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Discussione: Leonardo da Vinci

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    Predefinito Leonardo da Vinci

    Leonardo da Vinci


    Tra Empoli e Pistoia, sabato 15 Aprile 1452, nel borgo di Vinci nasce Leonardo di Ser Piero d'Antonio. Il padre, notaio, l'ebbe da Caterina, una donna di Anchiano che sposerà poi un contadino. Nonostante fosse figlio illegittimo il piccolo Leonardo viene accolto nella casa paterna dove verrà allevato ed educato con affetto. A sedici anni il nonno Antonio muore e tutta la famiglia, dopo poco, si trasferisce a Firenze.

    La precocità artistica e l'acuta intelligenza del giovane Leonardo spingono il padre a mandarlo nella bottega di Andrea Verrocchio: pittore e scultore orafo acclamato e ricercato maestro. L'attività esercitata da Leonardo presso il maestro Verrocchio è ancora da definire, di certo c'è solo che la personalità artistica di Leonardo comincia a svilupparsi qui.
    Possiede una curiosità senza pari, tutte le disclipline artistiche lo attraggono, è un acuto osservatore dei fenomeni naturali e grandiosa è la capacità di integrarle con le sue cognizioni scientifiche.

    Nel 1480 fa parte dell'accademia del Giardino di S. Marco sotto il patrocinio di Lorenzo il Magnifico. E' il primo approccio di Leonardo con la scultura. Sempre un quell'anno riceve l'incarico di dipingere l'Adorazione dei Magi per la chiesa di S. Giovanni Scopeto appena fuori Firenze (oggi quest'opera si trova agli Uffizi). Tuttavia, l'ambiente fiorentino gli sta stretto.

    Si presenta allora, con una lettera che rappresenta una specie di curriculum in cui descrive le sue attitudini di ingegnere civile e costruttore di macchine belliche, al Duca di Milano Lodovico Sforza, il quale ben lo accoglie. Ecco nascere i capolavori pittorici: la Vergine delle Rocce nelle due versioni di Parigi e di Londra, e l'esercitazione per il monumento equestre in bronzo a Francesco Sforza. Nel 1489-90 prepara le decorazioni del Castello Sforzesco di Milano per le nozze di Gian Galeazzo Sforza con Isabella d'Aragona mentre, in veste di ingegnere idraulico si occupa della bonifica nella bassa lombarda. Nel 1495 inizia il famoso affresco del Cenacolo nella chiesa Santa Maria delle Grazie.

    Questo lavoro diventa praticamente l'oggetto esclusivo dei suoi studi. Verrà terminata nel 1498. L'anno successivo Leonardo fugge da Milano perché invasa dalle truppe del re di Francia Luigi XII e ripara a Mantova e Venezia.
    Nel 1503 è a Firenze per affrescare , insieme a Michelangelo, il Salone del Consiglio grande nel Palazzo della Signoria. A Leonardo viene affidata la rappresentazione della Battaglia di Anghiari che però non porterà a termine, a causa della sua ossessiva ricerca di tecniche artistiche da sperimentare o da innovare.

    Ad ogni modo, allo stesso anno è da attribuire la celeberrima ed enigmatica Monna Lisa, detta anche Gioconda, attualmente conservata al museo del Louvre di Parigi.
    Nel 1513 il re di Francia Francesco I lo invita ad Amboise. Leonardo si occuperà di progetti per i festeggiamenti e proseguirà con i suoi progetti idrologici per alcuni fiumi di Francia. Qualche anno dopo, precisamente nel 1519, redige il suo testamento, lasciando tutti i suoi beni a Francesco Melzi, un ragazzo conosciuto a 15 anni (da qui, i sospetti sulla presunta omosessualità di Leonardo).

    Il 2 Maggio 1519 il grande genio del Rinascimento spira e viene sepolto nella chiesa di S. Fiorentino ad Amboise. Dei sui resti non vi è più traccia a causa delle profanazioni delle tombe avvenute nelle guerre di religione del XVI secolo.

    Biografia di Leonardo da Vinci - Biografieonline.it
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 19-08-09 alle 20:49
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    Predefinito Rif: Leonardo da Vinci

    Leonardo da Vinci
    Le premesse culturali che possono spiegare la comparsa, entro i primi vent' anni del 1600, dei Rosa+Croce

    Per quanto diverse possano essere le analisi e le valutazioni della straordinaria genialità di Leonardo da Vinci (1452-1519), nessuno può mettere in dubbio che l'obiettivo della sua vita fu la conoscenza. Pur conducendo sostanzialmente un'esistenza isolata,la sua presenza a Firenze e il suo legame con la casa medicea rendono plausibile l'ipotesi che abbia preso seriamente in considerazione il pensiero e le ricerche dei circoli ermetici e che si sia anche occupato di alchimia.
    Ciò sembrerebbe in contrasto con la consueta presentazione di Leonardo come il primo scienziato moderno, instancabilmente impegnato a raccogliere informazioni, a chiedersi e a dare spiegazioni sulla natura senza la mediazione dell'autorità e della tradizione, non importa se ufficiale o esoterica. Nella disorganicità dei suoi appunti (progettò molti trattati, ma non ne realizzò nessuno), così come nella tendenza a lasciare incompiute le sue opere pittoriche, si coglie come costante l'esigenza di anatomizzare, cioè di scomporre la realtà per arrivare a capire attraverso quali specifiche aggregazioni le "cose" possono diventare macchine, oggetti naturali, esseri viventi. Tale "metodo" fa in effetti pensare a una concezione del sopra assai lontana da quella dei maghi e degli alchimisti, nelle ricerche dei quali, anche se sono presenti connessioni fra teoria ed esperimento, l'obiettivo è quello di perseguire la "trasmutazione" sulla base dell'idea «che i Princìpi costitutivi del mondo materiale si identifichino con elementi spirituali» (P. Rossi). Ma il rifiuto della magia e la battaglia per una collettivizzazione del sapere, comprensibile a tutti perché comunicabile, caratterizzano la prima metà del 1600 e sono alla base della nascita delle istituzioni e delle academie scientifiche. Occorre attendere Bacone (1561-1626) perché il Platonismo venga messo sotto accusa come "filosofia fantastica e tumida, quasi poetica", tuttavia pericolosa come tutte «le stoltezze capaci di suscitare venerazione». E con il Platonismo i nuovi "scienziati" liquidavano la dottrina dell'uomo-microcosmo e del mondo come "immagine vivente"di Dio.
    E' anacronistico stabilire un confine tra la cosiddetta "scienza" e l'Esoterismo del Rinascimento,di cui Leonardo fu uno degli esponenti più significativi. A modo suo condivise la convinzione della forza inarrestabile e della potenza dell'intelletto umano, e in questo senso la storica inglese F .A. Yates lo definisce un Rosa-Croce ante litteram. Non sembra casuale che, nell'affresco dipinto in Vaticano da Raffaello e noto come La Scuola d'Atene, il pittore abbia dato a Platone le fattezze di Leonardo e lo abbia rappresentato con 1'indice rivolto verso il cielo (con lo stesso gesto Leonardo dipinse in più di un quadro san Giovanni Battista, annunciatore della rinnovata alleanza tra l'umano e il divino, mediante la venuta di Cristo).

    D'altra parte fu proprio dall'esperienza culturale complessiva del Rinascimento che maturarono le condizioni per la nascita del pensiero scientifico moderno. «Il riconoscimento delle origini "torbide" della scienza moderna, la consapevolezza che la nascita della conoscenza scientifica non è così asettica, come ritenevano illuministi e positivisti, l'abbandono dell'immagine della scienza come progresso continuo, lineare e senza contrasti: tutto ciò non implica di necessità né la negazione del sapere scientifico, né l'abdicazione di fronte al primitivismo e al magismo» (P. Rossi).

    Leonardo da Vinci
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 19-08-09 alle 20:51
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    Predefinito Rif: Leonardo da Vinci

    IL PENSIERO ESOTERICO DI LEONARDO


    di Paul Vulliaud
    Edizioni Mediterranee
    pagg. 112 - € 13,50

    Alcuni estratti dal libro.


    Fascino del simbolo

    È lecito analizzare un'opera letteraria o un capolavoro delle arti figurative avendo punti di riferimento diversi da quelli di solito accettati e usati dalla critica "ufficiale"? È lecito, cioè, utilizzare al posto delle (o accanto alle) notizie fornite dalla storia della letteratura e dell'arte, dalla sociologia del costume, dagli spunti biografici dell'autore, dalla ricognizione sulla forma e la sostanza del testo, dalle vicende politiche e sociali dell'epoca, dall'inserire l'opera nella crisi del suo tempo, dalle informazioni apportate dalla semiologia, dall'economia, addirittura dalla meteorologia e dalla gastronomia, e da ogni altro genere di influsso esterno, utilizzare dunque al posto di tutto ciò il simbolismo delle "immagini" che lo scrittore o l'artista, spesso inconsciamente, trasmette nel suo lavoro?
    Per moltissimo tempo, finché è durata la dittatura dello storicismo e in parte dell'estetica idealista, questo tipo di operazione è stato considerato del tutto arbitrario in quanto non "scientifico", non "culturale". In seguito, si è ammesso che una simile operazione poteva essere compiuta ricorrendo agli strumenti della psicanalisi: può essere, dunque, anche possibile interpretare un romanzo o un quadro secondo le teorie dell'inconscio di Freud e/o di Jung. In fondo, oggi, la psicanalisi è accettata come "scienza".
    Nessuno ormai contesta la legittimità di indagini critiche che si basano sui dettami della psicanalisi, anche se i risultati - a seconda delle metodologia usata - appaiono spesso in contraddizione fra loro, o anche più spesso contro le dichiarate intenzioni degli autori presi in esame. (Lo stesso vale per lo strutturalismo, che anatomizzando la lettera del testo, riesce a portare in superficie processi inconsci che hanno dell'incredibile). In fondo, ci si giustifica, è proprio questo il mestiere del critico: scoprire l'intima essenza di quella poesia o di quel dipinto, svelando al suo autore (che non è certo il miglior giudice di se stesso) quel che non avrebbe mai sospettato.
    Tuttavia, è ancora contestata, o non del tutto accettata, o accettata e camuffata in varie maniere, una analisi letteraria o artistica che si rifà ad un simbolismo diverso da quello psicanalitico, una analisi che non ha un nome ufficiale, codificato, e che di volta in volta è stata definita "simbolico-tradizionale" o "neo-simbolica" o "mitica", e le cui origini devono farsi risalire alla scrittura polisemica dei testi sacri e a quei molteplici significati che possedeva un testo, come ancora Dante insegnava ne! Convivio. Per essa il simbolo è il tramite fra macrocosmo e microcosmo, fra universo e uomo, fra invisibile e visibile, fra spirito e materia, ricollegandosi ai grandi archetipi, ai miti primordiali, ali 'idea di sacro, senza dimenticare la lezione dell'esoterismo e dell'ermetismo. In tal modo questo tipo di analisi va oltre la lezione di Jung per seguire la via tracciata da René Guénon, Julius Evola e Mircea Eliade, le cui opere sono definitive per chi desidera comprendere a fondo il senso dei termini "simbolo" e "mito".
    La critica che così ne risulta ha il merito di dare uno spaccato verticale dell'opera esaminata, romanzo, quadro, poesia, scultura, permettendo di affondare lo sguardo nelle radici, spesso inconsapevoli, della cultura dell'autore, nelle influenze ancestrali che hanno condotto in superficie certe "immagini" e non altre, insomma nei simboli che collegano il risultato del suo lavoro con quel "mondo delle idee", si potrebbe dire, che è da sempre il patrimonio dell'umanità più consapevole.
    Il risultato è un ritratto a tre dimensioni dell'opera e dell'autore: collegando l'analisi simbolica con le altre ormai accettate, si ottiene non soltanto la dimensione orizzontale ma anche quella verticale e quella della profondità. Purché, naturalmente, sia modus in rebus e non si ecceda in un senso come si eccede nell'altro: il voler cercare l'"esoterismo" a tutti i costi, o "significati profondi" dappertutto, anche dove non vi sono, rende l'operazione ridicola e improduttiva. Perché il metodo simbolico-tradizionale, o neo-simbolico, venga accettato è necessario che le sue indagini siano serie e documentate, non soltanto suggestivi voli pindarici. Come del resto i lavori di Guénon, Evola, Coomaraswamy, Burckhardt ed Eliade stanno a provare.


    Introduzione all'edizione italiana

    Il primo che ci parlò del volumetto di Vulliaud (che possedeva nella edizione del 1945) consigliandone la traduzione, fu Aniceto Del Massa (1898-1976). Logico e comprensibile: Del Massa, infatti, era nello stesso tempo un noto critico d'arte ed un profondo conoscitore dell'esoterismo, avendo fatto parte in gioventù della cerchia di coloro che gravitavano intorno alle riviste di Arturo Reghini, come "Atanòr" e "Ignis", e poi a quelle di Julius Evola, come "Ur" e "Krur", cercando di mediare - come ho raccontato altrove - il dissidio che scoppiò fra i due nel 1928. Negli ultimi tempi si occupò attivamente di astrologia, ma non dimenticò mai i suoi due principali interessi che fuse, ad esempio, nell'analisi esoterica delle acqueforti di Diirer (Ronzon, Roma 1970). Esempio più unico che raro in Italia dove, anche nel campo della critica d'arte, così come in quello della critica letteraria, ha sempre dominato, in via esclusiva e aprioristica, il metodo storicistico, o tutt'al più sociologico, con qualche apertura, al massimo, nei confronti della psicoanalisi di Freud e di Jung, più recentemente.
    La critica italiana conta, di conseguenza, pochissimi esempi, anche se di un certo livello (limitato, però, dalla formazione culturale degli interessati sul cui fondo alberga sempre il pregiudizio razionalistico), di esame simbolico dell'opera d'arte, un esame che tenga cioè presenti il simbolismo mitico e quello esoterico. Fra i rari nomi si possono citare, così, un Maurizio Calvesi, con un saggio sull'ermetismo di Giorgione ("La morte di Bacio", in "Storia dell'Arte" n. 7-8, La Nuova Italia), un volume. dedicato ai risvolti alchemici dell'opera di Duchamp ("Duchamp invisibile", Officina Edizioni, Roma 1975), che ha avuto un seguito con "Arte e alchimia" (Bagatto Libri, Roma 1993) e un'analisi simbolico-ermetica: "Gli incantesimi di Bomarzo. Il sacro bosco tra arte e letteratura" (Bompiani, Milano 2000); un Maurizio Fagiolo Dell'Arco, con un libro sull'ermetismo nel Cinquecento ("Il Parmigianino", Bulzoni, Roma 1970); ed un Marcello Fagiolo con "Architettura e Massoneria" (Convivio-Nardini, Firenze 1988). Praticamente tutto qui, o quasi.
    Per fortuna, al di fuori di quella che potremmo chiamare l'"ufficialità" sono emersi contributi ancora più interessanti, come quelli di Claudio Mutti ("Pittura e alchimia, Simbolismo e arte sacra", e "Mystica Vannus", tutti nei Quaderni del Veltro, Parma 1978 e 1979) e di Carlo Fabrizio Carli ("Architettura e Tradizione", Edizioni del Settimo Sigillo, Brescia 1982), alle cui spalle è soprattutto la lezione dei grandi autori "tradizionali", questa volta non solo Guénon ed Evola, ma anche Titus Burckhardt, Marius Schneider e Ananda Coomaraswamy, che più hanno specificatamente affrontato l'argomento dell'interpretazione simbolica dell'arte (pittura e architettura).
    È significativo a questo punto notare come in tutti gli autori citati, "ufficiali" o meno, l'attenzione sia stata puntata sul Rinascimento e sul suo aspetto esoterico, che i più preferiscono ignorare. Ora, su questo periodo della nostra storia, permane un equivoco: poiché, di regola, lo si pone in evidenza facendolo primeggiare, quasi fosse un contraltare obbligatorio ad altre epoche, ad esempio il Medio Evo, i fautori di quest'ultimo tendono a sminuirlo, quasi per partito preso. E viceversa, naturalmente. Come al solito, la verità sta nel mezzo. Rinascenza e Medio Evo hanno entrambi i loro momenti luminosi e quelli oscuri; e così, tanto per fare un caso concreto, se non tutto indubbiamente fu esemplare da un punto di vista "tradizionale" nel periodo mediceo, la stessa critica non si può fare per il neoplatonismo fiorentino. È certo che le opere di Marsilio Ficino e Pico della Mirandola lasciarono un'impronta nell'arte e nella letteratura dell'epoca; è certo anche che l'ermetismo rifiorì, grazie anche al neoplatonismo, e che una serie di geniali personaggi, in primis Leonardo, ne rimasero influenzati, pure se ufficialmente quasi nulla trasparì. Una serie di saggi fondamentali lo prova ormai senza ombra di dubbio: da "La fede negli astri dall'antichità al Rinascimento" di Fritz Saxl (Boringhieri, Torino 1985) a "La sopravvivenza degli antichi dei" di Jean Seznec (Bollati Boringhieri, Torino 1990), da "La rinascita del paganesimo antico" di Aby Warburg (La Nuova Italia, Firenze 1996) a "Misteri pagani nel Rinascimento" di Edgar Wind (Adelphi, Milano 1999) al recente "The Pagan Dream of the Renaissance" di Joscelyn Godwin (Phanes Press, Grand Rapids 2002). Sicché, il voler esaltare a tutti i costi il Medio Evo non deve far criticare a tutti i costi il Rinascimento (e viceversa), nonostante che vi siano differenze anche essenziali di "visione del mondo" tra questi due momenti della nostra storia e della nostra cultura.
    Il saggio di Paul Vulliaud è un tentativo d'interpretare esotericamente due quadri di Leonardo, il "Bacco" e il "Giovanni Battista", con lo scopo dichiarato di rintracciarvi un messaggio neoplatonico, ed un riferimento alla mitologia tradizionale, e ai suoi misteri. Il critico francese, che faceva parte dell'entourage di Péladan (dal quale, però, si allontanò proprio a causa di questo saggio, come si può rilevare dallo scambio di lettere fra i due, riportare in appendice alla terza edizione del libro e qui tradotte), si basa esclusivamente sul simbolismo pittorico che può essere anche in apparente contrasto con alcune affermazioni dello stesso artista (con ogni probabilità scritte a bella posta per sviare l'attenzione di occulti censori chiesastici).
    Che Leonardo, genio universale, scienziato ed inventore, possa presentare un aspetto esoterico sembrerebbe a prima vista un'eresia, o quanto meno una contraddizione in termini. Eppure non è così, e nuovi studi hanno portato ulteriore materiale e molte prove a sostegno di una simile affermazione, corroborando in tal modo le tesi di Vulliaud. Ad esempio, "Magia e astrologia nel Cenacolo di Leonardo" (Editalia, Roma 1982) di Franco Berdini: un lavoro fondamentale che ha suscitato le vivaci reazioni della critica più retriva, in cui l'autore - che è anche un artista - ha dimostrato come nel più famoso affresco leonardesco sia rintracciabile una profonda cultura astrologica, l'intero dipinto essendo stato ideato e composto seguendo precise regole numerologiche ed esatti simbolismi zodiacali. E questo a dispetto di coloro i quali invece negano a priori, per un incomprensibile desiderio di veder appiattita la realtà e negata ogni e qualsiasi ipotesi "spirituale", tutte le analisi che tentano di andare oltre il velo delle apparenze, nonostante riprove, documenti, confronti e paralleli, recati a sostegno di simili interpretazioni.
    Un Leonardo esoterico (e quindi "irrazionale") accanto ad un Leonardo scienziato (e quindi "razionale")? A quanto sembra è proprio così. Una incongruenza soltanto apparente: il lato "tecnico" ed esteriore dell'opera sua evidentemente non incideva sulle idee, la filosofia, la "visione del mondo" intime. Volendo essere paradossali, si potrebbe intendere Leonardo quasi come uno "schizofrenico" culturale, cioè scisso in due realtà: esternava il proprio genio in manufatti del tutto "razionali" (mezzi volanti e subacquei, dighe, fortezze, armi e progetti di ogni genere) e possedeva una "Weltanschauung" neoplatonica, "pagana", che si esprimeva nel simbolismo pittorico.
    Vulliaud (e oggi Berdini) lo hanno dimostrato a sufficienza. Il critico francese proprio con questa operetta, che qui presentiamo in prima edizione italiana a quasi un secolo dalla sua pubblicazione originale, dopo un lavoro che non è stato semplice per i molti termini tecnici e desueti impiegati (che la solerte traduttrice ha provveduto ad annotare diligentemente per permettere ai lettori di orizzontarsi tra gli innumerevoli personaggi citati ed i non pochi vocaboli dalla criptica etimologica).

    Gianfranco de Turris


    PREMESSA

    Per la critica il pensiero religioso degli uomini di genio è uno dei problemi più complessi. Conoscere perciò il credo di un artista è qualcosa che appassiona sempre.
    Si annoverano infatti uno Shakespeare via via cattolico e protestante, panteista o razionalista, persino pagano, ed un Raffaello, un Michelangelo, un Rubens dalle credenze assai discutibili.
    Molti hanno provato anche ad esplorare la coscienza di Leonardo da Vinci, questo spirito talmente misterioso da sembrare, alla maniera dei saggi di tutti i tempi, di aver voluto celare importanti verità sotto il velo dell'enigma.
    Dal Vasari fino al Michelet ed ai più recenti scrittori, ciascuno ha creduto di trovare in lui il prototipo della sua fede personale o la negazione di essa. E questa via è stata percorsa sino al punto che alcuni hanno persino supposto che l'autore della "Gioconda" si fosse lasciato sedurre dai paradisi del Gran Turco!
    Abbandoniamo perciò le incerte esegesi degli scrittori e proviamo a fissare saldamente un giudizio obiettivo su questo argomento, basandolo su un documento inconfutabile: la stessa opera pittorica di Leonardo da Vinci.
    Prima però, dal momento che vogliamo trattare problemi riguardanti le opinioni filosofiche e religiose, proviamo a fornire alcune delle ragioni che ci spingono a prediligere l'esame dei dipinti di Leonardo ai suoi manoscritti i quali, peraltro, non erano stati affatto destinati alla pubblicazione.
    Certamente Leonardo non fu spinto a perseguire le sue ricerche scientifiche da un motivo di ordine speculativo. È evidente infatti che un'opera di canalizzazione delle acque o lo studio del volo degli uccelli non ha alcun rapporto con questioni inerenti la sfera mistica. Ma è altrettanto evidente che non è permesso dedurre dai lavori di un ingegnere militare che egli, una volta determinato il suo compito, non abbia potuto avere preoccupazioni di ordine spirituale.
    Non è possibile, neanche, avere un'idea completa della filosofia di Leonardo studiando i suoi manoscritti più di quanto non sia possibile dedurre dalle sue opere astronomiche che Newton era un appassionato lettore di Jacob Boehme.
    Le classificazioni dei testi di Leonardo fatte da editori e traduttori non danno un'impressione molto favorevole della potenza del suo intelletto. Sotto le voci "Teodicea", "Filosofia", "Psicologia", si sono riportate numerose proposizioni futili o senza alcuna relazione con questa materia.
    In definitiva, i materiali che formano i manoscritti di Leonardo, o almeno quelli che ci sono pervenuti, sono nella maggior parte dei casi di carattere scientifico e non letterario, filosofico o religioso. E noi siamo fermamente convinti - e speriamo di convincerne il lettore - che questo grande uomo, dopo essere stato assorbito dai suoi progetti di ingegneria e dalle sue esperienze di saggio, abbia chiesto all'arte un mezzo per esprimere le sue idee mistiche.
    Se si volesse dubitare della natura mistica delle sue opere e si volesse affermare che egli non si propose altro che il compiacersi di rappresentare le forme più seducenti, considerandole in se stesse, senz'altra preoccupazione, noi obietteremmo che un uomo universale come Leonardo non poteva essere da meno degli altri uomini universali del suo tempo, come L.B. Alberti e Jehan Perréal (1), e che egli è, a ben riflettere, il pittore del Mistero per eccellenza.
    Il suo linguaggio artistico è simbolico e, qualsiasi sia la sua originalità, egli appartiene alla stessa razza degli altri grandi del suo tempo. La sua opera è simbolica, incontestabilmente; o almeno il simbolo è il segno sensibile per mezzo del quale l'artista ha espresso il suo pensiero. E se noi decifriamo questo simbolo, tutto il mistero si dissolverà.
    Lo confessiamo, si tratta di un'impresa di estrema difficoltà, poiché Leonardo ha preferito rivestire la sua astrazione con la materia anziché con la parola, la quale già di per sé può ritirarsi in un santuario sovente invincibile.
    Ma, d'altro canto, se lo stesso Regno dei Cieli può essere violato, anche la Bellezza, per essere compresa ed amata, deve esserlo. A coloro che si compiacciono di gioie cosi pure, lo sforzo dell'intelligenza è già una ricompensa.
    Dante e Leonardo da Vinci hanno molteplici punti di contatto.
    Sicuramente Leonardo, per quanto concerne la dignità dell'Arte, è, come i Platonici fiorentini, dominato dall'influenza di Dante. Discettando, secondo la moda del tempo, in un torneo di eloquenza sull'eccellenza delle arti, l'una in rapporto all'altra, egli mette al primo posto la pittura.
    "In arte - scrive - ci possiamo dire figli di Dio."
    Ed ancora: "Noi possiamo dunque a giusto titolo dire che la pittura è figlia della Natura e parente di Dio stesso."
    Torna alla mente l'autore della "Divina Commedia" (canto XI) che mette queste parole in bocca a Virgilio:

    "Filosofia, mi disse, a chi la 'ntende,
    Nota non pur in una sola parte,
    Come natura lo suo corso prende

    Dal divino intelletto e da sua arte;
    E se tu ben la tua Fisica note,
    Tu troverai, non dopo molte carte,

    Che l'arte vostra quella, quanto pote,
    Segue, come 'l maestro fa 'l discente;
    Si che vostr'arte a Dio quasi è nepote."

    Ecco perché dico che Leonardo s'ispira a Dante. In effetti egli applica la parola "arte" alla pittura con una estrema abilità dialettica, e possiamo constatare direttamente a quale livello egli situi il suo linguaggio prediletto.
    Condivide i sentimenti di L.B. Alberti, quando afferma che la pittura è maestra di tutte le arti, o almeno il suo principale ornamento. "Pittura, arte divina", dice più oltre (2).
    E Leonardo proclama infine nel suo entusiasmo: "La scienza della pittura è talmente divina che trasporta lo spirito del pittore in una specie di spirito di Dio."
    L'artista addirittura si trasfigura, quando pontifica sull'arte. "I sensi sono terrestri - scrive - la ragione sta fuori di quelli, quando contempla."
    Il poeta-teologo, Dante, è stato fin qui il prototipo dei pensatori gelosi dei propri segreti. "O voi che avete l'intelletti sani mirate la dottrina ché s'asconde - scrive - sotto il velame delli versi strani" (Inferno, IX, 61-3).
    Ciò vuoI dire, forse, che colui che possiede la salute dell'intelligenza può essere il commentatore che celebra l'Alighieri per il cattolicesimo del suo insegnamento; o il critico paradossale che lo trasforma in Albigese, malgrado il poeta abbia messo nel suo Paradiso l'avversario più accanito degli Albigesi, Folco di Marsiglia; o forse, ancora, è colui che lo giudica un razionalista...
    Malgrado gli Ozanam, i Federico Morin e gli Aroux, i Ferjus Boissard ed i Rossetti, i Bergmann e i Castiglia (3), il senso della "Divina Commedia" non ha ottenuto una opinione unanime.
    Anche lui, Leonardo, come Goethe che dichiara il secondo Faust pieno di enigmi, fa parte di questa grande famiglia di iniziati, tenuti, sembrerebbe, a non divulgare il colore della loro Gnosi, essendo le moltitudini incapaci di sopportare il peso della Verità.
    Occorre prima che ogni cosa si compia...
    Una metafisica può essere, nella sua espressione, di tale oscurità da essere difficilmente penetrabile; ma in arte figurativa tutto è linguaggio, tutto è simbolo. È simbolo il colore, simbolo la linea e il gesto, simboli le figure, simbolo persino l'insieme della composizione.
    Lo studio di un'opera, nelle sue particolarità, può essere fecondo di rivelazioni. Senza valore in se stessi, o d'un valore relativo, i dettagli di un dipinto testimonieranno comunque una volontà direttrice, ed il loro accordo testimonierà l'Idea.
    Certo, la causa generatrice di certe opinioni a proposito delle opere artistiche tende a ciò che esse troppe volte non sono state e, lo deploriamo, spesso non è stata che pretesto per sterili trasposizioni letterarie, vane e futili descrizioni, soprattutto quando l'attenzione della critica non si è limitata ad esercitarsi sulle qualità tecniche delle opere.
    Ma la nostra convinzione resta intatta: in arte tutto è simbolo.
    Sicuramente per gli uomini di genio l'arte ha conservato soprattutto la sua condizione primitiva, quella che avrebbe sempre dovuto conservare, d'essere un mezzo di espressione, una parola, un Verbo.
    Nelle epoche creatrici l'arte per l'arte non esisteva; le Belle Arti erano la materializzazione del Sentimento e dell'Idea. Ma dopo quei tempi fortunati ci si è limitati, non potendosi librare nelle grandi altezze, a negare questo scopo ai procedimenti plastici o ad imporre dei limiti al linguaggio figurato.
    Contestare ai mezzi artistici il diritto o la possibilità di esprimere certi pensieri è stato triste privilegio della decadenza.
    Fino ai giorni che dovevano terminare con Leonardo, Michelangelo e Raffaello, la pittura fu traduttrice di concezioni teologiche o filosofiche. E non possiamo non rimarcare come la decadenza estetica dati esattamente dall'abbandono del processo simbolico.
    Era fatale. Il simbolismo vive in sincronia con il nostro stato psicologico a tal punto che si può dirlo lingua universale, poiché non v'è nessuna cosa nella natura il cui nome non possa essere ricondotto a idee d'ordine differente.
    Diciamo inoltre con Pachimère (4), un commentatore del padre della filosofia simbolica, San Dionigi l'Areopagita, che il simbolismo è in armonia con la nostra natura e la nostra maniera di concepire. La stessa opinione fu anche di Sant'Agostino dopo essere stata di Cicerone.
    Una cosa evidenziata per via simbolica, diceva il vescovo di Ippona, è certamente più espressiva, più convincente che se la si espone in termini manifesti.
    La teoria del simbolismo ha come padre l'ispiratore stesso del Rinascimento, Platone. Questo mondo, diceva nel "Timeo", non è che l'immagine di un esemplare divino.
    E Plotino incantava i suoi discepoli enunciando loro che la bellezza delle cose sensibili rivela l'eccellenza, la potenza e la bontà delle essenze intelligibili e che c'è una connessione eterna fra le essenze intelligibili, che esistono di per se stesse, e le cose sensibili che conservano in eterno l'essere per partecipazione e che imitano per quanto possibile la natura.
    Ecco perché, secondo San Cirillo d'Alessandria, uno dei Padri della Chiesa, grandi simbolisti, ciò che è in noi ci porta alla comprensione di quanto è al di sopra di noi; le cose corporali sono prese spesso a termine di paragone per elevare alla conoscenza dei problemi più sottili.
    Ascoltiamo ancora Ozanam (5): "Il simbolismo è insieme legge della natura e legge dello spirito umano. È una legge di natura: dopo tutto cos'è la Creazione se non un linguaggio magnifico che ci intrattiene notte e giorno? Dio parla per segni, e l'uomo, a sua volta, quando parla a Dio esaurisce tutta la serie di segni di cui dispone la sua intelligenza."
    Ascoltando anche Marsilio Ficino, Leonardo tese un orecchio attento all'estetica del platonismo che diceva, commentando Plotino: "Ars imitatur naturam, natura Deum". Ed acquisteremo perciò la certezza dei rapporti che univano il Vinci alla teoria platonica del Bello. Che poi Leonardo abbia personalmente letto o meno le opere di Ficino, poco importa: qui mi preme sottolineare soltanto che la sua arte è rimasta impregnata della stessa estetica che è stata lo splendore del secolo in cui egli visse.
    Insomma i principi fondamentali di un'arte completa sono lo spirito e la forma che Robert Cyprien diceva essere i due sessi della Bellezza. Lo spirito manifestato dalle forme più belle, la forma vivificata dallo spirito più elevato fanno dell'arte una "Rivelazione", Rivelazione di un pensiero eterno, magnificato dallo splendore di una forma archetipa.
    Ora, Pico della Mirandola insegna: "Ars nulla circa falsum constituitur". A Leonardo da Vinci dunque compete la gloria di aver riunito, in una sintesi ineguagliabile, il Vero e il Bello; in una parola, d'aver realizzato al più alto grado una grandiosa armonia fra la verità morale e la verità artistica.
    L'arte è un simbolo, cioè la rappresentazione dell'invisibile per mezzo di una cosa visibile, un Verbo: il simbolismo è una legge dello spirito umano. E cosa altro è il simbolismo? È un capitolo o, meglio ancora, una forma della Teologia, dato che gli oggetti creati rappresentano gli attributi divini e che i modi sensibili svelano le sfere invisibili. Il simbolismo è dunque la scienza dei rapporti; anche Filone l'Ebreo pensava che "gli esseri intelligenti" amano il linguaggio simbolico.
    Malgrado il fascino della speculazione intellettuale, come non preferire, in un certo senso, la teologia figurata degli artisti ieratici che chiamiamo primitivi e di cui Leonardo rappresenta il termine più alto di fronte all'aridità dei sillogismi scolastici? Cosa ci importa di colui che "dimostra" l'esistenza del Cielo di fronte all'artista che ci "mostra" il Cielo? Il Beato Angelico l'ha visto; l'ha visto, in verità, dato che l'ha dipinto, e tale è il linguaggio di Michelangelo. L'acutezza di questa visione è talmente penetrante che le espressioni d'ammirazione vengono meno sulle nostre labbra; noi soccombiamo sotto il peso dell'ebbrezza contemplativa davanti alle immagini sacre, trasportati in estasi sulle ali serafiche di questi ispirati esseri divini cui la Divinità era familiare e che dipingevano Cristo e la Vergine, esteriorizzando l'ideale che avevano in sé.
    Tuttavia, se i pittori mistici hanno fatto discendere il Cielo sulla Terra, più giusto è dire che Leonardo ha portato l'elemento umano sublimato fino al divino.
    Questo mio progetto non comporta una storia della Simbolica per la quale le opere d'arte mi fornirebbero degli esempi conclusivi e non voglio nemmeno segnare le fasi della sua evoluzione. Tuttavia, prima di pormi nel vivo del mio soggetto, "il Pensiero religioso di Leonardo da Vinci", debbo portare dei riferimenti ai concetti che ho enunciato. In tal modo la mia teoria sarà più chiara e non sarà necessario premettere che questo scritto è in un certo senso una tesi in cui l'immaginazione non ha posto alcuno.
    Forse qualcuno troverà, dato che il nostro secolo si limita a riconoscere all'arte un ruolo puramente decorativo, che io do troppa importanza all'intelligenza; forse vi sarà anche chi riterrà che attribuisco agli artisti di un tempo un'estetica che essi ignoravano, ma non trascurerò di trattare tale questione nel corso di queste pagine. Ci limitiamo per ora a dire che Leonardo ha spesso messo in difficoltà i suoi ammiratori per il lato esoterico delle sue opere. Rio osservava: "La tendenza filosofica del suo spirito, combinata alla grazia della sua immaginazione, gli suggerì la creazione di un genere a sé che potremmo chiamare il 'genere simbolico' e nel quale egli ha profuso tanto fascino da farsi perdonare le oscurità che ne sono inseparabili", Queste oscurità hanno sempre colpito perfino gli spiriti di scarsa cultura; si tratta di penetrare dentro il mistero: in tal modo il mio saggio trova giustificazione.
    Prima di tentare, invochiamo ancora Charles Blanc. In una pagina, questo critico, in genere notevole per la finezza delle sue intuizioni, segnala in Leonardo "un gusto molto spiccato per i simboli", che attribuisce ad una leggera "dose di ideale germanico" che egli crede di vedere nel suo spirito. "Vi era in lui - egli scrive - qualcosa dei grandi spiriti del Medio Evo ed una certa sfumatura di poesia mistica, mezza italiana e mezza tedesca, simile a quella che velava le concezioni di Dante e colorava talora l'oscura immaginazione di Dûrer". Non è il caso di discutere sull'origine di questa inclinazione simbolica. Il critico si contraddice da sé. Egli prosegue infatti il suo discorso dicendo: "Volendo conciliare la realtà e l'ideale, la scienza e l'arte, la vita che palpita e la vita che pensa, Leonardo da Vinci dovette mantenere quella tendenza al simbolismo che caratterizzava i pittori precedenti, da Giotto al Beato Angelico e al Botticelli."

    I libri - IL PENSIERO ESOTERICO DI LEONARDO - INDICE - di Paul Vulliaud
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 19-08-09 alle 20:56
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    Predefinito Rif: Leonardo da Vinci

    L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci: ancora alcune riflessioni
    di Emilio Michele Fairendelli

    PARTE 1

    Sono debitore ad un Amico della comprensione di uno dei significati più profondi per una immagine essenziale: la Verità rappresentata dietro il velo.
    Si può immaginare che la Verità sia tradizionalmente velata in quanto il suo splendore ci annichilirebbe, sarebbe insostenibile?

    Veritatis Splendor?

    No, quaggiù la Verità è velata non per il suo splendore ma per il suo orrore: Essa, che discende evidentemente da qualche regione più alta, ha incontrato il mondo materiale e, noi cercandoLa e Lei volendo mostrarsi, ha subito un urto mostruoso, è orrendamente sfigurata; Le mancano pezzi, non è completa, mai come La vorremmo, come La sogniamo, come Le chiediamo di essere, non ci può quindi dare tutto ciò che Le chiediamo.
    Il nostro compito, il dovere del nostro Amore verso di Lei è dunque ricomporLa, riuscirLe a dare ancora una identità, rotta ma vera, non falsamente completa, trionfale…
    E’ indiscutibile che nel mondo genericamente definito come della ricerca esoterica e spirituale, il cui spettro è amplissimo, dal reiki di donne in ampia gonna a fiori e bigiotteria astrologica, ai neomandei, ai figli della Rosacroce cabbalistica, al mondo maschile rotariano-massonico in scarpe di vernice nera cigolanti e cravatta – con gradazioni che partono dal grottesco per arrivare a poche posizioni consapevoli – la proposizione di Verità assolute, straordinarie, popolari, è la regola.
    Risolvono in fondo tutti i problemi, queste Verità.
    Vorrei incentrare la mia attenzione su una di queste, quella proposta dal famigerato Codice da Vinci.
    Nel libro, che ovviamente rappresenta parti di posizioni molto attive anche al di fuori della fiction, cioè in gruppi di ricerca e di studio esoterico serio, si sostiene quanto segue (riassumo all’essenziale): Gesù era sposato con Maria Maddalena, ed ebbe uno o più figli; esistono conoscenze ed insegnamenti di un cristianesimo esoterico che sarebbero state rivelate soltanto alla Maddalena o ad una cerchia diversa da quella di Pietro; tale nucleo di un cristianesimo primitivo, i cui riferimenti sono la Maddalena e Giovanni, sarebbe stato isolato nei primi secoli del cristianesimo; esiste una discendenza reale-davidica di Gesù, che si propagò dal Sud della Francia, luogo di fuga ed esilio della Maddalena dalla Palestina, che dette origine alla stirpe reale merovingia e, a seguire, alla Casa Reale di Stuart; tale Verità, occultata dalla Chiesa di Pietro, è stata protetta nei secoli da una organizzazione nota come Priorato di Sion (il Priorato moderno fondato da Pierre Plantard è per ammissione dello stesso una bufala totale, ma questo non comprometterebbe l’esistenza di un vero Priorato di Sion), che ebbe tra i suoi Grandi Maestri illustri personaggi della Storia, da Leonardo a Newton, a Cocteau (?); Catari, Albigesi e Templari sono stati tra gli altri i depositari di questa conoscenza segreta e hanno pagato tale conoscenza con lo sterminio; il famigerato mistero di Rennes le Chateau non è che un episodio di questa saga; questa grande Verità preservata è pronta ad uscire allo scoperto; si inaugurerà una nuova Epoca fondata anche sul principio femminile, a lungo disconosciuto dal Cristianesimo ufficiale; una delle prove più lampanti di questa Verità é nel dipinto dell’Ultima Cena di Leonardo dove il pittore, come detto Gran Maestro del Priorato, rappresenta con chiarezza una donna e non un uomo, Maddalena in luogo di Giovanni, al fianco di Gesù, con alcune caratterizzazioni delle figure della stessa Maddalena e di Pietro perfettamente coerenti con la Verità rappresentata.
    Guardiamo ora l’affresco (fig. 1).


    Figura 1. Leonardo, Ultima Cena

    Fu dipinto, da Leonardo, su committenza domenicana e ducale, a partire dal 1497; di lì a pochi anni, secondo le dottrine segrete, Leonardo sarebbe diventato Gran Maestro del Priorato.
    Osserviamo il dipinto nel suo centro, attorno a Gesù, dove stanno, verso sinistra, Giovanni/Maria Maddalena, Pietro e Giuda:

    - la figura di Maddalena/Giovanni (fig. 2 e fig. 5) è sì femminile ma conforme ai canoni: Giovanni è tradizionalmente sempre rappresentato con tratti efebici e adolescenziali, esistono dipinti dello stesso Leonardo – p.e. il Battista giovane – o Santi e addirittura Cristi rinascimentali di altri autori con tratti ancora più femminili; all’epoca la percezione della differenza tra il maschile e il femminile doveva essere qualitativamente diversa, e una certa androginia risultare in qualche modo accettabile; inoltre è evidente che la committenza domenicana, che pure ebbe in seguito ad aggiungere barba al viso e a cambiare i colori delle vesti di Giovanni, non avrebbe mai accettato una soluzione troppo al limite del femminile, né alcuna soluzione in cui fosse possibile anche solo immaginare che Giovanni fosse in realtà la Maddalena; all’epoca non si scherzava, con i Padri inquisitori, gente capace di sventrare la parte inferiore dell’affresco per alzare la porta del refettorio ma piuttosto attenta alle questioni della Verità dottrinale e che deve avere esaminato ogni centimetro quadro del dipinto durante la sua stesura; su Giovanni Leonardo segue, perfettamente e quindi senza rischiare la pelle o la Commessa, il canone storico;


    Figura 2. Leonardo, Ultima Cena - Particolare

    - lo spazio definito da Gesù e Maddalena/Giovanni (fig. 3) è, secondo le Verità occulte di volta in volta la “V” della fertilità femminile, la “M” iniziale di Maria Maddalena, la struttura del sacro teorema pitagorico; tralascio letture ancora più fantasiose, disponibili nelle librerie e pubblicate da editori primari dove una complessa rete di triangolazioni impostate sull’affresco determinerebbe addirittura la mappa dantesca della Commedia o le carte di Babilonia o Gerusalemme; ora, nei dipinti di tutti i pittori rinascimentali e barocchi è possibile ravvisare inscrizioni o definizioni di cerchi, triangoli, stelle, ecc.; trattandosi di figure di perfezione formale ed armonica la loro presenza nelle composizioni pittoriche è sostanziale e inevitabile, conseguente alla sintesi creativa e non decisa ed occultata per trasmetterci segreti esoterici; in realtà Giovanni è lontano da Gesù solo perché, conformemente al testo evangelico che interpreta, richiamato da Pietro che lo invita a chiedere il nome del traditore, si è alzato dal tavolo su cui era riverso accanto a Gesù (v. lo schizzo preparatorio in fig. 4); questa posizione del Discepolo, rappresentata anche in opere precedenti alla Cena, era l’unica in grado – allora si mangiava riversi su tappeti e cuscini e non su un tavolo sopralzato da terra – di rendere in qualche modo la letteralità del testo evangelico, dove Giovanni pone la domanda richiesta da Pietro “…reclinandosi così (ancora) sul petto di Gesù…”; è chiaro che in questo modo si crea uno spazio vuoto quasi intollerabilmente denso e significativo tra Gesù e Giovanni, le loro vesti hanno colori perfettamente complementari, ma non necessariamente ci devono dire di un matrimonio, piuttosto di una identità, di una vicinanza spirituale…; il rosso unico delle vesti – in realtà due tonalità, più chiara, a stabilire una gerarchia di Luce e di Forza, quella della veste di Giovanni – pare in effetti portare, da un altrove, quel vino che manca sulla tavola, dove sono inspiegabilmente presenti solo bicchieri senza stelo e semivuoti…;


    Figura 3. Leonardo, Ultima Cena - Particolare


    Figura 4. Leonardo, Ultima Cena (schizzo preparatorio) - Particolare

    http://www.centrostudilaruna.it/lult...flessioni.html
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 19-08-09 alle 21:02
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    Predefinito Rif: Leonardo da Vinci

    L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci: ancora alcune riflessioni
    di Emilio Michele Fairendelli

    PARTE 2

    - secondo il Codice, Pietro minaccia alla gola (fig. 5) per l’odio che le porta e perché non dica quanto Gesù le avrebbe rivelato ad insaputa degli altri discepoli, la Maddalena; il braccio destro torto in modo assolutamente innaturale di Pietro – ma appartenente a lui e non ad un personaggio misterioso come alcuni sostengono – impugna alla mano un coltello; anche qui l’iconografia tradizionale è rispettata, il coltello da pescatore a lama ricurva figura quasi sempre ed allude a quello descritto nel testo evangelico (non una spada, come si legge nella traduzione greca dei Settanta, ma precisamente un coltello a lama ricurva del tipo al tempo usato dai pescatori) e che Pietro userà di lì a poco durante l’arresto di Gesù per colpire il servo del Sommo Sacerdote; qui il problema interpretabile è chi venga minacciato: il coltello di Pietro minaccia in astratto, e nella narrazione del dipinto, il traditore, il cui nome sta per essere annunciato; la minacciosità del gesto della mano sinistra verso la Maddalena/Giovanni è chiaramente una forzatura; certamente la mano non è appoggiata in modo rassicurante sulla spalla di Giovanni come leggiamo nelle osservazioni contro le tesi di Brown nei quaderni dell’Opus Dei, certamente il gesto è strano – ma come molti altri nei dipinti di Leonardo – ma non è possibile leggerlo come una mano che affronti irrigidita una gola per minacciarla; basta considerare la rilassatezza delle dita dietro l’indice, ricordare come nell’ultimo restauro degli anni ’80 si sia chiaramente evidenziata una serie di correzioni e ripensamenti relativi proprio al pollice della mano di Pietro (leggibili in fig. 5 ed ampiamente commentati in sede storico-artistica), che viene incurvato ed ammorbidito nella versione finale e certamente impedisce una lettura troppo a squadra e minacciosa, che forse la Committenza avrebbe contestato…; chi vede la mano minacciare, così come vede il coltello impugnato da una mano estranea o addirittura sotto la tavola, non ha semplicemente guardato bene il dipinto…


    Figura 5. Leonardo, Ultima Cena - Particolare

    Negando queste presunte Verità nascoste nel dipinto, esso perde dunque ogni significato simbolico-spirituale o esoterico?
    Non vi sono più significati nascosti?
    Segni da rintracciarsi coerentemente a quel concetto di Verità incompleta, a pezzi ed orribile, ma vera, che descrivevo in apertura?
    Pensiamoci bene: se volessimo far credere che davvero non esistano questioni di una qualche natura circa Maddalena e Giovanni, di un gruppo della prima chiesa altro rispetto a quello di Pietro, di insegnamenti segreti di Gesù, di dogmi di Fede stabiliti da Paolo ma non rintracciabili nei testi evangelici – inclusa la concezione stessa della divinità di Gesù e della Salvezza per suo solo tramite – cosa ci sarebbe di meglio che proporre su tutto questo Verità straordinarie, quasi inverosimili?
    Il creatore di queste Verità farebbe in fondo il gioco di chi vuole combattere.
    Cerchiamo una Verità più semplice. Scopriremo comunque qualcosa di nascosto, occultato alla comprensione più immediata ma non immerso in nebbie esoteriche, un qualcosa incentrato sulla figura di Giovanni:

    - la scelta, al tempo rara, più comune nei secoli precedenti, del momento dell’annuncio del tradimento più che dell’Istituzione della Eucarestia è una scelta significativa e la Committenza domenicana l’avrà accolta con fatica; certamente il momento consente a Leonardo una altrimenti impensabile caratterizzazione e dinamizzazione psicologica dei personaggi in reazione alle parole di Gesù ma, soprattutto, in questo momento il personaggio principale della messa in scena diventa Giovanni e non Pietro o l’insieme dei discepoli, la prima Chiesa; c’è inoltre un fatto fondamentale: in quasi tutte le Cene dipinte precedentemente a Leonardo (Giotto nella Cappella degli Scrovegni, il Ghirlandaio, Andrea del Castagno) a destra di Gesù sta logicamente Pietro, il Primo degli Apostoli, e non Giovanni; ancora nello schizzo preparatorio di Windsor (fig. 4), non totalmente autografo ma certamente annotato da Leonardo, Giovanni è riverso sul tavolo ma alla sinistra di Gesù; nella versione finale dell’affresco è Giovanni, alla destra di Gesù…

    - solo due figure reagiscono in modo sereno, spiritualmente superiore, alla situazione: Gesù, che annuncia il tradimento e Giovanni; la loro è chiaramente una visione più alta e ce lo dice Leonardo, con chiarezza estrema; gli altri, tutti gli altri, sono ancora nelle catene dell’umano e della psicologia: Pietro ha voluto sapere il nome di colui che tradirà e ha potuto farlo solo tramite Giovanni, gli altri reagiscono violentemente, indignati; nel terrore, forse, che il nome del traditore possa essere il loro; le vesti dei Discepoli, tranne quella di Giuda, sono fermate allo scollo da un fermaglio in tinta o da una pietra, nel caso di Gesù e Giovanni da una gemma in castone, verde smeraldo per Gesù, grigio argento-specchio per Giovanni…le gemme fronteggiano gli osservatori…;

    - Pietro, capo degli Apostoli, primo Pontefice romano, è in secondo piano, il viso, sfuggente e fortemente inclinato così come la posizione dello sguardo, andrebbe letto con i criteri della fisiognomica; lungi dall’essere la scienza moderna aperta da Lavater alla fine del ‘700 la fisiognomica (cioè la scienza di leggere il carattere e le predisposizioni dell’anima dai tratti del volto) era una scienza attiva già nel mondo greco e per i pittori e ritrattisti rinascimentali era ovviamente un metodo normale; si ha quasi certezza di un perduto Trattato di fisiognomica di Leonardo, circolato, soprattutto in ambienti francesi e spagnoli, nel ‘500; la torsione del braccio di Pietro, quello che impugna il coltello, rende tutto innaturale, ambiguo, indiretto: un riferimento al modo in cui la Chiesa ha sempre colpito i suoi nemici?; poi, le teste, Giuda e Pietro, così vicine: …persone con tratti simili compiono azioni simili…ci dice Thomas Browne a proposito della fisiognomica; se inclinassimo su un asse orizzontale e all’indietro il viso di Giuda otterremmo, eccettuato il colore e la quantità dei capelli, una sorprendente, ancorchè non completa, sovrapposizione a quello di Pietro; è pensabile – ben si conoscono i motti di spirito e i dileggi che Leonardo riservava agli uomini della Chiesa di Roma nei suoi Quaderni - che tutto questo sia casuale? Il viso in ombra di Giuda, il traditore, il profilo così assolutamente ebreo, riccioli e naso adunco, deve aver pienamente soddisfatto la Committenza; operazione forse di Leonardo per distogliere l’attenzione, per rendere accettabile i tratti estremi ed ambigui, nemmeno ben definibili per l’accentuata inclinazione, del viso di Pietro…;

    - il gesto di minaccia della mano sinistra di Pietro è, lo abbiamo detto, una forzatura; ci si comporta qui come chi, per voler vedere una cosa straordinaria dimentichi l’evidente, e cioè che la figura di Maddalena/Giovanni è effettivamente attaccata da Pietro; ce lo dicono la vicinanza dei visi, gli unici a risultare così compressi nel dipinto (fig. 2), la lettura fisiognomica ricordata al punto precedente; basta attingere a un qualsiasi trattato moderno e volgarizzato di questa scienza per individuare nel viso di Pietro i tratti sfuggenti della doppiezza e quelli acuti dell’aggressività (si guardi il ritaglio del profilo di Pietro in Fig. 5); ma perché la minaccia dovrebbe riguardare la Maddalena? perché non Giovanni, l’unico e prediletto, discepolo del Battista prima che di Gesù, figura così diversa, in tutto, da Pietro; lui, Giovanni, da sempre riferimento nascosto per quanti cercano un’altra Chiesa, non temporale ma della Luce? Giovanni: è in fondo lui l’uomo diverso, l’uomo di una coscienza gnostica e di una Salvezza interiore, non delegata ad un Salvatore che salva, per noi, noi ed il mondo; l’indice di Pietro (fig. 5) pare indicare, in modo delicato ma preciso il centro della gola di Giovanni, il luogo della Parola, il chakra dove alberga nel corpo sottile dell’uomo il rapporto con la Verità; e questo indicare, così dolce e strano, contrasta con l’aggressività del viso…; come avrà spiegato Leonardo, ai Padri che, da sotto commentavano pigramente, le mani nella tonaca o raccolte sul grembo, il dipinto, queste stranezze? con che celamenti, con che ironia?

    In fondo, quanto Leonardo davvero credesse circa Pietro e Giovanni, circa la divinità di Gesù e la dottrina della Salvezza per suo tramite, la Maddalena, un’altra Chiesa, rimarrà sempre insondabile; occorre rassegnarsi al fatto che la Storia, per chi non voglia usare i falsi voli dell’invenzione, ha porte che resteranno chiuse per sempre.
    Che Leonardo non amasse la Chiesa di Roma lo sappiamo: lo ha scritto, spesso in burla ma inequivocabilmente.
    Che fosse in qualche modo un Iniziato è fuori discussione, poiché sappiamo che chiunque facesse parte di corporazioni pittoriche o muratorie nel Medioevo e nel primo Rinascimento, lo era.
    Chi segue l’insegnamento di Sri Aurobindo sa bene che egli sosteneva di essere stato Leonardo in una incarnazione, parziale e non avatarica, precedente: i raffronti tra l’autoritratto di Leonardo da vecchio e la foto di Sri Aurobindo di Cartier-Bresson del 1950, i raffronti tra le due scritture, quella automatica di Aurobindo e quella rovesciata di Leonardo, sono incredibili.
    Quello che non conosciamo è la specifica, la misura ed il grado della sua qualità di Iniziato di allora, delle sue conoscenze: su questo c’è solo una fantasiosa letteratura, che quasi sempre esagera e quasi mai coglie l’essenziale.
    E noi, oggi, su Giovanni, l’Evangelista ed il Battista, sui loro enigmi e sul loro senso, su ciò che Leonardo ha cercato con così tanta insistenza e non solo nella Cena di trasmetterci, cosa sappiamo?
    Qualcosa, forse poco, ma sicuramente l’essenziale, avvertiamo un’inquietudine, l’imminenza di qualche conoscere ulteriore; occorre infatti stare, nella ricerca della Verità, su un sentiero diverso da quello che, decretando la soppressione di un brano dubbio del Vangelo di Marco, disegnava il Vescovo Clemente di Alessandria agli inizi del terzo secolo della nostra Era:

    “… anche se (questo brano) dicesse il vero, chi ama la Verità non dovrebbe convenire. Non tutte le cose vere, infatti, sono la Verità. La Verità vera secondo le opinioni umane non dovrebbe mai essere preferita alla Verità Vera: quella secondo la Fede della Chiesa”.

    A chi osservasse che nulla in fondo conosciamo di certo circa la diversità di Giovanni, il suo ruolo all’interno della cerchia più intima di Gesù – quale mai sarebbe stato il suo sapere segreto? – noi rispondiamo che questa conoscenza non ci è necessaria.
    E’ l’oggetto ed il cuore, mai la premessa della nostra ricerca.
    Il testo evangelico, un poco di conoscenza della storia dei percorsi iniziatici e religiosi nell’Occidente, sono sufficienti per intuire – e senza scoperte o rivelazioni mirabolanti – il significato archetipale e simbolico di Giovanni.
    Abbandoniamo, infine, la Cena al buio della notte del Refettorio.
    Semplice Verità di una rappresentazione artistica o rappresentazione di altre Verità possibili circa Gesù detto il Cristo, il suo discepolo prediletto, Giovanni, gli altri Apostoli: in ogni caso la storia dell’affresco ci riporta in senso lato a quelle immagini della Verità con cui abbiamo aperto.
    Aggredito dal tempo e dagli uomini – dal primo con la sua opera di distruzione, dai secondi con un’opera sistematica di ridipinture ed aggiustamenti perché il dipinto fosse come lo si voleva e non come era ed è, minato come un male mortale da un supporto materico fragilissimo (tempera su intonaco misto) voluto da Leonardo perché fosse tentabile una accuratezza pittorica impossibile nella pittura a fresco…
    Chiaroscuri perduti oramai da secoli e per sempre, materia pittorica collassata e disfatta il cui processo di disintegrazione la tecnica può solo arrestare o rallentare, povere resurrezioni di ombre, ombre di colori svaniti, grazie all’incredibile ultimo restauro, i danni irrimediabili delle violente, assassine ridipinture: il dipinto mostra, dietro il suo velo, la protettissima ostensione presso il Refettorio – l’affresco non è osservabile dai gruppi di visitatori che per pochi minuti – una Verità di immagine e materia che muore, frammentaria, incompleta, a tratti orribile…
    E tuttavia ancora così splendente per chi vi volga lo sguardo che riceve e che interroga.

    L?Ultima Cena di Leonardo da Vinci: ancora alcune riflessioni | Emilio Michele Fairendelli
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    Predefinito Leonardo l'ermetico

    Denominato omo sanza lettere, Leonardo da Vinci ebbe incredibili illuminazioni che lo portarono ad effettuare studi sulla luce, la prospettiva, l’anatomia, la botanica, la geologia, la dinamica dei fluidi, il volo degli uccelli, l’ingegneria militare e civile. Solamente all’inizio del ‘900, però, si aprì una nuova considerazione sulla figura di Leonardo, che fece risaltare il valore ermetico presente in alcuni suoi dipinti. Questi aspetti crearono un forte immaginario intorno alla sua figura, che fu considerata, senza basi storiche, quella di un iniziato, addirittura Supremo Maestro del misterioso Priorato di Sion. Al di là di queste notizie, appare interessante valutare i suoi reali interessi relativi alla magia, che emergono dai sui scritti, spesso impregnati di dottrine ermetiche e di simbolismi teologici. Inoltre, nella sua biblioteca erano presenti alcune opere legate ai poteri magici delle erbe, dei minerali e degli animali, scritti di astronomia e testi di contenuto astrologico, con connessioni tra la medicina e l’anatomia umana con la tradizione astrologica. Senza dimenticare due anonimi trattati di chiromanzia e un famoso libro di fisiognomica (di cui notoriamente Leonardo era un cultore). Occorre anche ricordare la presenza di un’opera dedicata a Ermete filosofo, chiaro richiamo all’epopea di Ermete Trismegisto, il mitico fondatore di ogni arte magica. Altri testi legati alla biblioteca leonardesca sono Tebit, di Tebit ben Corat, enciclopedista arabo del XII secolo, autore di un trattato sulle legature magiche, e L’Acerba di Cecco d’Ascoli, lettore di astrologia a Bologna e arso sul rogo nel 1327. La lettura dei testi di Tolomeo, insieme a quella del teologo-astrologo (e per molti alchimisti) Alberto Magno e degli astrologi arabi, creò le basi per Leonardo, affinché egli stabilisse un suo pensiero in questo ambito e potesse poi trasferirlo in alcune delle sue opere e ricerche. […]

    Anche nell’arte di questo genio appaiono molti riferimenti ermetici. Per esempio, risulta molto interessante il suo utilizzo del rettangolo aureo, trattato anche nell’opera di Pecioli De Divina Proportione, pubblicata nel 1509 e illustrata dallo stesso Leonardo. Nell’antichità il numero d’oro fu usato da numerosi architetti, che l’inserirono nelle costruzioni sacre, a partire dalla piramide di Cheope, all’edificazione del Partenone, fino a Leonardo, che sempre privilegiò queste divine proporzioni. Nell’arte figurativa, il corpo umano era suddiviso in due segmenti aurei, il cui spartiacque era l’ombelico. Lo stesso concetto era applicato alle dimensioni del capo. Nel Rinascimento europeo, la proporzione divina entrò a far parte integrante di molte opere, condizionando la forma delle tele stesse. Gli studi di Leonardo da Vinci sul corpo umano indicano come la proporzione aurea sia il rapporto esteticamente più piacevole tra le lunghezze del corpo umano. Inoltre, il celeberrimo Uomo Vitruviano è in attinenza alla stella a cinque punte, che per Pitagora avrebbe un significato mistico, indicando – infatti – la perfezione. Le cinque punte della stella rappresentano i quattro elementi: Fuoco, Terra, Aria e Acqua, equilibrati dal quinto: la Quintessenza. L’uomo stilizzato all’interno di questa stella sarebbe un essere puro, l’Essere di Luce. Questa forma nasce dalla somma del tre, numero maschile e sacro, col due, cifra femminile legata all’eterno dualismo. Insieme rappresentano l’essenza dell’essere umano all’interno dell’universo infinito, simboleggiato dal cerchio. Si crea, in questo modo, un collegamento tra quadrato e cerchio, due figure geometriche dove le proporzioni umane sono perfettamente inscrivibili. Il quadrato indica la terra e la materialità, il cerchio il cielo e la spiritualità. Il loro connubio crea la Coincidentia Oppositorum, ovvero la realizzazione della Grande Opera, la Quadratura del Cerchio. Inoltre, questa figura è in analogia col pentacolo (con la punta rivolta verso l’alto), che ha un grande potere rituale.[…]

    Morena Poltronieri su Hera n° 52 (aprile 2004)



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    Cristo al centro della tavola e attorno i dodici apostoli: sei alla sua destra e altrettanti alla sua sinistra. Ma la figura alla destra di Gesù ha tratti tipicamente femminili: mani delicate, lunghi capelli rossi, seno vagamente accennato. Giovanni, il discepolo preferito (che Leonardo era solito dipingere in modo effeminato), o Maria Maddalena in quanto sua moglie?






    Maurizio Bernardelli Curuz

    E' MADDALENA?

    Pur rispettando Brown, il quale, come tutti i romanzieri, ha il diritto-dovere di stravolgere la realtà per coglierne, al di là d’ogni adesione all’apparenza, i meccanismi strutturali, dobbiamo affermare che le argomentazioni portate in funzione della difforme lettura del Cenacolo meritano alcune puntualizzazioni. Brown, che approda al romanzo dopo un percorso nel quale non è mancata la frequentazione della storia dell’arte, offre una fabula che suona più o meno così, nel segmento narrativo che più ci può riguardare: Gesù non sarebbe morto sulla Croce, ma sarebbe fuggito con Maria Maddalena in direzione della Francia meridionale. Qui i due amanti avrebbero generato una bambina che avrebbe poi conferito il proprio sangue alla dinastia reale dei merovingi.

    Compiamo poi, seguendo docilmente Brown, un salto di qualche secolo. Lo scrittore afferma, partendo evidentemente dalle conclusioni di un libro storico (o presunto tale) di tre giornalisti inglesi, Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln, che la vera sorte di Cristo e di Maria Maddalena sarebbe stata conosciuta dalle élite di ogni tempo, con particolare riferimento ai Templari, ai Rosacroce e agli adepti di un’altra società segreta, il Priorato di Sion, al quale, nei secoli, avrebbero offerto il proprio servizio, in qualità di maestri, Sandro Botticelli, Leonardo da Vinci, Victor Hugo e Jean Cocteau. E’ proprio occupandosi dell’autore del Cenacolo che il “Codice da Vinci” avalla una fantasiosa lettura dell’affresco. A giudizio di Brown, la figura di Giovanni, il più giovane del gruppo, qui appoggiato a Pietro, dopo la drammatica rivelazione di Cristo in merito al tradimento che sarà compiuto, sarebbe in realtà Maria Maddalena, la peccatrice portata alla virtù da Cristo ed entrata a far parte della cerchia dei primi cristiani.

    L’ipotesi che Giovanni sia in realtà Maddalena parrebbe superficialmente autorizzata dai tratti efebici, quando non fortemente femminili, del giovane apostolo, dalla morbidezza del tratto che si scioglie in un doloroso deliquio, e ciò in contrasto con il vigore offensivo di Pietro e la sua irsuta, spigolosa vecchiaia.. Effettivamente il Cenacolo è ricco di concitazione e dominato da un’atmosfera di attesa che sembra autorizzare pensieri esoterici proprio per il rafforzamento, rispetto alle tradizionali rappresentazioni dell’Ultima Cena, dell’apparato lessicale. Leonardo, per la prima volta nella storia di questo topos del racconto religioso, sceglie l’istante in cui Cristo rivela che qualcuno - qualcuno che sta seduto tra i fedelissimi commensali - lo tradirà. L’annuncio è deflagrante. Solo la figura di Gesù, proferite quelle parole esplosive, resta immota, al centro della scena, senza più elementi di disturbo visivo. Gli apostoli, a gruppi di tre, sono proiettati in una dimensione caoticamente umana: gridano e chiedono spiegazioni, mentre colui il quale consumerà il tradimento, rovescia inavvertitamente il vaso del sale, preannunciando la disgrazia incombente.

    La scelta di Leonardo è pertanto orientata al totale isolamento della figura di Cristo, che risulta già proiettato verso la luce eterna, verso quelle tre finestre che tracimano un’invischiante luce metafisica e che sembrano già risucchiarlo verso il compimento del sacrificio, in direzione dello spazio tripartito che allude alla necessità del rientro nell’ambito trinitario. La scelta di impaginazione assegna al protagonista la solitudine necessaria a configurare il momento che precede l’addio, mentre sulla stanza cala il vuoto della disperazione e del sospetto. Lo spazio a forma di “V” - tra Giovanni e Cristo - creato dal maestro nel dipinto, vorrebbe invece, a detta di Brown, rappresentare la coppa del Graal, che non sarebbe né la coppa nella quale Giuseppe di Arimatea avrebbe raccolto il sangue di Cristo, né il sacro calice nel quale venne versato il vino della prima messa. La coppa vivente, tracciata nel vuoto, secondo l’ interpretazione leggendaria di Brown e degli arditi saggisti dai quali è stato preceduto, sarebbe invece costituita dal frutto dell’unione carnale di Cristo e di Maddalena, quella Bambina di Sang réal - da qui il nome, affermano i sostenitori di questa ipotesi, del Graal stesso - che avrebbe poi dato origine alla dinastia merovingia.

    Quel che è certo sotto il profilo pittorico, pur nella cornice all’apparenza naturalistica del dipinto - con quell’attenzione al vero, alle “cose”, alle espressioni - è la forza di messaggi che vanno al di là di ogni narrazione pedissequa del fatto. Il costante riferimento al tre (tre le finestre, tre gli apostoli per ogni gruppo, tre gli spazi bianchi tra le porte che si aprono nei muri laterali) e alla piramide (ogni gruppo d’apostoli forma una figura solida suscitata da una composizione di triangoli, come piramidale è la stessa figura di Cristo, al centro della scena), costituisce, senza ombra di dubbio, una sottotraccia armonica e simbolica evidentemente cercata dall’artista per costruire subliminarmente un’ossessione trinitaria, quindi una proiezione dal piano dell’umano - la mensa amicale - a quella del divino - il cielo -. Gesù, in quell’istante, fa già parte del Regno dei morti.

    Dicevamo dell’innovazione apportata da Leonardo alla raffigurazione del Cenacolo. Egli sceglie infatti il momento dell’annuncio del tradimento per flagellare il mare immoto dei volti degli apostoli, per dilaniarli con la polvere pirica senza fuoco, con il Logos che annienta la facile illusione di pensare che l’eden quotidiano della predicazione e delle sante pratiche possa continuare per sempre, accanto al Signore. La sera, e la notte metaforica, sono vicine. L’annuncio ha pertanto la forza di un vento metafisico, che colpisce i volti dei primi cristiani, creando un’onda di inquietudine e varchi interni, nell’anima. Una rappresentazione sconvolgente. Le ricerche condotte sui disegni di Leonardo hanno dimostrato che l’artista mosse, inizialmente, al cospetto del tema del Cenacolo, attenendosi alla tradizione toscana, per quanto sommuovendo i piani delle psicologie. Fino all’Ultima Cena milanese, infatti, l’iconografia consolidata prevedeva un contenuto numero di varianti. In genere gli artisti - e pensiamo anche al Perugino e al Ghirlandaio - collocarono Giuda, per un’immediata identificazione del traditore, al di qua della tavola imbandita, in una posizione già esterna all’agape ecclesiale, emarginazione rafforzata, peraltro, dall’assenza dell’aureola. Leonardo salda invece indissolubilmente il corpo di Giuda al gruppo degli apostoli, al punto che lo spettatore è costretto, inizialmente, a cercarlo tra gli altri, a dividere il frumento dalla pula, come dire che il Male saldamente alligna tra piante benigne e che può essere conosciuto - per quanto torvo ed oscuro, come il Giuda leonardesco - a fatica. Leonardo sollecita così al massimo l’attenzione dello spettatore evitando ogni sottolineatura didascalica.

    Se risulta storicamente acclarata, in area lombarda, anche in opere più antiche, la scelta di porre tutti i personaggi al di là della linea della mensa, evitando il disturbo visivo di commensali che diano le spalle allo spettatore, nuovissima è la scelta operata da Leonardo nella collocazione della figura di Giovanni. Evidentemente la dichiarazione esplosiva non dà spazio immediato - Leonardo è un fine psicologo - alla ricerca di consolazione, crea varchi, provoca disordine e costringe lo stesso giovane apostolo a interrogarsi, lui che negli altri dipinti di consolidata tradizione ha il capo poggiato al petto di Cristo o comunque sulla tavola, come un vitello sconvolto dalla perdita della madre, in un racconto che è in quel modo fortemente sentimentale. Nel Cenacolo milanese Giovanni è solo come una donna abbandonata. Ogni apostolo, per quanto converga verso il calore della pelle del vicino, si sente provvisoriamente svuotato d’ogni speranza, anche se il cielo è alto e dominato dalla presenza-assenza di Dio. Comunque troppo alto affinché possa risultare comprensibile all’uomo.


    Da STILEarte n. 79 - giugno 2004

    Stile Arte - Periodico d'arte - Rivista d'arte

  8. #8
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    Dal 27 novembre al 27 dicembre 2009 Milano ospita, presso la Sala Alessi di Palazzo Marino, il San Giovanni Battista di Leonardo, proveniente dal Louvre di Parigi.

    Realizzata a Firenze fra il 1508 e il 1513 per volere di Giovanni Benci, questa piccola ma preziosa tavoletta fu terminata a Milano prima di essere portata in Francia dallo stesso Leonardo, che la custodiva gelosamente nel suo studio a Cloux. Oggi quest'opera dall'enigmatico e sfumato fascino torna a Milano (dal Louvre è uscita un'altra volta sola per un'esposizione presso il Musée de l'Orangerie di Parigi), con un allestimento suggestivo che sa valorizzarne la bellezza. Grazie al lavoro di Elisabetta Greci il visitatore, introdotto in una sorta di «labirinto iniziatico», si accosta a poco a poco al volto femmineo e delicato del Santo, che emerge silenziosamente da un'ombra carica di ambiguità e mistero. Ed è allora che grazie a un perfetto sistema di illuminazione possiamo cogliere uno a uno i molti frammenti che danno vita a questa immagine. Dal sorriso (per Freud erano le labbra di sua madre che lo sfioravano mentre lo accarezzavano) ai lunghi boccoli biondi (per alcuni il segno conclamato dell'ambiguità sessuale di questo giovane che come Dioniso sapeva attraversare due polarità), fino a quel dito puntato in alto, oltre la tela, verso un altrove mistico, divino, impossibile per il nostro sguardo.


    Lo sfumato di Leonardo in mostra a Milano - Il Sole 24 ORE





    UN BATTISTA ESOTERICO


    San Giovanni – Louvre, Parigi

    Nella ricercata simbologia di Leonardo, un posto a parte merita il San Giovanni Battista, un essere perfetto il cui volto angelico esprime la compiutezza e la perfezione che il Maestro toscano volle introdurre in tutte le sue opere. Soprattutto, il Battista comunica l'unione del maschile e del femminile, il recupero dello stato androginico che sancisce l'Uomo perfetto e il ritorno allo stato divino dell'Adamo primordiale. Uno stato simbolico di perfezione ricercato da ogni uomo che ha fatto della gnosi il suo fine ultimo.

    Giovanni, nell'opera di Leonardo, doveva essere espressione del Messia, divinità incarnata e per questo indivisa e possedente in sé le caratteristiche del dio e della dea. Il genio toscano lasciò una prova di quanto appena detto: quello che gli storici d'arte chiamano Studio per un Bacco (ma forse più noto come "Angelo incarnato" – nota mia -). Questa divinità è presente in un'altra opera di Leonardo, il Bacco del Louvre. Confrontando le tre opere, tutte presentano lo stesso volto, come a voler indicare la volontà di Leonardo di rappresentare il medesimo "essere", cioè l'adam kadmon, il puro Uomo Primordiale.



    Angelo incarnato

    E' evidente però che quel bozzetto non è un Bacco, ma una versione "esoterica" del Giovanni Battista in stato di Mag, cioè di erezione (a conferma di ciò, il Bacco era in origine l'opera San Giovanni nel deserto, successivamente modificata). La postura del corpo (braccio a parte) e il volto, infatti, sono gli stessi, mentre differiscono notevolmente da quelle del Bacco ufficiale (quello del Louvre). Quell'opera voleva esprimere proprio quell'androginia che nel Giovanni Battista ufficiale è solamente facciale. Il bozzetto del Bacco, dotato di seni femminili (il latte della conoscenza offerto dalla Grande Dea) e allo stesso tempo di pene eretto (la forza germinante della vita che risorge), è il segno della profonda conoscenza dei simboli della Tradizione che Leonardo dominò perfettamente, disseminandola nelle sue opere per chi potesse comprenderla. [Adriano Forgione su Hera n° 52 (aprile 2004)]



    Aggiungo che, secondo il professor Carlo Pedretti (considerato il più grande esperto di Leonardo), l'Angelo Incarnato potrebbe senz'altro essere visto come esplicitazione del principio platonico ed ermetico della "bisessualità universale", intesa come rappresentazione della completezza e quindi della perfezione. E può darsi che Leonardo intendesse così "sublimare" le proprie inclinazioni notoriamente bisessuali. Ma, pur trovando giuste e doverose le interpretazioni psicoanalitiche, Pedretti fornisce anche una lettura assai meno dottrinale: potrebbe trattarsi semplicemente di una provocazione del genio toscano, immerso nella straordinaria tradizione popolare della sua terra, percorsa da una vena beffarda, salace e sboccata.

  9. #9
    mai, eh...
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    Predefinito Rif: Leonardo da Vinci

    Questa è una tela di un allievo di Leonardo, il Giampietrino, che rappresenta Il Cristo con "il simbolo della Trinità", un triangolo equilatero. Si trova a San Pietroburgo all'Hermitage. Giampietrino è un personaggio molto interessante perché sviluppa i temi di Leonardo, spesso in modo più esplicitamente ermetico.

    [IMG][/IMG]

    "I don't make any rules, Nick, I go with the flow."

  10. #10
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    Predefinito Ma… qual è Gesù e qual è Giovanni?

    I riferimenti alla figura del Battista sono presenti in numerose opere di Leonardo, e in genere possono essere riassunti in un… gesto, il cosiddetto "gesto di Giovanni", che consiste in una particolare posizione dell'indice della mano destra (sollevato, ad indicare). Questo gesto è presente anche nella prima versione della Vergine delle Rocce, conservata al Louvre.



    Vergine delle Rocce (1483-86) - Louvre, Parigi


    Il dipinto mostra l'angelo Uriel con il dito indice puntato sul bambino accanto alla Vergine, che si suppone essere San Giovannino (raffigurato nella seconda versione con il bastone sormontato da una piccola croce, secondo l'iconografia tradizionale). E' possibile che Leonardo abbia deliberatamente giocato sull'ambiguità, lasciando intendere che Giovanni Battista avesse maggior autorità rispetto a Gesù? In effetti, c'è chi ha ipotizzato che Leonardo avesse aderito alla setta dei Giovanniti (i Mandei di oggi), che consideravano Giovanni Battista il vero Messia.

    Comunque sia, la centralità del San Giovannino suscitò molte perplessità. Forse per questo, perché considerato eretico (o più probabilmente perché troppo caro), il dipinto fu rifiutato dalla Confraternita dell'Immacolata Concezione, che lo aveva commissionato, e venne acquistata – pare - da Ludovico Sforza per presunti poteri magici (proteggeva contro la peste). La Confraternita accettò invece, qualche anno dopo, la seconda versione del dipinto, quella che oggi si trova alla National Gallery di Londra, in cui San Giovanni viene identificato in modo certo da una lunga croce e Uriel non fa più il "gesto di Giovanni". E i bambini, uguali come due gocce d'acqua nella versione precedente, non si assomigliano affatto.



    Vergine delle Rocce (1495-1508) - National Gallery, Londra
    Ultima modifica di Silvia; 02-12-09 alle 22:19

 

 
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