DA NON SPOSTARE
Siria: centro geopolitico del Vicino Oriente
di Dagoberto Husayn Bellucci. L'importanza della Siria per il futuro del vicino oriente.
Siria: centro geopolitico del Vicino Oriente
di Dagoberto Husayn Bellucci
Nei rapporti geopolitici del Vicino Oriente abbiamo sempre sostenuto l'essenziale ruolo svolto dalla Repubblica Araba Siriana e la sua centralità nel quadro delle relazioni stabilite dall'intero mondo arabo verso l'estero. La Siria rappresenta da oltre quarant'anni il principale bastione del fronte anti-sionista: la saldatura determinatasi con l'avvento al potere dell'ala militare del Ba'th (all'indomani dei tragici avvenimenti del cosiddetto "Settembre nero" palestinese nella vicina Giordania nel settembre 1970) che diede inizio alla trentennale presidenza del compianto Hafez el-Asad (scomparso nel 2000 per lasciare spazio al figlio Bashar) sarà il momento storico chiave che, dopo
anni di incertezza e tensioni politiche e sociali interne, darà al Paese una stabilità ed una normalizzazione che lo renderanno inattaccabile dall'esterno e restituiranno ai siriani il loro tradizionale ruolo di ago della bilancia vicino-orientale.
Fin dall'epoca di Hafez el-Asad la Siria, sia per la sua invidiabile posizione geostrategica e politica sia per le caratteristiche proprie di un regime determinato a controllare lo sviluppo della società siriana e a confrontarsi con i vicini stati arabi e soprattutto con il nemico sionista, ha rappresentato il cuore geopolitico del Vicino Oriente intervenendo sempre con tempismo e determinazione per riportare ordine nella regione quando chiamata dalla Comunità Internazionale o dalla Lega Araba come avverrà nel 1977 in Libano e come sarebbe accaduto durante la crisi del Golfo nel 1990 quando Damasco inviò un contingente militare in terra d'Arabia che, pur rimanendo inattivo, rappresenterà il 'tributo' diplomatico-politico concesso da el-Asad per una partecipazione simbolica siriana alla forza multinazionale che avrebbe poi lanciato l'operazione "Desert Storm" (la tempesta nel deserto) contro Saddam Hussein, l'Iraq e il Kuwait occupato dalle truppe irachene. Partecipazione simbolica che garantirà alla Siria di ottenere il ‘disco verde’ per la normalizzazione manu militari nel vicino Libano, disarmare le milizie confessionali nel Paese dei cedri e imporre gli accordi di Ta’if (Arabia Saudita) che avrebbero sancito la sostanziale svolta in senso nazionale e anti-sionista e portato agli accordi di mutua collaborazione, cooperazione e assistenza tra i due Paesi.
Ultimo Stato arabo ad opporsi all'Entità sionista, la Siria, dall'avvento al potere del suo giovane presidente Bashar el-Asad, ha saputo mantenere i nervi saldi e responsabilmente affrontare le diverse crisi aperte nella regione: dopo un inizio caratterizzato da numerose pressioni e polemiche internazionali, dal complotto 'libanese' organizzato dalle centrali mondialiste attraverso la
risoluzione 1559 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (che richiederà fin dall'ottobre 2004 il ritiro delle truppe di Damasco dal Libano) e alla strategia della tensione sostenuta dall'Occidente e finanziata dall'amministrazione statunitense (che porterà all'assassinio dell'ex premier libanese, Rafiq Hariri, alla stagione degli attentati politici e alle manifestazioni di piazza anti-siriane in quella "rivoluzione dei cedri" eterodiretta da Washington e della quale rimarranno infine solamente i cedri) il regime di Damasco ha saputo navigare a vista nelle acque tutt'altro quiete della situazione regionale caratterizzata oltretutto dalla presenza delle truppe d'occupazione americane nel vicino Iraq, dalla sempre instabile situazione palestinese, dalle turbolenze spesso riapertesi ai confini
settentrionali iracheni tra le organizzazioni della resistenza curda e l'esercito turco e dal principale ostacolo alla pace nell'area, l'Entità sionista, che di lì a poco avrebbe lanciato la sua aggressione contro il Libano.
Avvenimenti che, anziché scalfire o minare l'autorità presidenziale e il ruolo siriano nell'area, hanno finito con il determinare il rilancio del ruolo centrale della Siria quale principale referente per una normalizzazione delle tensioni: immediatamente dopo la fallimentare aggressione israeliana contro il Libano nell'estate 2006 era chiaro che isolare, come tentavano di fare il governo libanese e i suoi alleati statunitensi, la Siria da qualsiasi gioco diplomatico per quanto riguardasse uno dei diversi fronti 'caldi' del Vicino Oriente equivaleva ad un suicidio politico e ad un fallimento di qualunque
negoziato.
Nel mirino del terrorismo di matrice “jihadista” fin dal 2005, all'interno del Paese opereranno diverse organizzazioni di matrice salafita (da Jund al-Sham fino alla stessa Fath al-Islam, responsabile della rivolta armata al campo profughi di Nahr el-Bared a Tripoli nel Libano settentrionale, i cui elementi - per la stragrande maggioranza provenienti dai diversi Stati arabi e
con un passato di guerriglieri sul fronte iracheno - si riveleranno già incarcerati o ricercati dalle autorità siriane per attività sovversive e terrorismo internazionale), la Siria ha saputo destreggiarsi abilmente tra le diverse crisi regionali riprendendo il proprio posto nell'arena diplomatica
internazionale con l'organizzazione del vertice della Lega Araba del marzo 2007 che, se da un lato sancirà il definitivo rilancio delle relazioni diplomatiche con Arabia Saudita e Egitto (tese dopo l'aggressione al Libano), consentirà a Damasco di ribadire la sua posizione rispetto ai diversi problemi regionali.
Il governo siriano non ha mai nascosto la sua disponibilità alla ripresa di un negoziato internazionale con l'Entità sionista per il recupero dei territori siriani delle alture del Golan sottratti da "Israele" durante il conflitto dei sei giorni del 1967: sono oltre quarant'anni che Damasco rivendica la sacrosanta paternità su quelle alture strategicamente fondamentali per l'Entità
sionista per controllare il potente e più temuto vicino arabo contro il quale non sono, recentemente, mancate le provocazioni (con il raid aereo del settembre 2007 contro presunte installazioni di ancor più presunti "materiali chimici", raid terroristico verso il quale il Governo siriano si è riservato -
anche in sede Onu - di rispondere "al momento opportuno e nei modi opportuni" considerandolo un "atto di guerra" lanciato da Tel Aviv contro lo spazio aereo siriano e le sue installazioni militari).
La posizione di Damasco è chiara: nessuna interferenza negli affari interni iracheni (dal vicino Paese mesopotamico sono comunque approdati in Siria oltre due milioni e mezzo di profughi, tantissimi cristiani in fuga dal conflitto civile e dalla guerra di liberazione condotta dalla Resistenza contro gli Stati Uniti ed i loro alleati fin dalla primavera 2003) ma solidarietà al martoriato popolo iracheno e alla sua resistenza; riapertura di trattative con lo Stato ebraico alla condizione che sia riconosciuto il diritto al ritorno dei palestinesi nei loro territori e posta al centro dei negoziati la questione del Golan; collaborazione e mutuo soccorso con Teheran e Ankara per qualsiasi
situazione di crisi nell'area e soluzione diplomatica e ritorno alla normalità delle relazioni con il vicino Libano dove Damasco ha sempre sostenuto i partiti nazionalisti dell'Opposizione e il diritto della Resistenza Islamica di mantenersi in armi ai confini meridionali in funzione di deterrente militare anti-sionista.
Il sostegno della Siria ha Hezbollah e al fronte dell'Opposizione Nazional-patriottica libanese è sempre stato palese contrariamente a quanto affermato dalle agenzie di stampa internazionali e dalle 'veline' fornite dalle centrali di disinformazione atlantico-sioniste.
Alle accuse di fomentare conflitti civili in Iraq e Libano la Siria ha sempre opposto la sua volontà di riprendere negoziati aperti con i governi interessati nel mantenimento di buone relazioni e sulla base di un reciproco rispetto e di un'attiva collaborazione, atteggiamento finora venuto meno soprattutto
dall'esecutivo libanese appiattitosi sulle posizioni statunitensi con il premier Fouad Siniora e la coalizione dei partiti di maggioranza fortemente anti-siriani (anche l'apertura un mese or sono del Tribunale Speciale con sede a l'Aja - che dovrà giudicare eventuali responsabili dei crimini politici
avvenuti in Libano tra il 2004 e il 2007 - rappresenta un ennesimo affronto verso Damasco che comunque si è detta pronta ad una piena collaborazione qualora cittadini siriani risultassero coinvolti in uno o più dei tanti omicidi politici che hanno contrassegnato la recente storia libanese).
La svolta nelle relazioni con gli Stati Uniti, dopo anni di gelo e dopo che in America i beni di numerose personalità della politica siriana e di cittadini della R.A.S. saranno congelati su indicazione dell'amministrazione Bush, il ritorno a Damasco di autorevoli delegazioni statunitensi, la visita del Presidente del Senato USA, signora Nancy Pelosi, un anno e mezzo fa, e il successivo invito alla conferenza internazionale sull'Iraq e ad Annapolis per i nuovi negoziati sulla Palestina (miseramente naufragati e affossati nel sangue sparso nella striscia di Gaza nel gennaio scorso dal terrorismo sionista) dimostreranno una volta di più l'impossibilità di pervenire ad un qualsiasi
accordo e ad una soluzione negoziale dei conflitti regionali senza la presenza siriana.
La Siria di Bashar el-Asad, rieletto a furor di popolo nel referendum della primavera 2007 con un 97.62% di "sì" , si trova in una posizione di forza rispetto agli anni passati: ottime le sue relazioni con l'Unione Europea, più che ottime quelle con la Russia di Putin e l'Iran di Ahmadinejad, fondamentale il suo ruolo all'interno della Lega Araba e degli organismi internazionali istituiti dall'Onu per la soluzione delle diverse crisi regionali.
E che Damasco intenda giocare un ruolo costruttivo in un processo di pacificazione regionale sembra chiaro anche dalle recenti iniziative che hanno coinvolto la Repubblica Araba: dal Libano all'Iraq alla Palestina non esiste soluzione che non passi dalla strada damascena come sembrano essersi accorti anche a Washington. Sarà l'atteggiamento statunitense, la nuova politica di
distensione e dialogo annunciata dall'Amministrazione Obama (che dovrà dar prove concrete di questa che, per il momento, è solamente una dichiarazione di volontà; purtroppo ancora non sono seguiti i fatti alle frasi più o meno "ad effetto" che da queste parti non incantano nessuno, tanto meno i siriani o i loro alleati libanesi e iraniani) e lo sviluppo della situazione sul campo - dove
non mancano le provocazioni e le quotidiane minacce da parte della dirigenza sionista - a dare la risposta ai perchè rimasti tali dell'agenda politica del Vicino Oriente.
In Libano nonostante l'apertura del Tribunale Speciale e una campagna elettorale di giorno in giorno sempre più polemica la Siria ha normalizzato la sua posizione, come richiesto dalla Comunità Internazionale, con l'apertura della prima sede diplomatica a Beirut. Come si ricorderà Libano e Siria non avevano mai avuto scambi diplomatici fin dall'indipendenza nazionale libanese
(1944). Il completamente del processo di stabilimento di relazioni diplomatiche tra i due vicini è stato accolto con soddisfazioni dall'intera comunità internazionale e come un segnale di rinnovamento e apertura, distensione e collaborazione, offerto da Damasco al vicino libanese.
Come ha sottolineato il coordinatore speciale dell'Onu per il Libano, Michael Williams "questo passo contribuirà ulteriormente alla stabilità del Paese dei cedri" concetto ribadito dalle principali cancellerie europee a cominciare dall'Eliseo, antica potenza mandataria nella zona, sempre attento alla situazione libanese.
La nomina dell’ambasciatore siriano, che segue quella del rappresentante libanese a Damasco, avvenuta a inizio anno, ha sottolineato Williams, “è uno sviluppo davvero benvenuto”, essa “completa il processo di stabilimento di rapporti diplomatici” tra i due Paesi, che non ne avevano mai avuti nei 60 anni dalla loro indipendenza. Ciò è stato fin qui dovuto all’affermazione siriana di
“speciali legami” con il Libano, sul quale Damasco ha sempre avanzato mire e che ha militarmente e politicamente dominato per quasi 30 anni, fino al 2005.
La notizia della nomina dell’ambasciatore siriano ha avuto larga eco non solo sulla stampa araba: la cinese Xinhua, ad esempio, ricordando la già avvenuta apertura dell’ambasciata libanese a Damasco nota che “la bandiera libanese sventola nel vicino Paese dopo decenni di rapporti turbolenti”.
Da parte araba, Gulfnews ricorda che “la Siria si è trovata di fronte a pressioni internazionali perché stabilisse formali rapporti diplomatici col Libano” e che lo stabilimento di tali relazioni “è stata la richiesta centrale avanzata dai partiti antisiriani che hanno vinto le elezioni del 2005”.
Il primo ambasciatore siriano a Beirut, che ieri ha avuto il “gradimento” del presidente libanese Michel Suleiman, sarà ‘Ali ‘Abd el-Karim ‘Ali, 56 anni, dal 2004 rappresentante di Damasco in Kuwait. In precedenza è stato direttore della radio di Stato, poi della televisione e dell’agenzia ufficiale SANA. La sua nomina arriva cinque mesi dopo il 15 ottobre del 2008, quando i due
Paesi avevano stabilito di avere normali relazioni diplomatiche. La prima ambasciata libanese a Damasco è stata aperta la settimana scorsa e ambasciatore è stato nominato Michel Khoury, attuale rappresentante libanese a Cipro. Diplomatico di carriera, egli è stato ambasciatore in Olanda e, prima ancora, ha prestato servizio in Gran Bretagna, Brasile e Messico. È stato anche direttore degli Affari amministrativi e finanziari del Ministero degli esteri.
A conferma di un nuovo stato delle relazioni diplomatiche con l'Unione Europea giunge la notizia inoltre della prossima visita a Damasco del nostro ministro degli Esteri, on. Frattini, che - secondo quanto ha affermato la Farnesina dovrà analizzare e valutare la situazione dei rapporti bilaterali
italiano-siriani, fare il punto sulla situazione libanese all'interno della quale operano i soldati del contingente Unifil nel sud del paese. Una visita particolarmente attesa quella del ministro Frattini anche per il rilancio dei rapporti economici e commerciali tra i due Paesi: nonostante la crisi globale l'interscambio tra Siria e Italia è aumentato e nell'ultimo anno c'é stata in Siria un'autentica esplosione del turismo di matrice religiosa che ha contribuito alla crescita del mercato italiano, oggi al primo posto nell'incoming, con un aumento dell'80%.
Secondo quanto riportato dalla rivista "Globe", la rappresentante del Ministero del Turismo siriano, dr.ssa Nuhad Makkoul, ha sostenuto che sono state sviluppate numerose iniziative a livello di interscambi nei settori archeologico-turistici e turistico-religiosi volti, come ha dichiarato la
stessa , "a far conoscere meglio la destinazione, ricca di siti archeologici e monumenti cristiani, ai visitatori europei".
Infine, sul fronte delle relazioni con il vicino Iraq è di pochi giorni or sono, del 25 marzo scorso, la visita a Baghdad del ministro degli Esteri siriano Walid Mu‘allem che ha incontrato il premier iracheno Nuri al-Maliki per discutere delle questioni relative alla sicurezza, all'interscambio
commerciale e all'economia dei due paesi. Secondo un responsabile del ministero degli Esteri iracheno "i colloqui hanno riguardato soprattutto i mezzi per incrementare le relazioni economiche tra i due paesi soprattutto nei settori dell'acqua, dell'elettricità e del petrolio" oltre a "discutere del controllo della loro comune frontiera rafforzando il coordinamento sulla sicurezza e il
pattugliamento della zona" vasta oltre 700 km e spesso al centro delle accuse lanciate dall'amministrazione statunitense verso Damasco di "finanziare" o "lasciare libero l'accesso" verso l'Iraq a elementi jihadisti della galassia terroristica di al-Qa‘ida.
Questa visita e queste discussioni sulla sicurezza tra i due paesi cade in un momento particolarmente delicato per il futuro delle relazioni bilaterali e soprattutto per quelle che saranno le linee guida della politica estera siriana verso Washington presente in forze nel vicino Iraq. Come si ricorderà alla fine di ottobre i soldati americani, provenienti in elicottero dall'Iraq, effettuarono un raid aereo attaccando un edificio di un villaggio siriano a otto chilometri dal confine, uccidendo otto civili. L'Amministrazione Bush ha sempre smentito il raid e finora nessuno a Washington ha mai riconosciuto ufficialmente quell'iniziativa militare anche se, sotto la copertura
dell'anonimato, un responsabile americano aveva confermato la notizia annunciata dalla televisione siriana e dai mass media arabi.
Damasco dichiarò di attendersi spiegazioni sia dall'amministrazione statunitense che dal governo iracheno inviando una lettera di protesta alle Nazioni Unite. Oggi con una accelerazione dei rapporti di normalizzazione tra Siria e Iraq il governo di Damasco spera di ottenere qualche informazione utile anche su quell'odioso crimine.
Normalizzazione che, come per il Libano, passa anche attraverso il reciproco riconoscimento diplomatico tra i due Paesi. Le relazioni diplomatiche tra Iraq e Siria, come si ricorderà, vennero interrotte nel 1980 a seguito della guerra di aggressione lanciata da Saddam Hussein contro l'Iran. La Siria, tra i pochi paesi della Lega Araba, accuserà in quell'occasione il "rais" iracheno di
distogliere forze ed energie del fronte arabo dal principale perimetro geopolitico, bellico e strategico della Nazione Araba - la Palestina occupata dai sionisti - e di colpire un alleato fondamentale rappresentato all'epoca dall'Iran rivoluzionario khomeinista.
Hafez el-Asad si schierò risolutamente con Teheran mentre il blocco dei Paesi arabi moderati (dall'Egitto alla Giordania alle petromonarchie del Golfo) sosterranno lo sforzo bellico iracheno finanziato e militarmente sostenuto dall'Amministrazione Reagan (con la quale Saddam Hussein aprirà ufficialmente relazioni diplomatiche nel 1985), dai Paesi dell'Europa occidentale e da quelli
del blocco sovietico (principali fornitori di armamenti e materiale nucleare dell'Iraq ba'thista).
Oggi, a distanza di quasi trent'anni da quell'interruzione causata da eventi bellici di portata storica per tutto il Vicino Oriente, i rapporti diplomatici siro-iracheni sono ritornati su un binario di normalità con l'invio lo scorso novembre di un ambasciatore siriano a Baghdad e l'arrivo, lo scorso 4 febbraio, del suo omologo iracheno a Damasco.
Dalla Palestina occupata (della quale Damasco è la principale sostenitrice e il primo alleato delle formazioni della Resistenza palestinese che - da Hamas al FDLP, dal FDPLP al Comando Generale passando per la Jihad Islamica - ricevano ospitalità e hanno loro uffici in terra siriana) al Libano, dall'Iraq alla Turchia fino alle relazioni con i paesi della Lega Araba e con la confinante Turchia; appare evidente, lapalissiano, il peso geopolitico e strategico della Repubblica Araba Siriana, l'autorità e la determinazione dei suoi dirigenti e il ruolo di primo piano che verrà svolto dalla Siria nei futuri assetti regionali.
Damasco rimane inevitabilmente la "porta dell'Oriente".
Fonte: http://www.terrasantalibera.org/Siri...litico_DHB.htm