Il colloquio «I conservatori qui danno troppa importanza a morale e religione. E McCain mi ha deluso scegliendo la Palin»
«La fine dell' America? Con Obama è più lontana»
Lo storico Ferguson: «Ma a Londra sto con Cameron»
NEW YORK - «Erano impauriti, li ho tirati un pò su». Bello come un attore, in un salone affrescato dell' hotel Pierre Niall Ferguson si rilassa mentre furtivi businessmen svicolano nel sole della Quinta Avenue. Buona scelta, un lussuoso albergo in ristrutturazione, per parlare dell' America da rimettere in sesto.
Scozzese, 44 anni, storico acclamato e professore di Harvard, Ferguson ha appena raccontato a una platea di uomini d' affari «sei buoni motivi» per cui l' America non fallirà. Economia e geopolitica, il debito pubblico accettabile e il mondo che sta meglio di due anni fa (specie in Medio Oriente). Mentre in Italia sta per uscire lo splendido Ventesimo Secolo, l' età della violenza (Mondadori editore), Ferguson ha appena ultimato una storia della finanza il cui titolo suona beffardo: L' ascesa del denaro. Veramente a Wall Street parlano di tsunami...
«Poche settimane fa parlavo anch' io del rischio di tempesta perfetta. Ora sono più ottimista. La reazione dei governi è stata efficace».
Però le Borse scivolano...
«La recessione è una brutta bestia, ma il pericolo di depressione in America è scongiurato».
E altrove?
«È amaro dirlo, perché la crisi è nata qui, ma saranno altri a patire di più. Il debito pubblico Usa non supererà il 75% del prodotto interno lordo. Alcuni Paesi europei, come la Gran Bretagna, quelli con un maggiore debito pubblico sono più esposti. Gli Usa potranno ancora farsi prestare denaro sul mercato internazionale».
Ma come: l' America è drogata di debiti, ogni famiglia possiede in media 13 carte di credito al 40% in rosso e lei consiglia altri prestiti...
«L' età dei debiti in cui tutti un pò abbiamo sguazzato non può continuare. Il gioco è finito, la stretta del credito reale. Ma sarebbe follia togliere al paziente le flebo tutte d' un colpo. I rubinetti del credito devono stare aperti».
Lei quante carte ha?
«Due. Ho peccato nel mattone. Tre case. Ma è mia moglie quella che s' indebita».
Ancora poco tempo fa Alan Greenspan diceva che non c' era motivo di inibire le api impollinatrici di Wall Street...
«Credo che l' errore fondamentale non sia stata la deregulation. Nel tracciare le politiche monetarie le autorità hanno sempre considerato solo l' inflazione al consumo, non quella degli assets, le azioni...».
Francis Fukuyama ha scritto che i due prodotti chiave del brand America, libero mercato e democrazia, sono in disgrazia.
«Il mondo è più democratico oggi di due anni fa. E la purezza del libero mercato è una favola da decenni: l' economia americana è mista, Stato e mercato, come quelle europee».
Chi rischia di più?
«I dittatori e gli esportatori di petrolio. Russia, Venezuela, Iran».
Eppure c' è chi vede la fine del Colosso Usa...
«È molto prematuro parlare di un mondo post-americano, Fareed Zakaria sbaglia. L' economia e la potenza degli Usa restano predominanti. Il sistema politico è solido. Pensi a queste elezioni: nessuna violenza, dibattito serrato ma civile. E l' alta probabilità che nel mezzo di una crisi del genere un giovane nero diventi presidente. Se questa non è stabilità politica...».
Per chi tifa?
«Ammiro McCain, sono stato suo consigliere nelle primarie. Ma ha sbagliato a scegliere Sarah Palin, e mi ha deluso la sua campagna. Voterei Obama. La sua elezione sarebbe un fantastico segnale di cambiamento di cui l' America ha bisogno».
Vincerà?
«Con una simile crisi economica, impossibile non avere un cambio politico».
Ma lei voterà in Gran Bretagna:
«Per Cameron e per le sue riforme economiche».
Conservatore in patria, liberal sul lavoro.
«I conservatori qui danno troppa importanza a valori morali e religiosi che non mi sono congeniali».
Danno del socialista a Obama...
«Per disperazione. È un liberal. Le sue politiche porterebbero a una lieve ridistribuzione del reddito, e vivaddio: troppe diseguaglianze».
Obama vuole aumentare le truppe in Afghanistan.
«Sarà supercauto. L' ultima cosa che vuole è accrescere la presenza militare. Quello che può fare è andare a Teheran a fare la pace. Gli iraniani sono pronti. È questa secondo me la priorità dell' America in politica estera».
Farina Michele
http://archiviostorico.corriere.it/2...81024032.shtml