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    Predefinito Rif: L'ascesa dei Red Tories



    David Cameron "rivoluzionario" sulla copertina dello Spectator.
    Ultima modifica di Florian; 13-05-10 alle 19:47

  2. #12
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    Predefinito Rif: L'ascesa dei Red Tories

    “We are today the radicals”. Cameron reinterpreta il codice genetico dei conservatori

    Libertiamo, 12 aprile 2010


    La missione, è, brutalmente, questa qui: catapultare i conservatori al governo coi voti dei progressisti. David Cameron, leader dei Tory britannici, ci prova. A interrompere tredici anni di dominio laburista. A riscrivere il codice genetico di un partito, il suo, ereditato con le lancette ferme alla fine degli anni ’80, a contemplare le reliquie politiche della rivoluzione tatcheriana. Come se nel frattempo Blair non fosse esistito, la City londinese non fosse diventata il centro della finanza europea e Roman Abramovich non avesse comprato il Chelsea.

    E’ vero, Cameron vuole vincere le elezioni del 6 maggio. E ci mancherebbe altro. Ma sa che può farlo solo con un proposta politica originale, solida nei contenuti quanto spregiudicata nel messaggio. Ci lavora da 5 anni, dal giorno in cui è succeduto a Michael Howard alla guida dei Conservatives. Oggi sfida un Gordon Brown afasico e annebbiato dalla crisi economica, e qualche giorno fa ha consegnato a un giornale avversario, il Guardian, la sintesi del nuovo profilo “radicale” dei conservatori.

    “There has been a strange reversal in British politics. Labour have become a reactionary force while the Conservatives are today the radicals. Gordon Brown heaps taxes on the poor, blocks plans to improve gender equality, allows rape crisis centres and special schools to shut. He echoes the far right in demanding “British jobs for British workers”, then plays to the far left in reigniting class warfare”.

    Qualcuno li ha anche definiti “Red Tories”, per il tentativo di metabolizzare dieci anni di laburismo blairiano svuotando i laburisti, per l’attenzione alle comunità locali, agli agenti intermedi della società, alla “realità” dell’economia. Rossi, ma sempre Tory, se è vero che il core del nuovo alfabeto conservatore resta l’anatema contro lo statalismo, la delucidazione contro intuitiva dell’antisocialità della spesa pubblica (”We will ask the review to consider how to introduce a pay multiple so that no public sector worker can earn over 20 times more than the lowest paid person in their organisation”) e la fiducia nelle persone.

    “Now consider our party. As Conservatives, we trust people – which is why we are now the party of progress. Our policies are radical, our manifesto based on redistributing power from the centre, in politics and public services. Who can honestly say the Big Government approach is working, when inequality is rising and social mobility is stalled? Our solution is to use the state to remake society – to build the Big Society, enabling people to come together to drive progress.”

    La Big Society contrapposta al Big Government. E qui Cameron marca le distanze tanto da Brown quanto dalla Tatcher. Famigerata una frase della Lady di ferro a proposito della società (“La vera società non esiste: ci sono uomini e donne, e le famiglie”). Ma ciò che non serviva alla Tatcher (la società, appunto), è oggi fondamentale nella narrazione politica del partito conservatore post – Blair. Se la politica è dinamica, e gli individui e le società lo sono addirittura in misura maggiore, la sintesi culturale e la prolusione programmatica di un leader politico moderno non possono non tener conto dei mutamenti intercorsi, delle sensibilità maturate, del fatto che in un paese civile le riforme e i cambiamenti non sono palingenetici ma incrementali. E che non ha senso rinchiudersi nel pantheon di famiglia a rimirare fasti del passato mentre il mondo viaggia spedito verso il futuro.

    Di Cameron, forse, è apprezzabile più lo sforzo a costruire un contenuto politico che il contenuto stesso. La sfida di questo quarantenne leader londinese, semi aristocratico e popolare, umanamente simpatetico e mediaticamente sbarazzino, è la sfida per tracciare la frontiera della destra europea dei prossimi 15 anni. Noi di Libertiamo, nel nostro piccolo, ci stiamo e la raccogliamo. Perciò subito dopo le elezioni voleremo a Londra per discuterne con gli animatori di BrightBlue, il think tank conservatore presentato qualche settimana fa proprio da Cameron, con l’obiettivo di rilanciare insieme a loro una fase costituente anche nel centro destra italiano. Nel frattempo, ne siamo sicuri, i Tories, forse anche grazie ai LibDem dell’intraprendente Nick Clegg, avranno dimissionato il governo Brown e gli ultimi tredici anni di laburismo al potere.


    “We are today the radicalsâ€. Cameron reinterpreta il codice genetico dei conservatori | Libertiamo.it

  3. #13
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    Predefinito Rif: L'ascesa dei Red Tories

    Conservatori "rossi". Involuzione a destra

    di Alberto Mingardi

    Il Riformista, 22 febbraio 2009

    Sembrava essersi compiuta un'evoluzione, a sinistra: ora abbiamo davanti un'involuzione della destra


    Nei gorghi della crisi, c'è un sottobosco ideologico che assapora il piacere della rivincita. Sull'ultimo numero di Prospect, rivista chic dell'establishment britannico, Phillip Blond ha lanciato la provocazione di un "red Tory movement". Battitore libero all'interno del think-tank Demos, Blond suggerisce a David Cameron una ricetta ideologica più tremontiana che thatcheriana, nel segno di una discontinuità forte prima ancora che con la sinistra, col sempre incombente fantasma della Lady di ferro. Blond è un teologo, formatosi fra Warwick e Cambridge, e fino a due mesi fa un personaggio di dignitoso secondo piano, nel magmatico universo culturale conservatore. Per balzare all'onore delle cronache, ha raccolto il testimone dell'autore de La paura e la speranza. Solo che mentre Tremonti affondava il coltello nella carne tremula di un liberismo improvvisato e posticcio, vissuto e pensato come un sistema di idee compiuto e coerente da una minoranza risicata nel centro-destra italiano, Blond si intesta ben altro nemico.

    Quando Margaret Thatcher finì per un caso della storia alla guida del partito conservatore, fu l'inizio di un fecondo terremoto ideologico. I Tory non erano mai stati il partito dell'economia di mercato. Erano il partito della terra e dell'aristocrazia, contro i Whig che tenevano per il commercio e le libertà. Patirono l'abolizione degli istituti feudali e l'ascesa della borghesia. Si trovarono brevemente dalla parte della società, contro lo Stato, quando, a fine Ottocento, i liberali cominciarono a scendere le scale verso il socialismo, piantando i semi del futuro welfare state. Nel secondo dopoguerra, da Churchill in poi, ebbero poco da ridire sull'inesorabile espansione dell'intervento pubblico, che fece dell'Inghilterra il Paese più "rosso" dell'Occidente. L'arrivo della Thatcher, e con lei di un gruppo dirigente ideologicamente votato allo smantellamento di quel poco e quel tanto di socialismo che aveva tarantolato le fondamenta del sistema inglese, fu a tutti gli effetti una rivoluzione. Finalmente, un leader politico di prima grandezza metteva nel mirino un programma di profondo cambiamento sociale, pensando di realizzarlo non con, ma contro lo Stato.

    Il cambiamento profondo c'è stato. È stata la trasformazione dell'Inghilterra in una ownership society, la finanziarizzazione diffusa, il coinvolgimento delle masse nella difesa attiva di una proprietà e di un capitalismo che non erano più altro da loro: ma parte della loro vita, il carro cui gioiosamente aggiogavano le proprie prospettive di crescita e benessere. Arricchitevi, moltiplicatevi.

    Questo messaggio di surreale semplicità è stato la leva che ha reso possibile un'apertura mai sperimentata prima nelle nostre società. Un investimento consapevole sulle libertà economiche, ma anche sul contatto con l'altro, sull'incontro col diverso, che pure con le libertà economiche hanno molto a che fare. L'eroe del romanzo liberista è il mercante, non il guerriero. «Eppure io non so chi sia più utile a uno Stato, se un signore bene incipriato che sa con precisione a che ora il re si alza e a che ora si corica, e che si dà arie di grandezza facendo la parte dello schiavo nell'anticamera di un ministro, oppure un commerciante che arricchisce il proprio paese, impartisce dal proprio banco ordini a Surat e al Cairo, e contribuisce al benessere del mondo». È Voltaire, che nelle sue Lettres anglaises alza preci al commercio che arricchisce i cittadini. Questa ipotesi d'eroismo borghese, questo orgoglio del fare la Thatcher portava in campo conservatore. Non a caso era la figlia di un droghiere a sancire anche una "cesura di classe" col Toryism dei grandi collegi e dei cognomi blasonati.

    David Cameron, etoniano, è ancora un leader in cerca d'autore. E nella sua strepitosa abilità di camminare sulle uova, impeccabile com'è nel non lasciarsi sfuggire lo spiffero di un'idea, ha silenziosamente soffiato sul fuoco appiccato da Blond. Azzardiamo: per vedere l'effetto che fa. La proposta di Blond ha seminato paura fra le fila avversarie, facendosi riprendere e commentare sul New Statesman. Che suggerisce di nuovo? Nulla, è un ritorno al passato. Il teologo Blond fa variazioni sul tema di una antica osservazione di Carlo Marx. Lo scambio «non si presenta in seno alle comunità naturali e spontanee, bensì là dove queste finiscono, ai loro confini, nei pochi punti in cui entrano in contatto con altre comunità. Qui ha inizio il commercio di scambio e da qui si ripercuote all'interno della comunità, con un'azione disgregatrice». I mercati per Blond sono «contro tutto ciò che il conservatorismo ha a cuore». Il liberale sostituisce allo Stato la società, al bene comune l'interesse individuale, alla religione pubblica la libertà d'opinione. E su questo terreno c'è un'inquietante saldatura, fra valori e fatti. Perché, una volta messo al centro l'individuo, una volta accordatogli l'inedito diritto di dragare a piacimento le frontiere, egli cambia, la sua storia non è più quella della comunità in cui è nato, apprende cose nuove, si mescola con gli altri, la sua cultura si fa porosa e si lascia permeare da idee e abitudini che erano estranee ai suoi padri. Il commercio gli conquista la libertà dal passato.

    Per Blond, ogni sintesi è posticcia. Non si può predicare "morali e mercato": l'appello alla coscienza del singolo, l'etica come orizzonte individuale, un conservatorismo dei comportamenti che si fa proposta da accogliere o rifiutare, è perdente. Perché esso può acquistare salienza solo se crea un senso di comunità, solo se reagisce allo spappolamento, solo se contesta «il consenso politico che è ormai liberale di destra in economia e liberale di sinistra nella cultura». Solo se riduce l'individuo a una nota a piè di pagina nella storia dei popoli.

    Descrivendo il New Labour, alcuni parlavano di un sospirato «innervamento della cultura liberale sul ceppo della cultura socialdemocratica». Quanto tempo è passato. Sembrava essersi compiuta un'evoluzione, a sinistra: ora abbiamo davanti un'involuzione della destra, che inevitabilmente porterà anche i suoi antagonisti politici a ripiegarsi su se stessi, a rispolverare pagine perdute, a rifugiarsi in un'utopia già sconfitta.
    Vediamo se si passerà dalle suggestioni alle politiche. Gli inglesi hanno forti anticorpi e la sbandata statalista di Brown rafforza chi fra i Tories non dimentica che, nella recessione dei primi anni Ottanta, la Thatcher fece manovre di riduzione della spesa. Negli Stati Uniti, sono bastate poche settimane di Obama a restituire smalto antistatalista ai repubblicani.

    Eppure, il ritorno di fiamma del comunitarismo di destra è un fenomeno da non trascurare. Le sue determinanti sono tante, e il tatticismo di Cameron non è fra queste. C'è la frustrazione degli intellettuali nei confronti del "mercatismo", poco incline a riservare loro lo scranno dei filosofi-re. E c'è la ricerca di un posto al sole da parte della destra dei valori, che costituisce parte importante dell'elettorato e che non ci sta più a giocare un ruolo da comprimario. Negli stessi movimenti che hanno sostenuto Margaret Thatcher e Ronald Reagan, hanno convissuto segmenti della società che erano la punta più avanzata e moderna dell'Occidente, e nostalgici di un mondo che fu. Non li teneva uniti l'insofferenza per l'establishment e per lo Stato, che virtuosamente si rifiutavano di piegare ai propri fini. Li tenevano uniti leader capaci di spiegare loro perché non si doveva prendere la scorciatoia statalista. Quei leader sono estinti.



    IBL - Conservatori "rossi". Involuzione a destra

  4. #14
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    Predefinito Rif: L'ascesa dei Red Tories

    Se il libertario Alberto Mingardi disprezza... il moderato David Brooks apprezza...

  5. #15
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    Predefinito Rif: L'ascesa dei Red Tories

    The Broken Society

    di David Brooks

    New York Times, March 18, 2010


    The United States is becoming a broken society. The public has contempt for the political class. Public debt is piling up at an astonishing and unrelenting pace. Middle-class wages have lagged. Unemployment will remain high. It will take years to fully recover from the financial crisis.

    This confluence of crises has produced a surge in vehement libertarianism. People are disgusted with Washington. The Tea Party movement rallies against big government, big business and the ruling class in general. Even beyond their ranks, there is a corrosive cynicism about public action.

    But there is another way to respond to these problems that is more communitarian and less libertarian. This alternative has been explored most fully by the British writer Phillip Blond.

    He grew up in working-class Liverpool. “I lived in the city when it was being eviscerated,” he told The New Statesman. “It was a beautiful city, one of the few in Britain to have a genuinely indigenous culture. And that whole way of life was destroyed.” Industry died. Political power was centralized in London.

    Blond argues that over the past generation we have witnessed two revolutions, both of which liberated the individual and decimated local associations. First, there was a revolution from the left: a cultural revolution that displaced traditional manners and mores; a legal revolution that emphasized individual rights instead of responsibilities; a welfare revolution in which social workers displaced mutual aid societies and self-organized associations.

    Then there was the market revolution from the right. In the age of deregulation, giant chains like Wal-Mart decimated local shop owners. Global financial markets took over small banks, so that the local knowledge of a town banker was replaced by a manic herd of traders thousands of miles away. Unions withered.

    The two revolutions talked the language of individual freedom, but they perversely ended up creating greater centralization. They created an atomized, segmented society and then the state had to come in and attempt to repair the damage.

    The free-market revolution didn’t create the pluralistic decentralized economy. It created a centralized financial monoculture, which requires a gigantic government to audit its activities. The effort to liberate individuals from repressive social constraints didn’t produce a flowering of freedom; it weakened families, increased out-of-wedlock births and turned neighbors into strangers. In Britain, you get a country with rising crime, and, as a result, four million security cameras.

    In a much-discussed essay in Prospect magazine in February 2009, Blond wrote, “Look at the society we have become: We are a bi-polar nation, a bureaucratic, centralised state that presides dysfunctionally over an increasingly fragmented, disempowered and isolated citizenry.” In a separate essay, he added, “The welfare state and the market state are now two defunct and mutually supporting failures.”

    The task today, he argued in a recent speech, is to revive the sector that the two revolutions have mutually decimated: “The project of radical transformative conservatism is nothing less than the restoration and creation of human association, and the elevation of society and the people who form it to their proper central and sovereign station.”

    Economically, Blond lays out three big areas of reform: remoralize the market, relocalize the economy and recapitalize the poor. This would mean passing zoning legislation to give small shopkeepers a shot against the retail giants, reducing barriers to entry for new businesses, revitalizing local banks, encouraging employee share ownership, setting up local capital funds so community associations could invest in local enterprises, rewarding savings, cutting regulations that socialize risk and privatize profit, and reducing the subsidies that flow from big government and big business.

    To create a civil state, Blond would reduce the power of senior government officials and widen the discretion of front-line civil servants, the people actually working in neighborhoods. He would decentralize power, giving more budget authority to the smallest units of government. He would funnel more services through charities. He would increase investments in infrastructure, so that more places could be vibrant economic hubs. He would rebuild the “village college” so that universities would be more intertwined with the towns around them.

    Essentially, Blond would take a political culture that has been oriented around individual choice and replace it with one oriented around relationships and associations. His ideas have made a big splash in Britain over the past year. His think tank, ResPublica, is influential with the Conservative Party. His book, “Red Tory,” is coming out soon. He’s on a small U.S. speaking tour, appearing at Georgetown’s Tocqueville Forum Friday and at Villanova on Monday.

    Britain is always going to be more hospitable to communitarian politics than the more libertarian U.S. But people are social creatures here, too. American society has been atomized by the twin revolutions here, too. This country, too, needs a fresh political wind. America, too, is suffering a devastating crisis of authority. The only way to restore trust is from the local community on up.


    Op-Ed Columnist - The Broken Society - NYTimes.com
    Ultima modifica di Florian; 13-05-10 alle 19:59

  6. #16
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    Predefinito Rif: L'ascesa dei Red Tories

    Citazione Originariamente Scritto da Manfr Visualizza Messaggio
    Il red Toryism è stato a lungo mainstream, dominante, nel Partito Conservatore canadese, che non a caso si chiamava Partito dei Conservatori Progressisti !
    Già. Ed è inutile dire che era mainstream anche e soprattutto all'interno del Partico Conservatore britannico che ancora nel primo Novecento si batteva contro il libero mercato degli avversari liberali... :sofico:

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    Predefinito Rif: L'ascesa dei Red Tories

    attenti a non tornare ad adamo ed Eva. io sono il primo criticare la macelleria sociale della Thatcher, ma tornare allo statalismo sarebbe una sciagura
    Ultima modifica di Florian; 13-05-10 alle 20:47

  8. #18
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    Predefinito Rif: *** DOSSIER / L'ascesa dei Red Tories ***

    Socialista? No... conservatore!




    "Una vittima del libero mercato" in un manifesto del Conservative Party del 1909
    Ultima modifica di Florian; 13-05-10 alle 20:46

  9. #19
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    Predefinito Rif: L'ascesa dei Red Tories

    Citazione Originariamente Scritto da benfy Visualizza Messaggio
    attenti a non tornare ad adamo ed Eva. io sono il primo criticare la macelleria sociale della Thatcher, ma tornare allo statalismo sarebbe una sciagura
    Macelleria sociale della Thatcher? Blair è stato peggio, perchè ha unito libertarismo economico a libertarismo sociale realizzando quella "broken society" di cui parlano Blond e Brooks.

    Il Red Toryism è il contrario dello statalismo. E' invece un ritorno a politiche di decentramento, ad una società più a misura d'uomo. Non a caso Blond è cattolico e la sua visione dell'Inghilterra è quella di Chesterton e di Eliot. Il nome del suo think Thank, ResPublica, si rifà esplicitamente a Ratzinger...

  10. #20
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    Predefinito Rif: L'ascesa dei Red Tories

    ma per piacere evito di farti l'elenco degli ospedali pubblici nuovi realizzati e degli investimenti pubblici nel welfare e nella scuola pubblica per carità di patria

 

 
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