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Discussione: Destra Storica

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    Predefinito Destra Storica

    La destra italiana ha per padre Cavour. Dal 1861 al 1876 il nostro paese fu governato dai liberali aristocratici e altoborghesi moderati di ispirazione cavouriana che costituivano il raggruppamento chiamato "Destra Storica". Manifestavano un forte senso dello Stato e una notevole prudenza nell'attuare riforme soprattutto sul piano sociale, erano fautori del libero mercato nazionale in economia, sostenevano l'accentramento amministrativo e andarono ad affrontare tutti quei problemi che erano stati posti dall'unificazione gettando in gran parte le basi migliori dell'Italia unita.
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    Predefinito Rif: Destra Storica

    L’attualità della Destra storica
    di Pier Paolo Segneri

    Il dibattito sul Risorgimento italiano si è da poco riaperto sui giornali, come accade ciclicamente nel nostro Paese, anche in virtù della rilettura politica e culturale che, in questi anni, ne sta facendo la Lega di Umberto Bossi. Inoltre, le imminenti iniziative pubbliche per i 150 anni dall’Unità d’Italia, che ricorre proprio l’anno prossimo, nel 2011, hanno provocato interventi e prese di posizione da parte di importanti intellettuali italiani. Altri articoli, dichiarazioni e alcuni revisionismi storici sono stati ospitati dai maggiori quotidiani nazionali. Siamo arrivati, insomma, alla vigilia di un anniversario che ci riporta a discutere, forse proficuamente, del fatidico punto di partenza della nostra storia contemporanea: il 1861. Non è, dunque, un salto nel passato; non si tratta di tornare indietro nel tempo; non dobbiamo precipitare in un rigurgito ottocentesco. Niente di tutto questo. Eppure, malgrado tale premessa, l’appuntamento del 2011 pare essere divenuto l’occasione per affossare il futuro di quella memoria. Forse qualcuno spera, addirittura, di liberarsene definitivamente. La domanda, perciò, diventa necessaria: il pensiero politico della Destra storica, che governò gli eventi e portò all’Unità d’Italia, è tutto e soltanto un retaggio da museo oppure ha ancora una sua forza vitale nell’oggi? Marco Minghetti, Bettino Ricasoli, Urbano Rattazzi, Stefano Jacini, Quintino Sella, Emilio Visconti Venosta e l’intero gruppo della cosiddetta “destra storica” appartengono ad un passato ormai vecchio da lasciare ai libri di scuola e alle commemorazioni di Stato, oppure esiste ancora una forza di pensiero e di azione che rende quella esperienza attuale e, quindi, in grado di muoversi con spirito di continuità nel presente e per l’avvenire? Non si può parlare dell’Unità d’Italia senza affrontare il ruolo, la politica e l’attualità della Destra storica di Camillo Benso conte di Cavour. E’ questo il punto. Ritengo, perciò, che abbia ancora un significato tornare a discutere delle eventuali prospettive politiche di una rinnovata destra storica. Perché il tema è più attuale che mai. Altri, invece, come propongono alcuni esponenti della Lega, sostengono che bisogna prendere atto che quel passato ha provocato solamente enormi disastri di cui stiamo scontando, ancora oggi, le conseguenze. Ritorna, quindi, la domanda: l’eredità della destra storica è ormai il lascito di un defunto, che è divenuto incapace di reggere le sfide odierne e quelle future o ha mantenuto una sua solidità politica e di durata? A tal proposito, ci viene in soccorso anche un recente articolo incentrato sulla figura del conte Cavour e sulla cosiddetta “questione romana”, pubblicato proprio la scorsa vigilia di Natale dal quotidiano l’Opinione e firmato da Andrea Munno.

    Il tema affrontato nel pezzo contribuisce a sollevare più di qualche riflessione sul presente politico italiano, ma non solo. Nell’articolo, per esempio, si legge che “Pio IX temeva le misure di laicizzazione dello Stato previste dalle leggi piemontesi, come l’abolizione del foro ecclesiastico riservato ai sacerdoti, la soppressione delle corporazioni religiose non dedite ad attività di pubblica utilità, e soprattutto la tolleranza religiosa che emancipava ebrei e protestanti”. E inoltre: “La Chiesa di Pio IX non era ancora pronta a cogliere il mutamento che investiva le società contemporanee, dalla politica all’economia alla vita associata, cioè l’estendersi della secolarizzazione, del liberalismo politico e del liberismo economico”. Insomma, leggendo l’articolo, la questione che un lettore attento si pone è proprio sul nostro presente: l’abbattimento del potere temporale dello Stato Pontificio, fortemente voluto da Cavour, ha giovato oppure no agli interessi spirituali del Papato? La spinta laica e libertaria della Destra storica fu davvero contro la Chiesa o, piuttosto, ne rappresentò la possibile rigenerazione spirituale per liberarsi dalle catene di Cesare? Giustamente l’Opinione ricorda: “Di fronte alla rigida chiusura del pontefice, Cavour rispose a tono dai banchi del governo… pronunciò tre discorsi che rappresentano il suo testamento politico… assegnando ai suoi successori la problematica eredità di completare il Risorgimento italiano”. Alla fine, nel 1870, Roma entrò a far parte dell’Italia e ne divenne la Capitale. Ma la partita, invece di chiudersi, si aprì di nuovi dissidi, problemi, questioni. Molti dei quali tuttora irrisolti. Quindi, ancora oggi, grava sul nostro futuro il peso dell’eredità di un Risorgimento da completare. E non è soltanto un lascito legato all’Unità d’Italia, che pure è una questione complessa ed aperta, di cui dovrebbe interessarsi a pieno titolo una rinnovata destra storica del 2010, ma è addirittura un’eredità che si lega all’Unione Europea, al progetto degli Stati Uniti d’Europa e del Federalismo europeo. Perché la destra storica, all’origine, nasce federalista. Non bisogna mai dimenticarlo. Con buona pace dei dirigenti leghisti, separatisti e revisionisti.
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    Predefinito Rif: Destra Storica

    Un risorgimentale nel nome di Cavour e Tocqueville « Sottoosservazione’s Blog

    Lo spirito ottocentesco del grande giornalista Mario Pannunzio nacque dall’opposizione alla vulgata marxista. La democrazia liberale e laica è il tratto che lo unisce al conte e al filosofo francese

    È stato Rosario Romeo a evidenziarmi, da grande storico di Cavour e del Risorgimento, la passione che Mario Pannunzio ebbe per le vicende che caratterizzarono gli anni di quello che Benedetto Croce definiva «Sorgimento», considerandolo l’unico momento storico nel quale questo disgraziato Paese, dopo secoli di servitù, cercò di darsi un futuro unitario.

    È noto a tutti che Pannunzio teneva dietro la sua scrivania di direttore del Mondo il ritratto di Cavour per cui provava un’affinità elettiva profonda, così come non è certo casuale che per il suo foglio clandestino, destinato, dopo la Liberazione di Roma, a diventare quotidiano del partito liberale italiano da lui diretto fino al 1947, Pannunzio avesse scelto la testata di Risorgimento liberale che si richiamava parzialmente al quotidiano fondato da Cavour a Torino nel 1848.
    Finora erano stati solo Romeo e Spadolini a rimarcare l’impronta dello spirito risorgimentale che caratterizzava Pannunzio, direi quasi del suo spirito ottocentesco, se è vero che lui, letterato raffinatissimo che amava Proust, volle nella bara come compagno dell’ultimo viaggio nel 1968, I promessi sposi di Manzoni, cattolico liberale che subì il fascino politico di Cavour e s’impegnò con la sua opera, letteraria e non solo, a favore del Risorgimento.

    Spadolini, ricordando il violento attacco del crociano Adolfo Omodeo al Risorgimento senza eroi di Piero Gobetti, disse che Pannunzio si sarebbe schierato idealmente dalla parte di Omodeo in difesa del Risorgimento, contro l’«orianesimo» del giovane torinese, che riteneva non solo di dover smitizzare il Risorgimento – come era giusto per un giovane della sua generazione – ma anche di aprire un processo al Risorgimento che comprendeva l’intera storia italiana da Cavour a Giolitti.

    Omodeo parlava in modo spregiativo di «orianesimo» in quanto la critica di Alfredo Oriani al Risorgimento era caratterizzata da giudizi sbrigativi e sommari, privi di quella riflessione storica e di quella ricerca scrupolosa che, secondo Omodeo, doveva caratterizzare il lavoro degli storici.

    In effetti quel filone «revisionista» del Risorgimento nato da Gobetti e soprattutto da Gramsci (il Risorgimento come rivoluzione mancata e «conquista regia») avrebbe soprattutto caratterizzato il secondo dopoguerra italiano, quando Giorgio Candeloro sostenne che, «partendo dalla riflessione gramsciana, era possibile raggiungere una visione comprensiva e scientificamente corretta del Risorgimento», forse volutamente dimenticando l’origine pratica degli scritti gramsciani, improntati a una lettura ideologica della storia italiana in chiave rigorosamente marxista.

    Pannunzio, schierandosi in difesa dei valori del Risorgimento, dimostrava, implicitamente ed esplicitamente, di rifiutare la «vulgata» marxista. Divenne perciò naturale l’incontro con Giovanni Spadolini collaboratore del Mondo di Pannunzio anche su temi riguardanti il Risorgimento e non solo la storia contemporanea, perché in Spadolini, che rivalutò la figura di Gobetti, vibrava una passione risorgimentale autentica e profonda. Così come divenne scontata la collaborazione al giornale pannunziano di Rosario Romeo, ostile, per usare un’espressione di Renzo De Felice, «ad ogni via breve escogitata per eludere i problemi» della storiografia risorgimentale.

    E va ricordato come Romeo, cresciuto alla scuola di Volpe e di Chabod, proprio sul terreno della storia economica abbia aperto una discussione critica nei confronti delle tesi gramsciane, considerate fino ad allora parametri valutativi intoccabili, dimostrando come esse fossero più ideologiche che storiche.

    Mi ha piacevolmente sorpreso in questi giorni, in cui si celebra il centenario della nascita di Pannunzio, leggere quanto ha scritto Eugenio Scalfari che ha sempre considerato un liberal e non un liberale Pannunzio: «Quanto al pensiero egli fu sostanzialmente limpido e in linea con il liberalismo europeo ereditato dall’Ottocento. Guizot, Tocqueville, Benjamin Costant in Francia, i liberali inglesi di Gladstone, la Lega antiprotezionista di Cobden e tutta la tradizione riformista anglosassone. Qui da noi a capo del filo c’era il Conte di Cavour e poi la Destra storica con Marco Minghetti e Silvio Spaventa in particolare: libero commercio, libero mercato, ma anche regole che combattessero i monopoli, ripartissero equamente il reddito, impedissero privilegi, garantissero eguaglianza delle condizioni di partenza e tenessero aperto l’accesso al mercato».

    In effetti si tratta della cultura politica e delle scelte economiche che lo statista piemontese realizzò non solo per rafforzare e modernizzare il Piemonte sabaudo, ma anche per creare le premesse di un’Italia liberale che la sua morte improvvisa nel 1861 impedì che si realizzasse, se non con molto ritardo, nell’età giolittiana, quando lo statista di Dronero si rivelò il vero e l’unico erede del Conte.
    Tra Pannunzio e Cavour (nati a cent’anni di distanza) c’era una vicinanza ideale profonda e a legarli fu in particolare il comune interesse per Tocqueville, nemico del giacobinismo, attento scopritore della democrazia americana, vigile profeta dei pericoli illiberali di una democrazia incapace di mitigare le spinte egualitarie con la passione per la libertà e con il rispetto dei diritti delle minoranze. La democrazia liberale e laica – opposta a quella fondata sui miti rivoluzionari che fecero degenerare la Grande Rivoluzione nel sangue e nel fanatismo – era il tratto comune che univa il pensatore francese, lo statista italiano e Pannunzio il quale ebbe anche momenti di forte passione illuminista, come osservò Alberto Ronchey, anche se il percorso pannunziano nel suo insieme è quello di un liberale autentico che finì di spezzare ogni rapporto con chi privilegiò l’eguaglianza rispetto alla libertà. In effetti in Pannunzio c’era un forte richiamo ad alcuni valori che accomunarono Tocqueville e Cavour. Non si comprenderebbe, ad esempio, il forte impegno laico di Pannunzio senza il richiamo al separatismo tra Stato e Chiesa voluto da Cavour come base dello Stato unitario nato dal Risorgimento, a cui aveva posto fine il Concordato del 1929, accolto nella Costituzione dall’articolo 7 votato da democristiani e comunisti.
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    Predefinito Rif: Destra Storica

    Fini, il nuovo Cavour | LSDmagazine

    La politica presenta sempre grandi sorprese. Ma come diceva spesso Benedetto Croce: “solo i cretini non cambiano mai idea”. Gianfranco Fini fu eletto Segretario Nazionale del MSI-DN (Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale) nel 1987, allor quando l’ormai ammalato Giorgio Almirante dovette dimettersi e a furor di popolo (missino ovviamente) indicare il suo erede. Almirante tra le lacrime indicò il giovane Gianfranco Fini non ancora quarant’enne e gli consigliò di non mettersi mai in contrasto con il suo Vice Segretario Vicario Giuseppe Tatarella altrimenti non avrebbe vinto. I candidati alla Segreteria furono quattro e cioè Domenico Mennitti per l’ala liberale (largamente minoritaria), Pino Rauti per la corrente sociale e Giorgio Pisanò di “Fascismo e Libertà” corrente di pensiero nell’ambito del MSI-DN. Fini fu eletto a maggioranza con l’appoggio determinante di Tatarella. Nel 1988 morirono quasi contemporaneamente i due leader storici Giorgio Almirante e Pino Romualdi. Il MSI-DN sembrava destinato a morire con la caduta del Muro di Berlino allo stesso modo del PCI, infatti alla elezioni amministrative del 1990 ebbero entrambi un crollo dei consensi.

    Fini fu costretto a dimettersi, e la Direzione Nazionale elesse al suo posto il principale antagonista Pino Rauti. Ma anch’egli non durò molto. Dopo l’ulteriore riduzione dei consensi alle politiche del 1992, Rauti si dimise e la Direzione Nazionale ri-elesse Gianfranco Fini in pieno periodo di tangentopoli.

    Fini ed il MSI-DN erano anti-americani, filo palestinesi, favorevoli alla pena di morte ed alle leggi speciali, contrari all’economia di mercato e favorevoli al protezionismo, all’autarchia ed al corporativismo. Non nascondevano simpatie in favore dei regimi politici dittatoriali e militari.

    Con il 1993 si aprì un dibattito fondamentale a livello politico. Lo scandalo mediatico e giudiziario di Tangentopoli stava mandando in malora tutti i partiti dell’area governativa dal PLI al PSI. Quelli che sembravano i vincitori dopo il crollo del “Muro di Berlino” in realtà rischiavano di essere schiacciati dal peso della voglia generalizzata di rinnovamento politico. I partiti vincenti usciti da Tangentopoli furono quelli che nel 1990 sembravano irrimediabilmente schiacciati dalle loro nostalgie: il MSI-DN ed il PCI diventato nel frattempo PDS.

    Gianfranco Fini colse l’occasione. Molti pensatori che si rifacevano alle idee liberali e liberiste suggerirono al MSI-DN di uscire dal ghetto e di procedere verso un’idea di Destra più liberale e moderna sullo stile del Partito Repubblicano USA, dei Tory anglo-sassoni, del partito Gaullista francese il RPR (oggi UMP) e di fare da sponda con quella parte del movimento di pensiero liberale che si rifaceva a Luigi Einaudi, a Giovanni Giolitti, al Conte di Cavour ecc. L’idea di Alleanza Nazionale, peraltro nome storico ed anti-fascista caro a Benedetto Croce, venne a Vittorio Feltri, sostenuta da Marcello Veneziani, dal prof.Domenico Fisichella e da Pinuccio Tatarella.

    Molti liberali la considerarono come un cambio di maglietta ma sostanzialmente nulla mutava. In tal senso si pronunciarono Raffaele Costa, nel frattempo diventato Segretario Nazionale del PLI, Giordano Bruno Guerri e molti altri liberali doc.

    Lo sparti-acque fu l’elezione amministrativa dell’autunno 1993, quando Gianfranco Fini a Roma ed Alessandra Mussolini a Napoli superarono i candidati centristi ed andarono al ballottaggio con quelli della sinistra (Rutelli e Bassolino), cosa analoga avvenne a Milano con la vittoria del leghista Formentini ed a Taranto con Giancarlo Cito.

    Costituita Alleanza Nazionale che, inizialmente, avrebbe dovuto essere un “ressemblement” alla quale aderirono esponenti della destra democristiana (Publio Fiori, Gustavo Selva, ecc.) e della destra liberale (Baslini, Fisichella ecc.) e repubblicana (Gargani e Castagnetti), ci fu l’alleanza nell’Italia centro-meridionale con il Polo del Buongoverno (evidente il richiamo a Luigi Einaudi). Al nord Alleanza Nazionale-MSI-Dn si presentò autonoma dal Polo delle Libertà per l’opposizione della Lega Nord e della Lista Pannella (questi si presentarono nell’Italia centro-meridionale con candidati contrapposti al Buongoverno).

    Nel gennaio 1995 il Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale confluì in Alleanza Nazionale e chiuse la propria attività. Rauti, Pisanò ed altri costituirono un nuovo soggetto Movimento Sociale-Fiamma Tricolore.

    Da allora Gianfranco Fini ha dapprima dichiarato di ispirarsi anche a Croce ed Einaudi, a De Gasperi e perfino a Gramsci. Successivamente ha cessato la posizione anti-israeliana del vecchio MSI, e, da Ministro degli Esteri, si è recato in Israele e dichiarato che le leggi razziali del 1936-38 furono “il male assoluto”, e sostenendo che il fascismo era stato un “errore”. Nel 2005-2006 in contrapposizione con le posizioni agnostiche e indecifrabili del Centro-Destra si dichiarava favorevole ai Referendum abrogativi delle norme che limitavano la conservazione e la ricerca sulle cellule staminali nonché quelle che limitavano la fecondazione artificiale. Generando sempre grandi polemiche.

    Infatti, dopo la visita in Israele Alessandra Mussolini e Teodoro Buontempo rompono con AN e costituiscono Alternativa Sociale. Dopo le esternazioni sui referendum, riceve la “scomunica” da Camillo Ruini e da buona parte di AN e la scissione di Domenico Fisichella (forse su ordine del fratello cardinale) e del suo antico portavoce e braccio destro Storace e da Daniela Santanché ed altri che costituirono “la Destra”.

    Da allora i mal di pancia in Alleanza Nazionale sono stati molti (si pensi ad Alfredo Mantovano) per quella posizione personale dichiarata e non gradita da Camillo Ruini.

    Come non chiedersi, statistiche alla mano relative al numero di separazioni e divorzi, al numero degli aborti, alle vendite e prescrizioni di anticoncezionali, al ricorso alla fecondazione assistita e alla necessità di curare alcune malattie, se il cattolico in Italia si senta realisticamente e non ipocritamente rappresentato dalle posizioni talvolta oscurantiste in materia assunte dallo Stato del Vaticano (autonomo rispetto sia all’Italia che all’Unione Europea).

    Oggi, il Presidente della Camera dichiara la sua laicità e l’inaccettabilità di una ingerenza fortissima delle gerarchie vaticane sul Parlamento e chiede ai Partiti di Centro-Destra e di Centro-Sinistra di non farsi troppo condizionare dalle pressioni esterne al Parlamento e di perseguire i soli interessi degli Italiani. Non l’avesse mai fatto.

    Fini ritorna finalmente al padre della patria Camillo Benso Conte di Cavour: “Libera chiesa in libero Stato”. Gianfranco Fini è il nuovo leader della Destra Liberale e Storica che in Italia mancava oramai dal 1922 e dal Concordato del 1929. Non bisogna tornare al “sillabo” ma avere una Destra moderna.
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    Predefinito Rif: Destra Storica

    Fini e Cavour sono personaggi diversi. Fini oltre ad essere stato un'ombra che non ha influito molto sui vari governi ha cominciato ad esprimere una politica sua diversa da Berlusconi ad un'età nella quale Cavour era già morto e sepolto.
    In compenso Fini ha più scrupoli e dignità di Cavour.

    Te lo immagini Fini parlare in francese e dare lezioni d'italianità agli altri?
    Te lo immagini Fini far morire migliaia di persone non "per sedere al tavolo della pace e guadagnarci qualcosa" ma semplicemente per "attirare l'attenzione"?

    Da notare che Cavour ha avuto la "fortuna" di morire prima che ci fossero crisi interne, altrimenti il suo nome sarebbe associato con tasse "comuniste" come quella sul macinato e con l'imposizione di un modello di stato che regola la vita del cittadino dalla culla alla bara, e inoltre l'attacco materiale contro il rappresentante di Dio in terra.

    In ogni caso destra storica = fascismo radical chic voluto dagli inglesi. Se gli americani ricostruendo l'Italia dalle ceneri della guerra mondiale hanno deciso di far "risorgere" la Chiesa che durante le guerre mondiali non aveva nessuna autorità, ci sarà un motivo!

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    Predefinito Rif: Destra Storica

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    Fini e Cavour sono personaggi diversi. Fini oltre ad essere stato un'ombra che non ha influito molto sui vari governi ha cominciato ad esprimere una politica sua diversa da Berlusconi ad un'età nella quale Cavour era già morto e sepolto.
    In compenso Fini ha più scrupoli e dignità di Cavour.

    Te lo immagini Fini parlare in francese e dare lezioni d'italianità agli altri?
    Te lo immagini Fini far morire migliaia di persone non "per sedere al tavolo della pace e guadagnarci qualcosa" ma semplicemente per "attirare l'attenzione"?

    Da notare che Cavour ha avuto la "fortuna" di morire prima che ci fossero crisi interne, altrimenti il suo nome sarebbe associato con tasse "comuniste" come quella sul macinato e con l'imposizione di un modello di stato che regola la vita del cittadino dalla culla alla bara, e inoltre l'attacco materiale contro il rappresentante di Dio in terra.

    In ogni caso destra storica = fascismo radical chic voluto dagli inglesi. Se gli americani ricostruendo l'Italia dalle ceneri della guerra mondiale hanno deciso di far "risorgere" la Chiesa che durante le guerre mondiali non aveva nessuna autorità, ci sarà un motivo!
    Perfetta sintesi di cinismo e conoscenza dei fatti.

 

 

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