Risultati da 1 a 5 di 5
  1. #1
    email non funzionante
    Data Registrazione
    13 May 2009
    Messaggi
    30,192
     Likes dati
    0
     Like avuti
    11
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Post Italiani ed ebrei uniti nel crimine americano degli anni '30

    Dall’Europa dei ghetti alle banche di Wall Street (I parte)
    di Filippo Ghira - 18/11/2009

    Fonte: Rinascita [scheda fonte]







    Negli Stati Uniti essere un gangster ha rappresentato per molti la strada per diventare un capitalista. Questa considerazione di Mario Puzo, l’autore del romanzo “Il Padrino”, è storicamente vera e deve essere associata a quella altrettanto famosa di Balzac: “Dietro ogni grande fortuna c’è un crimine”. Il sogno americano è stato in fondo niente altro che questo. La possibilità offerta ai reietti dell’Europa di trovare nel Nuovo Mondo un’occasione per cambiare vita e per arricchirsi. Un capitalista, o un banchiere, in fondo non è altro che un gangster che non si è fatto arrestare. Molti degli antenati di coloro che oggi siedono da padroni negli uffici di Wall Street hanno costruito la loro ricchezza grazie ad azioni che, se all’epoca fossero state scoperte, li avrebbero portati sulla forca. John Davison Rockefeller I°, il fondatore della dinastia, divenne incredibilmente ricco nella seconda metà dell’Ottocento con il petrolio sia grazie alle sue capacità imprenditoriali che alla sua abitudine di fare saltare con la dinamite i pozzi petroliferi dei concorrenti. Oggi i suoi discendenti gestiscono i soldi di famiglia, fanno i filantropi e si atteggiano a progressisti, e sono fautori del Libero Mercato e della globalizzazione. David Rockefeller (foto), tanto per ricordarlo, giù presidente della Chase Manhattan Bank, è stato uno dei fondatori e finanziatori della Commissione Trilaterale. Soprattutto i capitalisti di oggi cercano in tutti i modi di fare scordare l’origine della loro ricchezza. Si tratta comunque di un meccanismo già visto e che vale anche per l’aristocrazia. La prima generazione fa i soldi, la seconda riempie le proprie case di oggetti belli e di lusso e manda i figli alle scuole esclusive, quelli della terza generazione si atteggiano a grandi signori.

    Il colore dei soldi
    Quello che vale per i nobili e per il mondo degli affari vale anche per i gangster. L’irlandese Joe Kennedy, padre del futuro presidente degli Stati Uniti, divenne ricco negli anni venti grazie al contrabbando di alcol gestito insieme a gangsters irlandesi, italiani ed ebrei come Owney Madden, Frank Costello e Arnold Rothstein. Oggi queste vicende sono pressoché ignorate negli Usa e chi prova a parlarne è accolto da reazioni all’insegna del fastidio e dell’incredulità. Sfogliare l’album di famiglia dei potenti e degli innominabili non è mai una bella pensata soprattutto se gli armadi di casa sono pieni di cadaveri. Nella malavita statunitense un ruolo di rilievo venne svolto dai gangster ebrei. Un ruolo che viene spesso e volentieri sminuito se non addirittura negato perché va a mettere in crisi il tradizionale clichè dell’ebreo mite e dedito tradizionalmente agli affari. In particolare, dopo la seconda guerra mondiale, con i milioni di morti ebrei in Europa, azzardarsi a parlare di gangster ebrei poteva sembrare quasi una bestemmia. Eppure, proprio durante la seconda guerra mondiale, Louis Buchalter detto “Lepke” era stato per i suoi due anni di latitanza il primo ricercato d’America, a causa delle centinaia di omicidi da lui ordinati come capo di una gang criminale (la “Murder Inc” o “Anonima Assassini”) che controllava l’intera zona di Brooklyn e che offriva i propri “servizi” in tutti gli Stati Uniti. La sua latitanza e lo stesso processo, al termine del quale fu condannato alla sedia elettrica, tennero per mesi le prime pagine dei giornali facendo concorrenza alle vicende belliche in corso in Europa e nel Pacifico. Poi dopo la guerra e con il peso delle vicende dell’Olocausto, l’argomento “mafia ebrea” divenne di fatto un tabù. Di gangster ebrei si parla per lo più in relazione a figure come quella di Meyer Lansky (nella foto), indicato come esperto riciclatore di denaro e socio d’affari di Lucky Luciano ma ignorato come boss reale di una gang responsabile di decine di omicidi. E questo tipo di negazionismo finiva e finisce involontariamente per trasformarsi in una sorta di razzismo alla rovescia perché tende a rafforzare un luogo comune, quello dell’ebreo esperto solo di finanza. Ha spiegato Rich Cohen, autore di “Ebrei di Mafia”, che suo padre e i suoi amici di Brooklyn che avevano 14 anni quando nel 1944 Lepke fu condannato a morte, ammiravano i gangster ebrei proprio perché rompevano con lo stereotipo dell’ebreo dedito solo agli affari. I gangster ebrei apparivano così a molti loro correligionari come persone che reagivano con la violenza ad un mondo già di per sé violento. Erano gli immigrati provenienti dai ghetti e dagli “shtetl”, i villaggi ebraici dell’Europa orientale, che volevano cancellare per sempre il ricordo dei pogrom a cui avevano assistito o dei quali i loro familiari erano rimasti vittime da parte dei polacchi, degli ucraini e dei russi.
    Erano gli ebrei che non volevano più subire e che reagivano alle aggressioni che venivano dagli altri immigrati come irlandesi ed italiani con i quali convivevano nei ghetti delle metropoli americane. Ed è significativo ricordare che furono proprio ebrei membri della frazione “menscevica” del partito socialdemocratico russo o membri del “Bund” (il movimento socialista ebraico russo) o ancora provenienti da altri Paesi dell’Europa orientale immigrati in Palestina a creare i kibbutz e a gettare le premesse del futuro Stato di Israele e a dimostrarsi pronti a spazzare via con estrema decisione qualunque ostacolo e qualunque palestinese gli si ponesse di traverso.
    I gangster e il sogno americano
    Il libro di Cohen e il film di Sergio Leone C’era una volta in America, basato a sua volta sul libro di memorie di David Aaronson (Harry Grey), un gangster ebreo del Lower East Side di Manhattan, come è facile arguire, non sono stati accolti con molto favore dal mondo ebraico americano proprio perché avevano rimesso in primo piano una questione che sembrava essere stata lasciata nel dimenticatoio. Una reazione in fondo sorprendente perché l’opinione pubblica americana, oggi come negli anni trenta, ha dimostrato di avere una vera e propria passione, e quindi ammirazione, per la figura dei gangster. Basterebbe pensare al successo di film come Il Padrino di Francis Ford Coppola, Bonnie e Clyde di Arthur Penn e Dillinger di John Milius. A proposito di questo ultimo, incentrato sulla figura del pericolo pubblico numero uno degli anni trenta, si deve ricordare che dopo la sua uccisione da parte di agenti dell’Fbi, i familiari dettero il via ad una lunga e fruttifera tournèe teatrale per tutti gli Stati Uniti nella quale veniva decantata la figura del fuorilegge vendicatore dell’americano medio che nel periodo della Grande Depressione veniva strozzato dalle banche. Questa ammirazione di massa per persone che vivono ed agiscono al di là della legge e contro di essa, rappresenta l’altra faccia della medaglia del “sogno americano”. Con i gangster, che il più delle volte ce l’hanno fatta e sui quali si proiettano i desideri più nascosti di arricchimento dell’americano medio. Generalmente, e nel libro di Cohen succede proprio questo, l’attività dei gangster ebrei viene vista come limitata alla sola città di New York. Qualche volta poteva succedere che i gangster cittadini venissero “imprestati” per omicidi da compiere in altre città, al pari di qualsivoglia commesso viaggiatore. Ma anche altre città americane vantano, si fa per dire, una tradizione in tal senso. A Newark nel New Jersey, Abner “Longy” Zwillman aveva ai suoi ordini una “famiglia” di delinquenti piuttosto numerosa mentre a Detroit a cavallo degli anni venti e trenta la “Purple Gang” dei fratelli Bernstein controllava con polso ferreo l’intera città.

    Da immigrati a gangster,
    il caso dell’Argentina
    Il percorso con il quale alcuni immigrati da protettori e difensori richiesti della propria comunità si trasformarono in gangster è stato esattamente lo stesso per irlandesi, ebrei e italiani. Se si possono fare soldi controllando il quartiere in cui si vive, perché non cercare di allargare i propri interessi a tutta la città? Non si deve però pensare che la malavita organizzata negli Stati Uniti sia stata solo originata da motivazioni sociali. Molti gangster, italiani ed ebrei, erano già tali nel loro Paese d’origine oltre Atlantico. Si pensi ai mafiosi siciliani e ai camorristi napoletani espatriati negli Usa. O ai gangster ebrei di cui parla Isaac Babel nella sua opera “I racconti di Odessa”. Quello che è successo negli Stati Uniti, per quanto riguarda gli ebrei si verificò anche in Argentina. Nel settembre del 1930 a Buenos Aires incominciò un processo che fece epoca e che si concluse con numerose condanne; quello contro un centinaio di membri di una gang criminale che gestiva con il terrore e la violenza una vasta e ramificata rete di bordelli. Si trattava di gangster ebrei dell’Europa orientale che sfruttavano quasi esclusivamente ragazze ebree polacche importate a forza grazie ad una vera e propria tratta delle bianche. Gangster che usavano come copertura la Società Israelita di Mutuo Soccorso Zvi Migdal (già denominata Warsawska), fondata all’inizio del secolo. Pochi sanno o vogliono ricordare che il tango è nato nei bordelli della Zvi Migdal, traendo i suoi ritmi dalla fusione di musiche degli ebrei dell’Europa orientale e di altre più latine.

    http://www.ariannaeditrice.it/artico...articolo=28986
    Ultima modifica di Eridano; 04-01-10 alle 09:18
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  2. #2
    email non funzionante
    Data Registrazione
    13 May 2009
    Messaggi
    30,192
     Likes dati
    0
     Like avuti
    11
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Rif: Italiani ed ebrei uniti nel crimine americano degli anni '30

    Quando l’America divenne la Terra Promessa (II parte)
    di Filippo Ghira - 23/11/2009

    Fonte: Rinascita [scheda fonte]




    La prima grande ondata di immigrazione ebraica dall’Europa negli Stati Uniti e a New York in particolare si ebbe nella seconda metà dell’Ottocento. Erano per lo più ebrei tedeschi relativamente benestanti che non trovarono molte difficoltà a stabilirsi in America e ad avviare attività che nel tempo di una generazione li portarono in alto nella scala sociale. Alcuni diventarono banchieri e furono accolti a pieno titolo nell’establishment della Costa Orientale degli Usa, caratterizzata da persone che avevano un’alta considerazione di se stesse, ritenendosi una sorta di aristocrazia in quanto (e a volte lo erano davvero), discendenti dei Padri fondatori del Mayflower. Diverso fu il flusso di ebrei europei che arrivò negli Stati Uniti dal 1880 circa in poi. Erano soprattutto ebrei dell’Europa orientale provenienti dai ghetti e dagli shtetl dell’impero russo. I villaggi ebraici della Polonia, dell’Ucraina e della Galizia. Erano per lo più molto poveri e si portavano dietro pochi bagagli. E se gli ebrei tedeschi che li avevano preceduti si erano stabiliti nella parte alta di Manhattan, loro si stanziarono invece nella parte bassa dell’isola, nel Lower East Side e a Brooklyn nel quartiere di Williamsburg. Si creò così una situazione piuttosto curiosa per la quale gli ebrei tedeschi guardavano ai nuovi arrivati con un senso di superiorità misto a disprezzo che scomparve solamente quando vennero alla luce gli orrori successi in Europa.
    Una ostilità che, è bene ricordarlo, riemerse negli anni trenta e quaranta quando furono procuratori di origine ebrea tedesca a perseguire penalmente i gangster ebrei orientali. Tutto il mondo è Paese comunque, basti pensare che gli immigrati meridionali degli anni cinquanta a Torino nutrivano molto spesso lo stesso atteggiamento di superiorità nei confronti degli immigrati degli anni sessanta e settanta che li avevano seguiti a lavorare alla Fiat, definendoli addirittura “terroni”. Trovare qualcuno che è più “terrone” di te a volte può infatti rappresentare un’occasione di conforto e di legittimazione. Non si deve però credere che questa sorta di ostilità tra vecchi e nuovi arrivati fosse solamente una conseguenza dell’immigrazione. Anche in Europa il famoso articolo di Theodor Herzl sulla necessità di dare vita ad un “focolare ebraico” in Palestina, quando uscì determinò uno steccato tra ebrei tedeschi e austriaci da una parte e orientali dall’altra. Una ostilità ben descritta da Stefan Zweig ne “Il mondo di ieri”. Noi siamo ebrei, dicevamo i primi, ma soprattutto ci sentiamo pienamente assimilati e partecipi del mondo in cui viviamo. Siamo cittadini tedeschi ed austriaci, viviamo in una realtà tollerante e cosmopolita. Cosa è mai quindi questa idea balzana di Herzl di costruire una nuova Patria in Palestina e di obbligarci a ricominciare da zero? Ben diversa la reazione degli ebrei orientali che accolsero con entusiasmo il manifesto di Herzl e vi videro l’occasione per sfuggire alle persecuzioni. Alcuni, quelle di idee socialiste, emigrarono sulle sponde del Mediterraneo e vi crearono i primi kibbutz, le fattorie collettive. Altri fecero una scelta totalmente diversa e varcarono l’oceano cercando una nuova patria laddove si prometteva che i sogni potevano diventare realtà. Gli uni e gli altri si portarono comunque dentro una rabbia antica unita alla determinazione di non subire più angherie e violenze da nessuno. A New York, perché è lì che si concentrò l’immigrazione, i nuovi arrivati si trovarono ammassati nei ghetti dell’East Side, nella parte bassa di Manhattan e dall’altra parte dell’East River a Williamsburg. La necessità di resistere alle inevitabili angherie da parte della polizia (quasi esclusivamente composta da irlandesi) e di difendersi dagli attacchi di immigrati di altre comunità (come gli italiani) già organizzati in bande, finì per spingere gli ebrei orientali a creare strutture di autodifesa che però, come sempre succede in questi casi, finirono per essere utilizzate dai membri di esse per taglieggiare ed opprimere i propri correligionari e compagni di sventura. La dinamica di quanto successe fu la stessa sia per gli italiani (calabresi, napoletani e siciliani) che per gli ebrei.

    Il dopoguerra
    e il Proibizionismo
    Fino alla conclusione della Prima guerra mondiale la malavita, irlandese, italiana o ebraica, non si era data una vera e propria struttura organizzativa. I vari gruppi gestivano i propri affari limitando il proprio raggio d’azione al quartiere o alla città di residenza. A cambiare totalmente la situazione furono due fatti. Il primo, la fine della Prima guerra mondiale in Europa che riportò a casa centinaia di migliaia di soldati che si ritrovarono smobilitati e disoccupati. Per molti di loro la guerra aveva cambiato radicalmente la concezione dell’esistenza. Quando sei stato abituato ad usare le armi e ad uccidere il tuo nemico per sopravvivere, quando ti sei reso conto che la tua esistenza e quella degli altri vale meno di niente, dopo aver visto i tuoi simili cadere morti a migliaia attorno a te, dopo essere rientrato in patria ferito nel corpo e nell’anima ed avere visto che ci sono persone che con la guerra si sono arricchite stando dietro una scrivania di una banca di Wall Street, può succedere di essere tentati di utilizzare la “competenza” acquisita in guerra (ossia la bravura nell’uccidere il prossimo) per bruciare le tappe e cambiare in meglio il proprio status sociale. In altre parole diventare ricco e sfuggire alla miseria che la vita di quartiere ti prospetta. Fu anche da questo tipo di uomini che emersero i futuri gangster.
    Il secondo fatto che determinò il punto di svolta fu l’avvento dell’era del Proibizionismo con il XVIII emendamento (il Volstead Act ) del 16 gennaio 1919, una legge con la quale in tutto il territorio degli Stati Uniti vennero proibite la produzione, il trasporto e la vendita di bevande con una percentuale alcolica superiore allo 0,5%. A vederla, a distanza di tanti anni, quella legge appare per quello che fu: un’assurdità bella e buona perché andava contro un’abitudine consolidata della popolazione statunitense. Il whisky infatti aveva accompagnato la nascita e lo sviluppo degli Usa ed era considerato un elemento caratterizzante dello stile di vita americano. Ma si deve tenere conto che quella legge, che portava il nome del deputato repubblicano Andrew Volstead, fu imposta all’America cittadina e democratica dall’America rurale e repubblicana che in quel momento era all’opposizione nel Congresso.
    L’assurdo consistette infatti nel fatto che gli Usa in quell’anno erano retti da una amministrazione democratica (quella di Wodrow Wilson) che durò fino alla fine del 1920. Ma gli Stati Uniti erano stati investiti da una ventata di moralismo a causa dei disordini sociali causati dall’alcol, dopo il ritorno dei reduci dal fronte di guerra europeo e la conseguente disoccupazione che seguì alla riconversione delle industrie da una produzione bellica ad una di tipo civile.
    Fra quanti tornarono dal fronte ci fu uno dei nomi più famosi della malavita ebraica prebellica, Eduard Osterman (nella foto) il cui cognome fu anglicizzato in Eastman. Il soprannome di Monk (monaco) gli veniva dalla sua aria austera e dal timore che incuteva. Era partito per il fronte nel 1916 dopo 10 anni passati nel penitenziario di Sing Sing. Eastman rappresenta il passaggio dal vecchio tipo di gangster artigianale con una sua banda di quartiere al nuovo tipo di malavita organizzata che allunga le sue mani nel traffico di alcol e di stupefacenti, nello sfruttamento della prostituzione, nell’infiltrazione nei sindacati e che di conseguenza stabilisce un ferreo rapporto con la politica. A New York ad esempio la sede del Partito Democratico a Tammany Hall fu sempre considerata il ricettacolo di ogni tipo di corruzione e di legami sporchi. Monk Eastman, che per il suo eroismo in guerra era stato decorato e poi graziato dal governatore di New York, non riuscì ad adattarsi alla nuova realtà che stava nascendo. Venne ucciso il giorno di Natale del 1920. Al suo funerale un picchetto militare gli rese l’onore delle armi.

    http://www.ariannaeditrice.it/artico...articolo=29077
    Ultima modifica di Eridano; 04-01-10 alle 09:21
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  3. #3
    email non funzionante
    Data Registrazione
    13 May 2009
    Messaggi
    30,192
     Likes dati
    0
     Like avuti
    11
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Rif: Italiani ed ebrei uniti nel crimine americano degli anni '30

    Le mani dei gangster sulla droga e sui sindacati
    di Filippo Ghira - 04/12/2009

    Fonte: Rinascita [scheda fonte]








    L’uccisione di Arnold Rothstein (dicembre 1928) spalancò le porte del potere criminale ai suoi luogotenenti, gente come Majer Suchowlinski (“Meyer Lansky”), Benjamin (“Bugsy”) Siegel (nella foto), Louis Buchalter (“Lepke”) e Arthur Fleghenheimer (“Dutch Schultz”). Tutti costoro erano ormai da anni in affari con i gangster italiani e irlandesi. Alla base di questa alleanza c’era la consapevolezza che non aveva senso frapporre l’origine etnica agli affari e che unendosi si potevano fare una montagna di quattrini con le classiche attività del racket. Dal gioco dei dadi per strada al lotto clandestino, dalle scommesse sui cavalli (e al controllo sulle corse) al traffico di bevande alcoliche, dallo sfruttamento della prostituzione al traffico di stupefacenti. Una constatazione su cui si erano trovati d’accordo sia Lansky che Salvatore Lucania (“Lucky Luciano”). Il mondo del crimine era comunque in trasformazione. Già un primo segnale di questo mondo in divenire si era visto alla metà degli anni venti quando Mafia, Camorra e Ndrangheta avevano messo da parte gli odi e le ostilità del passato per creare in tutte le principali città Usa “Famiglie” mafiose nelle quali siciliani, napoletani e calabresi convivevano senza problemi. A New York in particolare il gioco del lotto, con banchi mobili nelle strade, aveva il suo maggiore operatore in Dutch Schultz che come altri suoi colleghi aveva preso l’abitudine di assumere il soprannome di un gangster della vecchia generazione di inizio secolo. L’organizzazione di Schultz comprendeva sia killer come Abraham (Abe) Landau, Louis (Lulù) Rosenkrantz, Abraham Weinberg (Bo lo Svedese) ma nell’ambiente il più famoso era soprattutto il “colletto bianco” Otto Berman detto “Abbadabba” per la sua incredibile velocità nel calcolare la situazione finanziaria dei banchetti del lotto a seconda dei numeri usciti, scelti dagli ultimi numeri del totalizzatore delle puntate su una specifica corsa ippica. Il lotto era, in America come in Italia, il gioco dei poveri che vi intravedevano una possibilità di emergere dalla realtà magra che la vita di quartiere gli offriva. Insomma i gangster, che pure venivano anche loro dalla realtà dei ghetti, non si facevano scrupolo di sfruttare quanti, a differenza di loro, non erano riusciti a realizzare il “sogno americano”. Ed in questa realtà di quartiere, ebrei, irlandesi ed italiani si ritrovavano senza problemi fianco a fianco.

    La droga
    Altre sono invece le vicende del traffico di stupefacenti. All’inizio del secolo il traffico d’oppio aveva per clienti soprattutto i cinesi che lo consumavano nelle fumerie da loro gestite nelle principali città. Ma anche i gangster ebrei e italiani non disdegnavano di frequentarle. Sergio Leone ha illustrato bene questa realtà in “C’era una volta l’America”. Poi il consumo incominciò a riguardare anche gli intellettuali e la gente dello spettacolo fino ad allargarsi e trovare nell’eroina il prodotto più richiesto, pur senza raggiungere i livelli di diffusione degli anni settanta. L’oppio proveniva dalla Cina e al suo trasporto attraverso il Pacifico provvedevano oltre a quelli locali criminali italiani ed ebrei. Giungeva nei porti di città come San Francisco e Seattle dove fin dalla metà dell’Ottocento vivevano consistenti comunità di cinesi che avevano partecipato massicciamente alla costruzione delle linee ferroviarie che avevano unito l’Est all’Ovest degli Stati Uniti. Qui, come peraltro a New York, i cinesi avevano portato la loro antica tradizione delle società segrete, le Tong, che da tempo si erano trasformate in gang criminali e che volevano sfruttare le opportunità del “sogno americano”. Il mutamento del mercato dal punto di vista della domanda con il passaggio dall’oppio all’eroina, aveva comportato la necessità di produrre eroina già in Cina per poi trasportare il prodotto finito in America. La soluzione fu trovata spedendo in Cina un gangster “esperto” del settore per insegnare ai cinesi come trasformare l’oppio in morfina e quindi in eroina. Il prescelto fu Jacob “Yasha” Katzenbergh, un gangster ebreo nato in Russia, le cui gesta furono in seguito avvolte dall’alone della leggenda. Al gangster si attribuì infatti la responsabilità di essere il primo spedizioniere di eroina negli Usa per conto di Luciano, Lansky e Buchalter, non solo da Hong Kong e Shanghai ma anche dall’Europa. Tanto che il “Federal Bureau Narcotics” per conto del governo federale emise un mandato di cattura internazionale contro di lui, indicandolo come il vero pericolo pubblico numero uno. Un’iniziativa che lo spinse a lasciare la Cina nel 1937 e lo obbligò ad un lungo viaggio verso l’Europa, prima in Romania e poi in Grecia. Qui venne arrestato ed estradato oltre Atlantico dove venne condannato a 10 anni di reclusione salvo poi ottenere un sostanzioso sconto di pena per aver testimoniato contro il suo vecchio capo “Lepke” Buchalter (nella foto). Il passaggio dall’oppio all’eroina fu in effetti devastante. Per almeno i primi 25 anni del Novecento il consumo di oppio era di fatto legalmente tollerato con la scusa che era il materiale base per la morfina quindi per l’uso medico. Comprare oppio era relativamente facile in Europa. C’erano diverse fabbriche che lo utilizzavano per produrre morfina ed era un gioco procurarsene. Questo era particolarmente vero in Francia dove transitava l’oppio che proveniva dalla Turchia e con il quale la malavita italiana ed ebrea in combutta con quella corsa era riuscita a dare vita ad un fruttifero commercio con gli Stati Uniti. Con l’allargamento della base dei consumatori le cose però cambiarono e furono i Paesi membri della Lega delle Nazioni a stabilire nel 1932 che la morfina potesse essere commercializzata solo per usi medici. Ma il mercato era ormai avviato e ai gangster non rimase che coprirne la domanda.

    L’infiltrazione nei sindacati
    In genere quando si pensa alla presenza della malavita americana nei sindacati è inevitabile pensare a quello dei camionisti e degli scaricatori di porto. Il che ci fa pensare al potente influsso esercitato dai film made in Usa che ci hanno erudito sul ruolo rispettivamente giocato da personaggi come Jimmy Hoffa sui “Teamsters” e da Albert Anastasia sul “Fronte del Porto” di Brooklyn. Ma vi furono anche altri sindacati presi di mira. Come quello dei tagliatori d’abiti il cui controllo nello Stato di New York assunse una importanza fondamentale sia come fonte di arricchimento sia per aver costituito l’occasione per innescare un’autentica rivoluzione nello “under world”, il sottobosco criminale degli Usa, con un autentico bagno di sangue che nel settembre 1931 portò al potere una nuova e più giovane generazione di gangster guidata da Lucky Luciano e Meyer Lansky. L’infiltrazione nel sindacato si realizzò nella maniera più classica. All’inizio i gangster si misero al servizio dei padroni e utilizzando le proprie attitudini alla violenza ridussero a più miti consigli i lavoratori restii a spiegarsi. Da qui nacque il soprannome di “schlammer”, cioè picchiatori in yiddish la lingua degli ebrei dell’Europa orientale, che contraddistinse i gangster che armati di spranghe e pugni di ferro si presentavano davanti alle fabbriche per obbligare i lavoratori in sciopero a tornare al lavoro. Per i lavoratori, in particolare quelli ebrei, era una doppia spiacevole sorpresa riconoscere negli aguzzini i propri vicini di casa, gli stessi correligionari con i quali erano cresciuti nei ghetti del Lower East Side di Manhattan o di Williamsburgh a Brooklyn. Le cose cambiarono quando i gangster si resero conto che si potevano fare soldi anche schierandosi dalla parte dei lavoratori e assumendo il controllo dei sindacati. Questo comportava sia la possibilità di allungare le mani sui contributi versati alle organizzazioni sia costituire una struttura di potere elettorale da usare come moneta di scambio con il potere politico. Ovviamente si poteva anche pretendere il pizzo da parte delle aziende che se non pagavano correvano il rischio di vedersi bloccata l’attività con le merci abbandonate nei depositi e nei docks dei porti. Un fiume di denaro incominciò a fluire nelle tasche dei gangster ed anche i politici incominciarono a dover fare i conti con loro.

    http://www.ariannaeditrice.it/artico...articolo=29307
    Ultima modifica di Eridano; 04-01-10 alle 09:24
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  4. #4
    email non funzionante
    Data Registrazione
    13 May 2009
    Messaggi
    30,192
     Likes dati
    0
     Like avuti
    11
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Rif: Italiani ed ebrei uniti nel crimine americano degli anni '30

    Italiani ed ebrei uniti nel crimine americano degli anni '30
    di Filippo Ghira - 20/12/2009

    Fonte: Rinascita [scheda fonte]








    Gli interessi dei gangster italiani ed ebrei si fusero indissolubilmente nel biennio 1930-31. A New York la malavita italiana si divideva sostanzialmente in due gruppi contrapposti. Da un lato c’era la principale Famiglia, quella del siciliano Joe Masseria che aveva ai suoi ordini personaggi come i siciliani Salvatore Lucania (Lucky Luciano), napoletani come Vito Genovese e Giuseppe Doto (Joe Adonis), calabresi come Francesco Saverio Castiglia (Frank Costello). Dall’altra una serie di quattro famiglie la cui più importante era quella di Salvatore Maranzano, originario di Castellamare del Golfo. Masseria, che si sentiva il padrone di New York, voleva allungare le mani su tutta gli affari della città. La guerra che ne seguì costò decine e decine di morti finché Maranzano convinse Luciano ad eliminare il suo boss. Incarico che venne assolto da un gruppo di gangster italiani (Albert Anastasia e Adonis) ed ebrei come Benjamin “Bugsy” Siegel (nella foto) e Samuel “Red” Levine.

    L’individualismo
    è il motore degli affari
    Maranzano, una volta eliminato Masseria, commise un errore fatale. Volle creare la figura, confezionata su se stesso, di Capo dei Capi. Lo stesso errore fatto da Masseria e che dimostrava come il mafioso siciliano non avesse compreso bene che nel Paese dove i sogni possono diventare realtà, nel Paese dell’individualismo più sfrenato e della libera iniziativa, nel Paese che almeno sulla carta poneva la Libertà come il primo dei valori, era un errore madornale riproporre i modelli di oltre Atlantico ed cercare di imporre lacci, lacciuoli e costrizioni a persone che avevano lasciato il Paese di origine proprio per non averne più. Maranzano inoltre, allo stesso modo di Masseria, non riusciva a capire come Lucky Luciano trovasse del tutto naturale essere in affari con i gangster ebrei saltando a piè pari anzi ignorando le differenze etniche. Maranzano insomma non comprendeva che il “melting pot” degli Stati Uniti erano una cosa e la Sicilia un’altra. Alla fine a scaricarlo furono anche gli uomini della sua famiglia, come Joe Bonanno, preoccupati che gli affari prosperassero meno del dovuto. Significativamente però, la caduta di Maranzano non venne determinata da una questione di affari in senso stretto ma da un fattore politico: la lotta per il controllo del “Amalgamated Clothing Working”, ossia il potente sindacato di New York dei lavoratori dell’abbigliamento. Una vicenda significativa perché testimonia a che punto fosse arrivata l’infiltrazione delle gang nelle attività legali. I due schieramenti contrapposti erano guidati rispettivamente da Philipp Orlofsky e da Sidney Hillman che l’anno seguente alle presidenziali del novembre avrebbe sostenuto la candidatura di Franklin Delano Roosevelt alla Casa Bianca. Orlofsky era un protetto di Louis Buchalter (Lepke) il capo dell’Anonima Assassini. Hillman in cerca di sostegno chiese aiuto a Luciano che declinò l’invito, visti i suoi legami con Lansky e con lo stesso Lepke. Hillman si rivolse allora a Maranzano che accettò di intervenire. Lo scontro che ne seguì provocò alcuni morti tra i gangster di Lepke che fece notare che per la proprietà transitiva era come se Maranzano stesse sparando allo stesso Luciano il quale colse subito l’occasione per eliminare il suo ingombrante capo. L’incarico di uccidere il boss venne affidato a gangster ebrei appartenenti alle gang di Meyer Lansky, Lepke Buchalter e Dutch Schultz che, in quanto sconosciuti, potevano passare attraverso le maglie del suo servizio di sicurezza. Un gruppetto di quattro gangster che comprendeva Samuel (“Red”) Levine, Charlie Workman e Abraham (“Bo”) Weinberg si presentò negli uffici di Maranzano e lo uccise dopo aver immobilizzato le guardie del corpo.
    La morte di Maranzano, l’11 settembre 1931, fu accompagnata in tutti gli Stati Uniti da un generale repulisti della vecchia guardia mafiosa italo-americana. Un bagno di sangue dai contorni leggendari che passò sotto il nome della “Notte dei Vespri siciliani”. I vecchi capi mafiosi vennero eliminati e sostituiti da una nuova generazione di gangster con pochi rimpianti per la terra natia e perfettamente americanizzati e come tali pronti a sfruttare tutte le occasioni che la società Usa poteva loro offrire. Allo stesso tempo la strage stabilizzò i rapporti tra le cinque famiglie mafiose italo-americane di New York che presero il nome dai loro boss. La Famiglia di Lucky Luciano (poi guidata da Vito Genovese), quella di Vincent Mangano (poi guidata da Albert Anastasia e da Carlo Gambino), la famiglia Gagliano (poi capitanata da Gaetano Lucchese, “Tommy Brown”), la famiglia di Joe Bonanno e quella di Joe Profaci (in seguito guidata da Joe Magliocco e da Joe Colombo). Se Luciano era legatissimo a Meyer Lansky, era invece Anastasia ad essere collegato a Lepke che aveva costituito un suo gruppo criminale operante in particolare nei quartieri di Bensonhurst e Wiliamsburgh a Brooklyn, ma con interessi ed attività in tutta New York, e che poteva contare su decine di gangster che venivano utilizzati per omicidi a richiesta in tutti gli Stati Uniti. In tal modo la “Murder Inc”, la “Anonima Assassini”, assunse a vera e propria azienda e la sua guida venne attribuita in maniera equanime dai giornali ora ad Anastasia ora a Lepke.
    Dewey il repubblicano
    La crescita criminale, economica e sociale dei gangster italiani ed ebrei provocò anche lo stabilizzarsi di rapporti con la politica. Venendo entrambi i tipi di gangster da una immigrazione recente che si era stabilita nei quartieri più poveri delle città, era inevitabile che la scelta del partito politico premiasse i democratici, considerato che i repubblicani erano visti come il partito delle classi dirigenti, degli industriali e dei banchieri di Wall Street. In altre parole dei Wasp, i protestanti di origine anglo-sassone che vantavano i classici quarti di nobiltà come discendenti veri o presunti dei Padri fondatori del Mayflower. A New York, il partito democratico era considerato la quintessenza della corruzione nella sua sede di Tammany Hall e i repubblicani non vedevano l’ora di cogliere l’occasione per fare pulizia ed sfruttarla ai propri fini. L’occasione si presentò quando Herbert Lehman venne eletto governatore dello Stato. Lehman, esponente della famiglia proprietaria della banca omonima, apparteneva ad una famiglia di origini ebree tedesche askenazita. Volendo colpire alla radice i legami di Tammany Hill con la malavita italiana ed ebrea, decise di lanciare una offensiva giudiziaria. Per realizzare affidò a Thomas Dewey, un ambizioso avvocato del Michigan, l’incarico di estirpare il bubbone. Con il protestante Dewey vennero nominati altri procuratori per lo più di origine ebrea tedesca che non potevano nascondere una sorta di disprezzo ed un senso di superiorità verso i gangster ebrei, nella quasi totalità originari dell’Europa orientale. I procuratori pensavano a ragione che i gangster fossero nocivi per l’immagine della vasta comunità ebraica che lavorava duramente ed onestamente per emergere.
    Il primo a finire sotto tiro fu Arthur Flegenheimer conosciuto come “Dutch Schultz” (nella foto), il re dei banchi del lotto, che Dewey provò ad incriminare per evasione fiscale. Il gangster, dopo averla sfangata una prima volta, si trovò con le spalle al muro e decise di risolvere il problema uccidendo il procuratore. Prima però chiese il permesso ai suoi colleghi che temendo una reazione pesantissima delle autorità contro di loro gliela negarono. Schultz decise di andare avanti da solo e questo decretò la sua fine. Gli altri capi mafia, Luciano e Lansky in testa, decisero che la questione dovesse essere risolta in famiglia, ossia che ci dovessero pensare gangster ebrei e si rivolsero a Lepke che incaricò dell’omicidio Charlie Workman e Emanuel “Mendy” Weiss che in un ristorante del New Jersey, uccisero sia il boss che i suoi più stretti collaboratori. L’impero di Schultz venne in seguito diviso tra i suoi ex colleghi, Lepke e Luciano in testa. Ma il boss siciliano non ebbe ben motivo di tirare un respiro di sollievo perché divenne il bersaglio successivo di Dewey che, con prove fasulle, lo incriminò per sfruttamento della prostituzione e lo fece condannare ad una pena da 30 a 50 anni di reclusione.

    http://www.ariannaeditrice.it/artico...articolo=29569
    Ultima modifica di Eridano; 04-01-10 alle 09:17
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  5. #5
    Blut und Boden
    Data Registrazione
    03 Apr 2009
    Località
    Lothlorien
    Messaggi
    68,943
     Likes dati
    2,763
     Like avuti
    9,897
    Mentioned
    139 Post(s)
    Tagged
    1 Thread(s)

    Predefinito Rif: Italiani ed ebrei uniti nel crimine americano degli anni '30

    CANADA
    Montreal, bara d'oro e corteo a Little Italy per il capomafia Nick Rizzuto
    Il boss era stato ucciso il 28 dicembre da un uomo armato. Folla ai funerali

    MONTREAL - Nick Rizzuto è stato sepolto in una bara d'oro dopo che il feretro è stato portato in corteo per le strade della Little Italy di Montreal. I media locali - pochi giorni dopo la cerimonia - hanno pubblicato le foto dei funerali del figlio del capomafia Vito Rizzuto, ucciso il 28 dicembre da un uomo armato che lo ha avvicinato mentre era in piedi vicino a una Mercedes e ha esploso contro di lui diversi colpi d'arma da fuoco.

    SERMONE - Tra imponenti misure di sicurezza, bocche cucite e ingresso vietato senza troppi complimenti ai giornalisti dal servizio d'ordine schierato intorno alla chiesa di Notre-Dame, il sermone è stato recitato in italiano. A parlare il solo Riccardo Padulo, amico di famiglia, che ha ricordato Rizzuto, 42 anni, come un «gentleman». «Agli occhi Dio è stata una bella persona e la folla ai funerali lo dimostra», ha aggiunto. Vito, il padre di Nick, sta scontando una condanna in un carcere del Colorado per estorsione e omicidio e non era presente alla cerimonia.

    04 gennaio 2010


    http://www.corriere.it/esteri/10_gen...4f02aabe.shtml


    5/1/2010 (8:10) - LA STORIA
    Una bara d'oro per il figlio del boss



    La Little Italy di Montreal in lutto per Nick Rizzuto
    PIERANGELO SAPEGNO

    Quando la bara di Nicolò Nick Rizzuto jr. è entrata nella Chiesa di Notre Dame a Montreal, portata a spalle da otto uomini vestiti di nero, con gli occhiali scuri e il Borsalino in testa, dalla folla dei fedeli s’è levato un lungo applauso di ammirazione.

    Il sacerdote dall’altare ha detto in italiano «fate largo al nostro Nick», raschiando un po’ le labbra sul microfono. La bara era tutta d’oro luccicante e risplendeva come un’opera d’arte. In piedi, nella prima fila della navata, il vecchio boss Nick Rizzuto senior, 84 anni, s’è asciugato gli occhi con un fazzoletto bianco. Anche lui era vestito di nero, e anche lui aveva un Borsalino che stringeva nervosamente nelle mani nodose, lisciandone la tesa senza sosta. Era appena uscito dal carcere, il 25 novembre: l’avevano condannato per reati di droga, estorsione e gioco d’azzardo. Nick senior era arrivato a Montreal nel 1954, immigrato dalla sua Sicilia con poche lire e neanche un dollaro.

    Aveva solo un indirizzo in tasca, ma aveva fatto in fretta lo stesso a diventare un uomo potente nella fredda e pacifica Montreal. E’ lui che ha fondato la Sesta Famiglia, il clan più famoso della mafia canadese, alleato ai Bonanno di New York. Ha vinto tutte le guerre che c’erano da vincere, contro gli irlandesi, gli ebrei e i clan locali. Ma negli ultimi anni il suo potere s’è indebolito: la cosa strana è che sono le street gang, le bande da strada, a sfaldare la sua forza, e a rompere le sue leggi. Nessun’altra mafia l’ha sostituita. Alla metà degli Anni Novanta, ai primi tempi della crisi, la Famiglia Rizzuto, forte ancora della sua autorità, era riuscita a stringere un accordo con tutti i gruppi emergenti, il cosiddetto «Consortium», con la mafia russa, gli irlandesi e i cartelli colombiani della droga: gli italiani si erano presi quasi tutti gli affari dell’edilizia, l’80 per cento del business.

    Ora però sono le bande dei balordi che cercano il loro spazio. «E questa situazione sta gettando Montreal nel caos», come ha spiegato lo scrittore di mafia Pierre de Champlain ai giornali americani. L’erede di Nick senior è suo figlio Vito Rizzuto, che adesso è in carcere, nel Colorado, con una condanna sulle spalle di 10 anni per reati legati a tre omicidi di mafia. Nick junior era suo nipote: aveva studiato ed era un «bravo ragazzo», come dicono i siciliani dell’America. Non aveva neanche un precedente penale. E si occupava di edilizia, l’ultimo grande regno della Sesta Famiglia. L’hanno ucciso il 28 dicembre 2009, nel centro di Montreal, con 6 colpi di pistola, all’angolo della Lachine Road e di Wilson Ave, davanti alla sua Mercedes nera e a una folla di gente che svuotava i saldi dei negozi.

    Prima dell’agguato, dei balordi avevano attaccato i bar della Famiglia con attentati incendiari nel quartiere di St. Michel, la roccaforte dei Rizzuto. L’ultimo era stato il Pirandello Bar Sport distrutto con delle molotov lanciate da una macchina in corsa. Il vecchio Nick aveva sfidato i suoi nemici andando a mangiare poche ore dopo sedendosi ai tavolini del dehors, come se niente fosse successo, mentre gli operai sostituivano le vetrine distrutte e i passanti lo guardavano increduli. La verità, però, è che se la mafia italiana sfoggia il suo potere, i nuovi giovani rivali spaccano tutto e uccidono.

    Così, il 28 dicembre hanno ammazzato Nick junior, 42 anni, davanti alla folla delle feste, in pieno giorno, alle 12 e 15. La risposta per ora è avvenuta con i funerali, con la sua scenografia persino rituale del potere, e la luccicante bara d’oro per seppellire Nick, proprio com’era accaduto con John Gotti, il boss dei boss. Fuori dalla chiesa, c’era un mucchio d’altra gente e c’erano tutti i giornalisti, tenuti all’esterno da un servizio d’ordine di bulli dai modi molto spicci, tutti vestiti con cravatte sgargianti, i sigari in bocca e le pistolone che gonfiavano le giacche. Come in una puntata dei Soprano, una lunga fila di Cadillac aveva scortato la limousine nera con i vetri antiproiettile, coperta di fiori e di corone, fino davanti al tempio di mattoni rossi, sotto il suono delle campane.

    Poi, mentre dentro celebravano la funzione religiosa, s’erano disposte sotto i fiocchi di neve due lunghe code che riempivano la via per almeno mezzo chilometro. Quando gli 8 uomini con il Borsalino hanno issato sulle spalle la bara d’oro, qualcuno ha provato a sfiorarla con un bacio, toccando le grosse maniglie d’argento che pendevano dai lati. Dentro, l'omelia è stata letta in italiano. E solo un uomo, vestito di grigio piombo, con un’elegante sciarpa bianca che scivolava sulla pancia, ha fatto il ricordo della vittima. Riccardo Padulo, amico di famiglia, anche lui senza precedenti penali come Nick junior, ha composto un ritratto pieno di belle parole nel silenzio quasi irreale della chiesa di Notre Dame.

    Ha detto che «il nostro Nick era un vero gentleman». E poi si è asciugato le lacrime, con un gesto quasi teatrale: «Agli occhi di Dio è stata una bella persona, e lo dimostra tutta questa folla ai funerali». Alla fine della messa, la gente è uscita in silenzio, dietro la bara d’oro e il vecchio Nick. Mancava solo il papà, Vito Rizzuto, che deve scontare 10 anni in Colorado. Aveva chiesto il permesso, ma non gliel’hanno dato. Così il corteo s’è mosso senza di lui, passando come una marcia presidenziale dietro alla limousine ricoperta di corone, fra le vie imbandierate di Little Italy e persino lungo Melrose, nel Sud della città, dov’era scappato l’assassino di Nick. Perché questo non era solo un funerale. Era una sfida.

    Una bara d'oro per il figlio del boss - LASTAMPA.it
    Ultima modifica di Eridano; 05-01-10 alle 14:44
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

 

 

Discussioni Simili

  1. Risposte: 6
    Ultimo Messaggio: 08-07-09, 13:12
  2. Risposte: 3
    Ultimo Messaggio: 18-12-08, 18:59
  3. Da un libro americano degli anni '50
    Di Eridano nel forum Etnonazionalismo
    Risposte: 3
    Ultimo Messaggio: 22-01-07, 13:13
  4. Risposte: 1
    Ultimo Messaggio: 11-05-03, 18:56
  5. Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo
    Di caracalla nel forum Destra Radicale
    Risposte: 9
    Ultimo Messaggio: 02-11-02, 20:45

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito