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    STORIA E INDIRIZZI DEL CONSERVATORISMO POLITICO
    SECONDO LA DOTTRINA DEI PARTITI DI STAHL


    di Giovanni Bonacina

    Rivista Storica Italiana, a. CXV, 2003, II





    Non mi scaglio contro l'entusiasmo, al mondo non c'è troppo entusiasmo,
    bensì troppo poco e troppa freddezza del cuore.
    Se cerco di distruggere i falsi ideali non è in favore di una torbida rassegnazione,
    ma per mettere al loro posto il vero ideale.
    Il fuoco di paglia scintillante di una falsa ispirazione dovrà ritirarsi,
    prima che il calore permanente di un'ispirazione autentica possa guadagnare terreno.
    Le parole della follia dovranno essere lasciate, affinché le parole della fede mettano radici.


    Friedrich Julius Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und Kirche, p. 70




    1. A Berlino fra politica e filosofìa dopo il 1848

    Friedrich Julius Stahl (1802-1861) tenne lezione sui partiti politici ed ecclesiastici, presso la facoltà di giurisprudenza dell'università di Berlino, per cinque volte fra il semestre invernale 1850/51 e il semestre invernale 1856/57. Il manoscritto destinato alle lezioni, pubblicato postumo nel 1863, poi di nuovo nel 1868, costituisce insieme ai capitoli aggiuntivi della terza edizione della Filosofia del diritto (1854-56) e alle raccolte dei discorsi parlamentari (1850, 1856, 1862) il prodotto più originale della riflessione dell'autore dopo il 1848 (1). Quei corsi sono alla base delle sue opere nell'ultimo decennio, rappresentano il massimo suo sforzo di applicare alle mutate condizioni tedesche ed europee la dottrina giuridica e politica maturata in lui durante la Restaurazione. Stahl era all'apice della carriera, deputato alla Prima Camera prussiana (poi Herrenhaus), capo riconosciuto della frazione conservatrice e membro del sinodo della Chiesa evangelica. Professore venuto dalla Baviera, di origine israelitica, stimato da Federico Guglielmo IV, ma a lungo guardato con sospetto nei circoli politici dell'aristocrazia, molto era cambiato nella sua vita rispetto ai primi anni berlinesi; ormai lontano, in università, il ricordo dell'autunno 1840, la contestazione da parte degli studenti hegeliani, le prime lezioni sulla cattedra del defunto Eduard Gans disturbate da schiamazzi (2). Un uditorio numeroso e altolocato pendeva ora dalle sue labbra, avvinto dalla sua eloquenza, da quell'afflato quasi profetico che sembrava venirgli dagli antenati del suo popolo (3).

    Il fascino stava però nella materia, incandescente e attualissima. Stahl la svolgeva con competenza e lucidità fin lì senza pari. Prima di lui, in area tedesca, ne avevano trattato Carl von Rotteck da un punto di vista liberale, in una voce del celebre Staatslexikon, poi Friedrich Rohmer da un punto di vista più conservatore, in un'opera intitolata Die Vier Parteien (1844), apparsa non per caso a Zurigo, laboratorio dell'imminente sconquasso europeo (4). Ma i due avevano proceduto secondo criteri astratti, superati dopo il 1848. Solo due grandi partiti, partito del movimento e partito della resistenza, per Rotteck. Quattro grandi partiti, in corrispondenza di altrettante età dell'uomo, per Rohmen radicalismo, liberalismo, conservatorismo e assolutismo, associati rispettivamente a infanzia, giovinezza, maturità e vecchiaia (5). Al contrario, in Stahl, lo schematismo della classificazione è corretto da una maggiore profondità di analisi storica e dottrinale. L'opposizione fondamentale, rivoluzione contro legittimità, si articola in una varietà di posizioni distinte con cura. Liberalismo, democrazia e socialismo crescono via via l'uno dall'altro con segreta coerenza, ma nessuno può dirsi soppiantato: ciascuno custodisce una verità e un'istanza giustificate, a dispetto del comune principio rivoluzionario (6). A sua volta la legittimità conosce differenti sfumature in base a epoche e nazioni, deve fare concessioni allo spirito del tempo, nonostante la superiore verità e antichità del suo principio. Sullo sfondo è anche il legame fra politica e religione, l'idea che quei partiti affondino radici nella storia della Chiesa, addirittura che la loro antitesi sia di ordine teologico: fede contro incredulità. Si tratta di verificare la corrispondenza tra riforma religiosa e rivoluzione politica, tra costituzioni statali e costituzioni ecclesiastiche.

    Qui non sarà possibile seguire Stahl nello svolgimento di tutta questa materia, che lo affaticò per l'intero arco della vita e mai giunse a una sistemazione definitiva, soprattutto per la parte attinente all'ordinamento della Chiesa. Sintesi di quest'attività sono le lezioni berlinesi sui partiti. I motivi centrali della sua riflessione, risalenti alla giovinezza, sono illustrati con acume insuperato nella biografia a lui dedicata nel 1930 da Gerhard Masur, allievo di Meinecke, come Stahl un ebreo convertito e di orientamento politico conservatore, interessato a illustrare in quella vita un esempio di riuscita integrazione ebraica nell'esistenza nazionale tedesca (7). Significativamente il secondo volume dell'opera, già preannunciato, non vide mai la luce: il racconto si ferma sul più bello, al momento della chiamata di Stahl a Berlino. Di lì a poco, nel 1936, Masur sarà esule in Colombia, mentre in Germania il giurista nazista Carl Schmitt proferirà contro il giurista ebreo Stahl-Jolsen un'odiosa damnatio memoriae. In anni a noi più vicini l'opera migliore su Stahl si deve a Wilhelm Fussl, capace di proseguire il lavoro di Masur sui manoscritti fino alla rivoluzione del 1848 e oltre (9). Si tratta di un'opera dedicata a Stahl come uomo politico, ricca di spunti circa le grandi idee direttive della sua azione, ma che non completa l'indagine avviata da Masur attraverso le opere, ispirate a motivi non solo politici, ma anche religiosi e filosofici.

    Lavoro rimane perciò ancora da svolgere, soprattutto nel senso della disamina cronologica degli scritti. Ciò vale anche per la dottrina dei partiti, in particolare per la dottrina e gli autori del conservatorismo politico, o partito della legittimità, com'è chiamato nelle lezioni berlinesi, oggetto di studi preparatori fin dalla prima edizione della Filosofìa del diritto (1830-37) (10). Se Stahl è l'ultimo esponente della filosofia politica della Restaurazione, come di solito si assume, sarà attraverso di lui che si potrà misurare il massimo di autoconsapevolezza che quella filosofia raggiunse prima di piegarsi sotto l'avanzare di una nuova epoca (11).



    Note al Capitolo 1:


    (1) EJ. Stahl, Die gegenwortigen Parteien in Staat und Kirche. Neunundzwanzig akademische Vorlesungen, Berlin, Hertz, 1863. Titolo originale del corso: De doctrina et indole partium, quae nunc in repubhca et ecclesia exstant.

    (2) Sulla vivace contestazione studentesca (ne scrissero anche i giornali) danno notizia una lettera di Julie Stahl, con le parole indirizzate dal marito agli studenti e con un'aggiunta autografa di lui (9 dicembre 1840, a Frau Pfeiffer), e una lettera di Stahl (1° gennaio 1841, a Rudolph Wagner), rinfrancato, ma che parla di un «significativo odio» incontrato a Berlino, cfr. O.K.F. Koglin, Die Briefe Friedrich Julius Stahls, Kiel, Inaugural-Dissertation, 1975, pp. 235-43 (tuttora la raccolta più completa dell'epistolario).
    Sulla solitudine politica di Stahl fino alla rivoluzione, cfr. EJ. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und Kirche, cit, p. 330: «Prima del 1848 me ne stavo piuttosto isolato con la mia veduta [...]. Ora si può ben dire che essa sia il programma della destra parlamentare in Prussia». Più eloquente il ricordo personale di Leopold von Gerlach, membro dell'aristocrazia, vicinissimo al re: «Nel 1847 i deputati della destra, come già allora si chiamava, si radunavano spesso da Vofi [Karl Otto von Vofi-Buch, deputato alla dieta prussiana di quell'anno]. Quando la situazione si fece difficile, Thadden portò un giorno Stahl in mezzo a questo consesso, ma la cosa parve a Vofi inopportuna; così preminente era a quell'epoca l'elemento standisch. Poi vennero le Camere e il medesimo Stahl divenne il deputato di maggior spicco», cfr. Denkwiirdigkeiten aus dem Leben Leopold von Gerlachs Generals der Infanterie und General-Adjutanten Kónig Friedrich Wilhelms IV. Nach seinen Aufzeichnungen herausgegeben von seiner Tochter, Berlin, Hertz, 1891-92, II, p. 15 (nota del 27 febbraio 1853). Il mutamento di forze interno alla destra impressionava anche gli avversari politici: «Stahl lo odiamo, è un nemico pericoloso; Gerlach [Ludwig von Gerlach, fratello minore di Leopold, pubblicista e politico conservatore] è barocco, ci diverte», ibidem.

    (3) J. Rodenberg, Erinnerungen aus der Jugendzeit, Berlin, Paetel, 1899, I, pp. 11718: «Si scorgeva in lui al primo sguardo l'origine semitica - piccolo, nero, infuocato, gli occhi ardenti, la mimica facciale in perenne movimento. Faceva lezione nell'auditorio massimo, alle ore serali del sabato, un'assemblea ragguardevole sedeva ai suoi piedi . Accanto ai giovani anche uomini dai capelli grigi, giuristi e teologi, alti funzionari statali, giudici; mischiate in questa massa, spalline di ufficiali di ogni grado. Il tema di quelle pubbliche lezioni suonava: 'Sui partiti odierni nello Stato e nella Chiesa'. Vi era in lui qualcosa di un profeta dell'Antico Testamento, il fuoco che sembrava divorarlo scaturiva senza pause in espressioni colme di passione».

    (4) C. Von Rotteck, Bewegungs-Partei und Widerstands- oder Stillstands-Partei, in Staatslexikon oder Eneydopàdie der Staatswissenschaften, Altona, Hammerich, 1834, I, pp. 558-65. L'articolo fu riprodotto con aggiunte, dopo la morte di Rotteck, anche nelle successive edizioni dello Staatslexikon, insieme a due nuove voci intitolate semplicemente Parteien (di Gottlieb Christian Abt nella seconda edizione, 1848, X, pp. 479-96; firmata G. nella terza edizione, 1864, XI, pp. 311-27, con numerosi prestiti da Stahl pur criticato).
    F. Rohmer, Lehre von den Politischen Parteien. Erster Theil Die Vier Parteien. Durch Theodor Rohmer, Zùrich-Frauenfeld, Peyel, 1844.

    (5) Rohmer mirava a un'alleanza fra conservatori e liberali contro il prevalere delle ali estreme, infantile e senile; sullo sfondo era l'esperimento di governo liberal-conservatore a Zurigo (1839-45), nato dalle agitazioni clericali contro il temuto arrivo di David Friedrich Straufi alla locale facoltà di teologia. Curiose le classificazioni: radicali sarebbero Lafayette e Rotteck; liberali Burke, il riformatore prussiano Stein e il tribuno irlandese O' Connell; conservatori Justus Mòser e lord Canning; assolutisti Carlo X e Polignac, cfr. E Rohmer, Lehre von den Politischen Parteien, cit., pp. 46, 129-30, 138, 201, 264, 315.
    Le idee di Rohmer saranno riprese dall'altro zurighese Johann Caspar Bluntschli alla voce Parteien, politische del suo lessico, pubblicato insieme a Karl Braten Deutsches Staats-Wórterbuch, Stuttgart-Leipzig, Expedition des Staats-Wòrterbuch, 1862, VII, pp. 717-47. Uno studio storico dei paruti politici, antichi e moderni, sarà tentato anche da Wilhelm Wachsmuth, Geschichte der politischen Parteiungen alter und neuer Zeit, Braunschweig, Schwetschke, 1853-56.

    (6) Sulle dottrine socialiste la principale fonte di Stahl è L. Von Stein, Der Soaalismi und Communismus des heutigen Frankreichs. Ein Beitrag zur Zeitgeschichte, Leipzig, Wigand, 1842 (cfr. EJ. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und fórche, cit., p. 216n.).

    (7) G. Masur, Friedrich Julius Stahl Geschichte seines Lebens. Aufstieg und Entfaltung 1802-1840, Berlin, Mittler, 1930. Il senso di partecipazione personale dell'autore è descritto nella postuma autobiografia, istruttiva e gradevole: Gerhard Masur, Dos ungewisse Herz. Berichte aus Berlin - iiber die Suche nach dem Freien. Mit einem Wegweiser von Wilmont Haacke, Holyoke, Massachusetts, Blenheim Publishing House, 1978. «Che cosa mi condusse a Stahl? Il fatto della sua origine ebraica, insieme alla sua capacità di farsi capo dei conservatori prussiani nonostante questo handicap. Mi sembrava che Stahl fosse una delle grandi figure nel movimento di assimilazione dell'ebraismo tedesco. Le sue debolezze non mi erano così chiare allora come oggi, ma per me era evidente che avevo a che fare qui con una materia che mi toccava di persona», ivi, p. 104.

    (8) Schluflwort des Reichsgruppenwalters Staatsrat Prof. Dr. Carl Schmitt, in Dos Judentum in der Rechtswissenschaft Ansprachen, Vortràge und Ergebnisse der Tagung der Reichsgruppe Hochschullehrer des NSRB. am 3. und 4. Oktober 1936. 1. Die deutsche Rechtswissenschaft im Kampf gegen den jiidischen Geist, Berlin, im Deutschen RechtsVerlag, 1936, pp. 32-33: «Bisogna inoltre riconoscere che diverso è stato il comportamento degli ebrei nei diversi stadi della storia. [...] Non è ammissibile mettere sullo stesso piano la loro condotta del 1830 con quella del 1930. Di nuovo incontriamo qui l'ebreo Stahl-Jolsen, che ancora oggi esercita il suo effetto sull'opposizione confessionale ecclesiastica contro lo Stato nazionalsocialista. È del tutto falso volerlo opporre come modello di ebreo conservatore ad altri ebrei successivi, che purtroppo non lo sarebbero più stati. Vi è qui il pericoloso misconoscimento di una veduta essenziale: a ogni mutamento della situazione generale, in concomitanza con ogni nuova cesura storica, anche sopravviene, a velocità tale da lasciarsi afferrare solo con la massima attenzione, un mutamento del contegno generale ebraico, un cambio di maschera operato in demoniaca segretezza, di fronte al quale la questione della buona fede soggettiva del singolo individuo ebraico coinvolto è del tutto priva d'interesse. La grande capacità di adattamento dell'ebreo si è accresciuta a dismisura attraverso la sua storia più che millenaria sulla base di precise attitudini razziali, la virtuosità nel mimetismo è progredita con il lungo esercizio».

    (9) W. Fussl, Professor in der Politik Friedrich Julius Stahl (1802-1861). Dos monarchische Prinzip und seine Umsetzung in die parlamentarische Praxis, Gòttingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1988. Pochi anni prima era apparso, utile, ma piuttosto scolastico, lo studio d'insieme di C. Wiegand, Uber Friedrich Julius Stahl (1801-1862 [sic!]). Recht, Staat, Kirche, Paderborn-Mùnchen-Wien-Zùrich, Schòningh, 1981.

    (10) EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts nach geschkhtlicher Ansicht, Heidelberg, Mohr, 1830-37. D'ora in poi questa prima edizione sarà indicata con il titolo completo, per distinguerla dalle edizioni successive, intitolate semplicemente: Die Philosophie des Rechts. Per queste ultime farà fede la ristampa anastatica della quinta edizione (1878), a sua volta riproduzione immodificata della terza: EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1963.

    (11) Una pregevole rassegna del pensiero politico della Restaurazione è nell'antologia a cura di L. Marino, La filosofia della Restaurazione, Torino, Loescher, 1979, che allarga il suo spettro fino a includere Stahl, Rosmini e Donoso Cortes.



    Fine Parte I - Continua
    Ultima modifica di Florian; 14-04-10 alle 18:21

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    2. Opere di Stahl

    L'analisi del partito della legittimità occupa le lezioni XXI-XXIV sui partiti politici. Non così evidente e univoca è la collocazione nelle tre edizioni della Filosofia del diritto. Stahl vi discute dottrine filosofiche e giuridiche: oggetto non è tanto il partito quanto il principio della legittimità con le sue variazioni teoriche. Fra un'edizione e l'altra, per di più, si registrano diversità non trascurabili. La terza edizione si distingue dalla seconda per la mole assai accresciuta: Stahl aggiunse nuovi capitoli, ispirati alle condizioni dopo il 1848, ma lasciò quasi inalterati i capitoli già pubblicati, perfino al prezzo di patenti anacronismi (12). La seconda edizione differisce dalla prima nella concezione stessa, specie per la più matura elaborazione della filosofia personale di Stahl (13). A sua volta la prima edizione contiene tracce di ripensamenti nel passaggio dal primo volume, che precede la rivoluzione di luglio, ai due volumi successivi.

    Proprio le teorie filosofiche della legittimità sono oggetto di un'attenzione crescente. Quel primo volume del 1829 (data della prefazione), pur avendo un carattere storico, ancora non contempla una speciale filosofia del diritto improntata al principio della legittimità. Dopo aver trattato di Schelling e Hegel, di filosofia speculativa e dialettica, termina con un capitolo sulla filosofia cristiana, che ha tutta l'aria di un approdo positivo e di un progetto. La filosofia, ritornata al cristianesimo con Schelling, detentrice di un ambiguo primato sulla fede con Hegel, non è ancora filosofia cristiana autentica, volta a confermare la rivelazione. Perciò Stahl si prefigge di elaborare una filosofia del diritto profondamente cristiana almeno nell'intento, se non già nell'attuazione (14). Il principio della legittimità, si direbbe, fa una cosa sola con la filosofia cristiana; esula dalla rassegna storica perché è ancora in tutto e per tutto vivente, attuale.

    Non così nel secondo volume, apparso nel 1833, visibili i segni della rivoluzione di luglio (come si legge nella prefazione: «Tre giorni di distruzione, e di una distruzione moderatasi, riempirono di stupore l'Europa»). L'autore par quasi istituire un nesso fra il grande avvenimento e il modificarsi del piano originario dell'opera, con ricadute anche sulla posizione assunta rispetto agli scrittori politicamente più vicini. Allo svolgimento della propria filosofia del diritto è fatta precedere una Introduzione storico-letteraria, senz'apparente continuità con il primo volume e solo in generico rapporto con la materia successiva. Oggetto è una «migliore dottrina» sorta alla fine del secolo XVIII, pervasa da un afflato religioso, segnale di una «svolta» contro razionalismo, giusnaturalismo e liberalismo (15). È il nucleo della futura raffigurazione del partito della legittimità. Esponenti di questa dottrina sono gli scrittori controrivoluzionari - Maistre, Burke, Adam Muller, Haller - nonché, in parziale dissidio con loro, i campioni della scuola storica - Hugo, Savigny, Niebuhr, Eichhorn. La distinzione, importante, rimarrà nelle edizioni successive e sarà all'opera sottoterra anche nelle lezioni sui partiti. Da una parte quanti negano alla rivoluzione qualsiasi giustificazione, votandosi al passato; dall'altra quanti calano la rivoluzione nel divenire storico, aperti al futuro. Da una parte pensieri veri, applicati male; dall'altra un'attitudine corretta, ma senza base filosofica, sempre in pericolo di giustificare l'esistente, oggi la restaurazione, domani, chissà, un'altra rivoluzione. Comune a tutti l'aspirazione a una filosofia cristiana, rispettosa della tradizione, contro l'empia pretesa umana di rimodellare a piacimento la realtà.

    Sui singoli autori e sulle variazioni di Stahl si ritornerà più avanti. Qui importa il senso di questa prima trattazione. La rivoluzione di luglio ha prodotto una cesura: le dottrine compromesse con l'assetto politico-diplomatico del 1815 scivolano a poco a poco nel passato e s'incomincia a scriverne la storia. È verosimile che Stahl sentisse il bisogno di separarsene, di operare distinzioni forse non ancora così urgenti nel 1829. Nella seconda edizione della Filosofia del diritto l'analisi delle due correnti, scrittori della controrivoluzione e scuola storica dei giuristi, profondamente rimaneggiata, trova la sua naturale collocazione in chiusura del primo volume, al posto dello scomparso capitolo sulla filosofia cristiana. Costituisce un libro a sé, il sesto, dedicato alla filosofia del diritto storica, vertice dell'intera disciplina, subito dopo la filosofia del diritto speculativa (allargata, quest'ultima, fino a comprendere Schelling, Hegel e i suoi scolari, Schleiermacher e il capitolo su filosofia speculativa e dialettica, risalente alla prima edizione) (16). Stahl vuol conciliare l'istanza storica con quella speculativa, far derivare l'una dall'altra, purché rettamente comprese. La terza edizione lascerà immutato l'impianto, salvo poche modifiche al testo.

    Dai nomi elencati - scrittori controrivoluzionari ed esponenti della scuola storica, pensatori inglesi, francesi e tedeschi - si evince che l'esistenza di un partito della legittimità su scala europea può considerarsi un dato acquisito a partire dalla rivoluzione francese. I suoi capiscuola furono e sono dediti a studiare e contrastare quel grande avvenimento con le sue molte ricadute nel presente. Tuttavia le questioni sollevate sono più antiche, la rivoluzione era in moto già prima del 1789, con tanto maggior evidenza agli occhi di Stahl e di quanti altri, contro le pretese moderne, rifiutavano di separare in tutto politica e religione. Alle spalle erano gli schieramenti confessionali (usuale denominarli 'partiti') sorti dalla riforma religiosa del secolo XVI, quella Riforma che gli scrittori controrivoluzionari cattolici, ascoltati anche fra i protestanti, rileggevano come prologo della rivoluzione francese. Stahl, a lungo vissuto nella cattolica Baviera e sempre in una minoranza religiosa, dapprima quella ebraica, poi quella luterana, non si appaga di risposte sbrigative, respinge la tesi della continuità fra rivoluzione antipapale e rivoluzione antimonarchica; nemmeno però sa sottrarsi all'impressione di un'accresciuta autorità morale del cattolicesimo dopo la durissima prova sopportata in Francia (17).

    Testimonianza di questa incessante meditazione sono un articolo del 1839, polemico verso il teologo cattolico Johann Adam Morder, il trattato del 1840 sulla costituzione della Chiesa protestante, che procurò a Stahl l'attenzione di Federico Guglielmo IV, poi un saggio del 1847 sulla parificazione civile e politica degli ebrei e dei cristiani dissidenti, infine le conferenze del 1853 sul protestantesimo come principio politico e le repliche ai numerosi detrattori (18). Anche in queste opere, non solo nei lavori maggiori, si fa sentire un respiro storico profondo, la ricerca di un antefatto della moderna divisione fra i partiti. Se la rivoluzione ha origini remote, forse anche la dottrina della legittimità avrà conosciuto anticipazioni e precursori.


    Note al Capitolo 2:


    (12) Se ne dà conto nelle prefazioni alla terza edizione (Heidelberg, Mohr, 1854-56), cfr. EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit, II. 1, p. vm; IL2, p. vn. Fra gli anacronismi, a parte le questioni tedesche, spicca il contrastante giudizio su Luigi Filippo: il monarca europeo meglio capace di governare, pur senza darlo a vedere, ivi, LL2, p. 418; la vittima, nel febbraio 1848, di una meritata nemesi per la rivoluzione di luglio, ivi, p. 559.

    (13) Il mutamento fra prima e seconda edizione (Heidelberg, Mohr, 1845-47) riguarda anche i sottotitoli dei singoli volumi: non più Die Genesis der gegervwàrtigen Rechtsphtlosophie, ma Geschichte der Rechtsphilosophie (voi. I); non più Christliche Rechtsund Staatslehre, ma Rechts- und Staatslehre auf der Grundlage christlkher Weltanschauung (voli . II. 1 e IIJ2).

    (14) F.J. Stahl, Die Philosophie des Rechts nach geschichtlicher Ansicht, cit. , I, p. 362: per dirsi in tutto cristiana, una filosofia del diritto dovrebbe implicare non solo l'esistenza di un dio personale, ma la verità storica dei fatti narrati nei Vangeli e la verità teologica dei dogmi (peccato originale, redenzione, trinità ecc.). Nella terza edizione il motivo sarà ripreso con il richiamo al modello tomistico della Summa theologica, cfr. EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit., IL1, pp. xxxi-xxxn.

    (15) Umkehr (svolta), è il termine adoperato da Stahl già nel 1829 per definire il proprio compito. Di questa «migliore dottrina» si abbozza quasi un manifesto: «Non più formule logiche, ma fatti; non più il singolo individuo, ma l'intera articolazione ov'egli trova posto; non più la volontà umana, ma la potenza superiore che ha dato all'uomo la sua meta», cfr. EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts nach geschichtlicher Ansicht, Cit, II.I, p. 1.

    La stranezza di questa Literàrgeschichtliche Einleitung, «piuttosto inorganica», non sfugge a Masur, il quale la considera un errore, corretto nelle edizioni successive, ma non ne dà una spiegazione, cfr. G. Masur, Friedrich Julius Stahl, cit, p. 238n.

    (16) Ne dà annunzio già la prefazione, cfr. F.J. Stahl, Die Philosophie des Rechts, Cit, I, pp. X-h: «Anche la dottrina controrivoluzionaria e la dottrina della scuola storica (in precedenza svolte nel secondo volume) hanno ricevuto qui una trattazione in tutto nuova e più estesa».

    (17) Il travaglio religioso di Stahl è ricostruito con finezza e vivacità da Masur, facendo ricorso a inediti e testimonianze indirette (l'agitata vigilia della conversione, la prolungata nostalgia per i riti ebraici del sabato ecc.), non senza una vena di rimpianto per un'epoca che ancora non professava la «mistica magia del sangue», cfr. G. Masur, Friedrich Julius Stahl, cit., p. 41. Qui basti ricordare che la conversione di Stahl (1819), allevato in un ebraismo rigoroso, ma non chiuso agli influssi della cultura moderna (le riforme in materia di religione e pubblica istruzione gli permisero di frequentare il prestigioso Wilhelms-Gymnasium di Monaco), avvenne dopo la morte del nonno materno, Abraham Uhlfelder, guida della comunità ebraica monacense e controparte del governo nel processo di emancipazione sotto Montgelas (1813); che nel giro di pochi anni il giovane convertito seppe indurre al medesimo passo i genitori e i sette fratelli; che agli inizi dell'attività accademica, trascorsa fra Wùrzburg ed Erlangen, Stahl coltivò un progetto di riunificazione delle Chiese cristiane, progressivamente abbandonato fino al definitivo passaggio nella Prussia a maggioranza protestante.

    (18) [EJ. Stahl], Die Konsequenz des Princips, in «Zeitschrift fùr Protestantismus und Kirche», II (luglio 1839), 1, pp. 1-8; 3, pp. 17-23; EJ. Stahl, Die Kirchenverfassung nach Lehre und Recht der Protestanten, Erlangen, Blasing, 1840 (poi 1862); EJ. Stahl, Der christliche Staat und sein Verhàltnifi zu Deismus und Judentum. Eme durch die Verhandlungen des Vereinigten Landtags hervorgerufene Abhandlung, Berlin, Oehmigke, 1847 (in particolare sul contemporaneo ebraismo tedesco, ivi, pp. 40-47, 54-55); EJ. Stahl, Der Protestantismus als politisches Prinzip. Vortrage, uuf Veranstakung des Evangelischen Vereins fiir kirchliche Zwecke zu Berlin im Màrz 1853 gehaken, Berlin, Schultze, 1853 (in seguito si citerà dalla seconda edizione, sempre del 1853, in conformità alla ristampa anastatica: Scientia Verlag, Aalen, 1987); EJ. Stahl, Die kathoìischen Widerlegungen. Eme Begleitungsschrift zur vierten Auflage meiner Vortrage iiber den Protestantismus als politisches Princip, Berlin, Schultze, 1854.


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    3. Per una storia del partito della legittimità

    L'analisi del partito della legittimità nelle lezioni berlinesi si apre con una precisazione importante, che vuol essere una risposta a un'eterna obiezione mossa ai conservatori. Forte è l'impressione che le idee legittimistiche si definiscano e acquistino forza persuasiva solo in contrasto con le idee rivoluzionarie, perciò siano solo negative, reattive. Ma così non è, negativa è la rivoluzione, positivo il suo contrario (19). Per definire questo contenuto positivo Stahl fa ricorso alla nozione di legittimità, da preferirsi a formule come reazione, controrivoluzione, conservazione, proprio perché irriducibile a un atteggiamento solo oppositivo. La legittimità viene prima della rivoluzione, ma acquista veste scientifica, sistematica, soltanto dopo che si è attentato al suo diritto. Anche le divisioni fra i suoi partigiani non riposano su differenti sistemi, ma sul diverso carattere delle condizioni date, da difendere contro la rivoluzione in Inghilterra, in Francia, in Germania. Perciò le teorie della legittimità sono più recenti rispetto alle teorie della rivoluzione, ma la loro verità è più antica.

    Soluzione brillante, non però scevra di pericoli. Stahl fa sua una categoria fondamentale del pensiero politico della Restaurazione, quella di legittimità, ma per assegnarvi un compito particolare. Negli autori francesi richiamarsi alla legittimità voleva dire professarsi fedeli a una dinastia da riportare e mantenere sul trono; la fortuna stessa del termine 'legittimità' dovette molto a Talleyrand durante le trattative del Congresso di Vienna. In Germania era diverso, legittimità era solo un altro nome per indicare un diritto acquisito assai speciale, il diritto del monarca alla sovranità In Stahl legittimità è sinonimo di continuità, innanzitutto la continuità dello Stato, poi della dinastia, qualora la costituzione statale sia monarchica (20). Ma la legittimità è anche la bandiera di un partito politico, in un'accezione più vasta rispetto al legittimismo francese.

    Stahl ha lucida coscienza del carattere partitico assunto dalla lotta contro la rivoluzione, nonostante il suo giovanile fastidio per l'idea stessa di partito, considerata un prodotto della rivoluzione (21). Di conseguenza egli ambisce a dare un primo giudizio storico su questa parte politica, il legittimismo (sia consentito l'uso di questo termine come sinonimo di partito della legittimità, nell'accezione di Stahl), al di là della propria personale appartenenza. Il progresso è notevole, se solo si raffronti Stahl con Friedrich Schlegel. Nel 1823 in una serie di articoli intitolata Signatur des Zeitalters, apparsa sulla rivista viennese «Concordia», da lui redatta, Schlegel aveva stilato un canone del pensiero controrivoluzionario e illustrato in breve le posizioni di Burke, Gentz, Bonald, Adam Mùller, Haller, Gòrres e Maistre (22). Sono in parte gli autori che s'incontrano in Stahl ed è già quasi l'idea della Filosofìa del diritto quella che muove Schlegel al loro esame: il compito di dare una fondazione storica dello Stato cristiano. Ma Schlegel aborrisce l'idea di partito e nonostante le premesse è ancora assente nei suoi ritratti la prospettiva storica. Il dualismo fra liberali e servili, lo spirito ultra lo infastidiscono, le diversità fra gli autori sono tratteggiate con finezza, ma si riducono a una questione di temperamento, semmai influenzato dalle rispettive nazionalità. Manca nel cattolico Schlegel il bisogno di additare una via protestante alla dottrina dello Stato cristiano: con l'eccezione di Burke, peraltro benevolo verso il clero francese, gli autori sopra elencati sono cattolici o convertiti al cattolicesimo. La necessità di calare nella storia il pensiero del legittimismo viene a Stahl già dal suo protestantesimo e può soltanto crescere al trascorrere degli anni, in occorrenza di nuove rivoluzioni, da Schlegel solo presagite (23).

    Altro fattore considerato da Stahl, in stretto legame con la veduta storica, è la nazionalità. Non esiste un solo partito della legittimità, ma ve ne sono diversi a seconda delle condizioni locali (24). Lo stesso non accade ai partiti della rivoluzione, sistematici, uguali sotto qualsiasi latitudine. È un tratto tipico del legittimismo, almeno nell'accezione di Stahl: positivo, storico, può essere solo qualcosa di originale, individuale; universale, dappertutto valido, può essere solo un principio astratto, ricavato per via di negazione. La lezione di Schelling si mescola qui con la lezione di Savigny (25). Ma è questo un monito che Stahl rivolge innanzitutto ai suoi colleghi di partito tedeschi, a lungo divisi fra la fedeltà a Burke o a Maistre: nessuno dei due offre un modello applicabile alla Germania, mentre proprio in Germania è la patria elettiva del principio della legittimità. Due scuole se ne contendono le insegne: la scuola di Haller contro quella di Savigny e Niebuhr. Stahl vorrebbe essere il filosofo, il pensatore sistematico sempre mancato alla scuola di Savigny, in polemica con la scuola di Haller, depositaria di una visione del mondo prerivoluzionaria (26). Che cosa sia la scuola di Haller, se una realtà o un idolo polemico, è naturalmente un problema. Lo stesso possiamo dire per la scuola di Savigny, sia pur a fronte della superiore autorità e consapevolezza dei suoi appartenenti. Fatto si è che nel definire il partito della legittimità Stalli tenta di combinare due istanze in apparenza contrarie: individuare un filo comune che riunisca autori lontani nel tempo e nello spazio, ma insieme restituirli alle loro speciali coordinate storiche e geografiche. Affiora qui un profondo bisogno di conciliazione degli opposti, rinvenibile in tutta la sua produzione (27). Esso accomuna Stahl, suo malgrado, al detestato Hegel e conferisce originalità alla sua concezione del conservatorismo politico.


    Note al Capitolo 3:


    (19) EJ. Stahl, Die gegenwartigen Parteien in Staat und Kirche, cit., p. 286: «Questo partito [della legittimità] non si regge su qualcosa di solo negativo, sulla mera negazione, bensì su ciò che vi è di più positivo, sull'intero contenuto dell'ordine naturale e storico, che la rivoluzione imprende ad annientare. Non la legittimità, bensì la rivoluzione viene dallo spirito che nega, la legittimità abolisce solo la negazione. Il suo programma - se vogliamo adoperare questa parola - è più antico della rivoluzione. [...] Esso in generale non si basa, come il programma della rivoluzione, sopra una teoria stabilita dall'uomo, bensì è l'ordine dato, la tradizione religiosa, morale, giuridica data, che riempie di sé quell'ordine. [...] Solo in antitesi all'acuminata teoria della rivoluzione si sono formate talvolta - certo non in generale - teorie anche da questo lato».

    (20) EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit, II2, pp. 536-37: «Si può chiamare questo principio [della legittimità] anche il principio della continuità: lo Stato (la sua costituzione ordinata) procede, uno e identico, in ogni epoca e così vincola e domina come potenza, al proprio intemo, il presente ogni volta diverso». Sulla necessaria continuità del diritto, cfr. EJ. Stahl, Die gegenwdragen Parteien m Staat und Kirche, cit, p. 308.

    Dubbi circa l'effettiva corrispondenza del concetto di legittimità al sistema filosofico di Stahl sono sollevati da G. Masur, Friedrich Julius Stahl, cit, p. 210. Il carattere ambiguo, aporetico, di tale concetto era sottolineato con forza dagli autori liberali, per esempio Rotteck, alla voce Legitimitàt del suo Staats-Lexikon, prima edizione, cit, LX (1840), pp. 643-52.

    (21) Nel 1833, con riferimento alla Francia orleanista, è ancora viva la polemica contro la «divisione in partiti, in sistemi e nelle loro gradazioni, prive di significato più profondo», contro la «fabbricazione di termini tecnici in politica, effimeri, simili a merci alla moda», cfr. EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts nach geschichtlkher Ansicht, cit, IL1, p. rv.

    (22) Signatur des Zeitalters, in F. Schlegel, Kritische Schriften und Fragmente. Herausgegeben von Ernst Behler und Hans Eichner, Paderbom-Mùnchen-Wien-Zurich, Schòningh, 1988, IV, pp. 308-10: sono coloro che «hanno tenuto in piedi la verità contro il vortice rivoluzionario e la spinta dell'epoca, in particolare anche in Germania hanno fondato una scuola del miglior modo di pensare e conoscere politico».

    (23) Una sommaria classificazione, storica e geografica, degli scrittori politici a partire da Machiavelli, distinti fra partigiani dell'autorità («dalla parte dei reggitori storici, del papato, del cattolicesimo, del sistema feudale, del potere assoluto, dei realisti, della nobiltà, dei cosiddetti servili ecc.») o della libertà («dalla parte della libertà del terzo stato, della libertà di fede, del protestantesimo, del potere limitato dei prìncipi, della costituzione basata sul diritto, dei diritti razionali, della liberalità, dell'idea dello Stato»), fu tentata, poco dopo Schlegel, da un altro autore noto a Stahl, il giurista Carl Friedrich Vollgraff, professore di scienze dello Stato a Marburgo, in un'opera intitolata Die Systeme der praktischen Politik im AbendLmde, Giessen, Ferber, 1828, III, pp. 466-508, con risultati oltremodo discutibili: fra i partigiani dell'autorità, tedeschi e svizzeri, troviamo mescolati, dal 1682 al 1826, autori fra loro assai diversi come Ziegler, Bòhmer, Martini, Schirach, Adam Mùller, Haller, Hegel, Pfeilschifter, Schmalz, Friedrich Schòll (sul fronte opposto, per esempio, Ancillon...).

    (24) EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit, I, p. 549; F.J. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und Kirche, cit., p. 287.

    (25) Sulla dipendenza di Stahl dal tardo pensiero di Schelling fiorì, com'è noto, una polemica: Stahl aspirava a vedere riconosciuta la propria autonomia e ammetteva di dovere a Schelling solo il generico principio di una filosofia positiva (Filosofìa del diritto, seconda edizione, voi. IL1, prefazione); dal canto suo, Schelling mostrava scarsa stima di Stahl. Il profondo legame con Schelling, udito a Monaco nel 1827/28 in un corso di storia della filosofia moderna, la speciale magia e scenografia di quelle lezioni si trovano ricostruite in G. Masur, Friedrich Julius Stahl, cit, pp. 102-107, prezioso anche circa i rapporti con Savigny, documentati attraverso le lettere e un mancato incontro giovanile, ivi, pp. 87, 95, 247-48, 329-30.

    Sulle relazioni fra Stahl e Schelling, ma nella prospettiva di quest'ultimo, dir. R. Pettoello, Gli anni dei dolori II pensiero politico di F.W.J. Schelling dal 1804 al 1854, Firenze, La Nuova Italia, 1980, pp. 156-59.

    (26) Scrive Stahl che la scuola storica possiede bensì l'intuizione fondamentale di una filosofia del diritto, ma non ancora un proprio sistema filosofico, che richiederà tempo (solo in parte lo surroga il celebre scritto di Savigny sulla codificazione, del 1814), cfr. EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts nach geschichtlicher Ansicht, cit., IL1, p. 14. Non tutti gli allievi di Savigny gradirono però l'autoinvestitura di Stahl a filosofo della scuola storica; in particolare Georg Friedrich Puchta, anch'egli animato da ambizioni teoretiche, lo attaccò nella prefazione al suo Lehrbuch der Pandekten, Leipzig, Bartli, 1838, p. vi, come scrittore dalle «intuizioni nebulose, fugaci, pseudopoetiche, esaltate».

    (27) G. Masur, Friedrich Julius Stahl, cit, p. 225, definisce Stahl un «fanatico della mediazione»; se poi davvero lo si possa considerare un esponente della scuola storica è questione più intricata, già solo per la necessità preliminare di definire la scuola stessa (certo la sua idea di una filosofia del diritto come «scienza del giusto» suona eterodossa). Masur inclina a una risposta affermativa, sebbene riconosca che le preoccupazioni di Stahl per la verità della rivelazione cristiana sono in conflitto con il suo indirizzo storico, ivi, pp. I1i, 149, 184. Altri preferisce vedere nella filosofìa di Stahl piuttosto un giusnaturalismo rinnovato - istituzionale, concreto e storico, anziché individualistico, astratto, rivoluzionario, cfr. H. Sinzheimer, Jùdische Klassiker der deutschen Rechtswissenschaft, Frankfurt a. M., Klostermann, 1953, pp. 42-44.


    Fine Terza Parte - continua

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    Predefinito Rif: STORIA E INDIRIZZI DEL CONSERVATORISMO POLITICO

    4. Inghilterra: legittimismo senza dinastia

    Fra le vie nazionali alla formazione di un partito della legittimità la prima esaminata, nelle lezioni berlinesi, è quella inglese. Nelle varie edizioni della Filosofia del diritto, invero, Maistre è fatto sempre precedere a Burke, ma nelle lezioni si tratta di partiti, non solo di dottrine. Perciò Stahl si attiene all'opinione comune, che proprio in Inghilterra faceva incominciare la storia dei moderni partiti politici.

    Fra gli uomini del mouvement, la rivoluzione inglese del secolo XVII, compiuta in due riprese, appariva la prima tappa di un solo grande processo, proseguito a distanza di un secolo con le rivoluzioni americana e francese. Una scuola fortunata - école anglaise in Francia, scuola whig al di là della Manica - dava di questi avvenimenti una lettura univoca. Vi sarebbe stata fra le rivoluzioni inglesi del Seicento, l'indipendenza americana del 1776 e la rivoluzione francese del 1789 una corrispondenza nel fine, la lotta contro l'assolutismo regio. Diverso sarebbe stato però il risultato: istituzioni liberali in Gran Bretagna, democratiche negli Stati Uniti, un più grave e originale dispotismo in Francia, dal quale il paese stentava a riaversi. Stahl è chiamato a giudicare se questa chiave di lettura sia valida. Nelle sue pagine ricorrono il nome di Guizot, politico e studioso di cose inglesi, cresciuto alla scuola di Constant e di Madame de Staél, poi i nomi di Hallam e in tempi recentissimi di Macaulay, autore della prima Storia d'Inghilterra (1849-1861) capace di consegnare al passato il capolavoro di Hume (28). In primo piano è però il confronto con Burke, obiettivo polemico di quei liberali, ma influente su di essi per la sua apologia della Rivoluzione Gloriosa e dell'indipendenza americana. A suo giudizio, in quei due casi, si era trattato non già di rivoluzioni, ma di riaffermazioni di una legittimità minacciata (diritto di resistenza); di qui ora si tentava, contro il suo spirito, di arrivare a una parziale assoluzione anche della rivoluzione puritana e della rivoluzione francese.

    Il cuore del problema era la rivoluzione del 1688. La sua progenitrice, la rivoluzione puritana antimonarchica, regicida, si era risolta in una restaurazione dinastica, come nel 1814, lasciando tracce in apparenza non molto profonde nella storia britannica (29). Al contrario la Rivoluzione Gloriosa autorizzava la domanda se ancora esistesse una legittimità in Gran Bretagna. A Parigi, dopo il 1830, la legittimità era di nuovo infranta e con la rivoluzione di febbraio, nel 1848, si era avuta la nemesi per l'usurpazione orleanista. Ma a Londra? La questione della legittimità, risolta da Burke in senso favorevole al parlamento e alla nuova dinastia, non così importante per gli scrittori liberali, è per Stahl la questione essenziale. A differenza di Burke, egli ritiene vi sia stata, nel 1688, una lesione della legittimità; tuttavia nel seguito la ferita si sarebbe risanata, diversamente da quanto accaduto in Francia. Fin qui sembra vi sia consonanza con gli scrittori liberali, ma su di un punto decisivo Stahl se ne discosta, per riallacciarsi a Burke: non l'incapacità, infatti, ma l'impossibilità di ristabilire una legittimità è il tratto distintivo, fatale, della rivoluzione francese rispetto a quella inglese.

    È un acquisto d'importanza capitale, con implicazioni politiche e teologiche: la netta distinzione fra insurrezione e rivoluzione (30). Essa permette di riallargare il fossato scavato da Burke tra Francia e Gran Bretagna, di minare il ponte gettato fra i due paesi dalla storiografia liberale. Vi è continuità fra rivoluzione inglese e rivoluzione francese, ma nessuna identità, anche solo di princìpi . Il diritto all'insurrezione rivendicato dai monarcomachi (Buchanan, Languet, Milton), sistematizzato in chiave giusnaturalistica da Sidney e da Locke, il principio della superiorità del popolo rispetto al re non è il principio rousseauiano della sovranità popolare, anche se lo prepara. Allo stesso modo il repubblicanesimo di certo cristianesimo riformato in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, sebbene apra la via al repubblicanesimo francese, ne rimane profondamente distinto: è teocratico, non già ateistico, non innalza l'uomo a Dio (31). In altre parole: le rivoluzioni inglesi e americana sono insurrezioni contro una determinata autorità, limitate nel tempo e nello spazio; al contrario la rivoluzione francese è molto più radicale, ha di mira l'autorità come tale, vuol trasferire in via permanente la sovranità dal re al popolo, da Dio all'uomo (32).

    La storia del partito inglese della legittimità è racchiusa in questa distinzione fondamentale. Due grandi mutazioni sono occorse nel legittimismo britannico, in corrispondenza del 1688 e del 1789. Fino al 1688 i legittimisti erano i sostenitori della dinastia Stuart restaurata, gli eredi dei cavalieri schierati con Carlo I contro i puritani. Loro parola d'ordine era il principio della non residence, teorizzato da Filmer. Con il 1688 ha inizio un periodo d'incertezza: legittimità costituzionale e legittimità dinastica si scontrano, finché la contesa si risolve, nel 1746, con la disfatta dei giacobiti a Culloden. Per Stahl è un punto importantissimo, il grande contributo inglese alla dottrina della legittimità: legittimità non significa fedeltà a un diritto dinastico caduto in prescrizione, cecità davanti alla storia (33). Fedeli ai princìpi costituzionali del 1688, leali verso i nuovi regnanti, tories e whigs furono per quasi tutto il secolo XVIII solo fazioni aristocratiche, non autentici partiti, senza pericolo per la legittimità. Lo scenario cambia nel 1789, quando anche gli Inglesi furono chiamati a schierarsi di fronte agli avvenimenti francesi. Nacque allora il 'toryismo', odierna versione inglese del legittimismo, contro la rivoluzione fuori e dentro la Gran Bretagna. Questo è il senso della tarda opera di Burke: risvegliare nella nazione il sentimento monarchico assopito, annunziare un pericolo nuovo, che potrebbe travolgere il governo parlamentare aristocratico, fare appello alla costituzione tradizionale, legittima, non più contro l'assolutismo regio, bensì contro la sovranità popolare (34).

    L'analisi di Stahl tocca qui un vertice, specie se si pensi ai molti giudizi convenzionali su Burke, di matrice liberale o romantica. Due errori sono da rimproverare a Burke: da un lato l'aver difeso il diritto alla resistenza attiva, negato da Lutero e incompatibile con il principio della legittimità; dall'altro l'aver chiuso gli occhi di fronte alle cause profonde della rivoluzione francese, l'aver nutrito per essa solo repulsione. Tuttavia nel passare dalla prima alla seconda, poi alla terza edizione della Filosofia del diritto, fino alle lezioni sui partiti, è visibile un accentuarsi degli elementi positivi. Nel 1833 le maggiori simpatie vanno ancora a Maistre, superiore per coerenza filosofica. Burke, più pratico, condanna la rivoluzione francese nella prospettiva inglese, non ripudia la rivoluzione come tale, ma solo la rivoluzione compiuta nel nome di princìpi astratti; i suoi argomenti, ancora ispirati al contrattualismo, non contemplano la necessità della monarchia per lo Stato cristiano (35). Nel 1846 il giudizio si modifica: Burke diviene il più possente scrittore controrivoluzionario, il più puro rappresentante del conservatorismo. Veri sono i suoi princìpi politici, che formano una filosofia dello Stato; sobria è la sua nostalgia per il Medioevo, temperata di realismo; acuto è il suo senso storico, contro l'astrattezza del razionalismo. Se Burke ammette il diritto alla resistenza attiva, è solo come espediente; la confusione fra condizioni francesi e inglesi, l'occultamento dei mali dell'ancien régime non significano un tradimento della sua parte politica; già l'opposizione a Giorgio III, la difesa dei diritti delle colonie americane non nascevano in lui da un moderno sentire liberale, ma erano in spirito di fedeltà alla costituzione inglese, come la successiva campagna antifrancese (36). Nel 1854 si ha solo l'ultimo ritocco. Non è Burke ad aver mutato sistema politico nel 1789, ma i whigs convertiti al liberalismo continentale, rivoluzionario; a Burke, whig nell'accezione antica, non rimase che avvicinarsi alla monarchia (37). Il suo movimento sembra quasi speculare a quello di Stahl, nel 1848, dalla monarchia verso l'aristocrazia (38).

    Qui non serve ricordare l'influenza immediata e durevole di Burke in Germania, a partire dalla fortunata traduzione di Gentz delle Riflessioni sulla rivoluzione francese (1793). Altrettanto noto è quale fascino Burke seppe conferire alle istituzioni britanniche tradizionali, solo via via offuscato per l'approvazione del Reformbill (1832), poi per l'avanzare del cartismo, il radicalizzarsi dei partiti, la politica di amicizia verso la Francia orleanista, l'asilo concesso a molti rifugiati politici - tutti motivi di allarme circa il futuro della monarchia inglese. Al confronto il crescente apprezzamento di Stahl sembra l'indizio di un'evoluzione personale. Gli interessi religiosi e filosofici della giovinezza, più in sintonia con Maistre, si fondono in età matura con le passioni dell'attività parlamentare, che furono di Burke. Per un apparente paradosso, che in parte si spiega con gli sviluppi della vita politica inglese, Stahl tanto più nutre stima per Burke quanto più si convince che la costituzione britannica non è esportabile, anzi racchiude difetti potenzialmente esiziali, intuiti e combattuti dal polemista irlandese. A Londra vige la sottomissione del re al parlamento, senza danno a quelle latitudini solo per un concorso di condizioni irriproducibili sul continente e chissà fin quando durevoli sull'isola (su tutte il ruolo direttivo conservato dall'alta aristocrazia e il forte radicamento sociale della piccola nobiltà, la cosiddetta gentry). La monarchia inglese, primogenita fra le monarchie costituzionali, non è però il solo modello di tale forma di governo.

    Stahl riscrive da par suo la storia inglese. In Gran Bretagna è accaduto che un antico parlamento medioevale si sia trasformato per la prima volta in un moderno organo statale; il prezzo fu l'indebolimento della monarchia, dissipatrice e ridotta alla mercé dei Comuni. Con il 1688 e poi con la dinastia straniera degli Hannover, al tramonto di qualsiasi pensabile restaurazione Stuart, venne di fatto la rinuncia del re al diritto di veto (in disuso fin dai tempi della regina Anna) e alla nomina dei ministri, in breve ebbe inizio l'autorità del parlamento sul monarca. La lotta mortale con la Francia ricompattò per un momento la nazione intomo al trono, ma con la vittoria ecco riprendere la deriva verso il parlamentarismo e un sostanziale repubblicanesimo: lento declino della camera dei lords, nuovi progetti di riforma elettorale, avanzata della sovranità popolare (39). È quanto Stahl ha imparato da Burke e dagli storici liberali, riletti con spirito critico. Contro l'interpretazione whig, ma anche contro la mitologia conservatrice sulla Vecchia Inghilterra, Stahl rinviene in Burke il bisogno di una monarchia più forte, divenuto urgente in Gran Bretagna nel secolo XLX. Sullo sfondo è il dibattito costituzionale prussiano, prima e dopo il 1848, influenzato dalle diverse opinioni sul modello britannico (40).

    Ai fini della dottrina dei partiti, il risultato è la sostanziale riduzione del legittimismo d'Oltremanica all'eredità politica di Burke. La vita del partito inglese della legittimità, segnata da un avvenimento esterno, dalla rivoluzione francese, coincide con lo sforzo teoretico e pratico di spezzare qualsiasi continuità fra il 1688 e il 1789. Una così brillante rivisitazione della storia britannica trova qui il suo limite. Non vi è ancora in Stahl, come anche nei contemporanei tedeschi, il presentimento della svolta filopopolare e imperialistica che si sarebbe prodotta di lì a poco fra i tories sotto la guida di Disraeli e che già veniva delineandosi negli scritti di quest'ultimo. Il legittimismo inglese ('toryismo'), volto a difendere una costituzione esistente, viene definito per contrasto con il legittimismo francese, patrono di un ordine del mondo ideale ispirato alla Francia prerivoluzionaria. Di qui l'impressione lusinghiera di una maggior forza, di un superiore pragmatismo Oltremanica (41). Troppo fresco era lo sgomento per le rivoluzioni del 1848, per la rinascita imperiale a Parigi, perché la Gran Bretagna smettesse i suoi panni tradizionali agli occhi degli osservatori continentali. Sulle molte sue contraddizioni (sai tutte l'alleanza con un Bonaparte nella guerra di Crimea contro la Russia!) prevalgono anche in Stahl pur critico, sollievo e ammirazione per l'immunità inglese in mezzo al cataclisma europeo. Ben diverso il caso della Francia. Qui il problema era quale condotta osservare verso il nuovo regime e quali le possibilità di una restaurazione monarchica: l'imperialismo napoleonico era stato già una volta il banco di prova del partito della legittimità


    Note al Capitolo 4:


    (28) Guizot (per la sua conferenza del 1850, nell'esilio di Bruxelles, Pourquoi la révolution d'Angleterre a-t-elle réussi?) è evocato in apertura di EJ. Stahl, Die gegenwartigen Parteien in Staat und fórche, cit, p. 2; poco più avanti ricorre il nome di Macaulay, ivi, p. 47. Macaulay è citato anche in EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit. , IIi, pp. 428, 546n., come pure Henry Hallam (costui per lo scritto The Constitutional History of England, 1827), ivi, p. 377n.

    (29) Su Cromwell e sull'eroismo degli indipendenti - «entusiasti», non «fanatici», a differenza di anabattisti, chiliasti, levellers - Stahl mostra di conoscere Carlyle, cfr. EJ. Stahl, Die gegenwartigen Parteien in Staat und fórche, cit, p. 50 (sono da presumere le lezioni sugli eroi, poi l'edizione di lettere e discorsi di Cromwell). Loro modello era lo Stato ebraico prima dei re, ma con un'intrinseca contraddizione da parte di cristiani: voler anticipare l'ora della redenzione e realizzare il regno di Dio in terra (Filosofìa del diritto, seconda edizione, vol. 112, sez. II, cap. V: Der christliche Staat, § 50, soppresso nella terza edizione).

    (30) Il tema, centrale nella riflessione di Stahl, è richiamato all'inizio delle lezioni sui partiti. Svolto in forma popolare, è oggetto della conferenza: Was ist die Revolution? Ein Vortrag, auf Veranstaltung des Evangelischen Vereins fiir kirchliche Zwecke am 8. Marz 1852 gehalten voti Dr. Friedrich Julius Stahl, Berlin, Schultze, 1852, poi ripubblicata in EJ. Stahl, Siebzehn parlamentarische Reden und drei Vortràge. Nach letztwilliger Bestimmung geordnet und herausgegeben, Berlin, Hertz, 1862, pp. 233-49. Esempi d'insurrezione sono qui la deposizione di Riccardo II d'Inghilterra, la lotta dei prìncipi tedeschi protestanti contro Carlo V, nel 1848 la ribellione dello Holstein all'autorità danese, ivi, p. 238.

    (31) Sul filone dai monarcomachi a Locke, sul repubblicanesimo teocratico, cfr. EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit, I, pp. 292-97; 112, pp. 552-53 (con citazione di una biografia di John Knox, nella versione a cura del teologo Gottlieb Jakob Planck, professore di storia ecclesiastica a Gòttingen: T. Maccrie, Leben des schottischen Reformators, John Knox, Gòttingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1817); EJ. Stahl, Der Protestantismus ah politisches Princip, cit., p. 34; EJ. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und Kirche, cit., pp. 25-27, 39-46. Sugli Stati Uniti dice Stahl che bisogna distinguere lo spirito profano dei capi della rivoluzione americana (Jefferson, Adams, Paine) da quello religioso della popolazione, ivi, pp. 201-202.

    (32) Sulla rivoluzione come «sistema politico» e come Weltmacht, almeno a partire dal 1789, cfr. EJ. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien tn Staat und Kirche, cit, p. 2. Contro questa tesi - in qualche modo una ripresa del concetto di Total-Revolution, formulato da Gentz nelle note alla sua traduzione di Burke - polemizza fra gli altri Bluntschli alla voce Revolution und Reform del Deutsches Staats-Wòrterbuch, cit, ViII, p. 606-607, con esplicito riferimento alle lezioni sui partiti.

    (33) EJ. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und Kirche, Cit, pp. 148, 303304: «La legittima pretesa di una dinastia sorge nel tempo e nel tempo può anche tramontare, si acquista per usucapione e cade in prescrizione; la stessa disposizione divina che fonda una monarchia ha anche il potere e il diritto di annientarla. Se oggi in Inghilterra si facesse avanti un autentico Stuart, i più rigorosi seguaci della legittimità in quel paese non avrebbero nessun dovere, anzi nessun diritto di schierarsi al suo fianco. [...] E degno di nota che finora quanti si sono seduti senza diritto sul trono di Luigi XVI non lo abbiano mantenuto sino al termine della loro vita, Bonaparte e Luigi Filippo. Perciò è affrettato affermare che Dio abbia riprovato per sempre i Borboni. Nessuno lo può sapere». Tuttavia Stahl non esclude che l'ultima ora dei Borboni stia per suonare, come già per gli Stuart; sullo stesso tema, quasi con identiche parole, cfr. EJ. Stahl, Die kathotischen Widerlegungen, Cit, pp. 71-72.

    (34) FJ. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und Kirche, cit., pp. 289-90.

    (35) F.J. Stahl, Die Philosophie des Rechts nach geschichtlicher Ansicht, cit., IL1, pp. 4-6. La sua apologia della Glorious Revolution vale a Burke, nel 1837, un ulteriore richiamo, ivi, II2, p. 272: «Burke la giustifica non in linea di principio, ma come fatto. [...] Questa dottrina [...] sta senza dubbio sul terreno dell'esperienza storica, perciò troverà sempre il massimo assenso fra gli uomini pratici. Ciò nonostante non si può aderirvi. L'esposizione di Burke può valere come teodicea, non come norma per l'agire umano» (il senso è che insurrezioni come nel 1688, contrarie al precetto divino e non giustificate da legittima difesa, sfuggono però al giudizio umano, nascono da uno stato di necessità, ivi, pp. 262-63).

    Circa il 'contrattualismo' di Burke, cfr. Reflections on the Revolution in France, in Select Works of Edmund Burke. A new Imprint of Payne Edition, Indianapolis, Liberty Fund, 1999, II, p. 107: «L'impegno e il patto della società, che va in genere sotto il nome di costituzione...»; più in generale si pensi alla sua nozione di società civile, intesa come partnership, ivi, pp. 150-51.

    (36) F.J. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit., I, pp. 553-59; ma già nella prefazione Burke è chiamato der tiefere Burke (Filosofia del diritto, seconda edizione, voi. I, p. xrv, passo non più riportato nelle edizioni successive). A riprova, Stahl rinvia ai Thoughts on the cause of the present discontents (1770), e a due discorsi del 1774: Mr. Edmund Burke's Speech to the Electors of Bristol e On American Taxation. Ma più di tutto importano le fondamentali Reflections on the Revolution in France (1790).

    (37) EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit, ivi, I, pp. 559-60 (solo nella terza edizione): «Un mutamento è intervenuto nella posizione politica di Burke, è innegabile, ma non sul terreno dei sommi princìpi. Quel che in seguito Burke ha lasciato cadere è la presa di partito per l'elemento aristocratico, per la potenza dei whigs, contro l'èlemento monarchico. A quel tempo il 'whiggismo' inglese non era in sé liberalismo, meno che mai nella concezione di Burke. Consisteva solo nel dominio esercitato sul governo dalle famiglie preminenti che avevano compiuto la rivoluzione sotto Carlo I e Giacomo II, ossia nello stato di fatto del costume politico e dei rapporti di potere. Burke se ne allontanò con la rivoluzione, poiché riconobbe la necessità di un potere monarchico indipendente, proprio mentre nei suoi amici aristocratici di un tempo affioravano simpatie rivoluzionarie. Fu la correzione di un errore precedente, giammai consistito però in una qualsiasi adesione ai princìpi della rivoluzione o del liberalismo. Mutar posizione di partito non fu un mutamento di sistema, di profonda concezione politica, non fu una contraddizione».

    (38) Ivi, IL2, p. xxvii: «Non sono devoto alla corona per amore dell'aristocrazia; sono devoto all'aristocrazia per amore della corona».

    (39) Molteplici e sparsi i riferimenti alle condizioni inglesi nelle lezioni sui partiti; sulla ripresa dei sentimenti monarchici dopo il 1789, ma anche sui segnali di un possibile tramonto, cfr. F.J. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und kirche, cit, pp. 150, 155, 161-62. Un'analisi più sistematica nella seconda e terza edizione della Filosofìa del diritto, sez. III, capp. IX e XII (quest'ultimo capitolo non è che la riproduzione di un precedente scritto separato: Friedrich Julius Stahl, Dos monarchische Prinzip, Heidelberg, Mohr, 1845), per concludere che il sistema parlamentare inglese inclina alla repubblica, cfr. F.J. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit, LL2, pp. 383, 414. Nel 1854 la progettata riforma elettorale di John Russell fece temere a Stahl che quel sistema fosse ormai prossimo alla fine, ivi, p. 446n.

    (40) All'indomani della rivoluzione berlinese di marzo Stahl illustrò la sua posizione in una serie di articoli sulla neonata «Neue Preufiische Zeitung», ripubblicati in una raccolta: F.J. Stahl, Die Revolution und die constitutionelle Monarchie, eine Reihe ineinandergreifender Abhandlungen, Berlin, Hertz, 1848. Anche qui ritoma il dubbio se le tradizioni parlamentari finiranno col fare della Gran Bretagna una repubblica o se saranno corrette da un salutare rafforzamento del potere regio, ivi, p. 56.


    (41) EJ. Stahl, Die gegenwartigen Parteien in Staat und Kirche, cit., p. 291: «Entrambi, 'toryismo' e legittimismo, rappresentano la condizione storica dei rispettivi paesi, quale la rivoluzione se la trovò innanzi; proprio perciò il legittimismo francese possiede solo ideali e princìpi, laddove il 'toryismo' inglese è pienamente sobrio e pratico».


    Fine Quarta Parte - continua

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    Predefinito Rif: STORIA E INDIRIZZI DEL CONSERVATORISMO POLITICO

    5. Francia: sconfitta e metamorfosi del legittimismo

    La Francia, a più riprese, è il paese della rivoluzione: 1789, 1830, 1848. Non c'è da stupirsi. La rivoluzione è sempre la medesima, solo via via più radicale: liberalismo, democrazia, socialismo. Lo provano, nel 1848, le giornate di giugno, prologo di una lotta di annientamento interna alla rivoluzione stessa (42). Diversamente dall'insurrezione, la rivoluzione non si risolve in un nuova legittimità; il suo principio, la sovranità popolare, è impraticabile, conduce all'anarchia o al dispotismo. La legittimità potrà rinascere solo da un movimento contrario. Perciò, se il legittimismo inglese è conservatore, necessità vuole che il legittimismo francese sia restauratore: se il primo difende lo sviluppo storico naturale, graduale, il secondo mira a ristabilire, contro gli attentati umani, l'ordine fissato per sempre da Dio. È una differenza profonda, certo non una scoperta di Stahl, ma un esito obbligato della sua analisi (43). Il problema, sorto all'indomani della condanna di Luigi XVI, aveva ispirai» a Maistre le celebri Considerazioni sulla Francia (1796). Proprio Maistre è il campione del legittimismo francese insieme all'ideale destinatario di quelle Considerazioni, Luigi XVIII, quest'ultimo per l'orgogliosa rivendicazione del diritto divino al momento di concedere la Charte nel 1814 (44). Bonald, Chateaubriand, il primo Lamennais non sono menzionati, così nemmeno Montlosier, gallicano, filonobiliare, molto letto in Germania durante la Restaurazione. Improbabile che Stahl davvero li ignorasse, soprattutto Montlosier, dal momento che di lui cita il remoto precursore Boulainvilliers (45). Ma in questi autori non è così centrale come in Maistre, almeno a giudizio di Stahl, la dottrina del diritto divino dei re, corollario della definizione stessa di legittimità e bandiera del legittimismo francese.

    Droit divin, in tedesco Gottesgnadentum, monarchia per grazia divina (Stahl non riconosce qui due differenti concetti), sta a significare che la sovranità, indivisibile, viene da Dio a un individuo e si trasmette per via ereditaria. L'idea non è nuova, la si ritrova, quasi due secoli prima, nei teorici dell'assolutismo regio. Stahl ama citare l'inglese Filmer, il francese Bossuet, il danese Wandal (46). Perché allora Maistre sarebbe un autore originale? Stahl non lo dichiara apertamente, ma fa capire che Maistre lo è per la sua più estesa applicazione di quel principio. Per i teorici dell'assolutismo si trattava solo di scongiurare il ricorso al diritto di resistenza contro i re; per Maistre si tratta di fondare il miglior diritto di una più antica società distrutta nei confronti di una società nuova. L'intera gerarchia sociale, ecclesiastica e secolare, si fonda perciò sul diritto divino, non solo la monarchia, ma anche la Chiesa, la nobiltà, i parlamenti. Maistre ripone in Dio la fonte di ogni autorità, è il più religioso fra gli scrittori controrivoluzionari (47). Non si è infedeli a Stahl se di qui si conclude che Maistre recupera bensì il diritto divino, ma rigetta l'assolutismo, compromesso con la rivoluzione. Proprio il legittimismo francese ama insistere sulle prerogative della nobiltà, non meno sacre rispetto a quelle del monarca (48). Maistre è però anche un pensatore teocratico, più di qualsiasi autore medioevale: non solo il papa è il sovrano dei sovrani, ma la sovranità si riduce a un attributo personale, posseduto in virtù di un miracolo, di un sacramento, il diritto divino è una prerogativa solo individuale, non della monarchia come istituto (49). Qui Stahl prende le distanze da Maistre e dal legittimismo francese in genere, fatalmente anacronistico: giusto è allargare il diritto divino all'intera società, sbagliato è volerlo concentrare in singoli individui e stirpi. Ma egli sa che solo così era possibile reclamare il ritorno alle condizioni anteriori al 1789, opportunamente idealizzate, giustificarne la restaurazione fin contro l'evidenza.

    Il giudizio risente della rivoluzione di luglio, del molto meditare sul fallimento della restaurazione in Francia. Era nato un dibattito infinito, se la colpa fosse più di Carlo X o della nobiltà indocile, dei gesuiti intriganti, oppure se le potenze della rivoluzione fossero davvero irresistibili. Stahl ne fu indotto a riconoscere i limiti dello spirito controrivoluzionario, sordo a princìpi di umanità e cittadinanza storicamente ormai maturi. Fra la prima e la seconda edizione della Filosofìa del diritto, fino alle lezioni sui partiti, si osserva, a proposito di Maistre, il progressivo indebolirsi di una prima forse robusta impressione giovanile. Nel 1833 le critiche principali sono già delineate, ma ancora ricorre un lusinghiero paragone con Tacito: il motivo, l'averci lasciato gli splendidi ritratti di due società al tramonto, poco si addice all'antico storico, ma il senso vorrebbe essere che Maistre, al pari di Tacito, si battè per una più antica società migliore in un'epoca ormai di corruzione. Altro merito di Maistre, ancora più importante, è la sua profonda comprensione della verità cristiana, trascendente i confini del cattolicesimo, che gli varrà un giorno, stipulata la pace fra i partiti religiosi, il rispetto di tutte le confessioni (50). Nel 1846 non vi è più traccia di questi elogi e si fa sensibile il distacco. Maistre scorge Dio solo nell'autorità costituita, giammai nella coscienza nei popoli; la sua religiosità è sublime, ma troppo fantastica, tipicamente italiana o francese; le sue idee, incompatibili con le condizioni odierne, esercitano ormai influenza solo in ambito cattolico (51). Nondimeno Maistre occupò sempre una posizione importante agli occhi di Stahl. Là dove si parla del sangue innocente versato nella storia, a espiare antiche colpe (Costantino XIII Paleologo, Luigi XVI), o dell'autentica monarchia ereditaria, insieme romana, germanica, feudale, ma soprattutto cristiana, Stahl riprende, senza farne parola, la teoria di Maistre sui sacrifici e la sua nozione di monarchia europea (52). Via via più severo, fra le rivoluzioni di luglio e di febbraio, diviene piuttosto il giudizio sul legittimismo francese in genere e sul cattolicesimo, con ovvie ricadute sulla figura del conte savoiardo.

    In sostanza due interrogativi solleva il legittimismo francese. Sul piano storico, lo si è visto, la sua posizione rispetto all'assolutismo, avente in Francia quasi una terra di elezione; sul piano politico la sua consistenza attuale, dopo il 1830 e il 1848, la sua condotta verso nuovi regimi eterogenei: monarchia orleanista, repubblica, Secondo Impero. Ideale punto d'incontro fra i due piani era considerata l'ipotesi di una continuità fra assolutismo regio e dittatura rivoluzionaria, imperialismo napoleonico. Una continuità negativa, lesiva di aspirazioni liberali come di nostalgie feudali - eloquente in proposito Tocqueville (53). Il giudizio di Stalll, diciamolo subito, è diverso. Pur contrario all'accentramento secondo il modello francese, bensì favorevole all'autogoverno di corporazioni, comuni, circoli e provincie, egli non condanna il moderno assolutismo. Maistre e i legittimisti francesi avvolgevano l'antica Francia nell'incantesimo del diritto divino e solo un male deprecavano: la tendenza dei monarchi ad affrancarsi dalla Chiesa, a rendere superflua l'aristocrazia, a ricercare solo in se stessi la sanzione della propria autorità, fino a credere di averla trovata con l'aiuto della filosofia, errore fatale del secolo XVIII. Senonché la spiegazione non regge, vuoi perché l'assolutismo ha promosso in positivo lo sviluppo dello Stato, vuoi perché gravi pericoli, in passato, sono venuti alla monarchia francese proprio dalla Chiesa e dai grandi. Stahl ricorda, al tempo della Ligue, la dottrina gesuitica del tirannicidio, corrispettivo della dottrina calvinista della superiorità del popolo, curiosa mescolanza di spirito teocratico e razionalismo filosofico (54). Al contrario la monarchia assoluta, distinta dal dispotismo precristiano o rivoluzionario, è una costituzione naturale, legittima, superata sul piano storico, ma a lungo proficua per la Francia come per la Prussia.

    Diverso è il caso dell'imperialismo napoleonico (55). Nella migliore delle ipotesi, qualora sciogliesse il legame originario con la rivoluzione e davvero si compisse con il trascorrere delle generazioni la sua metamorfosi in una monarchia legittima, null'altro esso darebbe alla Francia se non una riedizione tardiva dell'assolutismo. Ma la discontinuità è troppo netta. La legittimità calpestata, il riconoscimento del principio rivoluzionario della sovranità popolare, sanzionato dai plebisciti, contano più che gli elementi comuni con l'antica monarchia. Per quanto offra riparo dalle tendenze socialiste radicali, l'imperialismo, la dittatura militare su base popolare, rimane un fenomeno nuovo, interno alla rivoluzione. Questo è un punto fermo per Stahl come per la maggior parte dei conservatori tedeschi. Altrimenti era in Francia, dov'è nota la facilità del nuovo regime a far proseliti fra i legittimisti: sottomettersi a Napoleone III significava rinnegarsi, è vero, ma combatterlo voleva dire allearsi con la rivoluzione atea e socialista. Dilemma esiziale, il legittimismo francese ne sarebbe uscito tramutato nell'ala tradizionalista di un più esteso partito dell'ordine.

    Stahl intuisce il problema, ma non sa darvi una risposta. Da un lato, contro l'abituale fronda antigovernativa del legittimismo francese (perfino sotto la Restaurazione), egli raccomanda il rispetto dell'ordine costituito; dall'altro ammette che l'ordine napoleonico è effimero, produce guerra e insidia la Chiesa, costretta a compromettersi, per paura dell'ateismo, con un regime immorale (56). Nell'imbarazzo finiscono quasi per suscitare simpatia quei cattolici che contrastano Napoleone III non tanto per fedeltà ai Borboni, quanto per amore della Chiesa con i suoi diritti; così Stahl ha parole di moderata approvazione per Montalembert, sebbene non ne condivida il giudizio storico sul protestantesimo né il giudizio politico sul sistema parlamentare (57). La simpatia, forse mediata da un motivo personale (i due si erano conosciuti a Monaco nel 1831), è tuttavia eloquente: con Montalembert, famoso per la ritrattazione del suo iniziale assenso al colpo di Stato, siamo infatti già quasi in area liberale, o almeno siamo alla faticosa transizione di una parte del cattolicesimo politico francese dal legittimismo al liberalismo.

    Tanto incerte apparivano ormai, dalla Prussia, la posizione e la natura del partito della legittimità in Francia. Una riedizione riveduta e corretta della monarchia di luglio, poco importa sotto quale dinastia, era forse il meglio che ci si potesse ancora attendere. L'incontro con gli antichi avversari liberali, o almeno con una parte di essi, era nell'ordine delle cose. A tal proposito Stahl distingue nettamente Guizot, fedele a Luigi Filippo, convinto che il re debba aver voce nel governo, da Odilon-Barrot, Thiers, seguaci di un costituzionalismo liberale astratto, fautori di un'opposizione sistematica, dagli agitatori dei banchetti, colpevoli della rivoluzione di febbraio (58). In gioco è la possibilità di trovare a Parigi alleati non solo velleitari per la causa della legittimità, tanto più dopo il 1848. Nonostante il giudizio sempre negativo sulla rivoluzione di luglio, o quello su Luigi Filippo, variabile a seconda degli eventi (cfr. nota 12), si osserva in Stahl, già nella seconda edizione della Filosofìa del diritto, un interesse positivo per il partito (o principio) del juste milieu, al di là delle sorti dei suoi appartenenti. La Francia sperimenta in anticipo sulla Germania un fenomeno che potrebbe verificarsi anche su questa sponda del Reno e che parrà tanto più probabile dopo il 1848: una frazione dei liberali, autenticamente monarchici, confluisce nella destra, mentre un'altra frazione, dalle idee più democratiche, inclina alla repubblica (o alla cosiddetta monarchia circondata da istituzioni repubblicane, ibrido rovinoso della rivoluzione di luglio) (59).

    Anche qui si registra un'evoluzione nel pensiero di Stahl. Nel 1833, fresca l'impressione per la caduta dei Borboni, non c'è ancora apertura al sistema del giusto mezzo: impossibile un compromesso fra mouvement e résistance, fra sovranità popolare e legittimità, per quanto in suo nome si possano avanzare singole richieste giustificate (60). Con il passare degli anni, specie dopo il 1840, con la politica di stabilità interna ed esterna perseguita da Guizot, in Germania con il periodo del Vormàrz, carico di aspettative riformatrici, il giudizio si fa molto più benevolo. Scrive Stani, nel 1847, che il dottrinarismo, il juste milieu, opposizione moderata fino al 1830, partito di governo sotto Luigi Filippo, sempre filomonarchico, è un costituzionalismo liberale, ma convertito al principio della legittimità. I suoi esponenti più pragmatici, Royer-Collard e Guizot, riconoscono il diritto storico dei re, svuotano di significato la sovranità popolare, la sostituiscono con la sovranità della ragione (eco dei numerosi appelli di Burke alla ragione, osserva compiaciuto Stahl). Il juste milieu è il meglio tra le fazioni in Francia, o almeno è un passo nella giusta direzione, una forma di legittimismo sui generis, basata sul riconoscimento della monarchia come fatto: Luigi XVIII nel 1814, Luigi Filippo nel 1830. Teoria debole sul piano filosofico (improprio chiamarla dottrinarismo), è tuttavia efficace sul piano politico (61).

    Non è il caso di addentrarsi nell'analisi di che cosa siano per Stahl teoria e storia del costituzionalismo liberale (lezioni X-XIII sui partiti politici). Si va da Montesquieu a Constant, dalla dottrina della divisione dei poteri - libera reinterpretazione di ben altre condizioni inglesi, secondo Stahl - alla nozione della monarchia come potere neutrale, passando per le idee di Clermont-Tonnerre e perfino di Siéyès (monarchia ridotta alla funzione di proclamazione-elezione). Il dottrinarismo vero e proprio, più moderato, sensibile al principio monarchico, ha molto imparato dalle lezioni della storia, pur senza mai rinnegare il suo falso concetto della sovranità (non di origine divina e divisibile). Di qui il bisogno di mantenere le distanze dal juste milieu, ma anche la stima serbata a Guizot fin dopo la caduta. Di lui Stahl respinge la pretesa equidistanza fra sovranità popolare e diritto divino, con annessa giustificazione del mutamento dinastico del 1830, così come il celebre Enrichez vous!, la selezione politica su base censitaria, tipico ritrovato del liberalismo (62). Tuttavia, rispetto ai legittimisti suoi connazionali, il liberale Guizot si fa preferire per un più profondo senso della storia, pietoso verso l'antica Francia, come giusto, ma esteso al 1789 e alle sue conseguenze. La sua idea di monarchia, più moderna, compatibile con un concorso popolare al governo, nemmeno riduce il potere monarchico a un potere in mezzo ad altri, esecutivo o neutrale, come vorrebbe il costituzionalismo liberale. In una parola Guizot è da elogiare perché tenta di separare dalla rivoluzione i princìpi durevoli della nuova epoca. Stahl non lo dice, ma vi è da presumere che incida su questa simpatia anche l'avversione di Guizot per il Secondo Impero, nonostante iniziali ondeggiamenti, che furono di molti, verso Luigi Napoleone come presidente della repubblica.

    Con questo però siamo fuori della Francia, oltre la crisi di quel legittimismo, costretto a confondersi, a destra, ieri con un partito della resistenza sotto un re detestato, oggi con un partito dell'ordine sotto l'incantesimo imperiale. Lo sguardo deve ora volgersi alla fonte di questi giudizi. Si tratta di esaminare la posizione stessa di Stahl nel campo della legittimità, o meglio la posizione che Stahl rivendica per sé, in particolare dopo il 1848. La sua difficile ricerca d'interlocutori, dentro e fuori la Germania, dà la misura della specificità politica e intellettuale del legittimismo tedesco.


    Note al Capitolo 5:


    (42) Vemichtungskampf fra liberali e democratici, ivi, pp. 177, 196.

    (43) La differenza colpisce tuttora gli studiosi; così c'è chi distingue fra un «conservatorismo anglo-atlantico», basato sulla proprietà (Eigentùmerkonservatwismus) , o un «conservatorismo europeo-continentale», basato sull'ordine (Ordo-konservativismus), come G. Lottes, Die Franzósische Revolution und der moderne politische Konservatismus, in Reinhart Koselleck-Rolf Reichardt (a cura di), Die Franzósische Revolution ah Bruch des gesellschaftlichen Bewufitseins. Voiiagen und Diskussionen der intemationalen Arbeitstagung am Zentrum fur Interdisziplinàre Forschung der Univ. Bielefeld, 28. Mai1. Juni 1985, Mùnchen, Oldenbourg, 1988, pp. 609-30.

    (44) EJ. Stahl, Die gegenwàrùgen Parteien in Staat und Kirche, cit, pp. 290-91, con menzione, fra le opere di Maistre, dell'Essai sur le principe générateur des amstìtutions politiques (1814) e delle Soirées de Saint-Pétersbourg (1821), alle quali bisogna aggiungere il Du Pape (1819), cfr. EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit, I, pp. 549tl, 552n. Lo scritto sul papa era noto a Stahl anche attraverso la traduzione tedesca di Moritz Lieber del 1822, cfr. [EJ. Stahl], Die Konsequenz des Princips. Erster Artikel, cit., p. 3n.

    (45) Henri de Boulainvilliers, autore della Histoire des anciens Parlemens de France (1737), cfr. EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit., 112, p. 568n. Completa il quadro della scuola controrivoluzionaria francese il visconte de Villeneuve-Bargemont, futuro traduttore di Silvio Pellico e autore di una Economie politique chrétienne (3 voli., 1834), ivi, p. 60n.

    (46) EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit., IL2, pp. 462-63. Filmer è citato per il Patriarcha, or the naturai power of kings (1680); Bossuet per la Politique tirée de l'Ecriture Sainte (1709); Wandal, vescovo di Sjaelland, sostenitore della svolta assolutistica di Federico III di Danimarca, per la dissertazione: J. Wandelinus,/«to regii òwtievóvvov et solutissimi cum potestate summa nulli nisi deo obnoxia, Havniae, 1663.

    (47) EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit, I, p. 551: «Fra gli scrittori controrivoluzionari Maistre è quello pervaso più a fondo dalla religione, egli ha una visione sacra del mondo». Per la teoria del diritto divino in Maistre, cfr. Essai sur le principe générateur des amstitutions politiques, prefazione (Dieu fati les Rais [...] il prépare les races royales; il les mùrit au milieu d'un nuage qui cache leur origine), oppure Du Pape, lib. II, cap. V (l'origine divine de la souverainité, ce dogme conservateur des États).

    (48) EJ. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und Kirche, cit, p. 290. L'appartenenza di Maistre all'indirizzo feudale della Restaurazione, anziché a quello monarchico-assolutistico, sarà di lì a poco il tema di un ampio saggio di H. Von Sybel, Graf Joseph de Maistre, in «Historische Zeitschrift», I (1859), 1, pp. 153-98, attento a non sottovalutare il profondo conflitto fra monarchia e aristocrazia in Francia, quasi ignoto alla Germania, ivi, p. 154.

    (49) EJ. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und Kirche, cit, p. 304; EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit., I, pp. 551-52, 589. Nella prima edizione delia Filosofìa del diritto si legge che l'ideale teocratico di Maistre sarebbe in fondo il sistema orientale delle caste, cfr. F.J. Stahl, Die Philosophie des Rechts nach geschichtlicher Ansicht, cit, IL1, p. 3.


    (50) EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts nach geschkhtlkher Ansicht, cit, IL1, p. 4.

    (51) EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit, I, pp. 549-53, 589. Fra gli scrittori cattolici influenzati da Maistre si fa il nome del tedesco Ferdinand Walter, autore di un manuale di diritto ecclesiastico esteso a tutte le confessioni cristiane (Lehrbuch des kirchenrechts, quattordici edizioni dal 1822 al 1871).

    (52) EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit, IL1, p. 176; II2, p. 261. EJ. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und Kirche, cit, pp. 300, 357-58.

    (53) Per la conoscenza di Tocqueville, famoso per lo studio sulla democrazia americana, cfr. EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit, 112, p. 40; EJ. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und Kirche, cit, p. 200. Di lui Stahl riecheggia la nota distinzione fra accentramento politico e amministrativo, fra forte autorità statale e unilaterale accentramento (emseitige Centralisation), cfr. EJ. Stahl, Die Revolution und die constitutionelle Monarchie, cit, p. 77.

    (54) Tema diffuso nella pubblicistica antirivoluzionaria protestante, basti ricordare l'articolo di L. Ranke, Die Idee der Volkssouveranetàt in den Schriften der Jesuiten, in «Historisch-Politische Zeitschrift», II (1835), 3, pp. 606-16, incentrato su Bellarmino e Mariana.

    Un esame accurato della dottrina gesuitica, con particolare riguardo a Bellarmino (de Romano pontifìce, lib. V, cap. VII), in EJ. Stahl, Die katholischen Widerlegungen, cit., pp. 7-42, risposta a un'apologia del cattolico Karl Gustav Rintel (di origine ebraica, si convertì dapprima al protestantesimo, poi al cattolicesimo). Stahl non si nasconde la varietà della dottrina cattolica in materia (ricorda in particolare, favorevole ai re, Petrus de Marca, De concordia sacerdote et impera libri octo, Parisiis, 1663, per non dire dei giansenisti), ma ritiene tutt'altro che eccezionale la dottrina gesuitica: né il concilio di Costanza (1414-18), né il decreto del generale dei gesuiti Aquaviva (1610), né la facoltà teologica di Parigi (1610, dopo l'uccisione di Enrico IV) avrebbero mai condannato in assoluto la dottrina del tirannicidio, bensì solo le sue versioni estreme (Jean Petit, il gesuita Mariana). Più incoerente rispetto alle sistemazioni protestanti del medesimo principio (Sidney, Locke), la dottrina gesuitica andrebbe tuttavia nella stessa direzione, ivi, p. 15. Sull'argomento, più in breve, sono anche da vedere: EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts nach geschichtticher Ansicht, cit, IL2, pp. 270-71; EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit., I, pp. 297-99; II2, pp. 177, 553-54; EJ. Stahl, Der Protestantismus als politisches Princip, cit., pp. 24, 109; EJ. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und Kirche, cit, pp. 61-62.

    (55) Nella Filosofia del diritto (terza edizione, voi. IL2, sez. III, cap. XTV) un intero nuovo capitolo è dedicato alla monarchia assoluta, legittima o rivoluzionaria (imperialismo). La prima è una costituzione naturale, esistita in tutta Europa: irriducibile al solo esempio di Luigi XIV, è destinata a evolvere in senso costituzionale; la seconda è un rimedio all'anarchia, frutto di uno stato di necessità, un meccanismo che impone obbedienza e affascina per la sua efficienza, ma privo di risorse morali (fuorché per la guerra). Per un'analoga distinzione fra monarchia assoluta (legittima) e Stato assoluto (rivoluzionario), cfr. EJ. Stahl, Die katholischen Widerlegungen, Cit, p. 51; per un giudizio più critico sull'assolutismo regio (lesivo dell'articolazione sociale tradizionale, oppure d'intralcio al passaggio dalla monarchia su base cernale a quella costituzionale), cfr. EJ. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und Kirche, Cit, pp. 164, 175, 324.

    (56) Nelle lezioni sui partiti Stahl si vanta di aver previsto il colpo di Stato del 2 dicembre 1851 e i suoi sviluppi, la svolta monarchica e autoritaria della nuova Francia napoleonica, ma ne profetizza l'insuccesso, perché il principio della sovranità popolare e la potenza delle baionette non rappresentano un'inversione di rotta rispetto alla rivoluzione, cfr. EJ. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und Kirche, cit, pp. 27374. Nella Filosofia del diritto il pronostico negativo è mitigato, l'autore dichiara di rifarsi non già a una sentenza divina immutabile, ma alle lezioni della storia (alla rovina degli usurpatori rivoluzionari o dei loro eredi: Cromwell, Napoleone L Luigi Filippo), cfr. EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, Cit, IL2, pp. 562-64.

    (57) EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit, II2, p. 462tl, con allusione allo scritto di Montalembert, Des intérètes catholiques au XIX' siecle (dicembre 1852, in concomitanza con la proclamazione dell'Impero). Montalembert è citato con favore anche per la sua contrarietà alla pretesa napoleonica che il parlamento potesse solo approvare o respingere in blocco, senza emendamenti, le leggi proposte dal governo, ivi, p. 450n. Su Montalembert critico del protestantesimo, cfr. F.J. Stahl, Der Protestantismus ah politisches Prmóp, cit, pp. 1-2.

    (58) EJ. Stahl, Die gegenwartigen Parteien in Staat und Kirche, cit, pp. 158-59: «Uomini come Odilon-Barrot e Thiers [...] non facevano opposizione a Luigi Filippo perché governava male, ma perché governava. Questo era il loro solo rimprovero [...] a Guizot, il quale assicurava al re influsso e partecipazione al governo». Naturalmente Stahl ha ben chiaro lo spavento di quegli stessi uomini per la catastrofe provocata, la brusca conversione all'ordine negli anni della Seconda Repubblica, il liberalismo in cerca di credito come partito della conservazione, il ceto medio costretto sulla difensiva da democrazia e socialismo. Ma per quei liberali, diversamente che per Guizot, egli ha parole di disprezzo e ne deride la pretesa, dopo l'abbattimento delle costituzioni tradizionali, all'intangibilità delle loro costituzioni cartacee, ivi, pp. 89, 140, 177, 335.

    (59) Ivi, p. 74.

    (60) EJ. Stahl, Die Phlosophie des Rechts noch geschichtlicher Ansicht, cit, IL1, pp. vivn. Giusta misura è l'armonia fra gli elementi dello Stato, non la via di mezzo fra gli estremi, o la medietà di un liberalismo moderato, ivi, pp. vn-vm: «Qualunque mescolanza si produca con quelle antitesi astratte - legge e libertà, resistenza e movimento - il risultato non sarà mai un ordine statale ricco di pensieri, variamente articolato, dove ogni rapporto e movente abbia in sorte la misura che gli spetta. [...] Il sistema liberale può ben moderarsi, ma così facendo diminuirà solo le sue distruzioni, non appagherà le vere esigenze».

    (61) F.J. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit., I, pp. 357-62. Più avanti, ivi, p. 590, il dottrinarismo francese è oggetto di un lusinghiero accostamento alla concezione storica e politica di Niebuhr, sebbene questa sia dotata di una moralità superiore. Stahl cita i discorsi parlamentari di Royer-Collard e un famoso scritto di Guizot: Du gouvemement de la France depuis la restauratìon, et du ministère actuel (1820), importante per l'analisi dei concetti di rivoluzione, controrivoluzione e legittimità.

    Tanto più significativo è l'apprezzamento di Stahl a confronto con l'esecrazione dei liberali tedeschi per la politica di Guizot, machiavellica, materialistica, corrotta, foriera di rivoluzione; ne è prova la voce Juste milieu, redatta da Carl Theodor Welcker, nella prima edizione dello Staatslexikon, cit., K (1840), pp. 3-28 (rimproveri analoghi provenivano, con ben altro spirito, dal campo dei conservatori e legittimisti più tradizionali).

    (62) Autorità per grazia divina, diritto storico, Stato cristiano rimangono valori estranei al partito costituzionale, così come governo parlamentare e rappresentanza censitaria sono incompatibili con la legittimità, cfr. EJ. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und Kirche, cit, p. 330.


    Fine Quinta Parte - continua

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    Predefinito Rif: STORIA E INDIRIZZI DEL CONSERVATORISMO POLITICO

    6. Germania: la polemica con la scuola di Haller

    La specificità consiste innanzitutto in un ritardo rispetto all'Inghilterra e alla Francia: solo con la rivoluzione del 1848, rivoluzione endogena e dal basso, minacciosa per l'istituto della monarchia, si creano le condizioni in Germania per la nascita di un partito della legittimità. Si tratta di una constatazione, non di un giudizio di valore, che tornerebbe a onore dei Tedeschi. Tuttavia è importante precisare: un partito della legittimità, non un «partito della reazione». Questo esiste da tempo, è nato per combattere una rivoluzione più antica, dall'alto, governativa e burocratica, tipicamente tedesca. Hardenberg in Prussia, Montgelas in Baviera, il giuseppinismo in Austria: la datazione è vaga, Stahl pensa alle riforme in età napoleonica, ma le premesse erano già nel dispotismo illuminato (63). È un punto delicato: in Francia il legittimismo è per definizione un legittimismo dinastico; in Inghilterra si è avuto un legittimismo dinastico sotto gli Stuart, poi sotto la nuova dinastia un legittimismo in difesa della costituzione tradizionale; in entrambi i paesi sempre però il nemico è la rivoluzione, pur con riserve circa il 1688. Al contrario, in Germania, la lotta alla rivoluzione si è sviluppata in polemica con la monarchia, o meglio con l'assolutismo regio, giunto a formale avvento con la dissoluzione del Sacro Romano Impero per opera di Napoleone. Di qui il problema rappresentato da quel primo indirizzo controrivoluzionario autoctono, ricco di motivi antiassolutistici e antistatali: irriducibile a una tardiva riedizione della Fronda, sul modello della Francia secentesca, perché tutto è cambiato con il secolo dei Lumi e il 1789, esso è tuttavia incompatibile con il principio monarchico moderno. Può ancora fornire ispirazione al partito tedesco della legittimità, dopo il 1848, ma non si adatta al combattimento ormai mutato. Separare in questa eredità gli elementi durevoli da quelli caduchi è il compito che Stahl si prefigge come filosofo e uomo politico.

    Le lezioni sui partiti (in particolare la lezione XXIV) muovono dall'analisi del legittimismo tedesco contemporaneo, articolato in correnti presso la corte e in parlamento. Nuova è l'idea stessa di un partito della legittimità come organizzazione politica, raggruppamento parlamentare. Tuttavia il partito della legittimità non è compatto, specie man mano che la rivoluzione perde forza. Si riflettono, neDe sue divisioni, concrete opzioni politiche, ma anche differenti scuole di pensiero. Tre sono in Germania le varietà del legittimismo (sebbene Stahl, lo si è visto, non ritenga in tutto applicabile il termine 'legittimità' alla prima fase del pensiero controrivoluzionario tedesco): legittimismo assolutistico, feudale o istituzionale (64). Il legittimismo assolutistico è ben rappresentato a corte, nell'esecutivo, nell'esercito, nell'alta burocrazia, si rifà alla tradizione antiparlamentare prussiana, sistema di governo sotto Federico Guglielmo III; massima sua concessione furono le diete provinciali del 1823. Ritornarvi, sia pur con gli opportuni aggiustamenti, è la malcelata aspirazione del primo ministro Manteuffel (dicembre 1850-novembre 1858), vincitore della rivoluzione, in parte anche degli ammiratori dell'imperialismo francese (65). Il legittimismo feudale, fiorito sotto la Restaurazione, depreca già la svolta assolutistica e illuministica della Prussia settecentesca, sul piano religioso coltiva simpatie per il cattolicesimo. È l'indirizzo di Haller, Gentz, Jarcke, del «Berliner Politisches Wochenblatt»; nel 1848 suo principale esponente è Ludwig von Gerlach. Il legittimismo istituzionale, infine, è quello proprio di Stahl, correzione dei due modelli precedenti, ma anche un tentativo di rispondere ai bisogni epocali che fanno la fortuna dei partiti della rivoluzione.

    La genesi di questa classificazione è nella Filosofìa del diritto (la terza edizione riprende, a sua volta, riflessioni svolte nelle lezioni sui partiti). Qui, già lo si è detto, si fronteggiano da una parte il pensiero controrivoluzionario vero e proprio, condensato per la Germania nelle figure di Adam Mùller e Haller, dall'altra la scuola storica del diritto, comprendente idealmente Stahl. Mùller e Haller, più importante quest'ultimo, combattono la rivoluzione dall'alto, sono i capiscuola del legittimismo feudale ancora vivo nella destra. Al contrario la scuola storica, sue figure eminenti Savigny e Niebuhr, propende per una monarchia costituzionale in senso moderno, ma riadattata alle condizioni tedesche, non ricalcata su modelli liberali stranieri (basti ricordare la nota avversione di Savigny per carte costituzionali e codificazioni giuridiche). Per Stahl è qui la fonte del legittimismo istituzionale suo proprio, sebbene in esso confluiscano in realtà diversi rivi, in parte estranei a Savigny, motivi controrivoluzionari della tradizione così come idee razionalistiche sullo Stato. Ricostruzione storica e dottrina filosofica si mescolano nell'analisi del legittimismo tedesco molto più che nel caso del legittimismo francese o inglese. Alla base è il confronto con gli scrittori controrivoluzionari, Mùller e Haller, sfondo anche della classificazione nelle lezioni sui partiti.

    Il giudizio su Mùller, si può dire, è fissato una volta per tutte nel 1833. Fra gli scrittori controrivoluzionari è il miglior filosofo: non innovativo, perché rielabora concetti del primo Schelling, ma da elogiare per l'idea di un'origine divina delle società umane, articolate come organismi viventi. L'ideale di società da lui proposto, ispirato al Medioevo, è però impraticabile e Mùller finisce per lasciarsi influenzare da Haller, di lui più concreto, ma senza visione d'insieme, interessato solo alla difesa di singoli diritti e istituti (66). Diversa, al trascorrere degli anni, è la presentazione di Haller, al quale è dedicata l'analisi più estesa. Stahl non lo ama e ne depreca la fortuna, seppur declinante. Nella prima edizione prevale il giudizio negativo, corretto nelle edizioni successive da una più pacata valutazione storica. Oggetto di critica è la teoria circa l'origine della sovranità e la forma costituzionale dei cosiddetti principati patrimoniali (o Stati territoriali indipendenti). Nonostante i suoi molti richiami a Dio, ordinatore del mondo fisico e morale, Haller incontra la disapprovazione di Stahl proprio per il mancato ricorso al diritto divino, per la preferenza accordata a un diritto naturale sui generis, basato sul nudo esercizio della forza, anziché, come nel giusnaturalismo, sulla trasmissione della sovranità dal popolo al monarca. Le conseguenze sono riprovevoli: per non dover riconoscere un analogo diritto all'esercizio popolare della forza, ossia alla rivoluzione, Haller consacra il diritto acquistato una prima volta con la violenza e ne fa una proprietà del titolare, che può disporne a piacimento. Il risultato è una concezione privatistica della sovranità e dello Stato, in tutto profana e che solo a mala pena può dirsi feudale. Monarca e sudditi esercitano, l'uno e gli altri, diritti impropri, nocivi, conoscono solo doveri nascenti da relazioni personali, non nobilitate da quel superiore sentimento del bene che la religione sapeva infondere nel Medioevo (67).

    Il giudizio si mitiga nella seconda edizione e nella terza, ma la sostanza non muta. Merito di Haller è l'aver messo in evidenza la base naturale del diritto e dello Stato (68). Tuttavia la sua teoria rimane astratta, razionalistica, i diritti da lui perorati, spesso ormai inesistenti, sono incompatibili con le attuali monarchie, assolute o costituzionali; il suo sistema riscuote simpatie presso i re solo perché li scioglie dai doveri verso lo Stato. Si può concluderne, senza tradire il pensiero di Stahl, che per il fatto di richiamarsi alla natura, anziché alla storia, Haller si dimostra ancora un uomo del secolo XVIII, più che Maistre e perfino Burke. Sotto questo aspetto Stahl non dà abbastanza peso, contro i suoi princìpi, alle origini svizzere, bernesi, di Haller, bensì lo esamina solo per la sua influenza in Germania. Eppure non già a dispetto della sua mentalità settecentesca, ma forse, potremmo dire, proprio per la sua appartenenza a un patriziato con forti radici nel secolo trascorso Haller si affermò come nume del romanticismo politico. Indubbio, infatti, è l'enorme fascino da lui esercitato sui pubblicisti controrivoluzionari tedeschi fino al 1848, cattolici e protestanti, divisi circa il suo passaggio alla Chiesa romana (di dominio pubblico nel 1821), uniti nel comune debito verso la sua opera (69). Stahl ne menziona alcuni, scrittori meno rigorosi, diversi fra loro, perlopiù difensori delle costituzioni tradizionali, cosiddette cetuali (landstàndisch), degli Stati tedeschi. Il personaggio più noto è Gentz, autore di un famoso memoriale presentato a Carlsbad, nel 1819, sulle riforme costituzionali lasciate in sospeso dal Congresso di Vienna. Ma più importanti, ai fini polemici, sono Jarcke, redattore del «Berliner Politisches Wochenblatt», poi questa stessa rivista con i suoi articolisti dal brillante avvenire politico - Radowitz, i fratelli Gerlach - infine giuristi di orientamento politico conservatore non riconducibili a Savigny, come Vollgraff e Maurenbrecher (70). A costoro va il pensiero di Stahl quando parla di legittimismo feudale o teoria patrimoniale dello Stato (71).

    Terreno di scontro sono due questioni essenziali per una più moderna definizione della legittimità: le dottrine della rappresentanza e della sovranità. Stahl riconosce un progresso dalla rappresentanza particolaristica di diritti territoriali e cetuali (mediante divisione in curie, mandati elettorali rigidi, personalità giuridica del territorio) fino alla rappresentanza nazionale della comunità dei cittadini. Ciò non conduce necessariamente alla dissoluzione della comunità nei singoli individui, secondo la ricetta del parlamentarismo rivoluzionario; basta che l'uguaglianza davanti alla legge non intacchi l'articolazione della società in classi, professioni e mestieri (agricoli, industriali, mercantili), la varietà fra città e campagna. Allo stesso modo la sovranità del principe evolve da un diritto di proprietà sul territorio (di fronte a pari diritti dei sudditi: esenzioni fiscali, milizie personali ecc.) fino a un titolo dinastico a impersonare lo Stato - personificazione necessaria e per volontà divina. Anche questo progresso non implica la rivoluzione, il trasferimento della sovranità a un altro soggetto, sia esso il popolo, la nazione o lo Stato, disgiunto dalla persona del monarca. Perciò sbagliano Haller e i suoi seguaci a tener fermo a condizioni più antiche, identificate sommariamente con le condizioni tedesche anteriori al 1789, nel timore che un mutamento debba portare solo disgregazione e anarchia (72).

    Più che una corrente di pensiero omogenea, la scuola di Haller è allora un insieme di autori che Stahl combatte, per così dire, sulla propria destra, anche se preferisce pensarli alle proprie spalle, residui del passato - combattimento solo teoretico fino al 1848, anche pratico dopo la svolta costituzionale della Prussia. Ad accomunarli era il rifiuto di quei nuovi princìpi, Stato di diritto (Rechtsstaat) e pari cittadinanza (Staatsbiirgertum), che Stahl avrebbe voluto conciliare con la legittimità (73). Ai loro occhi la posizione mediana di Stahl sapeva già di cedimento, di pericolosa terza via fra sovranità regia e sovranità popolare verso quella sovranità statale (Staatssouverainitàt) che s'iniziava a contemplare in quegli anni come speciale ritrovato teorico (74). L'attacco più insidioso venne da Jarcke sulle colonne del «Berliner Politisches Wochenblatt». L'articolo, eloquente fin nel titolo (Alter Irrthum in neuem Gewande, «errore antico in veste nuova»), asserisce che sotto il manto della legittimità Stahl finirebbe per conferire divinità allo Stato, al pari di tutta la filosofia politica moderna; in breve la sua teoria sarebbe ambigua e segretamente incline al liberalismo (75). Giudizio, a ben vedere, non del tutto privo di fondamento, se è vero che i primi a intendere lo Stato come persona civilis, il principe come suo rappresentante, furono i giusnaturalisti e per la Germania in particolare Thomasius (76).

    Siamo così al cuore del contrasto fra Stahl e la scuola di Haller. Quest'ultima trova che il principio della legittimità s'innesti in Stahl su di una concezione giuspubblicistica della sovranità, tipicamente razionalistica e rivoluzionaria, incompatibile con le tradizioni tedesche (parlamenti, autonomie comunali, immunità ecclesiastiche, autorità e giurisdizioni nobiliari). Pari incoerenza vi è per Stahl nella teoria privatistica della sovranità escogitata da Haller, un'astrazione di tipo contrattualistico, un prestito dal giusnaturalismo, solo senza la finzione del patto originario (77). Il dissidio racchiude un'oggettiva difficoltà del legittimismo, costretto a conciliare gli interessi un tempo divergenti della monarchia e dei ceti privilegiati contro la minaccia rivoluzionaria. Ai fini di una conciliazione, Haller, Jarcke e il «Berliner Politisches Wochenblatt» vorrebbero che fosse la monarchia a fare le maggiori concessioni, Stahl vorrebbe che fossero i ceti privilegiati. Perciò i primi sono più antistatali, il secondo rifiuta commistioni fra diritto pubblico e diritto privato; gli uni condannano l'assolutismo come antesignano della rivoluzione, l'altro concede ai monarchi assoluti di aver adempiuto in parte a un compito storico e che il male sia venuto dal mancato ammodernamento di altri organi sociali, in primo luogo parlamenti e nobiltà.

    Su Stahl certo pesava la sua esperienza bavarese di ebreo beneficato dalle riforme di Montgelas, suddito di un re, Luigi I, che nel 1817 aveva emanato una costituzione secondo le norme della nuova Confederazione Tedesca (diversamente dal prussiano Federico Guglielmo III). La consapevolezza dei mali dell'assolutismo monarchico, o ministeriale, invecchiato e compromesso con la rivoluzione, non valeva in lui a produrre una completa conversione alla causa della monarchia su base cetuale, forse nemmeno esistita con quei tratti se non nella mente degli ammiratori. Di qui il suo peculiare «principio monarchico», dai contorni tipicamente tedeschi. Era ancora il travaglio della Restaurazione prussiana, solo fattosi più grave con l'ascesa di Federico Guglielmo IV al trono di Prussia (1840) e il suo confuso intento di modificare la prassi di governo burocratica dei predecessori, poi con il dramma del 1848, quando la svolta costituzionale impose ai conservatori di scegliere se riformare oppure abrogare una carta ritenuta troppo liberale, ma pur sempre concessa (octroyé) dal re. La monarchia doveva guardarsi da se stessa, da opposte tentazioni assolutistiche e costituzionali.


    Note al Capitolo 6:


    (63) Ivi, pp. 291-92: «In Germania la prima rivoluzione francese non ha prodotto uno scuotimento del potere dei prìncipi - quello dell'impero tedesco era già decaduto. Al contrario, grazie a essa, i prìncipi divennero solo più potenti. Qui il rivoluzionamento è venuto dall'alto, dai governi, dalla burocrazia; non è consistito nello sciogliere i sudditi dall'obbedienza, ma nel dissolvere l'articolazione interna del popolo e nell'indebolire la base religiosa dello Stato. Perciò in Germania non vi fu spazio, a quell'epoca, per un partito legittimistico che rappresentasse in prevalenza l'elemento della regalità, poiché quest'ultimo non era minimamente attaccato, anzi era spinto all'estremo; piuttosto qui si formò, in parte, solo un partito per difendersi da quella disarticolazione intema. Sorse così un partito reazionario, in Prussia contro la legislazione di Hardenberg, in Baviera contro quella di Montgelas, in Austria già prima contro quella giuseppina. Solo più tardi, allorché il movimento in Germania iniziò a colpire i troni, il partito della legittimità si allargò a difendere anche l'autorità del monarca, principalmente nel senso di conservare la costituzione cernale di antico stampo, in contrasto con la teoria costituzionale. A partire dal 1848 si è formato un effettivo partito della legittimità nell'accezione più completa, in favore della monarchia come di tutti gli elementi della società, con princìpi scientifici e tendenze pratiche molto diverse».

    (64) A seconda dell'ordinamento monarchico prediletto: monarchia assoluta, monarchia su antica base cernale (altstandisch), monarchia costituzionale, ma rispettosa dell'elemento cernale (stàndisch-konstitutionett), ivi, pp. 319, 325, 328.

    (65) Ivi, p. 322. Stahl distingue, fra i seguaci dell'assolutismo, i sostenitori per motivi di principio dai suoi estimatori come forma di governo tradizionale della Prussia, resa più attraente dall'orrore per la democrazia, dalla vuotezza del costituzionalismo, dalle necessità della politica di potenza; questi ultimi sono i più numerosi e influenti.

    (66) EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts nach geschichtlicher Anskht, Cit, IL1, pp. 6-7, 11. Per Mùller fanno fede gli Elemente der Staatskunst (1809) e lo scritto Von der Nothwendigkeit einer theologischen Grundlage der gesammten Staatswissenschafìen und der Staatswirthschaft insbesondre (1819), già sotto l'influsso di Haller. Quasi invariato il testo nella seconda e terza edizione della Filosofìa del diritto, salvo che la trattazione di Mùller è posposta a quella di Haller e poche nuove righe sono dedicate ai meriti di Mùller come studioso di economia, nell'attesa di un suo continuatore, cfr. F.J. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit, I, pp. 568-69 (Mùller vi è ricordato anche per la sua pretesa alla genialità, tipicamente schellinghiana, ivi, p. 400).

    (67) F.J. Stahl, Die Philosophie dea Rechts nach geschichtlicher Ansuht, cit, II. 1, p. 11: «La sua [di Haller] veduta non è altro che la caricatura del Medioevo». Al monarca è riservato di amministrare a discrezione la giustizia, di condurre la guerra come faida, di disporre del paese come di un patrimonio divisibile, alienabile; ai sudditi rimangono l'esenzione dal servizio militare, il duello, la renitenza fiscale, in casi estremi la resistenza armata, ivi, pp. 9-11. A partire dalla seconda edizione s'incontra una precisazione storica: Haller dimentica che i prìncipi tedeschi non sono più a capo di Provincie dell'impero, ma di autentici Stati, cfr. F.J. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit. , L. p. 567; EJ. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und Kirche, cit., p. 296. Naturalmente Haller è citato come autore della monumentale Restauratwn der Staats-Wissenschaft (6 voli., 1816-32).

    (68) F.J. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit, I, p. 568. Non solo, ma perfino un superiore ordine morale, ibidem: «Haller ha portato alla coscienza il pensiero stesso che i rapporti di potere naturali formano una base dei rapporti politici anche secondo un superiore ordine morale, ossia formano una base dei rapporti morali di obbedienza; tuttavia egli esagera con la sua pretesa che qui sia il fondamento giuridico dei rapporti politici, il loro significato esclusivo e criterio di misura» (solo nella terza edizione). Le lezioni sui partiti ripropongono le consuete critiche, cfr. EJ. Stahl, Die gegerrwartigen Parteien in Staat und Kirche, cit., pp. 292-%.

    A questo giudizio più mite dovette contribuire la lettura di H. Leo, Studien und Skizzen zu emer Naturlehre des Staates, Halle, Anton, 1833 (citato in EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit. , I, p. 568n.), che annovera Haller fra i massimi fisiologi dello Stato (con Aristotele, Machiavelli e Montesquieu). Profondo critico della rivoluzione, riformatore delle vedute di Montesquieu sull'organizzazione statale germanica, Haller eccede, a giudizio di Leo, nell'amore per la teoria del complotto (desunta da Barruel) e nell'esasperata riduzione della sfera pubblica alla sfera privata, cfr. H. Leo, Studien und Skizzen, cit, pp. 44-50.

    (69) Debito non riconosciuto da tutti - lamentava il giurista Jarcke, un altro convertito, in polemica con gli scrittori protestanti, cfr. [CE. Jarcke], Die standische Verfassung und die deutschen Consùtutionen, Leipzig, Weygand, 1834, p. 24. L'esistenza di una scuola halleriana era assunta anche dalla controparte, cfr. L.A. Warnkònig, Rechtsphiiosophie ab Naturlehre des Rechts, Freiburg i. È., Wagner, 1839, pp. 156, 160. Suo organo fu il «Berliner Politisches Wochenblatt» (1831-1841), rivista di punta del conservatorismo prussiano, redatto dapprima da Jarcke, poi da Carl Gustav Schultz (in seguito al trasferimento di Jarcke a Vienna, nel 1832, successore di Gentz al servizio di Mettemich). Sull'argomento, cfr. W. Scheel, Dos "Berliner Politische Wochenblatt» und die politische und soziale Revolution in Frankreich und England Ein Beitrag zur konservativen Zeitkritik in Deutschland, Musterschmidt, Gòttingen, 1964.

    (70) Queste le rispettive opere: C. Vollgraff, Die Tauschungen des RepràsentaàfSystems oder Beweis: dass dieses System nicht das geeignete, rechte und zeitgemase Matei ist, den Bedurfnissen unserer Zeit zu begegnen, mit Andeutung der geeigneten, rechten und zeitgemàsen Reformen, Marburg, Elwert, 1832; [CE. Jarcke], Die stàndische Verfassung und die deutschen Constitutionen, Cit; Romeo Maurenbrecher, Die deutschen regierenden Fursten und die SouveranitaL Eme publicistische Abhandlung, Frankfurt a. M. , Varrentrapp, 1839 (per le citazioni, cfr. EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cie, 112, pp. 19n., 321, 332-33n., 366-68; per i richiami al «Berliner Politisches Wochenblatr», ivi, IL1, p. 345; 112, p. 333n. e cfr. F.J. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien tn Staat und Kirche, Cit, pp. 292, 326).

    Le critiche alla scuola di Haller trovarono una prima compiuta formulazione in una recensione allo scritto di Maurenbrecher, pubblicata da Stahl sui «Kritische Jahrbùcher fur deutsche Rechtswissenschaft», V (1841), 9, pp. 97-138. Aspra è la polemica contro Voligraff, Jarcke e il «Berliner Politisches Wochenblatt», ivi, pp. 98-99, 122-23, mentre Maurenbrecher, professore di diritto pubblico a Bonn, appare piuttosto un seguace incoerente di Haller, un apologeta delle condizioni prussiane, ma incapace di distinguere in esse fra tradizione e riforme, ivi, pp. 102, 123.

    (71) È da rilevare il silenzio di Stahl sui grandi oppositori nobiliari alle riforme di Stein e Hardenberg: forse per rispetto dovuto al loro rango, oppure perché uomini d'azione, il barone Marwitz e il generale Yorck von Wartenburg non figurano accanto a Haller, Gentz, Jarcke. Li troviamo citati nel discorso commemorativo di Federico Guglielmo III, che Stahl ebbe a tenere in qualità di rettore dell'università di Berlino nel tredicesimo anniversario della morte, cfr. Friedrich Wilhelm der Dritte. Gedachtmflrede, gehalten am 3. August 1853 von Dr. Stahl, ah derzeitigem Rektor der Kònigl Friedrich-Wilhebns-Universitat zu Berlin, Hertz, Berlin, 1853, poi in EJ. Stahl, Siebzehn parlamentarische Reden, Cit, pp. 250-62, in particolare pp. 252-53. Analogo silenzio è riservato a Justus Mòser, campione delle libertà locali della nativa Osnabrùck, precursore settecentesco di non pochi motivi polemici contro la rivoluzione dall'alto; forse perché scrittore per nulla sistematico e perché ormai datato, in genere Stahl lo trascura, fuorché in due luoghi della Filosofia del diritto, cfr. F.J. Stahl, Die Philosophie des Rechts, Cit, 112, pp. 40, 567.

    (72) Oggetto di polemica, a margine del Congresso di Vienna, fu l'uso stesso del termine Souverainilàt (dal francese antico souzerain, corruzione del latino supremus) per designare la sovranità dei monarchi tedeschi, in sostituzione del termine germanico Landeshoheit (superioritas territorialis, in senso tecnico l'autorità di un signore, diverso dall'imperatore, sopra un territorio dell'impero germanico - non la piena sovranità, leibniziano suprematus). Austria e Prussia, desiderose di limitare le prerogative di Stati intermedi, come Baviera o Wùrttemberg, avrebbero preferito il ritorno alla tradizione, contro l'uso invalso a partire dalla napoleonica Confederazione Renana, ma non ebbero successo. A loro volta Haller e la sua scuola consideravano Souveramitat un sinonimo di assolutismo e statalismo: i prìncipi tedeschi, accettando da Napoleone la «sovranità oggettiva» (objective Souverametàt), avrebbero perduto, in parte o in tutto, la loro sovranità effettiva, tradizionale (gute historische Landesherrlichkeit unti Hoheit), cfr. C. Vollgraff, Die Tauschungen des Reprdsentatif-Systems, cit., p. 27. Alla luce di questa polemica si capisce perché Stahl veda invece nel passaggio da Landeshoheit a Souveramitat l'espressione della propria superiore concezione della monarchia e dello Stato, cfr. EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit., II2, pp. 246, 275, 343.

    (73) In tema di rappresentanza e sovranità Stahl è quasi più vicino a Hegel, fiero critico di Haller e inviso ai tradizionalisti come teorico di un assolutismo statale burocratico. Nella teoria hegeliana del principe, inteso come personalità dello Stato, è da riconoscere un progresso rispetto sia alla teoria patrimoniale di Haller sia al liberalismo costituzionale di matrice montesquieuiana, cfr. E J. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit., I, p. 478; II2, pp. 244-45n., 334-35n.; mancano però in Hegel due baluardi essenziali della monarchia, il principio storico e la sanzione divina, ivi, I, p. 472.

    Più in generale, al declinare dell'hegelismo, crebbe in Stahl il sentimento del proprio debito verso la filosofia politica di Hegel, mai amato per le sue idee religiose e la sua metafisica, cfr. G. Masur, Friedrich Julius Stahl, cit, pp. 82-83.

    (74) R. Maurenbrecher, Die deutschen regierenden Fursten und die Souveramitau Cit, p. 19tl: «Stahl, il primo ad aver introdotto in filosofia il principio della legittimità, almeno come formula, non adopera il termine 'legittimità' nell'uso linguistico comune, ossia a indicare soltanto la concezione cristiana del principio patrimoniale, bensì nel significato tutto peculiare (illusorio) di una mescolanza fra 'sovranità statale' e principio cristiano». A propria difesa Stahl dichiarava inesistente la sovranità statale e ammissibile solo l'alternativa fra sovranità regia o sovranità popolare, cfr. «Kritische Jahrbùcher fùr deutsche Rechtswissenschaft», cit., p. 109; F. J. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit, LU p. 536n.

    Il concetto di Staatssouveraimtàt fu abbracciato in quel periodo, proprio in polemica con Stahl, dal giurista Heinrich Albert Zacharià, quale unico antidoto alla sovranità popolare, cfr. HA. Zacharia, Deutsches Staats- und Bundesrecht, Gòttingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1853, I, pp. 63-64.

    (75) [CE. Jarcke], Alter Irrthum in neuem Gewande, in «Berliner Politisches Wochenblatt», VII (1837), 30, pp. 175-77; 31, pp. 180-81; 33, pp. 192-9 6 (l'articolo non è riprodotto nei tre volumi della miscellanea: CE. Jarcke, Vermischte Schriften, Mùnchen, Verlag der Literarisch-Artistischen Anstalt, 1839). Stahl contrattaccò nella recensione a Maurenbrecher la teoria halleriana dello Stato è «un errore nuovo in veste antica», cfr. «Kritische Jahrbùcher fùr deutsche Rechtswissenschaft», cit, p. 100.

    (76) Per Stahl la dottrina della sovranità, positivo acquisto del giusnaturalismo, vi è però corrotta dalle premesse contrattualistiche e dalla rinunzia immorale alla sanzione divina dell'autorità (con la massima evidenza in Hobbes), cfr. EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit., 112, pp. 142-43, 179-80. Egli ha inoltre cura di distinguere fra la nozione del monarca come personificazione dello Stato e la sua degenerazione assolutistica (nel senso di Luigi XIV), ivi, pp. 239-41.

    (77) U. Grozio, De jure belli oc pacis, lib. I, cap. III, §§ 11-12, riconosce in effetti a taluni monarchi un «pieno diritto di proprietà» sullo Stato, così come S. Pufendorf, De jure naturae et gentium, lib. VII, cap. VI, § 16, ammette l'origine patrimoniale di alcuni regni per via di conquista. Ma si tratta di concessioni accompagnate da precise restrizioni, utili in ogni caso a consolidare l'autorità statale del monarca, senza confonderla con autorità subordinate. Haller ne parla come di «singoli lampi di genio», «asserzioni giustissime», ma che nulla toglierebbero all'errore fondamentale del giusnaturalismo, la sua nozione di societas àvilis, cfr. C.L. Von Haller, Restauratimi der StaatsWissenschaft oder Theorie des naturlich-geselligen Zustands; der Chimàre des kiinstlichbiirgeriichen entgegengesezt, Winterthur, Steiner, 1816-31, I, pp. 37, 48.


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    Predefinito Rif: STORIA E INDIRIZZI DEL CONSERVATORISMO POLITICO

    7. Germania: il legittimismo di Stahi e le sue aporie

    L'oscillazione fra assolutismo e costituzionalismo, fra costituzionalismo in senso cetnale o liberale, segnò la transizione accidentata della Prussia dalla Restaurazione all'età bismarckiana. Stani non arrivò a vederne l'esito, per quella sorte, a modo suo benigna, che fa coincidere talvolta l'esaurirsi della vena creativa di un autore con la fine della sua stessa vita. Tuttavia egli presagiva il pericolo che la rivoluzione si riaffacciasse sotto mentite spoglie, che liberalismo, nazionalismo e imperialismo si fondessero con la monarchia in una miscela originale, come sarebbe accaduto di lì a poco (78).

    Rispetto al legittimismo feudale, halleriano, il legittimismo assolutistico coltiva un progetto più semplice, ma del pari anacronistico e forse più pericoloso: volgere in difesa della legittimità gli antichi strumenti della rivoluzione dall'alto, la burocrazia e l'esercito. Per meglio caratterizzarne l'ispirazione Stahl adopera una formula metà francese metà tedesca: gouvernamentale Gesinnung, che potrebbe tradursi con 'mentalità governativa'. È il modo di pensare di chi sta dalla parte del governo, ieri per la rivoluzione dall'alto, oggi per il mantenimento meccanico dell'ordine (79). Non corrisponde a una teoria sviluppata, o almeno Stahl non la menziona. A volerla rintracciare, bisognerebbe forse risalire fino a Hegel, naturalmente Hegel reinterpretato da Stahl (peraltro non da lui solo): Yultra del potere governativo (Regierungsgewalt), paladino d'istituti politici e sociali legittimi, anche se difesi sulla base di princìpi razionalistici intrinsecamente rivoluzionari, tanto che da lui sarebbe sorta, contro il suo volere, una giovane scuola sovversiva (80). Più in concreto, dopo il 1848, il legittimismo assolutistico soggiace a tentazioni provenienti dalla Francia. Davanti allo spettacolo della repressione militare, efficace anche in Germania, la mentalità governativa, l'abitudine alla direzione autoritaria degli affari pubblici, finisce per mescolarsi con l'ammirazione per le nuove personalità dittatoriali di Cavaignac, Changarnier, Luigi Napoleone. Di qui la minaccia che sull'antico tronco della monarchia prussiana possano innestarsi virgulti imperialistici, rescissi dalle radici rivoluzionarie, ma non perciò benigni, o nel migliore dei casi che si vogliano applicare alla Prussia i rimedi della più arretrata e composita Austria: ricorso all'esercito e abrogazione della costituzione (81).

    In questione non è l'uso della forza contro la rivoluzione, che anche Stahl ritiene necessario. Tuttavia è sua convinzione che, nel 1849, la legittimità sia prevalsa in Prussia ancor più per la forza del sentimento monarchico, radicato nelle tradizioni della nobiltà terriera, della Chiesa, dell'esercito e della popolazione rurale. Proprio su queste tradizioni bisogna fondare una monarchia rinnovata. Perciò nella contesa intorno alla costituzione del 5 dicembre, che molti legittimisti, feudali e assolutisti, consideravano un cedimento alla rivoluzione e volevano fosse ritirata, Stahl si battè per una riforma bensì restrittiva, ma attuata per via legale con l'approvazione delle due Camere (necessaria, in entrambe, la semplice maggioranza assoluta, come previsto dall'articolo 106). L'abrogazione sarebbe equivalsa a un coup d'État napoleonico, senza che il sistema di governo di Federico Guglielmo III - comunque lo si valutasse, burocratico o patriarcale - potesse risorgere (82). Ritorna qui il giudizio sulla monarchia assoluta, già incontrato a proposito della Francia, un giudizio con molte riserve, ma irriducibile alle critiche di matrice feudale o liberale. Tramite il dispotismo illuminato e in seguito al disastro militare di Jena furono attuate riforme necessarie (organizzazione
    militare, legislazione agraria, ordinamento comunale), ma con metodi «francesi», estranei alla vita prussiana. La sfida stava nel riuscire là dove l'assolutismo burocratico aveva fallito, ossia nel coniugare riforme e tradizione.

    Questo è il senso del legittimismo proprio di Stahl, cosiddetto istituzionale, con il cuore più vicino al legittimismo feudale, ma temperato dal più maturo senso dello Stato del legittimismo assolutistico e aperto ai più durevoli elementi di novità dell'epoca. Si trattava di ammodernare il pensiero della Restaurazione, di correggerne l'anacronismo, che rischiava di farne una tendenza minoritaria ed estremistica, quasi caricaturale, «barocca» (cfr. nota 2), inadatta alle necessità della pur gracile vita parlamentare prussiana dopo il 1848. Sullo sfondo è un motivo classico del pensiero conservatore, ossia fino a che punto la lotta alla rivoluzione debba risolversi in una pura e semplice «reazione». Per Stahl la reazione è il solo risultato alla portata delle due maggiori correnti del legittimismo tedesco; non è di per sé un male (reagire alla rivoluzione, tornare indietro è necessario), ma indica un compito soltanto negativo (83). Al contrario bisogna trarre un insegnamento positivo anche dalle dottrine dei partiti avversi: dal liberalismo i diritti umani, dal costituzionalismo il carattere pubblico e la dimensione nazionale di monarchia e parlamento, dalla democrazia l'irrilevanza del censo al cospetto della legge, dal socialismo la sensibilità istituzionale verso la povertà diffusa, prodotto del macchinismo e di un malinteso laissez faire. Il tutto nel supremo rispetto di valori permanenti - legittimità, principio monarchico, Stato cristiano - che permettano di separare il grano di quell'insegnamento positivo dal loglio della rivoluzione negativa (84).

    È questo, per Stahl, il solo modo di restare fedele al magistero della scuola storica, come almeno egli lo intende: conservare la tradizione senza perciò maledire tutto quanto la storia viene producendo di nuovo. La rivoluzione come tale è un sistema politico, empio e rovinoso, sempre oscillante fra anarchia e dispotismo, ma dal quale è possibile separare singoli princìpi per innestarli sul tronco della legittimità. Bisogna operare una selezione, ma sulla base di criteri filosofici e proprio qui Stahl fa consistere il suo contributo alla scuola storica. E davvero fuor di questa cornice non si capirebbe, nel primo volume della Filosofìa del diritto, il ruolo della scuola storica in alternativa alla teoria controrivoluzionaria di Burke, Maistre, Haller e Mùller, inguaribili passatisti, è vero, ma rispetto a Savigny o a Niebuhr certo più agguerriti sul piano filosofico e teologico. Sul piano pratico, nella vita parlamentare, non è solo nel campo del legittimismo feudale che Stahl spera di trovare sostenitori. Oggetto delle sue cure sono innanzitutto i prìncipi, la nobiltà, l'esercito, il clero (perfino i calvinisti ormai hanno rotto con la rivoluzione!), ma anche gli strati inferiori della società rurale e quei liberali moderati, pentiti, che infine volessero distinguere fra monarchia costituzionale e costituzionalismo rivoluzionario. Perché la restaurazione non si risolva in una semplice reazione occorre strappare gli uni e gli altri alle loro illusioni, creare un partito che aiuti la dinastia a rimanere fedele a se stessa in condizioni ormai mutate. L'avvicinamento ai Gerlach, la collaborazione alla «Neue Preufiische Zeitung» (per tutti semplicemente la «Kreuzzeitung», dalla croce sovrastante il titolo) sono da leggersi in questa prospettiva. Di qui l'orgogliosa rivendicazione di coerenza, da parte di Stahl, contro quanti lo accusavano di essersi messo al servizio della nobiltà più retriva, l'inviso Junkertum (85).

    È noto che la via mediana di Stahl non fu percorsa, né forse poteva esserlo. Negli anni Cinquanta sfide imponenti chiamavano a dar prova di solidità il nuovo assetto della Prussia. Sul piano internazionale l'adesione all'Unione di Erfurt, la rivalità tedesca con l'Austria, la neutralità nella guerra di Crimea, più in generale il mantenimento del rango di grande potenza al tramonto della Santa Alleanza. Sul piano politico interno la questione costituzionale, le riforme amministrative a essa collegate (per esempio in tema di autorità giudiziaria e di polizia), la malattia di Federico Guglielmo IV con la proclamazione di una reggenza. Sul piano ecclesiastico la riunione dei protestanti, il loro rapporto con i cattolici (divisi fra cattolici romani e cattolici tedeschi), la parificazione degli ebrei, insomma l'insieme di quei problemi sussunti da Stahl sotto la sua definizione di uno Stato basato sulla visione cristiana del mondo (86). Sul piano economico la questione del libero mercato, con ricadute sullo statuto della proprietà terriera, sull'avvenire dell'aristocrazia fondiaria piccola e grande (soprattutto piccola, i cosiddetti Rittergutsbesitzer). Ne nascevano divisioni anche fra i legittimisti, che Stahl aspirò invano a superare. Per un momento egli potè credere che la neonata monarchia costituzionale prussiana fosse la realizzazione del suo proprio modello teorico, ma l'illusione fu breve. L'astro di Stahl incominciò a tramontare già nel 1858 con la reggenza del principe Guglielmo e l'avvio della cosiddetta 'Nuova Era' (ministero Hohenzollern-Sigmaringen).

    Nel Novecento, nel secondo dopoguerra, vi sarà in Germania chi vedrà in quell'insuccesso, più in generale nello scacco della destra formatasi sotto la Restaurazione, un fattore importante della futura catastrofe tedesca, innescata con la svolta di Bismarck verso l'espansione militare all'esterno e l'espansione delle funzioni statali all'interno della società (87). Ma la debolezza di Stahl era nelle istituzioni stesse chiamate a conciliare i princìpi monarchici e cristiani con gli acquisti della storia recente. Non a torto si è detto che orizzonte di Stahl, seppur allargato alla Prussia e al 1848, fossero ancora le carte costituzionali emanate dopo il 1815 dai monarchi della Germania meridionale (88). In più non riuscì a Stahl di ampliare in maniera significativa il partito della legittimità, bensì solo di raccogliere intorno a sé partigiani dell'antico indirizzo feudale, costretti a scendere a patti con una realtà che ancora speravano destinata a dissolversi. La sua dottrina dei partiti riflette quest'ambiguità, con particolare evidenza nel caso del legittimismo tedesco, dove non è facile concedere che le tendenze ostili alla rivoluzione si lascino riassumere nella tripartizione proposta. Vi erano nell'aristocrazia uomini di sentimenti governativi e monarchici, che volevano però guadagnare a fondo la dinastia alla causa nazionale tedesca e a una politica di potenza insieme antifrancese e antiaustriaca, sciolta dai vincoli del Congresso di Vienna. Si parlava, all'epoca, di passare da una politica dei princìpi ormai invecchiata, i princìpi della Santa Alleanza e della Restaurazione, a una politica degli interessi, non più ispirata solo alla lotta contro i movimenti rivoluzionari in apparenza sconfitti. A propugnarla erano talvolta antichi legittimisti feudali, ma folgorati dal 1848 e dal bonapartismo. Un esempio è Carl Maria von Radowitz, convertito da ragazzo al cattolicesimo, firma importante del «Berliner Politisches Wochenblatt», guadagnato nel 1848 alle idee nazionali e tentatore di Federico Guglielmo IV con progetti di monarchia pantedesca; oppure Moritz August von Bethmann-Hollweg, capofila della destra in parlamento, insieme a Stahl e pochi altri, ma presto distintosi per una marcata fronda antigovernativa e ispiratore del neonato «Preufiisches Wochenblatt», foglio di un conservatorismo più libero da preoccupazioni religiose e interessi nobiliari, più aperto ai bisogni della nazione tedesca e della potenza prussiana89. Ma vi erano anche novi homines attratti dalla redistribuzione di sempre maggior potere nelle società e nei rapporti interstatali, primi esponenti di un indirizzo imperialistico tedesco modellato sulla Francia napoleonica: così Constantin Frantz con il suo Louis Napoleon (1852, seguito nel 1862 da una Kritik aller Parteien, eloquente fin nel titolo) oppure August Ludwig von Rochau con i suoi Grundsàtze der Realpolitik (1853). Contro tutti costoro Stahl polemizza più o meno apertamente nella vita parlamentare e in pubblici discorsi (90). Tuttavia egli sembra a disagio nel trovar loro una collocazione teorica e invano la si cerca nelle opere scientifiche: anziché un sistema politico originale, essi si direbbe costituiscano per lui solo una variante del tradizionale legittimismo assolutistico.

    Eppure è solo con potenti correttivi da questo versante che il legittimismo istituzionale di Stahl avrà un'eco nella vita politica prussiana, poi tedesca, fino al 1918. Alla sua morte Stahl fu qualificato come pensatore di un'altra epoca, filosofo della Restaurazione; massimo rilievo fu dato, in chiave negativa, ai presupposti teologici della sua concezione politica. Perfino scrittori ostili alla rivoluzione non dimostrarono il dovuto riguardo al suo sforzo, teoretico e pratico, di rinnovare il legittimismo tedesco (91). L'impresa invero era incerta. Ben consapevole delle difficoltà, Stahl non le ascrive però a un difetto del partito della legittimità, o della propria veduta, bensì alla miseria dei tempi, oscillanti fra innovazione distruttiva e conservazione sterile (92). Lo soccorre qui la sua ispirazione religiosa, l'idea che la crisi del presente sia il prodotto del processo di secolarizzazione in atto nelle società cristiane, ovvero che lo scontro fra legittimità e rivoluzione sia una sorta di giudizio universale anticipato. Ma più che costituire il presupposto della sua filosofia, questo argomento teologico sembra, negli ultimi anni, offrire a Stahl piuttosto un riparo dal temuto insuccesso del suo progetto politico. Non perciò la vena religiosa, pur profonda e sincera, ma l'accresciuta prospettiva storica, sebbene viziata dalle carenze qui emerse, costituisce l'autentico motivo d'interesse delle sue lezioni sui partiti (93).


    Note al Capitolo 7:


    (78) La prefazione all'ultimo volume della Filosofia del diritto (maggio 1856) tradisce il timore che la rivoluzione possa aver messo radici in Germania e la restaurazione del principio monarchico naufragare un giorno come già la restaurazione dei Borboni, cfr. F.J. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit., II2, pp. Xhi-xxvii. Tuttavia dal confronto fra le condizioni francesi e tedesche Stahl conclude per la stabilità del principio monarchico in Germania: nessuna dinastia caduta, la rivoluzione solo effimera e dannosa alla causa nazionale, l'aristocrazia come sempre a fianco dei monarchi (diversamente dalla nobiltà francese, più indocile, erede di antichi grands seigneurs).

    (79) Sulla 'mentalità governativa', sinonimo di assolutismo e mancanza di princìpi, cfr. F.J. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und Kirche, cit., p. 300. Si deve ricordare che durante la Restaurazione era usuale distinguere fra 'partito di governo' (Regierungsparteì) e 'partito di opposizione' (Oppositionsparteì), il secondo genericamente liberale, ispirato a ideali, il primo comprendente i sostenitori dell'ordine costituito, a esso legati da interessi personali, senza una base ideologica precisa, cfr. la voce Parteien, politisele nel Deutsches Staats-Wórterbuch di Bluntschli, cit., VII, pp. 719-20.

    (80) Su Hegel, né ultrarealista, né ultraliberale, bensì ultragouvemamental, cfr. F.J. Stahl, Die Philosophie des Rechts, Cit, I, pp. 475, 539; sulla sua incoerenza, smascherata dai discepoli, ivi, pp. 488-90; II2, pp. 6-7.

    (81) F.J. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit, 112, p. H: un «lealismo esasperato» (itberschlagene Loyalitat) inclina a spiegare la rivoluzione del 1848 solo con l'imprudenza dei governi e a trovar conforto nei rimedi militari applicati da Cavaignac e Changarnier contro le barricate.

    (82) F.J. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und fórche, cit, pp. 322, 324. Stahl rimanda ai suoi discorsi parlamentari, con probabile allusione a quello del 26 gennaio 1852, cfr. F.J. Stahl, Siebzehn parlamentarische Reden, cit., p. 25: «L'ingenuità, la ruùveté del governo patriarcale è passata per sempre. Purtroppo abbiamo assaggiato la mela del peccato, il sistema dei partiti, l'abbiamo più che assaggiata e l'intensità del suo sapore ci farebbe ormai sentire amaro il governo patriarcale. Perciò dico: riformare la costituzione, non toglierla di mezzo! Questa è la via che la provvidenza ci ha indicato e non ci è lecito abbandonarla di nostra iniziativa».

    (83) EJ. Stahl, Die gegenw'àrtigen Parteien in Staat und Kirche, Cit, p. 334: «C'è una reazione sana e necessaria. Da nessuna malattia si può guarire se il corpo non reagisce. Così anche dalla rivoluzione non si può guarire senza reazione. I veri princìpi di una buona istituzione, che la rivoluzione distrugge, vanno restaurati, la falsa dottrina, la pseudocultura vanno cancellate. Questa è la reazione sana e necessaria. [...] Così il sentimento monarchico, la disciplina dei funzionari pubblici, il carattere cristiano della scuola popolare sono da ristabilire molto più forti di quanto non fossero ormai da decenni, ben prima del 1848. [...] Tuttavia c'è anche una falsa reazione. Essa consiste nel misconoscere i compiti che davvero spettano all'epoca presente, compiti che la rivoluzione fraintende, nel chiudersi a riccio contro di essi». Segue un lungo elenco: tutela della libertà individuale, garanzia di diritti politici e sociali inseparabili dalla cittadinanza, difesa non solo poliziesca della costituzione e dell'ordine legale, cauta promozione dell'unità nazionale, rispetto per i parlamenti, la stampa, la scienza, l'opinione pubblica.

    (84) EJ. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und Kirche, cit., p. 4: «Soddisfare gli impulsi della rivoluzione a partire dai princìpi della legittimità, far fronte ai nuovi bisogni della società conservandone le antiche fondamenta. Ecco il mio punto di vista, come obiettivo e come problema». Sull'insegnamento positivo dei partiti rivoluzionari, ivi, pp. 107-108, 165-66, 193-94, 275; F.J. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit, I, pp. 328-29.

    La parziale apertura di Stahl a ideali liberali e nazionali dovrà farsi risalire ai primi suoi studi presso l'università di Wùrzburg, alle lezioni di Joseph Behr e di Adam Seuffert, all'attiva militanza nella Burschenschaft, cfr. G. Masur, Friedrich Julius StabL, cit, pp. 47-48, 86.

    (85) F.J. Stahl, Die Revolution und die constitutionelle Monarchie, cit, p. v. Obiettivo è promuovere «una grande coalizione di tutti i benpensanti», gli antichi difensori delle costituzioni cernali (die fruhem blos "Stàndischen"), guadagnati al sistema costituzionale, insieme agli antichi liberali, divenuti più conservatori e monarchici. Un motivo analogo - le questioni concrete potranno avvicinare «moderati e benpensanti dei due lati» - anche in F.J. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und Kirche, cit, pp. 3-4, con un elenco dei ceti sensibili al legittimismo e una caratterizzazione negativa dello Junkertum, tracotante e indisciplinato, a fronte dell'aristocrazia autentica, consapevole dei suoi doveri, ivi, pp. 297, 333.

    (86) Per il significato di Weltanschauung, cfr. F.J. Stahl, Die Philosophie des Rechts, cit., II.I, p. 4. Peraltro lo Stato cristiano non corrisponde a un modello univoco, assoluto, ma varia in base ad epoche e luoghi, al pari della legittimità, cfr. F.J. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und Kirche, cit, p. 314.

    (87) È il caso soprattutto di H.J. Schoeps, Dos andere Preussen, Berlin, Haude und Spener, 1952 (a partire dalla terza edizione, 1964, con il sottotitolo Konservative Gestalten und Probleme im Zeitalter Friedrich Wilhelms IV.); a Stahl sono dedicate in particolare le pp. 76-81, 222-38 (terza edizione), con speciale riguardo ai suoi rapporti con Ludwig von Gerlach e alle sue idee in materia ecclesiastica. Un ritratto di Stahl è delineato da Schoeps anche nella rassegna a cura di H. Lamm, Von Juden in Munchen, Munchen, Ner Tamid Verlag, 1958, pp. 99-103. La sostanziale estraneità di Stahl all'idea dello Stato come potenza, o almeno la sua tardiva scoperta, è colta già da G. MaSur, Friedrich Julius Stahl, cit, p. 241.

    (88) Di qui il facile sarcasmo di Dahlmann, nella seconda edizione della sua Politica, contro il principio monarchico di Stahl, paragonato a una medicina inefficace, a semplici caramelle per la tosse - la libertà prescritta in piccole dosi omeopatiche, cfr. F.C. Dahlmann, Die Politik auf den Grund und das Maji der gegebenen Zustànde zuriickgefiihrt, Leipzig, Weidmann, 1847, pp. 235-36. Sull'importanza dell'esperienza costituzionale bavarese per la formazione delle idee politiche di Stahl, cfr. G. Masur, Friedtich Julius Stahl, Cit, pp. 211, 238.

    (89) Fra 1849 e 1850 Radowitz fu l'ispiratore del fallito progetto di federazione fra Prussia, Sassonia e Hannover, noto come Unione Tedesca (parlamento di Erfurt). Su Bethmann-Hollweg e il «Preufiisches Wochenblatt», cfr. M. Behnen, Das Preuflische Wochenblatt (1851-1861). Nationalkonservative Publizistik gegen Standestaat und Polizeistaat, Gotringen, Musterschmidt, 1971.

    (90) Così circa l'ipotesi di una partecipazione prussiana all'alleanza fra potenze occidentali e Turchia contro la Russia nella guerra di Crimea (1853-56). Stahl la avversò nel nome dei sacri princìpi del cristianesimo e della legittimità, comuni ad Austria, Prussia e Russia, sebbene molti considerassero la neutralità un danno per gli interessi della Prussia, cfr. EJ. Stahl, Siebzehn parlamentarische Reden:, cit, pp. 212, 218 (seduta della Prima Camera, discorso del 25 aprile 1854); EJ. Stahl, Die Philosophie des Rechts, òl, Ì12, pp. xvi-xvii.

    (91) «Stahl combatte per le sue vedute come l'ebreo per i comandamenti di Geova, come il mussulmano osservante per il Corano. I partiti politici sono per lui partiti di fede» - così Bluntschli nella voce dedicata a Stahl, nel 1867, sul Deutsches Staats-Wòrterbuch, cit., X, pp. 154-63. Stahl sarebbe il campione di un «dottrinarismo» della legittimità, teologizzante, monarchico in senso quasi assolutistico, ignaro dello «spirito statale ariano» e del vero protestantesimo, addirittura pericoloso per lo Stato.

    Hermann Wagener, già redattore della «Neue Preufiische Zeitung», futuro ammiratore della politica sociale bismarckiana, biasima Stahl per la sua arrendevolezza, a partire dal 1855, verso la politica del governo Manteuffel, mista di concessioni al liberalismo e di repressione poliziesca, cfr. [H. Wagener], Pernice. Savigny. Stahl, Berlin, Heinicke, 1862, pp. 85-89 (poi di nuovo alla voce 'Stahl' dello Staats- und GesellschaftsLexikon in Verbindung mit deutschen Gelehrten und Staatsmannem herausgegeben von Hermann Wagener, Berlin, Heinicke, 1859-67, XIX, pp. 653-61, in particolare p. 657).

    (92) EJ. Stahl, Die gegenwàrtigen Parteien in Staat und fórche, cit., pp. 336-37: «Se l'epoca fosse colma della fede cristiana e di tutto ciò che questa produce: rispetto, obbedienza verso le autorità, fedeltà alla professione, impulso alla coscienziosità e all'abnegazione - in una parola il desiderio di una forma di vita corrispondente ai precetti cristiani - allora si potrebbe chiedere al partito della legittimità di creare, di venire in soccorso a quel desiderio, di attuare questa forma di vita. Senza di ciò la cosa non è possibile. Solo in base a princìpi e dottrine, per quanto veri senza inganno, non si può dar forma a una nuova vita. Da due secoli facciamo perlopiù la triste esperienza che gli spiriti conservatori sono improduttivi, mentre gli spiriti progressivi distruggono, che ci sono solo una conservazione improduttiva e una distruzione ricca d'inventiva. Perciò il difetto non sta nel partito della legittimità, ma nell'epoca. Il partito conservatore deve per forza essere eminentemente conservatore, finché non si desti nelle nazioni uno spirito migliore, dal quale si possa guadagnare nuova cultura».

    (93) In tal senso è solo in parte condivisibile il giudizio di K. Mannheim, Konservatismus. Ein Beitrag zur Soziologie des Wissens. Herausgegeben von David Kettler, Volker Meja und Nico Stehr, Frankfurt a. Main, Suhrkamp, 1984, p. 101, che considera «astorico e puramente sistematico» l'approccio di Stahl a questa materia. Ciò è vero per il dualismo fondamentale fra rivoluzione e legittimità, ma non per la trattazione dei singoli partiti.



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