Sergio Romano, il conservatore liberale
"A differenza dei liberals il conservatore liberale è generalmente prudente e scettico. Riconosce il valore universale dei principi di libertà, ma non crede che tutti gli uomini possano farne egualmente buon uso. Crede che tutti gli uomini “siano stati creati uguali”, secondo l’affermazione iniziale della Dichiarazione americana d’indipendenza, ma sa che essi si disporranno lungo la strada della vita secondo una inevitabile gerarchia. Sa di non potersi più opporre al suffragio universale, ma non crede che tutti i voti siano qualitativamente eguali e diffida della democrazia perché essa contiene in sé il germe della “tirannia democratica”, in cui una nomenklatura esercita il potere in nome di una massa unanime e plaudente. Sa che la distanza tra una monarchia giacobina e uno Stato totalitario è paradossalmente più corta di quella che separa una società elitaria da un sistema dittatoriale. Riconosce l’utilità delle grandi riforme, ma sa che l’evoluzione sociale è un processo storico, soggetto a due fattori contraddittori, difficilmente controllabili: la lenta accumulazione delle consuetudini culturali e la brusca rottura con il passato. Sa che ogni norma e ogni iniziativa politica possono produrre risultati alquanto diversi da quelli che il legislatore aveva anticipato. Sa che la soluzione di un problema crea nuovi problemi, non meno intricati del precedente. Sa che ogni politica dipende in ultima analisi dal modo in cui verrà applicata, che le leggi sono scatole vuote e i programmi gride retoriche."
"Mentre il liberal ha una cultura illuministica, fondata su una sorta di razionalismo messianico, il conservatore liberale ha una mentalità storica, fondata sulla convinzione che la realtà riserva più sorprese di quanto l'intelligenza umana non riesca ad immaginare. Mentre il liberal ama credere nella bontà degli uomini, il conservatore liberale sa che la vita è un sentiero stretto fra gli irrefrenabili interessi dei singoli e la brutalità delle masse. La prova più difficile per il conservatore liberale è la guerra. Il conservatore sa che vi sono circostanze in cui lo stato deve fare uso della forza. Ma diffida delle guerre perché non riesce generalmente ad identificarsi con i grandi principi che i governi invocano per mobilitare le masse e trascinarle nella lotta.(…)"
"Il conservatore diffida delle guerre perché sa che sfuggono al controllo delle élite e divengono brodo di cultura per i tribuni e i demagoghi degli anni seguenti. E’ pronto a sostenerle, ma desidera essere ragionevolmente certo che rispondano a una concreta convenienza, e crede che soltanto un grande interesse, non altrimenti perseguibile, possa giustificare un evento che riduce così drasticamente i margini di ragionevolezza e prudenza con cui i pochi cercano di controllare, nel governo degli Stati, gli impulsi irragionevoli e contraddittori dei molti. L’interesse, per il conservatore liberale , è più morale degli ideali. (…)"
"Il conservatore liberale crede nell’utilità della famiglia tradizionale e sa che nulla contribuisce a consolidarla quanto il concepimento e la nascita di un figlio. Ma se il numero delle unioni omosessuali diventa statisticamente rilevante, è pronto, per amore dell’ordine, a legalizzarle. Ed è altrettanto pronto, per considerazioni analoghe, ad approvare alcune forme di fecondazione assistita. Il conservatore sa che la coesione sociale è facilitata dalla comunanza di tradizioni culturali e religiose. Ma se lo sviluppo economico richiede mano d’opera straniera è favorevole all’immigrazione. Il conservatore liberale diffida delle novità perché ne teme le ricadute rivoluzionarie. Ma (…) non scenderà mai in guerra con le biotecnologie, le ricerche sul genoma e certe forme di ingegneria genetica."
(da “Memorie di un conservatore”, Longanesi, 2005)