è chiamata la “porta della Lombardia”, con una appartenenza testimoniata dal cronista genovese Caffaro.
Solo in seguito la Toscana trova una sua specifica differenziazione, quando “Emerge (…) una rappresentazione bipartita dell’Italia comunale duecentesca, una grande iniziale distinzione di massima (…) tra la Lombardia e la Tuscia, vale a dire tra la Padania in senso ampio (…) e la regione estesa tra l’Appennino e Roma”.
Nel XIII secolo Salimbene de Adam scrive: “Si stende la Lombardia fino a Susa e al Moncenisio”. Dante la chiama “lo dolce piano che da Vercelli a Marcabò dichina”.
Nel XIV secolo, il novarese Pietro Azario, nel suo Libro degli eventi accaduti in Lombardia scrive: “La Lombardia è resa celebre da trenta città ed è circondata da ogni parte dalle Alpi e da monti scoscesi; è attraversata e solcata da un solo fiume, chiamato Po”. Le città che elenca sono: Milano, Como, Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza, Lodi, Cremona, Mantova, Ferrara, Pavia, Piacenza, Parma, Reggio, Modena, Bologna, Bobbio, Tortona, Novara, Vercelli, Ivrea, Torino, Asti, Alba, Alessandria, Acqui, Albenga, Genova, Savona e Trento.
Montesquieu scrive nel Settecento: “La Lombardia è tutta quella pianura che si stende fra le Alpi e l’Appennino: queste due catene di montagne, unite all’inizio dal Piemonte, divergono, formando un triangolo con il mare Adriatico, che ne è come la base, e racchiudendo la più deliziosa pianura del mondo, che comprende il Piemonte, il Milanese, lo Stato veneto, Parma, Modena, il Bolognese e il Ferrarese”.
Fino a tutto il Settecento, e in parte anche nell’Ottocento, si continua a designare con il nome di Lombardia l’intera regione a settentrione dell’Appennino tosco-emiliano. Il granduca di Toscana Leopoldo II scrive nelle sue memorie a proposito di un suo viaggio nel 1854: “Alla Porretta si è già nel piano ubertoso di Lombardia”. La stessa indicazione si trova sulla cartografia dell’epoca.
Ancora oggi su alcune carte inglesi la regione è indicata come Plane of the Lombards.
In seguito il significato di Lombardia si contrae, per sottrazione, a denominare solo l’attuale regione. Il nome Piemonte deriva da una parte di territorio lombardo situato “ai piedi del monte”, un triangolo compreso tra il Po, le Alpi e il Sangone, e passa dal XII secolo a indicare i possedimenti sabaudi di qua dello spartiacque. Liguria ed Emilia sono reinvenzioni recenti tratte da un desueto repertorio classico: Liguria è un “recupero” napoleonico ed Emilia una riscoperta di Luigi Carlo Farini, “dittatore” dei Ducati e delle Legazioni fino all’annessione sabauda.
In contrapposizione a Longobardia, il resto d’Italia rimasto sotto il dominio bizantino è detto Romanìa, da cui Romània, Romagna. Secondo altre versioni sostanzialmente simili, il termine verrebbe da Romaniola, Romandiola, piccola Roma, com’era chiamata nel tardo Impero l’area attorno a Ravenna.
I Longobardi non sono stati il solo popolo di origine germanica a installarsi massicciamente e stabilmente in Padania: anche i Goti lo hanno fatto lasciando importanti presenze toponomastiche locali ma senza influire sul nome del paese. Il solo apparente riferimento a quel popolo è rimasto nella cosiddetta “Linea gotica”, oggi comunemente identificata con lo spartiacque dell’Appennino tosco-emiliano, che coincide in larga parte con il margine linguistico Massa-Senigallia, che costituisce il confine meridionale delle lingue gallo-italiche e cioè della koiné padana. In realtà si tratta di un termine che nulla ha a che vedere con la presenza storica dei Goti, ma che deriva dalla denominazione di una linea difensiva organizzata dai Tedeschi nelle fasi finali della seconda guerra mondiale. L’idea sarebbe stata del maresciallo Kesserling (o di un suo ufficiale) che avrebbe fatto un incerto riferimento alla divisione della penisola fra Goti e Bizantini durante le guerre gotiche. In realtà il nome ha successo proprio per la sua casuale coincidenza con un confine culturale e identitario molto definito, fra l’Europa continentale (identificata con il mondo germanico attraverso il termine gotico) e quella mediterranea. Questo spiega la straordinaria persistenza del termine nel linguaggio e nell’immaginario collettivo anche dopo la fine degli eventi bellici, anche dopo che gli stessi Tedeschi – forse impauriti dall’eccessiva importanza conferita a una linea militarmente piuttosto fragile – l’hanno ribattezzata da Gotische Linie a Grünen Linie (Linea verde).
La migrazione dei nomi
Dallo studio della semantica storica, la disciplina che indaga il significato che le parole assumono nel tempo, si impara che queste cambiano spesso di significato. Lo stesso vale evidentemente per le denominazioni geografiche.
Per secoli il termine Lombardia è sopravissuto in parziale sovrapposizione con Italia: il primo ha una connotazione più popolare e culturale, il secondo un uso più letterario e politico. Il nome Italia ricompare infatti nel 888 per il Regno d’Italia, probabilmente ripescato dal Glossario di Reichenau, composto verso la fine del VIII secolo nella locale abbazia carolingia per spiegare parole latine ormai diventate misteriose: Italia vi compare infatti come sinonimo colto di Longobardia. L’utilizzo del termine Italia per il Nord è confermato da una sorta di disputa diplomatica fra il neoformato dominio normanno in Meridione, che si è autodenominato nel 1130 Regno di Sicilia e d’Italia, e gli imperatori tedeschi che intimano di togliere il riferimento all’Italia, che è “cosa loro”. Così, con l’intercessione papale, nel 1138 viene ufficialmente stabilito che l’Italia è la parte di territorio che comprende la Lombardia storica e – marginalmente – lo Stato pontificio. È in qualche modo proprio quest’ultimo a stabilizzare, con la sua funzione fisica di cuscinetto, la formazione di due Italie distinte anche lessicalmente fra la Lombardia (o Italia) e il Meridione, identificato a volte con la Sicilia e più spesso con Napoli.
Di questa confusione è vittima anche la dichiarazione dei rappresentanti delle città lombarde che nel 1177 incontrano a Venezia papa Alessandro III e gli ribadiscono di essere disposti a combattere “per l’onore e la libertà d’Italia”.
È solo verso la fine del XIII secolo che ricompare in Francia l’attributo “italiano” per indicare genericamente tutti gli abitanti della penisola, sostituendo molto lentamente “italo”, “italico” e poi anche “lombardo” e “napoletano”. Il termine Italia continua però a rimanere un po’ appartato, utilizzato solo come riferimento classico, anche piuttosto retorico. In questo senso, ad esempio, i Veneziani lo hanno adottato come grido di guerra nel 1508: un riferimento un po’ troppo intellettuale per avere presa.
Sarà grazie a questa sua connotazione settentrionale e – soprattutto – al suo legame con il mondo antico, che Italia tornerà a essere ampiamente usato in epoca napoleonica, assieme a tutta una serie di simboli e nomi classici.
Infatti, dopo un utilizzo temporaneo delle denominazioni “Cisalpina” e “Cispadana” (evidentemente ancora forti nell’immaginario collettivo transalpino), Napoleone riesuma il termine aulico di Italia, applicandolo prima alla Repubblica e poi al Regno, che costruisce quali vassalli della Francia, e i cui confini sono sintomaticamente limitati alla Padania.
È solo nell’immediata vigilia e durante le prime fasi del processo risorgimentale che si sente il bisogno di usare con sistematicità il termine “italiano”, per denominare in forma molto generica tutto quello che è compreso nei confini geografici della penisola.
Il nuovo utilizzo politico del nome Italia dà una sorta di colpo di grazia al termine Lombardia, che d’ora in poi contrassegnerà solo la parte centrale della pianura, essenzialmente il territorio del Ducato austriaco di Milano, poi riallargato alle terre venete a ovest del Mincio, quella che all’origine era solo una sorta di “Lombardia interna”, per dirla alla svizzera.
È comunque ancora con il significato attribuitogli da Napoleone (in riferimento alla sola Padania) che il nome Italia si affaccia inizialmente sulla storia risorgimentale e questo genera tutta una serie di equivoci.
Il primo e più grosso è politico. Chi vuole inizialmente l’indipendenza o comunque un diverso status politico per l’Italia intende la sola valle del Po. Giova ricordare un interessante brano di Piccolo mondo antico, uno dei libri fondanti del patriottismo risorgimentale.
Vi si descrive la riunione dei patrioti nella casa di Franco e Luisa in Valsolda, alla fine della quale si discute su come sarà il Paese per la cui libertà e indipendenza si sta cospirando: “Un bel regno!”, diss’egli. “Piemonte”, disse Franco, “Lombardo-Veneto, Parma e Modena”. “E Legazioni”, fece V. Altra discussione. Tutti le avrebbero volute, le Legazioni, specialmente l’avvocato e Luisa; ma Franco e Pedraglio avevano paura di toccarle, temevano di suscitare difficoltà. (…) “E il nome?”, chiese l’avvocato. Tutti si fermarono. “Che nome?”. “Il nome del nuovo Regno”. Franco posò subito la candela. “Bravo”, diss’egli, “il nome!”, come se fosse una cosa da decidere prima di andare a letto. Nuova discussione. Piemonte? Cisalpino? Alta Italia? Italia? Luisa posò presto la candela anche lei, e Pedraglio, perché gli altri non volevano passargli il suo Italia, la posò pure. Perciò, siccome il dibattito andava troppo per le lunghe, riprese la candela e corse via ripetendo: “Italia, Italia, Italia, Italia!” (…)”. La vicenda è un po’ stralunata ma rende perfettamente l’idea del clima culturale del tempo: ciò che si vuole costruire è la Padania ma il nome che torna fuori dai meandri della storia più antica è Italia.
L’identificazione fra Italia e Lombardia-Padania è contrastata dai cosiddetti reazionari creando ulteriore confusione: il legittimista borbonico Giacinto De Sivo rivendica, ad esempio, non solo la supremazia culturale del Meridione ma anche il suo buon diritto a impiegare da solo il nome Italia fin dai tempi di Pitagora, negandolo ai nuovi patrioti, in larga parte padani. “Ma niuno al mondo pensò mai l’Alpigiano fosse più italiano di chi nasce nella patria di Cicerone e d’Orazio, di Giovanni da Procida, del Tasso e del Vico. Era serbato a noi viventi l’onta del soffrire i rozzi frequentatori d’un semi-gallico dialetto, venire a insegnare l’italianità a noi, maestri d’ogni arte, e iniziatori d’ogni scienza”.
In realtà il principale responsabile del nuovo utilizzo politico di un nome desueto e relegato da tempo all’ambito geografico (“la parola Italia è una denominazione geografica, una qualificazione che pertiene alla lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle”, aveva sentenziato il Metternich) è Mazzini: a lui va riconosciuta l’operazione di recupero lessicale e di riattribuzione del nome Italia all’intera penisola, isole comprese. È proprio Mazzini il grande inventore degli elementi più importanti e riconoscibili della nation building italiana: l’associazione dello spazio politico a quello geografico, l’attribuzione di ruolo di “sacro confine” allo spartiacque alpino, l’utilizzo del tricolore giacobino, l’ufficializzazione del nome Italia, sono tutta farina del suo patriottico sacco.
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