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  1. #1
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    Predefinito Vola, Libby! - Elezioni nel Regno Unito

    La discussione prende il nome da Libby, soprannome del simpatico volatile che fa da simbolo dei LibDems inglesi. La legge elettorale inglese da sempre porta questo partito - che comunque si aggira sempre intorno al 20% dei consensi - ad accontentarsi delle briciole lasciate da Labour e Tories.
    Perchè quest'attenzione ai LibDems? Parliamo del principale partito di centro liberale dell'Europa intera - un pò il mio sogno. Ma anche e soprattutto perchè i LibDems stanno provando a scardinare il bipartitismo inglese, e mai come stavolta sembrano capaci di riuscire in tale ambiziosissima impresa, condizionando la nascita di qualsiasi esecutivo

    "Ma questo lungo termine è una guida fallace per gli affari correnti: nel lungo termine siamo tutti morti" (J.M. Keynes)
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    Predefinito Rif: Vola, Libby! - Elezioni nel Regno Unito



    Salito alla ribalta internazionale dopo il primo dei tre dibattiti tra i leader di partito, Nick Clegg è già da anni un nome noto della politica britannica. Leader dei LibDems dal dicembre 2007, nel suo discorso di investitura, Clegg si definì "liberale per temperamento, per istinto e per educazione" e parlò del Regno Unito come "un paese di tolleranza e pluralismo".

    Gran Bretagna, l’avanzata di Clegg che spezza il bipartitismo
    Di Stefano Iannaccone (del 20/04/2010 @ 102:48, in Ritratti - approfondimenti su fatti e personaggi, letto 84 volte)

    La vera novità delle elezioni in Gran Bretagna si chiama Partito liberaldemocratico. Gli ultimi sondaggi, infatti, indicano la costante avanzata dei consensi per Nick Clegg, leader dei Lib-dems, che sembra intercettare il malcontento popolare verso laburisti e conservatori. I primi, al potere da oltre un decennio, hanno ormai esaurito il ciclo avviato da Blair; i tories, invece, non riescono a persuadere l’elettorato indeciso sull’effettiva capacità di rinnovamento del partito, nonostante il lungo lavoro di immagine svolto da David Cameron negli anni di opposizione. I liberaldemocratici, dunque, trovano un ampio spazio elettorale, valorizzando l’elemento che li ha storicamente tenuti ai margini, ovvero la lontananza dalle leve del governo.

    Storia. I Lib-dems, nella formazione attuale, sono nati nel 1988, attraverso l’unione del Partito liberale e dei socialdemocratici, che nel 1981 si erano allontanati dal Labour (in quegli anni ancora arroccato su posizioni fortemente socialiste). I liberaldemocratici, capeggiati da Paddy Ashdown per 11 anni, sono state le principali “vittime” del sistema elettorale britannico: basti pensare che dal 1992 non sono mai scesi sotto il 16,7% di voti su scala nazionale (risultato registrato nel 1997), ma non hanno mai nemmeno ottenuto più del 10% dei seggi in Parlamento. La motivazione risiede nella presenza dei collegi uninominali: il candidato che consegue più voti nel collegio ottiene il seggio. Va annotato, infine, che già nel 2005 i Lib-dems hanno aumentato il consenso, raggiungendo il 22% dei voti e 62 seggi parlamentari.

    Leadership. Nick Clegg, 43 anni, ha raccolto un partito lacerato dopo le dimissioni del suo controverso predecessore Charles Kennedy, autore di performance elettorali eccellenti ma incapace di tenere unito le varie anime del partito. Il nuovo leader ha saputo ricomporre le divisioni, attraverso una paziente strategia di ammodernamento delle strutture dirigenziali, ma senza abiurare la tradizione del liberalismo. Inoltre, la capacità comunicativa di Clegg ha portato a una graduale crescita di consenso popolare, esplosa al primo confronto televisivo con il premier Brown e il leader dei conservatori Cameron.

    Posizioni. Uno degli elementi di forza del numero uno dei Lib-dems è la critica all’invasione in Iraq, benché lui non sia aprioristicamente contrario agli interventi militari. Tuttavia, l’astro nascente della politica britannica non ha indugiato a etichettare come “ingiustificata” la guerra irachena, mettendo in netta difficoltà gli avversari (il Labour con Blair ha inviato le truppe, mentre i Tories hanno sostenuto l’iniziativa del governo). Dunque, Clegg si colloca nel panorama britannico come un liberale convinto ma tutt’altro che estremista, anche in materia di gestione dei servizi pubblici. Una strategia che potrebbe addirittura portarlo al numero 10 di Downing Street.
    "Ma questo lungo termine è una guida fallace per gli affari correnti: nel lungo termine siamo tutti morti" (J.M. Keynes)
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  3. #3
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    Predefinito Rif: Vola, Libby! - Elezioni nel Regno Unito

    Proseguiamo la rassegna stampa con la sintesi del dibattito di ieri sera. Se il primo confronto televisivo tra i tre candidati aveva visto Clegg dominatore assoluto, nella serata di ieri non si è avuto un vincitore conclamato. Ad ogni modo il nostro Nick si difende bene , nonostante la scomodità di alcuni temi (Unione Europea in primis)

    HIGHLIGHTS DEL SECONDO DIBATTITO (video in lingua Inglese)

    Elezioni britanniche, Nick Clegg convince ancora
    Venerdí 23.04.2010 08:21

    "Non dovevamo invadere l'Iraq". Sceglie la politica estera e una frase a effetto Nick Clegg, il leader dei Liberaldemocratici inglesi, in apertura del suo intervento durante il secondo confronto televisivo fra i tre candidati premier. Proprio lui, Clegg, è stato la rivelazione del primo dibattito tv, avvenuto una settimana fa e ha riaperto i giochi in vista delle elezioni del 6 maggio. Il secondo confronto potrebbe essere stato quello decisivo. Secondo il sondaggio Yougov per il Sun, il candidato conservatore David Cameron ha vinto il dibattito con il 36% dei consensi. Segue Nick Clegg con 32%. Terzo il premier laburista Gordon Brown con 29%. Ma secondo il sondaggio ComRes per ITV, la vittoria va a Clegg con il 33%, poi gli altri due al 30%. Alla domanda su chi votereste alle prossime elezioni: il 36% ha detto Lib Dem, il 35% Conservatori, il 24 Labour. Insomma, la sorpresa di questa campagna elettorale potrebbe davvero scompaginare tutti i precedenti pronostici.

    Al centro del dibattito c'è stata la politica estera. La prima domanda che arriva dal pubblico riguarda i vantaggi che la Gran Bretagna può ottenere dal far parte dell’Unione Europea. Per sorteggio, l'intervento di apertura è toccato a Brown che ha attaccato il leader dei Tories per le sue alleanze con quelli che il premier chiama «estremisti» (Clegg ha parlato di «pazzi e omofobi»). Per Cameron la Gran Bretagna deve restare nella Ue, ma con i conservatori non entrerà nell'euro; inoltre - spiega - il Regno Unito deve riuscire a negoziare accordi più «convenienti» e spingere la Ue a ridurre il suo apparato burocratico. «Dobbiamo stare nell'Europa, ma non essere guidati dall'Europa» spiega Cameron. Dal canto suo Clegg, oltre all'attacco sulla decisione di partecipare alla guerra in Iraq a fianco degli Usa (presa da Tony Blair), ha parlato del possibile ruolo della Gran Bretagna all'interno dell'Unione Europea: «La Ue non è certo perfetta, ma da soli siamo più deboli, uniti siamo più forti. Ci sono degli aspetti in cui non possiamo fare a meno dell'Europa: non possiamo combattere la criminalità da soli o il cambiamento climatico, che non si ferma alle scogliere di Dover. Io dico che la Gran Bretagna deve stare in Europa e ci deve stare da leader». Simile la posizione di Brown.

    Altro tema, i cambiamenti climatici. Il leader dei Lib-Dem propone di accantonare il progetto nucleare e investire su progetti alternativi: «Invece di impegnarci in un grande progetto di rinnovamento delle centrali, che costano moltissimo denaro e saranno operative fra 10 anni, variamo un grande progetto di isolamento termico delle abitazioni civili» ha detto Clegg.

    Poi si è parlato di immigrazione. Clegg ha enfatizzato la necessità di «mandare la gente dove c'è spazio per loro», in quelle aree dove «non metterebbero sotto pressione i servizi pubblici». La proposta di Clegg di introdurre un'«amnistia» per i clandestini, permettendo a coloro che sono riusciti a entrare illegalmente sotto i laburisti di diventare regolare e di pagare le tasse nel Regno, è stata subito criticata da Gordon Brown secondo il quale un piano simile non farebbe altro che incrementare l'immigrazione illegale. «Abbiamo un sistema a punti - ha detto Brown - che ci permette di regolare che tipo di lavoratori arrivano» e quali posti di lavoro vanno a ricoprire, garantendo così il funzionamento del mercato del lavoro. Cameron ha invece enfatizzato la crescita del numero di immigrati dalla salita al potere dei laburisti e si è staccato da Clegg e da Brown affermando la necessità di introdurre un limite massimo al numero di immigrati, sia extracomunitari, che dai nuovi Paesi Ue. «Abbiamo tutti da guadagnare dall'immigrazione. Ma dobbiamo costruire una società più forte ed integrata», ha detto.

    Brown, Cameron e Clegg si sono tutti detti pronti a dare il benvenuto a Papa Benedetto XVI quando si recherà in visita nel Regno Unito a settembre, ma hanno espresso pareri discordanti riguardo ad una serie di temi, dallo scandalo sulla pedofilia, all'abordo alla ricerca sulle cellule staminali. Il liberaldemocratico ha confermato di non essere lui stesso un credente, ma ha sottolineato che la moglie, di nazionalità spagnola, lo è, che i suoi figli vengono educati in quella fede e di «conoscere il tormento di molti cattolici». «Accolgo con favore la visita del Papa, ma la chiesa deve riconoscere di più la terribile sofferenza, provocata , non si può cancellare le tragedie del passato, ma si può attuare un processo di apertura», ha detto Clegg. Cameron ha ammesso di non condividere le opinioni del Pontefice su molte questioni, dalla contraccezione, all'aborto alla ricerca scientifica, ma ha affermato: «La fede dovrebbe essere benvenuta e rispettata». La società britannica, ha aggiunto in seguito, è tollerante delle opinioni altrui, anche quando diverse dalle nostre. Brown ha sottolineato invece i passi avanti fatti dai laburisti per i diritti degli omosessuali e le unioni gay e si è detto contrario alla posizione del Papa riguardo a contraccezione e ricerca. Il dibattito si è concluso con una stretta di mano tra i leader.
    L'ipotesi di "hung Parliament", cioè di Parlamento in bilico e nel quale si profila la necessità di un governo di coalizione al momento non è così peregrina. Per la serie corsi e ricorsi storici, c'è questo articolo in lingua inglese.

    Three's a crowd: How the unexpected rise of a third contender broke the cosy two-party system
    By David Marquand
    Friday, 23 April 2010

    History doesn't repeat itself, but as the old adage says, it does rhyme. The rhyming is now clamorous and incessant. If the Liberal Democrat surge that followed Nick Clegg's victory in the first televised leaders' debate continues, we shall be in spitting distance of a hung Parliament. Of course, it may not continue. The Clegg boom may peter out; residual "Labservative" tribal loyalties may reassert themselves. But when all the caveats have been entered, there is no doubt that the two old parties, the ugly sisters of British politics, have had the fright of their lives. For old SDP-ers like me, it has been a moment to relish.

    But it is also a moment for careful historical reconnaissance. There is no post-war parallel to the shock that seems likely to overwhelm the old parties when the votes are counted this May. There was a hung Parliament in 1974, but the circumstances then were so different from ours that it has no useful lessons for today. Yet there is a much older parallel: the election of 1923 and its sequel in 1924. In November 1923, Stanley Baldwin, the untried Conservative Prime Minister, suddenly called a general election to win a mandate for protective tariffs. Polling day came early in December, 1923. The Conservatives lost their overall majority, but they were still the largest party in the Commons. The rising Labour Party, led by the charismatic Ramsay MacDonald, came second. The recently reunited, but incorrigibly schismatic Liberal Party, led by the pre-First World War Liberal Prime Minister, Herbert Asquith, came third.

    There followed a bizarre fever of speculation, anxiety and panic. MacDonald had never held office of any kind; nine years before, his opposition to the First World War had earned him a degree of loathing and contempt that few modern British politicians have encountered. Besides, the Labour Party was socialist. For many, it stood for expropriation and class war. A Labour Government, one commentator proclaimed, would be a disaster such as normally occurred only after defeat in war. All sorts of schemes were canvassed to avert it, the favourite being a Conservative-Liberal coalition, and the next a national Government of some kind.

    But the principals kept their heads. Baldwin made it clear that he would have no truck with any anti-Labour deal. Asquith did the same. As the leader of the largest party, Baldwin rightly stayed on as Prime Minister until the new Parliament met in January 1924. His Government drew up a King's Speech. The Labour and Liberal parties joined forces to vote it down. Baldwin then resigned, and the King, George V, sent for MacDonald, who formed a minority Government – the first Labour Government in British history. It turned out to be spectacularly successful abroad and boringly competent at home, an ideal combination for a party whose chief task was to prove that the country and the constitution were safe in its hands.

    In the end, the Conservatives and Liberals joined forces to defeat it. In the subsequent general election the Conservatives won a large majority, while Labour lost ground. But its defeat had a huge silver lining. The Liberals were crushed. Labour had become the Conservatives' opposite number in a new two-party system – the very system that Clegg is now trying to destroy.

    What does this complex story tell us about the politics of 2010? What parallels are there between the political actors of 1923-4 and those of today? Three stand out. The most obvious is the parallel between David Cameron and Baldwin. Indeed Cameron sometimes seems to be trying, quite consciously, to act the part of Baldwin Mark II – emollient, inclusive, honourable and, above all, reassuring. His penchant for cycling to work (with photographers in tow) is a 21st century equivalent of Baldwin's penchant for striding along country lanes, clad in a baggy tweed suit (and also with photographers in tow). Before the First World War, the Conservatives had been the nasty party, using their majority in the Lords to throw out the Budget in 1909, and then flirting with armed rebellion in Ulster.

    Like Cameron, Baldwin was trying to lay the ghost of Conservative nastiness and to speak in a carefully crafted contemporary idiom instead of the grandiloquent language of the past. His ostentatiously honourable refusal to countenance an anti-Labour manoeuvre in early 1924 was part of that strategy. But the parallel mustn't be pushed too far. Baldwin had far stronger cards in his hand than Cameron has. He was Prime Minister at the start of the story and leader of the largest party throughout. It was far easier for him to contain Ramsay MacDonald's challenge than for Cameron to contain Clegg's. All he had to do was wait for Labour to run into trouble, whereas Cameron has to strain every nerve to recapture the ground lost to the Liberal Democrats.

    Which is where the second parallel comes into the story: that between Brown's Labour Party and Asquith's Liberals. Asquith had been a hugely successful Prime Minister. His Government had been the greatest reforming government since Gladstone's in 1868. Yet after 1918, and the arrival of universal male and partial female suffrage, all this availed him nothing. He appeared pompous, boring and hopelessly out of joint with the times. The causes that made him – taming the House of Lords, Irish Home Rule, Free Trade – no longer resonated. He was like a whale, beached by the tides of history. He seemed out of tune, a ghost from another age.

    The same was true – in spades – of the Liberal Party. It embodied a great tradition of individual freedom and equal opportunity going back to John Locke and John Stuart Mill. The Whig ancestors of the Liberal Party had carried the great Reform Act of 1832. Liberal governments had broken the Anglican stranglehold on the ancient universities, reformed local government, abolished the sale of Commissions in the Army and almost secured Home Rule for Ireland. Gladstone, the greatest peacetime Prime Minister in our history, was a Liberal. So was Lloyd George, the founder of the welfare state and the second greatest wartime Prime Minister. Liberal thinkers such as TH Green, the philosopher, LT Hobhouse, the father of British sociology and JA Hobson, the precursor of Keynesian economics, had dominated the national conversation.

    But the liberal ideal perished in the trenches and mass mobilisations of 1914-1918 and the class conflicts that followed. The age of the individual gave way to the age of the collective. The still, small voice of liberal individualism was drowned out by the big battalions of labour and capital. Despite occasional spurts of intellectual energy, the Liberal Party was hopelessly at sea in a mass society whose politics were dominated by the rival collectivisms of paternalist conservatism and state-centred socialism. It was consumed by factional disputes – backward-looking Asquithian grandees versus Lloyd Georgite adventurers – that meant nothing to the electorate.

    If this sounds familiar, it is. In the intervening 90 years, the wheel has come full circle. The age of the collective is over. A new kind of individualism is in the ascendant. The mass society has disappeared; its preoccupations have disappeared with it. The great liberal issues that seemed quaintly archaic in the 1920s – citizenship rights, the devolution of power, individual freedom – have returned to the centre of the stage. The state-centred collectivism which the rising Labour Party offered in place of liberalism, and to which it still obstinately cleaves, is patently a busted flush, just as liberalism was in the 1920s. And, again like the Liberals of those days, Labour is consumed by personal bickering that means nothing to anyone outside its inner circle.

    Against that background, the third of my parallels – that between the Liberal Party of today and the Labour Party of the 1920s – falls into place. The Liberal party of that era was sick, but it did not die of its own accord. It was Labour, and above all Labour's leader, Ramsay MacDonald, that despatched it to the knacker's yard. Labour's strategy had two prongs. First, it sought to re-draw the map of politics: to prove that the old battle between Liberals and Conservatives was over; that a new battle between socialism and capitalism had taken its place; and that in that new battle, Labour was ranged equally against both the old parties. Secondly, however, Labour also sought to show that it was the heir of the old Liberal Party, that what MacDonald had once called "advanced and sturdy radicals" now belonged in the Labour Party, that democratic socialism in fact encompassed liberalism.

    The moral is clear. Clegg is absolutely right to pay no attention to Brown's shameless ogling. The much-touted suggestion that the Liberal Democrats are "really" on the same side as the Labour Party is both false and, from the Liberal Democrats' point of view, dangerous; and Clegg is both strategically wise and philosophically sound to reject it out of hand. But he also has to do something else. Like Labour in the 1920s, only in reverse, he has to show that the Liberal Democrats are the heirs of all that was best in the old Labour Party: that there was a libertarian strand in the Labour tradition, as well as a statist one, and that the libertarian strand is encompassed by the Liberal Democrat party of today. I suspect that the success of his project will depend on whether he can do the second as well as he is already doing the first.
    Ultima modifica di Cabraizinho; 23-04-10 alle 17:14
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  4. #4
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    è figo clegg :giagia:

  5. #5
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    Predefinito Rif: Vola, Libby! - Elezioni nel Regno Unito

    Citazione Originariamente Scritto da mc lovin Visualizza Messaggio
    è figo clegg :giagia:
    Decisamente, ma è presto per farne il nuovo Obama o per lanciarsi, come fatto nei giorni scorsi in azzardati paragoni addirittura con Churchill. La stampa Tory del resto è in subbuglio: l'esplosione dei LibDem rischia di mettere in dubbio una vittoria che sembrava certa e per questo ha dato il via ad un'intensa battaglia giornalistica contro Clegg.

    A proposito di vittoria più o meno certa, l'ipotesi di hung Parliament non è certo peregrina: i Tories si stanno facendo campagna elettorale affermando la necessità di una guida chiara per il paese, di fronte al rischio di problemi con le borse qualora il risultato fosse in bilico. Bene, le Cassandre sono state smentite. Se vogliono provare a contrastare i LibDem usino argomenti migliori.

    Tory claims that hung parliament would cause meltdown are dismissed
    Credit rating agency rejects warning that Britain would be plunged into financial crisis if election result is inconclusive

    By Nigel Morris, Colin Brown and Sean O'Grady
    Saturday, 24 April 2010

    Fears of an economic meltdown in the case of a hung parliament have been dismissed by a leading credit rating agency and senior economists.

    Analysis by The Independent suggests that of the 16 countries worldwide who currently have the top triple-A financial stability rating, 10 are run by coalition governments. The majority of nations that have taken the toughest action in recent decades to tackle their debts were also governed at the time by coalitions.

    David Cameron and George Osborne, the shadow Chancellor, have warned that a hung parliament would spark a sterling crisis and the intervention of the International Monetary Fund, which is helping to bail out the beleaguered Greek economy.

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    But the Moody's ratings agency yesterday argued that such an election result could actually make it easier to push through the spending cuts essential to cut the deficit as a plan agreed by a coalition would have broad public support.

    Arnaud Mares, its lead UK analyst, said: "A hung parliament does not in itself have direct implications for Moody's UK rating. The three main parties broadly agree on the desirability of fiscal consolidation on a scale that, if implemented strictly over the course of the next parliament, would be consistent with the Government maintaining its Moody's AAA rating."

    Another ratings agency, Fitch, assessed Britain's prospects to be "stable", a view it said it had reached bearing in mind the possibility of a hung parliament.

    The Standard and Poor's agency lowered its assessment to "negative" almost a year ago, when the Conservatives were in a strong opinion poll lead.

    Sixteen countries currently enjoy a triple-A rating – awarded to nations deemed to have close to zero risk of defaulting on their debts – from the main credit ratings agencies. Ten, including Germany, the Netherlands, New Zealand, Sweden and Switzerland, currently have coalition governments and 12 use a form of proportional representation for elections.

    History also suggests that having large majorities in government does not prevent crises of sterling. The 1949 and 1967 devaluations both took place when Labour had a clear majority. In 1985 sterling fell to just over $1 when Margaret Thatcher had a landslide majority, while in 1992 the Tories had a working majority when Britain fell out of the Exchange Rate Mechanism.

    In contrast, the last time there was cross-party co-operation in a hung parliament situation – the Lib-Lab pact of 1977-78 – it delivered lower inflation and lower unemployment, a recovery in the value of sterling and the IMF was paid off from the 1976 crisis. The deal saw through painful cuts to public spending.

    The House of Commons library also discovered that seven of the toughest 10 "fiscal consolidations" – programmes of belt-tightening – in the Western world since 1970 were undertaken by coalition administrations.

    The City is becoming accustomed to the idea that the election on 6 May will not deliver the decisive Conservative victory that it might have wished for. Consequently investors have already factored a hung parliament into their calculations.

    The City research consultants Capital Economics yesterday said in a briefing note to investment houses that markets were "becoming rather less fearful of the prospect of a hung parliament". It said it had warned in February "some of the worst fears over a hung parliament might be overdone and there are signs that the markets are starting to come round to that view".

    Jonathan Loynes, its chief Europe economist, said: "We are not suggesting that all worries about a hung parliament are completely misguided. We are at a precarious position and the finances are in a mess. Action must be taken to sort them out very quickly. But there is growing recognition among the parties that further action to address the fiscal problem is needed. The markets have taken heart from that in the past week."

    Investment consultant Desmond O'Driscoll, of Lighthouse Financial Initiatives, said: "Whatever nasty medicine has got to be taken, it would be more acceptable coming from a consensus government."

    James Caan, the entrepreneur who features in BBC2's Dragons Den, said: "The financial markets are anticipating a hung parliament, and it will come as no surprise to them. Now it is becoming increasingly likely they will be factoring this into their assessment of the economy and government borrowing."
    Ultima modifica di Cabraizinho; 24-04-10 alle 11:06
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    Predefinito Rif: Vola, Libby! - Elezioni nel Regno Unito

    Nick Clegg: Il Regno Unito di fronte all’opzione liberale
    Monday, April 19, 2010



    Nick Clegg: Il Regno Unito di fronte all’opzione liberale

    di FRANCESCO VIOLI

    Ha destato scalpore la vittoria a sorpresa di Nick Clegg, leader dei Liberaldemocratici britannici, in un dibattito televisivo, il primo nella storia della politica britannica, fra i tre leader dei tre partiti maggiori: il Labour, i Tories e i LibDems per l’appunto. Nick Clegg si è presentato al pubblico come la vera alternativa al sistema bipartitico maggioritario imperante in Gran Bretagna. Si è sempre mostrato rilassato e combattivo, rivolgendosi di continuo sia agli interlocutori in studio che al pubblico a casa e mostrando più chiarezza degli avversari sui punti del proprio programma. Dall’altra parte, Gordon Brown, che deve scontare l’impopolarità dovuta a vari fattori; in primis la crisi e l’elevato deficit a cui seguirà un elevato incremento del debito pubblico; ha comunque saputo dimostrare competenza ed esperienza, soprattutto sulle tematiche economiche. La grande delusione è stata invece David Cameron, che di fronte ai due concorrenti è sembrato bloccato, impacciato e talvolta anche timoroso, sfigurando di fronte alla maggiore comunicatività e chiarezza di Clegg e non disponendo della stessa esperienza di governo di Brown.

    L’esito è stato un vero e proprio fulmine nella politica britannica, tant’è che i sondaggi dei giorni successivi hanno registrato una flessione dei Tories, che si porrebbero appena al di sotto del 35%. Il Labour rimarrebbe stabile fra il 28 e il 31% e, last but not least, si è registrato un forte incremento dei consensi dei LibDems, che si porrebbero in una banda fra il 25 e il 30%. Se questo scenario dovesse confermarsi alle urne, l’esito delle elezioni sarebbe un Hung Parliament in cui la maggioranza relativa sarebbe in mano al Labour, che necessiterebbe dell’appoggio dei LibDems. Gli Inglesi, delusi dal bipartitismo Lab/Tories, sembra che abbiano optato per questa scelta.

    I Tories devono soffrire il logoramento di una campagna elettorale che dura da tra anni, da quando Tony Blair ha passato le chiavi del n. 10 di Downing Street a Gordon Brown. David Cameron ha goduto per questi anni di una posizione di rendita che ora, all’approssimarsi delle elezioni, sembra esser venuta meno. In questi anni ha puntato molto sul carisma e sull’impopolarità di Brown. La sua debolezza però è proprio il programma: nel tentativo di raccogliere quanto più sostegno possibile, ha più meno scontentato molti. Ha cercato di apparire come un Blair conservatore: ha preso in prestito l’ambientalismo e i diritti civili dal centro e dalla sinistra, ha calcato la mano sul tradizionale euroscetticismo conservatore, ha sostenuto una posizione dura nei confronti dell’immigrazione dai paesi extra UE e una politica economica “libertarian” basata sulla riduzione delle tasse e della spesa pubblica, puntando molto sull’opposizione al concetto di “Big- Government”. Un mix di politiche che se da una parte aveva lo scopo di saldare l’elettorato conservatore e drenare voti dall’elettorato labour, hanno invece sortito l’effetto di scontentare l’elettorato conservatore più tradizionalista, di non convincere il centro sinistra e di allontanare la minoranza più europeista o comunque non euroscettica dei Tories.

    I tories, che fino a giovedì sera si sentivano sicuri di poter raggiungere una maggioranza solida alla camera, ora cominciano ad aver paura di fallire persino nel raggiungimento di una maggioranza relativa. Ora cominciano a rivolgere le loro risorse verso i LibDems, attaccandoli e ridicolizzandone i programmi di governo come mai prima d’ora, sostenendo in continuazione la necessità di un governo che goda di una maggioranza forte e stabile, affermando addirittura che l’economia britannica soffrirebbe molto di un governo di coalizione e che questa eventualità metterebbe in pericolo addirittura la stabilità della Sterlina e la stabilità dei mercati finanziari britannici.

    Benchè sia così forte il mito della stabilità del parlamento britannico, dovuta soprattutto al sistema maggioritario uninominale e sia risaputo che i lavoratori della City amino i governi forti e business- friendly; questo sistema, come molto probabilmente dimostreranno queste elezioni, è iniquo e difettoso. E’ iniquo perché non rispecchia la varietà e l’eterogeneità del voto, come molti costituzionalisti hanno fatto notare, difettoso perché comunque non evita il crearsi di situazione di stallo come questa che si verificherà. Non è chiaro infatti cosa si deciderà, nel caso dalle urne uscisse un Hung Parliament. Probabilmente, la regina conferirà il mandato al candidato del gruppo con maggioranza relativa alla House of Commons, il quale dovrà necessariamente formare un governo assieme ai LibDems, oppure “rassegnarsi” ad un governo di minoranza, con tutto ciò che ne conseguirà.

    Se il risultato delle elezioni vedrà veramente un’emersione del partito liberale, sarà una svolta epocale nella politica britannica per varie ragioni. Per prima cosa, perché segneranno la conclusione definitiva dell’era Blair. In secondo luogo, perché la maggioranza degli Inglesi, sia che essi optino per un governo a maggioranza Tory o Labour, è per lo più intenzionata a mettere in soffitta definitivamente o a riformare radicalmente il Tatcherismo, visto per certi versi a torto, per alcuni a ragione, come un paradigma che ha demolito il settore industriale britannico introducendo una sorta di monocultura finanziaria e terziaria avanzata incentrata per lo più nella City (posizione tra l’altro sostenuta da Clegg). Inoltre, costituirebbe anche una svolta nella politica estera: i LibDems puntano molto sul protagonismo attivo del Regno Unito nell’integrazione europea, a differenza dell’atteggiamento “on the hence” dei Labour e quello di “opposizione interna” dei Tories.

    In ultimo luogo perché potrebbe essere l’ultima elezione col sistema maggioritario britannico, in quanto è la prima condizione posta da Nick Clegg per un’alleanza liberale. Nick Clegg: Il Regno Unito di fronte all’opzione liberale | LiberalCafè (since 2004)

  7. #7
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    Predefinito Rif: Vola, Libby! - Elezioni nel Regno Unito

    Citazione Originariamente Scritto da Burton Morris Visualizza Messaggio
    [...]
    In ultimo luogo perché potrebbe essere l’ultima elezione col sistema maggioritario britannico, in quanto è la prima condizione posta da Nick Clegg per un’alleanza liberale. [/url]
    Da convinto centrista non posso che felicitarmi di ciò, dal momento che il maggioritario uninominale è storicamente la morte del centro

    Gb/ Elezioni, Clegg vuole sistema elettorale proporzionale
    22 aprile 2010 apcom

    Gb/ Elezioni, Clegg vuole sistema elettorale proporzionale Alleanza con Labour, leader Lib-Dem non chiederebbe testa Brown
    Roma, 22 apr. (Apcom) - Il partito Liberal-democratico britannico insisterà par una riforma del sistema elettorale in senso proporzionale: lo ha affermato il leader Nick Clegg, rendendo in tal modo improbabile una futura alleanza con i Conservatori, contrari a questa ipotesi. Come riporta il quotidiano britannico The Independent, Clegg ha criticato l'attuale sistema che in teoria permetterebbe ai partito laburista di arrivare terzo nel voto popolare ma di mantenere la maggioranza parlamentare: "Se c'era bisogno di una prova dell'arretatratezza del nostro sistema, è questa. Se il Partito Conservatore o qualcun altro crede che non ci sia bisogno di una riforma, allora sono ancora più tradizionalisti di quel che pensavo: con un risultato come questo, quel poco di legittimità rimasta al sistema elettorale attuale evaporerebbe del tutto". In caso di alleanza con i laburisti sembra infine che Clegg non sia intenzionato a chiedere la testa del premier uscente Gordon Brown, nonostante lo accusi di ostacolare le riforme: "La sua storia dimostra come sia parte del problema, non della soluzione, ma non è compito mio decidere quale leader si scelgano i partiti"
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  8. #8
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    Predefinito Rif: Vola, Libby! - Elezioni nel Regno Unito

    Chi avesse letto l'ultimo articolo postato potrebbe tuttavia pensare ai Liberaldemocratici come così smaniosi di raggiungere dopo decenni le leve del potere, da appoggiare senza condizioni un governo guidato da Brown. Nulla di più sbagliato: è di oggi una dichiarazione di Clegg alla BBC che mette in chiaro le cose.

    Clegg issues votes warning to Labour
    By Gavin Cordon, PA
    Sunday, 25 April 2010

    Liberal Democrat leader Nick Clegg today warned that he would not prop up a Labour government which had collapsed to third in the popular vote.

    He said Britain's "potty" electoral system meant it was possible that Labour could get fewer votes than both the Lib Dems and the Conservatives on May 6 and still emerge as the biggest party in a hung parliament.

    In an interview with BBC1's The Andrew Marr Show, he made clear that there was no question in those circumstances of the Lib Dems combining with Labour to enable Gordon Brown to hang on to power.

    "It is just preposterous the idea that if a party comes third in the number of votes, it still has somehow the right to carry on squatting in No 10," he said.

    "I think a party which has come third - and so millions of people have decided to abandon them - has lost the election spectacularly (and) cannot then lay claim to providing the prime minister of this country."
    Starà alzando il prezzo di una collaborazione col Labour in caso di Hung Parliament? Si starà tenendo le mani libere? O addirittura starà avanzando rivendicazioni sulla poltrona di capo del governo? Lo scopriremo nei prossimi giorni
    Ultima modifica di Cabraizinho; 25-04-10 alle 15:16
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  9. #9
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    Predefinito Rif: Vola, Libby! - Elezioni nel Regno Unito

    a proposito di mani libere, si sente spesso parlare di collaborazione tra liberali e laburisti ma un accordo coi conservatori è così surreale?

  10. #10
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    Predefinito Rif: Vola, Libby! - Elezioni nel Regno Unito

    Benvenuto su PIR!
    Guarda, l'alleanza tra LibDems e Tories è a mio parere praticamente impossibile. Troppe sono le differenze tra liberali e conservatori, specie in un paese dove il partito di Clegg è spesso finito col rappresentare posizioni più di sinistra rispetto ai laburisti (si pensi al secco NO nei riguardi della guerra in Iraq). E comunque dopo l'aggressiva campagna elettorale che i giornali di destra stanno portando avanti contro lo stesso Clegg - una crescita liberaldemocratica aumenta l'ipotesi di hung Parliament e di conseguenza di maggioranza post elettorale LibLab - la vedo ancora più dura.
    Ciò nonostante, Clegg con saggezza non mostra come scontato un approdo alla coalizione giallo/rossa. Non a caso ecco le parole di Vince Cable, "economy spokesman" del partito

    "We have absolutely fundamental disagreements with the Labour Party," Cable said, dismissing suggestions the party was a more natural bedfellow for the Lib Dems.
    Ultima modifica di Cabraizinho; 25-04-10 alle 18:57
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